Interdittive antimafia e controllo giudiziario: questioni problematiche nel rapporto tra istituti

Mario Torchia 10/09/24
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Con la pronuncia n. 7/2023 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha risolto un contrasto giurisprudenziale in merito al rapporto tra il giudizio amministrativo, avente ad oggetto l’interdittiva antimafia, e il controllo giudiziario, chiarendo come gli stessi siano autonomi e seguano sorti distinte. Tale orientamento ha trovato piena conferma in una recente pronuncia del Consiglio di Stato nella quale è stato evidenziato come un’interpretazione contraria comporterebbe un ridimensionamento della misura del controllo giudiziario (Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515).
Nel presente contributo verranno ripercorsi sinteticamente, previa breve disamina degli istituti, i principali orientamenti proliferatisi, nel tempo, sul territorio nazionale prima della pronuncia del Supremo Consesso che sembra aver chiarito, almeno per ora, una questione assai dibattuta.

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Indice

1. Interdittive antimafia e controllo giudiziario

L’istituto dell’ interdittiva antimafia è stato definito dal Consiglio di Stato come misura avente natura cautelare, con funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione (Cons. St., sez. V, n. 8558, 6 ottobre 2022).
Trattasi di una misura, per come disposto dall’art. 84 comma 3 del d.lgs. n. 159/2011, irrogata nei confronti delle aziende qualora sussistano, in capo alle stesse, eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi.
Fondata su una valutazione discrezionale dell’autorità prefettizia, la stessa viene adottata sulla base di un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico.
In particolare, la valutazione del Prefetto non dovrà raggiungere il livello di certezza tipico dell’accertamento della responsabilità penale quanto, piuttosto, fondarsi su una prognosi verosimile, caratterizzata da indizi gravi, precisi e concordanti (Cons. St., sez. III, n. 758, 30 gennaio 2019).
Obiettivo, dunque, è evitare che aziende all’interno delle quali sussistano tentativi di infiltrazione mafiosa, seppur eventuali, possano interagire con la Pubblica Amministrazione.
Per come sopra esposto, risulta evidente come l’istituto de qua ricalchi le forme di una fattispecie normativa a struttura aperta, sulla quale tanto l’autorità prefettizia in sede di rilascio, quanto il giudice amministrativo in fase di impugnativa, dovranno esaminare taluni elementi sintomatici dell’influenza mafiosa.
Il controllo giudiziario è disciplinato dall’art. 34-bis del codice antimafia. Trattasi di una misura disposta dal Tribunale, anche d’ufficio, qualora risulti il carattere occasionale dell’agevolazione prevista dal comma 1 dell’art. 34 del codice antimafia e sussistano circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare l’attività dell’impresa.
Siamo di fronte, dunque, al grado più basso dell’infiltrazione mafiosa, la cui eventuale stabilità comporterebbe l’applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria.
La riforma del 2017 ha introdotto un’ importante novità in materia: il controllo giudiziario c.d. volontario al comma 6 del medesimo articolo.
Si tratta, invero, della possibilità, in capo all’azienda, di richiedere l’ammissione alla suddetta misura di bonifica al ricorrere dei seguenti presupposti: l’adozione, da parte dell’Autorità prefettizia, di un’interdittiva antimafia nonché l’impugnazione della stessa innanzi al Giudice amministrativo.
Il giudice, inoltre, dovrà effettuare un giudizio prognostico circa la possibilità, per il complesso aziendale, di riallinearsi al contesto economico sano.
L’ammissione dell’ente al controllo giudiziario volontario, inteso come strumento finalizzato al recupero del complesso aziendale e alla sua bonifica, comporterà, in favore dell’azienda, la sospensione degli effetti del provvedimento interdittivo nel perdurare della misura ex art. 34-bis comma 6 del codice antimafia.

