Irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali (analisi e commento dell’art. 648 cpp)

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1. Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione.

2. Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. Se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso.

3. Il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile.

sommario: I. Irrevocabilità; nozione, problemi interpretativi. II Irrevocabilità e inoppugnabilità.

I. Irrevocabilità; nozione, problemi interpretativi.

L’irrevocabilità è qualifica (o effetto) di tipo normativo che riguarda esclusivamente una specifica tipologia di provvedimenti giurisdizionali e cioè le “sentenze” ed un tipo particolare di sentenze e cioè quelle che: a) sono state “pronunciate in giudizio”; b) “contro le quali non è più ammessa impugnazione diversa dalla revisione”.

Dalla definizione discende che non divengono mai “irrevocabili”:

1) i provvedimenti giurisdizionali diversi dalle “sentenze” e cioè i “decreti” e le “ordinanze” (cfr. art. 125);

2) le sentenze “non pronunciate in giudizio”.

Ne consegue: quanto al punto sub 1), che decreti e ordinanze sono sempre “revocabili”; mentre, per quanto concerne il punto sub 2, il riferimento normativo sembra essere alla sentenza di non luogo a procedere pronunciata, ex art. 425, all’esito dell’udienza preliminare, posto che, proprio per tale sentenza è previsto espressamente l’istituto della “revoca” ex artt. 434 ss. (Titolo X del Libro V) (non avrebbe infatti senso prevedere l’”irrevocabilità” di una sentenza, successivamente “revocabile”.

In realtà, l’impianto logico normativo non è per nulla rigoroso come sembra.

Infatti, non è vero, né che i decreti e le ordinanze siano sempre “revocabili”, né che la menzione della sentenza “non pronunciata in giudizio”, si riferisca alla sola sentenza di non luogo a procedere.

Sotto il primo aspetto, è sufficiente pensare alle ordinanze o ai decreti (ad esempio per il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.) applicativi di misure cautelari, personali e reali.

E’ sufficiente a tale proposito osservare che, per orientamento consolidato della giurisprudenza, quando, infatti, è emesso un provvedimento applicativo di una misura cautelare (sia essa personale o reale) e non è presentata impugnazione con i mezzi e nei tempi previsti dalla legge processuale, si realizza l’effetto del “giudicato cautelare” [da ultimo vedi C V 26.7.2012, CED 40953] che rende definitivo il provvedimento emesso che, dunque, in quanto tale, non è più “revocabile” (né si deve confondere la sempre possibile “revoca” della misura adottata, per ragioni sopravvenute o per il semplice decorso del tempo, che non implica la “revoca” del provvedimento emesso che, in quanto divenuto “definitivo” in senso cautelare, non è appunto “revocabile”) [CIANI in LATTANZI-LUPO, Rassegna c.p.p. 2; CORDERO; 1123; DALIA-FERRAIOLI, MDPP7; 810; IOVINO, sub art. 648, in Comm Giarda-Spangher, 5636; LOZZI7; 758; NORMANDO, Il valore e gli effetti del giudicato penale, in SPANGHER, Trattato, VI, 15; TONINI12; 891].

D’altra parte, anche il “decreto” o l’”ordinanza” di archiviazione non sono “revocabili”, essendo superabile l’effetto preclusivo dell’avvenuta archiviazione soltanto attraverso la riapertura delle indagini ex art. 414 [CAPRIOLI (1) 444; GIOSTRA (2) 102; SAMMARCO (4) 340; C VI, 27.4.2012, CED 16358].

Ma, sotto altro aspetto, non è neppure certo tra le sentenze “non pronunciate in giudizio”, ci sia soltanto la sentenza di non luogo a procedere.

Si pensi, infatti, alla sentenza di patteggiamento pronunciata in udienza preliminare o nell’udienza fissata appositamente ex art. 447, quando la richiesta di applicazione della pena (congiunta o presentata da una parte con il consenso dell’altra) sia presentata nel corso delle indagini preliminari.

Ebbene, tenuto conto di tale caso, o si ritiene che la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti sia “irrevocabile” perché comunque “pronunciata in giudizio”, dovendosi ritenere che l’udienza comunque fissata per la decisione, sia un’udienza di “giudizio” [LOZZI (3) 668; SCALFATI (5) 55; C 4.3.2004, RDPP 2004, 668]; oppure, inevitabilmente si dovrebbe ritenere che alla luce del disposto del comma 1 dell’art. 648, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti sia “revocabile”.

