Infortunio sul lavoro del dipendente: garanzia del datore di lavoro e delegazione dei poteri a dirigenti.

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Per l’ennesima volta la S.C. viene chiamata a pronunziarsi in ordine al delicato tema dei rapporti fra posizione di garanzia del datore di lavoro e delegazione dei poteri a dirigenti, nella concreta ipotesi di verificazione di un infortunio sul lavoro che coinvolga un dipendente.
La posizione che emerge dalla sentenza n° 6277 dell’8 Febbraio 2008 appare di stretta osservanza del dpr 547 del 1955 (che regola, seppure in coordinamento con successive normative, la materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro) dal quale viene sussunto il principio generale in base al quale sussiste concorso di responsabilità fra il datore di lavoro e dirigente che venga designato – ai sensi dell’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo 19/9/1994, n. 626 – quale responsabile del servizio prevenzione e protezione, per l’osservanza dei compiti previsti dal successivo art. 9.
A tale indirizzo si può derogare solamente, nel caso in cui il titolare dell’impresa, contestualmente alla nomina nel suddetto ruolo dirigenziale, (che risulta, peraltro, figura sprovvista di ampi ed autonomi poteri di spesa ed organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, considerati, quindi, del tutto indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro) operi, in favore di costui, il trasferimento di tutti i compiti di natura tecnica.
Per vero, va detto che tale delega opera in maniera esonerativa e salvifica solo a vantaggio dell’imprenditore, il quale, in ossequio alle logiche produttive, che sottendano una necessaria e doverosa ripartizione dei compiti di controllo e direzione – nel contesto di complessi ed articolati  contesti societari -, abbia prevista il conferimento e l’attribuzione di compiti di indirizzo, promozione e verifica di specifici settori aziendali, connotati da profili di elevato tecnicismo.
Stando, infatti, alla ratio che sottende la struttura dell’art. 4 del dpr 547 del 1955, i dirigenti od i preposti di un’azienda, quali collaboratori dell’imprenditore risultano, al pari di quest’ultimo, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc.
Si tratta di un’impostazione che, da sempre, intende e mira a coinvolgere il più ampio numero di soggetti in un contesto di responsabilità oggettiva, di natura penale, rafforzando, quindi, il vincolo di solidarietà passiva nei confronti della parte offesa, in ipotesi di verificazione di evento lesivo concretante reato.
Devono, dunque, venire riconosciute e conferite le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni; solo quest’ultima forma di delegazione potrà, pertanto, giustificare il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro.
Appare, pertanto, rilevante e decisivo, onde elidere e fare venire meno una posizione soggettiva di originaria e concorsuale responsabilità, che si può delineare nell’ambito dell’attribuzione degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza concernenti l’attività lavorativa (situazione che indubbiamente rafforza sia il profilo strettamente penale, che quello risarcitorio) la scelta del datore di lavoro (o del legale rappresentante della società) di conferire ad un dirigente un espresso potere decisionale autonomo, che si concretizzi con una forma destinata ad probationem tantum, cioè idonea a fare fede nei rapporti extramoenia.
L’aspetto formale, quindi, acquisisce notevole importanza, se è vero che il dictum della Corte di legittimità, impone che si possa identificare con assoluta chiarezza la circostanza che il delegato opera effettivamente in nome e per conto del delegante nei rapporti con terzi, i quali devono essere posti in grado di venire, così, a conoscenza della situazione di fatto e di diritto creatasi, quindi, dell’assunzione di quello specifico incarico nel settore antinfortunistico, in assenza del quale diversamente opererebbe in capo al datore di lavoro il principio della responsabilità oggettiva.
Ma alla forma si deve abbinare necessariamente la sostanza, se è vero che, oltre alla percepibilità ab estrinseco della delegazione di poteri, la giurisprudenza richiede, onde esonerare il legale rappresentante da attribuzione di colpe in caso di illecito penale, alcuni requisiti che si possono sintetizzare secondo la pronunzia della Sez. IV della Corte di Cassazione, (19-04-2005, n. 23729, ******* e altri Guida al Diritto, 2005, 37, 88) :
1.    nell’effettiva attribuzione al delegato dei poteri di decisione e di intervento, anche di spesa, necessari per esercitare le mansioni delegate;
2.    nell’idoneità tecnico-professionale del delegato;
3.    nella prova dell’accettazione della delega;
4.    nell’assenza di concreta ingerenza del delegante nelle mansioni delegate, fermo restando l’obbligo del delegante di vigilare e controllare che il delegato usi concretamente la delega in ossequio alla normativa vigente.
E’ quello sopra richiamato principio, che ulteriormente esplicita ed approfondisce la posizione assunta dalla medesima Sez. IV, con la decisione 12-01-2005, n. 12230, *****, [in Guida al Diritto, 2005, 20, 71, Ambiente e sicur., 2005, 21, 34 nota di *******], la quale ebbe a sancire che “…gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro. Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive”.