2. Le sorti del giudizio amministrativo a seguito dell’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario

Un problema assai discusso nel rapporto tra i due istituti è quello relativo alle sorti del giudizio amministrativo, avente ad oggetto la presupposta interdittiva antimafia, a seguito dell’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario.
La questione, invero, è stata affrontata, da ultimo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato a seguito del proliferarsi, tra i diversi T.A.R. regionali, di diversi filoni interpretativi.
Pare opportuno, prima di analizzare le conclusioni cui è pervenuto il Supremo Consesso, soffermarsi sugli iter argomentativi dei principali filoni sviluppatisi nel tempo.
Un primo filone, riconducibile alla III sezione del Consiglio di Stato, sosteneva la tesi del rinvio della trattazione dell’udienza di discussione, avente ad oggetto l’annullamento dell’interdittiva, qualora la stessa fosse stata già fissata. Rinvio, questo, da fissarsi a data successiva alla cessazione della misura del controllo giudiziario (ex multis Cons. Stato, sez. III, ord. nn. 7521, 6392 e 5282 del 2021).
La ratio sottesa alle suddette argomentazioni deve essere individuata nella natura della misura di controllo giudiziario, rinvenibile nella bonifica del complesso aziendale. Secondo il Consiglio di Stato, in particolare, il buon esito del percorso bonificante comporterebbe un aggiornamento dell’informativa prefettizia. Di talché, il rinvio dell’udienza di discussione risulterebbe necessario affinché il periodo di assoggettamento dell’impresa al controllo giudiziario non venga inficiato da un’eventuale pronuncia, in sede di giudizio amministrativo, avente carattere negativo.
Secondo filone interpretativo è quello della sospensione del giudizio amministrativo. Anche in questo caso la ratio delle argomentazioni addotte è da individuare nella finalità della misura del controllo giudiziario: la bonifica del complesso aziendale. La III sezione del Consiglio di Stato, a tal riguardo, ha evidenziato come la sospensione del giudizio amministrativo si renda necessaria in quanto un’eventuale conferma del provvedimento interdittivo in sede di giudizio vanificherebbe il percorso di bonifica intrapreso dall’impresa con l’ammissione al controllo giudiziario, oltre a far venire meno la sospensione degli effetti dell’interdittiva stessa (per ulteriori approfondimenti sulla tesi della sospensione del giudizio amministrativo cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, ord. nn. 8005, 2019; 4719 del 2018).
Sebbene la suddetta tesi contrasti con alcuni principi costituzionali, la stessa pare essere, per come espresso dallo stesso Consiglio di Stato, l’unica via interpretativa conforme e in armonia con la ratio sottesa agli istituti in questione, in particolare con l’istituto ex art. 34-bis comma 6 del d.lgs. n. 159/2011.
Ciò in quanto una pronuncia del giudice amministrativo che non tenga conto di un eventuale aggiornamento dell’informativa operato dal Prefetto, a seguito di conclusione del periodo di assoggettamento dell’impresa a controllo giudiziario, renderebbe del tutto sterile il percorso di bonifica intrapreso dalla stessa.
Per tali ragioni, al fine di rendere armonico il rapporto tra gli istituti, il giudice amministrativo dovrà propendere per la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. poiché sarà l’aggiornamento dell’informativa operato dal Prefetto a definire la vicenda.
Una terza tesi è quella portata avanti dal T.A.R. di Reggio Calabria (ex multis T.A.R. Reggio Calabria, nn. 21 e 350 del 2019 e 560 del 2020). Il T.A.R. calabrese ha sostenuto, in più pronunce, la necessità che il giudice amministrativo definisca nel merito il ricorso avente ad oggetto l’interdittiva. Le considerazioni del T.A.R. muovono da un assunto: la strumentalità del controllo giudiziario rispetto all’interdittiva antimafia. A sostegno delle predette argomentazioni viene ripresa un’importante pronuncia della Suprema Corte di Cassazione in materia di controllo. Gli ermellini, a tal riguardo, evidenziano come la finalità del controllo giudiziario sarebbe connessa “alla pendenza di un ricorso avverso l’interdittiva non ancora deciso dal giudice” (cfr. Cass. Pen., n. 16105, 12 aprile 2019).
Infine, di particolare interesse, per la portata innovativa della pronuncia, è la tesi portata avanti dal T.A.R. Catania con sentenza n. 1219 del 1° maggio 2022.
Il T.A.R. siciliano, con una sentenza le cui conclusioni appaiono abbastanza particolari per le argomentazioni addotte, ha ritenuto di definire il conflitto in questione propendendo per l’improcedibilità del ricorso amministrativo. Le conclusioni del T.A.R. muovono da alcune considerazioni.
Preliminarmente, viene evidenziato dal tribunale amministrativo come l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario comporti, ex se, la sopravvenuta inefficacia dell’interdittiva antimafia.