Sotto il primo aspetto, immaginare che possa essere definita come “giudizio” anche l’udienza preliminare o l’udienza fissata per il patteggiamento, momenti processuali, certamente giurisdizionali, ma nei quali non si esercita la pienezza della giurisdizione, come invece accade nel “giudizio” in senso proprio, porterebbe ad una contraddizione per quanto concerne la sentenza di non luogo a procedere che, come detto, è espressamente “revocabile” ex art. 434.

Del resto, a norma del comma 1 dell’art. 648, la sentenza di non luogo a procedere dovrebbe divenire “irrevocabile”, una volta decorsi i termini di impugnazione o esperiti tutti i mezzi di impugnazione (così come prevede il comma 2 del medesimo art. 648) [vedi infra]; ma ciò contrasterebbe con la “revocabilità” ex artt. 434 e ss.

Si avrebbe così l’assurdo giuridico e la contraddizione in termini di una sentenza “irrevocabile”, ma “revocabile”.

Sotto il secondo aspetto, ipotizzare, invece, la “revocabilità” della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, pur dopo il decorso dei termini di impugnazione o l’esperimento dei mezzi di impugnazione previsti dalla legge, porterebbe a scompensi processuali di altra natura, tra i quali la mancanza di certezza del diritto che, automaticamente, si riverbererebbe in mancanza di certezza dell’esecuzione (si pensi, ad esempio, all’esecuzione di una confisca, normalmente associata alla pronuncia della sentenza di patteggiamento definitiva, che, secondo l’ipotesi prospettata, potrebbe essere posta nel nulla in qualsiasi momento, a seguito di “revoca” della sentenza immaginata come “revocabile”).

Come soluzione teorica del problema si potrebbe forse pensare all’esistenza di un rapporto di alternatività tra “impugnabilità” e “revocabilità” del provvedimento giurisdizionale, così che, quando il provvedimento è “impugnabile” non è “revocabile” e viceversa. In questo caso, sarebbe quindi risolta la questione dell’”irrevocabilità” della sentenza di patteggiamento – “irrevocabile” in quanto “impugnabile” e della “revocabilità” della sentenza di non luogo a procedere – “revocabile” in virtù dell’espressa ed eccezionale previsione normativa dell’art. 434. Ma anche un simile modello di spiegazione, entrerebbe in crisi, tenendo presente che, in effetti, l’ordinamento processuale prevede anche la situazione della “convivenza” di “impugnabilità” e “revocabilità”, così come avviene, ad esempio, per le ordinanze pronunciate nel corso del dibattimento che sono sempre “revocabili”, ma anche “impugnabili” ex art. 586.

In ogni caso la questione è molto complessa e certamente di non facile ed immediata soluzione.

Insomma, il disposto del comma 1 dell’art. 648, letto in chiave sistematica, non appare un modello di certezza normativa.

Alle considerate ambiguità “processuali” si aggiungono ambiguità di tipo “sostanziale”.

Infatti, il significato proprio del termine di “irrevocabilità”, di qualifica di una tipologia di provvedimenti, viene dilatato sino a comprendere il contenuto del provvedimento stesso, denotandone l’immutabilità del decisum.

E così, l’indicazione di provvedimento “irrevocabile” finisce per individuare anche l’immutabilità della decisione che nel provvedimento è contenuta e con il quale è stata adottata .

La “traslazione” semantica della nozione di “irrevocabilità”, opera dunque come passaggio dal piano puramente processuale, dove è rigorosamente collocata, a quello sostanziale, dove invece viene in considerazione l’aspetto ulteriore degli effetti del provvedimento nel suo complesso, considerato cioè, sia rispetto al dispositivo, sia rispetto all’accertamento contenuto in sede di motivazione.

In questo senso, l’”irrevocabilità” diviene presupposto del “giudicato”, concetto, come si vedrà nel prosieguo [sub artt. 649-650], ancora più sfuggente e problematico.

Va tuttavia segnalato che, anche sotto questo aspetto, il tessuto normativo non consente una ricostruzione chiara ed univoca, avallando, anzi prospettive interpretative di “superamento” del concetto o della formula del “giudicato”, non identificato e non identificabile nella semplice “irrevocabilità”.