I caratteri appena elencati appaiono indefettibili e decisivi sul piano ermeneutico, proprio perché, usualmente, nella dinamica aziendale, considerata sul piano generale, il dirigente svolge un attività di condivisione dei compiti, degli incarichi, dei pesi dell’imprenditore e non già di sostituzione dello stesso.
Particolarmente importante è, poi, la circostanza che la Corte ponga un significativo accento sulla esatta identificazione della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, previsto dal combinato disposto dagli artt. 4 e 9 del d.l.vo 626 del 1994.
Quest’ultima norma, in particolare, descrive, delinea e circoscrive i compiti che vengono ascritti alla figura in oggetto e, tra essi, rientra l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare.
Se, dunque, questo è il contesto nel quale si viene a collocare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non è revocabile in dubbio la convinzione che egli risulti null’altro che un soggetto che può essere definito come parzialmente estraneo all’organizzazione aziendale, ma soprattutto (ed è ciò che maggiormente rileva ai fini che ci interessano) privo di quei reali poteri dei poteri di decisione e di intervento, anche di spesa, necessari per esercitare le mansioni delegate (indicati al precedente n. 1).
Egli, dunque, appare equiparabile ad un consulente che, però, si trova in un rapporto di dipendenza rispetto al datore di lavoro, il quale giuridicamente rimane nella originaria posizione di garanzia, sancita ex lege-
Questa figura organizzativa è, quindi, sfornita di poteri ed obblighi valutativi finali ed elaborativi in relazione al documento di sintesi che contiene le misure di prevenzione e protezione, le quali rimangono ad esclusivo appannaggio del datore di lavoro, il quale, ai sensi dell’art. 89 d.l.vo 626/94, è, infatti, sanzionabile per l’ipotesi di non avere valutato correttamente i rischi connessi con l’attività lavorativa intrapresa.
Seguendo lo schema venutosi a concretare secondo l’evoluzione dell’originario orientamento interpretativo del dpr 547 del 1955, la peculiarità che emergerebbe, peraltro in linea puramente teorica, in capo alla figura giuridica monitorata dalla Corte, sarebbe quella di un’assoluta irresponsabilità sul piano penalistico e, comunque, sotto il profilo della possibile assunzione di una qualsiasi forma di responsabilità.
Il datore di lavoro rimarrebbe, in buona sostanza – in ipotesi di infortunio con lesioni o morte del dipendente – l’obbligato principale ed addirittura l’unico, in assenza di altra persona che sia stata validamente munita di delega, mentre il responsabile del servizio di prevenzione e protezione verrebbe ad essere figura “…..che non si trova in posizione di garanzia e non risponde delle proprie negligenze, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro….”.
       La Sez. III della Corte di legittimità, con la sentenza del 19-04-2005, n. 29229 (rv. 232307) ******** ed altri CED Cassazione, 2005, ha, infatti, confermato il principio generale, affermando che:“In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia dell’amministratore delegato di una società, in quanto datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l’inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di spesa”.
La figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è, però, rimasto ruolo concettuale immutato ed immutabile.
In forza dell’art. 8 bis del d.l.vo n. 195 del 2003, è intervenuta, infatti, una particolare modifica, che, a cascata, ha inciso sulla vigente interpretazione giurisprudenziale, riducendo il campo di irresponsabilità in cui tale ruolo versava ed ampliando, contestualmente, lo spettro dei soggetti sui quali può gravare la responsabilità in tema di infortuni.
Ferma, quindi, la posizione di garanzia del datore di lavoro, il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione può, “…ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione…”.
Si tratta di una forma di responsabilità specificamente eventuale, non autonoma, e quindi, per relationem.
Essa si può ricavare a percorrendo a ritroso, la catena di collegamento – partendo dal datore di lavoro – posto che la fonte di tale posizione di concorso penalmente rilevante, si ricava dalla dimostrazione della violazione dell’obbligo di comunicare la sussistenza di profili di pericolosità.
Si tratterebbe, quindi, di una condotta omissiva impropria, dunque un comportamento commissivo, mediante omissione, che si può porre come elemento concorrente e, dunque, etiologicamente efficiente alla causazione dell’evento letifero.
La Corte, però, nel caso in esame, va ben oltre, questa visione.
I giudici di legittimità partono, infatti, dal presupposto desumibile dalla modifica che il d.l.vo 19 Marzo 1996 n. 242 ha operato rispetto all’art. 4/5°[1] del dpr 626 del 1994, il quale, ab origine, operava una distinzione tra gli obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti.