In seconda battuta, la conclusione del periodo di assoggettamento dell’impresa a controllo giudiziario comporterebbe un necessario obbligo di aggiornamento, in capo al prefetto, della presupposta interdittiva. Un aggiornamento, questo, che non potrà prescindere dal prendere in considerazione il periodo di assoggettamento dell’impresa alla misura di bonifica ex art. 34-bis comma 6 del codice antimafia. Le riflessioni formulate dal T.A.R. Catania appaiono molto coraggiose in quanto muovono da una considerazione abbastanza particolare: l’impresa, nel richiedere l’ammissione al controllo giudiziario, riconosce essa stessa la contaminazione mafiosa. In tal senso, il giudice penale dovrà valutare non già la sussistenza della contaminazione mafiosa (presupposta con l’adozione dell’interdittiva) quanto, piuttosto, la mera occasionalità. Dunque, conclude il tribunale, se all’esito del periodo di assoggettamento a controllo giudiziario il Prefetto dovesse propendere per un aggiornamento con esito negativo, l’impresa interessata potrà proporre un nuovo ricorso. Diversamente, l’Organizzazione verrà riammessa nel mercato.
Tali orientamenti sono stati del tutto sconfessati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con pronuncia n. 7/2023.
La pronuncia de qua, in particolare, preme sconfessare il principale orientamento proliferatosi, ovvero quello perseguito dalla III sezione del Consiglio di Stato con la sospensione del giudizio amministrativo.
Tale posizione muove da una serie di considerazioni.
Preliminarmente, viene evidenziato come la tesi relativa alla sospensione del giudizio amministrativo non abbia base testuale e non sia imposta da ragioni di ordine sistematico. Ciò in base alla ratio sottesa agli istituti in gioco.
Con riferimento all’interdittiva, la stessa appare come strumento statico, con lo sguardo rivolto al passato.
Per quanto concerne, invece, la misura del controllo giudiziario, la stessa si connota per essere una misura dinamica, caratterizzata da una prognosi genetica circa la bonificabilità del complesso aziendale.
La tesi della III sezione del Consiglio di Stato, i cui presupposti giuridici, invero, apparivano discutibili nella stessa definizione dei principi fondanti le argomentazioni addotte, appare dunque, secondo l’Adunanza Plenaria, in evidente contrasto con il presupposto di pregiudizialità-dipendenza ex art. 295 c.p.c..
Peraltro, la tesi della sospensione del giudizio amministrativo sarebbe, secondo il Supremo Consesso, discutibile anche alla luce del d.l. n. 152/2021 con il quale il legislatore, nell’introdurre la misura di prevenzione collaborativa, si è premurato di definire, esplicitamente, il rapporto tra la novella misura e l’affine istituto del controllo giudiziario. Diversamente, nessun intervento si è ritenuto necessario per regolare il rapporto tra l’istituto dell’interdittiva e quello del controllo ex art. 34 bis comma 6 del codice antimafia.
Pertanto, conclude il Supremo Consesso, il controllo giudiziario e il giudizio amministrativo di impugnazione della presupposta interdittiva sono autonomi e seguono sorti distinte.
Tale pronuncia dell’Adunanza Plenaria ha trovato piena conferma in una recente sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato nella quale, nel richiamare il precedente espresso dal Supremo Consesso, è stato evidenziato come la definizione del giudizio amministrativo, con eventuale reiezione dell’impugnativa spiegata avverso il provvedimento prefettizio, non comporterebbe il venir meno dell’effetto sospensivo discendente dall’ammissione (e, dunque, dalla pendenza) della procedura ex art. 34 bis del codice antimafia.
Un’interpretazione difforme comporterebbe un ridimensionamento, in peius, della misura del controllo giudiziario, la cui dimensione dinamica e la cui finalità conservativo-recuperatoria costituiscono l’essenza stessa dell’istituto (Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515).
La pronuncia de qua, a tal riguardo, evidenzia come la sospensione ex lege degli effetti dell’interdittiva sia ad tempus e, comunque, legata alla pendenza del controllo giudiziario. Di talché, gli effetti riprenderanno vigore una volta chiusa la procedura di bonifica, fermo restando il dovere prefettizio di aggiornamento dell’informativa. Aggiornamento che, a ben vedere, non potrà prescindere dall’esito del controllo giudiziario e dal contraddittorio secondo i canoni di collaborazione e buona fede ex art. 1, comma 2-bis della l. n. 241/1990.

3. Conclusioni

Il rapporto tra gli istituti presi in esame appare assai delicato. La posizione assunta dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 7/2023 risulta, ictu oculi, quella più conforme al dettato normativo, sebbene faccia un’ interpretazione troppo stringente dello stesso. È evidente, infatti, come la materia in questione, in assenza di rigidità da parte del legislatore, necessiti di un approccio più elastico o, in alternativa, di un necessario intervento da parte di quest’ultimo. L’assenza di chiarezza nella normativa ha comportato, difatti, il proliferarsi di diversi filoni interpretativi, creando un’evidente disomogeneità sul territorio nazionale in una materia, quale quella della prevenzione antimafia, particolarmente delicata.

Mario Torchia

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