Rimandando al prosieguo della trattazione il discorso sul tema della “resistenza” del giudicato rispetto a successivi sviluppi procedimentali [vedi infra, sub art. 649], occorre a questo punto precisare che gli artt. 669 e 673, prevedono, espressamente, in situazioni certamente eccezionali (nel primo caso la pluralità di sentenze nei confronti della stessa persona per lo stesso fatto, nel secondo caso, l’abolizione del reato per il quale è stata pronunciata la sentenza di condanna o di proscioglimento per estinzione del reato o mancanza di condizione di procedibilità), ma pur sempre significative da un punto di vista sistematico, la “revoca” della sentenza “irrevocabile”, emessa a conclusione del processo di cognizione.

Dunque, un’espressa e irrisolvibile “contraddizione in termini” che rende priva di solidi e certi “ancoraggi” concettuali la nozione di “irrevocabilità” che finisce per risultare evanescente e sfuggente.

Ma, del resto, come si dirà, della stessa labilità semantica risulta affetta la nozione di “giudicato” collegata e giuridicamente connessa all’”irrevocabilità”.

II Irrevocabilità e inoppugnabilità.

Il comma 2 dell’art. 648 prevede la regola di formazione dell’irrevocabilità in funzione dell’esperibilità dei mezzi di impugnazione: se l’impugnazione è ammessa, l’irrevocabilità si realizza o quando sono scaduti i termini per proporla o quando sono esauriti, successivamente al ricorso per cassazione, i mezzi di impugnazione disponibili. La medesima regola è ripetuta per il decreto penale di condanna: scadenza del termine per proporre l’opposizione o l’impugnazione avverso l’ordinanza che dichiara inammissibile la proposta opposizione [CIANI in LATTANZI-LUPO, Rassegna c.p.p. 2; CORDERO; 1123; DALIA-FERRAIOLI, MDPP7; 810; IOVINO, sub art. 648, in Comm Giarda-Spangher, 5636; LOZZI7; 758; NORMANDO, Il valore e gli effetti del giudicato penale, in SPANGHER, Trattato, VI, 15; TONINI12; 891].

Queste regole sono in realtà ridondanti, essendo già contenute logicamente (implicate) nel disposto del comma 1, laddove, come detto, stabilisce che l’irrevocabilità si perfeziona in relazione alle sentenze “contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione”: l’inosservanza dei termini di impugnazione e l’inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione, costituiscono infatti regole generali e già previste di inammissibilità delle impugnazioni ordinarie (diverse quindi dalla “revisione” ex art. 630 ss. e dal ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625 bis) che, a rigore, non richiedevano una riedizione nel comma 2 dell’art. 648.

Interessante notare che il “decorso” del termine per impugnare la sentenza o per proporre l’opposizione al decreto penale di condanna (o l’impugnazione avverso l’ordinanza che dichiara inammissibile l’opposizione), non deve essere inteso in senso meramente “temporale”, ma, piuttosto, “giuridico”, nel senso che il termine per impugnare (o per proporre l’opposizione a decreto penale) può iniziare a decorrere “giuridicamente” e quindi “validamente”, soltanto a partire dal momento nel quale si è verificata la conoscenza legale (e quindi valida) del provvedimento da impugnare (o del decreto penale da opporre) e quindi da quando siano avvenute correttamente le comunicazioni e le notificazioni alle parti che hanno diritto all’impugnazione (o all’opposizione).

In assenza di una valida (in quanto conforme alle previsioni di legge) comunicazione o notificazione del provvedimento, non si potrà mai ritenere decorso il termine per impugnare (o per opporre) con la conseguente mancata formazione dell’”irrevocabilità”.

E’ questo il tema giurisprudenzialmente importante del “giudicato apparente” e dell’impugnazione tardiva [SAMMARCO, Il controllo del giudice dell’esecuzione sul titolo, in SPANGHER, Trattato, VI, 163; comunque, vedi infra, sub art. 670].

Bibliografia:

(1) CAPRIOLI, L’archiviazione, Napoli 1994; (2) GIOSTRA, L’archiviaizone. Lineamenti sistematici e questioni interpretative, Torino 1994; (3) LOZZI, Una sentenza sorprendente in tema di patteggiamento allargato, RDPP 2004 668; (4) SAMMARCO, La richiesta di archiviazione, Milano 1993; (5) SCALFATI, Patteggiamento e revisione: tra recupero del giudizio e attriti del sistema, in Peroni, Patteggiamento allargato e giustizia penale, Torino 2004 ,55

Sammarco Angelo Alessandro

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