La novella del 1996 ha inciso, infatti, abolendo la distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, legittimando una visione ermeneutica, la quale intende individuare nel datore di lavoro l’unica figura destinataria di tutti i precetti indirizzati al vertice gestionale dell’azienda o dell’ente.
I Supremi giudici, nella sentenza che si commenta, rompono, infatti, con quell’indirizzo dottrinale, il quale aveva concluso che l’innovazione legislativa, così introdotta, starebbe a certificare l’adesione del legislatore del 1996 alla teoria dell’assoluta interdipendenza e connessione della posizione di garanzia rispetto la qualifica di datore di lavoro.
Da tale situazione di naturalistica inscindibilità, deriverebbe, quindi, la evidente conseguenza che, senza una valida delega di funzioni, non può sorgere nessuna responsabilità né del dirigente, né del preposto, perché su costoro non graverebbe iure proprio alcun obbligo di prevenzione.
La Corte, invece, si riallaccia a quelle posizioni che hanno privilegiato l’idea che la novella legislativa abbia semplicemente ripristinato la vecchia e sperimentata equiparazione – sul piano della responsabilità – dei dirigenti e dei preposti all’imprenditore, essendo queste tutte figure titolari iure proprio di doveri di rispetto ed ottemperanza dei precetti antinfortunistici, a prescindere dall’emissione di una delega ad hoc.
La ragioni di questa preferenza del giudice di legittimità possono essere sintetizzate :
A)   in un dato prettamente lessicale, posto che i giudici della Corte rinvengono un carattere di identità terminologica fra il d.l.vo 242/96 ed il dpr 547 del 1955,
B)    in un ulteriore fattore filologico è che sarebbe desumibile dalla intestazione della rubrica dell’art. 4 che recita "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto".
Si tratta di ragioni inidonee ad apparire anche solo in parte convincenti.
Va detto, infatti, che lo stesso tenore dell’art. 4[2] d.l.vo 626/94 (nella lettura offerta dalla modifica operata dal d.l.vo 242/96) dimostra che il legislatore, con siffatta norma, ha dato corso ad un elenco di obblighi riferibili unicamente al datore di lavoro e per nulla estensibili ad altre figure aziendali.
Parimenti inconcludente risulta l’osservazione secondo la quale debba essere considerata decisiva la circostanza che l’art. 89 del d.l.vo 626/94 [concernente le sanzioni per le contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti] preveda, nel comma 2, che anche il dirigente, oltre che il datore di lavoro, possa essere punito per la violazione dell’art. 4, comma 5, lett. b), d), e), h), 1), n), q) e ciò, nonostante che il dirigente non sia nominato nell’art. 4, fatta propria dalla Suprema Corte, in sentenza.
Va, infatti, sottolineato come il giudice di legittimità ometta di considerare che proprio la richiamata modifica intervenuta con il d.l.vo 242/96 vanifica in radice il presunto valore dell’argomento richiamato, posto che l’art. 89 è divenuta, in progresso di tempo, norma contenente profili sanzionatori riguardanti fattispecie non più operative (quali quella originaria dell’art. 4 co. 5° non più rivolto ai dirigenti ed ai preposti) e, quindi, svuotata di pregnanza.
Si deve, inoltre, rilevare che, sempre in relazione al richiamo operato nei confronti del citato art. 89, il ragionamento della Corte soffre, poi, di un utilizzo ermeneutico estensivo assolutamente improprio della norma in parola, la quale governava (nella sua vigenza più estesa) una serie di situazioni di natura puramente e formalmente contravvenzionale, del tutto differenti per struttura e relazione rispetto agli artt. 589 o 590 c.p. (omicidio colposo o lesioni colpose).
Ed anche volendo per pura ipotesi seguire l’opinione del Supremo Collegio non si comprende come la previsione normativa richiamata coprendo profili operativi specifici, potesse fungere da baluardo all’efficacia di un atto di delegazione fiduciaria di compiti determinati da parte dell’imprenditore ai propri dirigenti.
Quella addotta dalla Corte di Cassazione appare, dunque, in sintesi, e complessivamente, argomentazione inidonea a vanificare il principio della cd. delegazione.
In realtà, ad abundantiam, si deve notare che la posizione del Supremo collegio, (per implicita ammissione della stessa in sentenza) è certamente particolarmente attenta a rinvenire fattori di rafforzamento delle forme di tutela repressiva delle norme in materia antinfortunistica[3] ed a valorizzare gli stessi a fini di una nuova elaborazione interpretativa.
Si tratta, quindi, di una scelta che si caratterizza più per connotazioni politiche, che giuridiche, e, quindi, per tutta la serie delle ragioni esposte non è per nulla condivisibile.
E’ ben vero che esiste un’emergenza sicurezza nell’ambito del lavoro, ma è altrettanto vero che, come purtroppo, avvenuto in altri settori del diritto, il giudice non si può fare carico di eventuali lacune e carenze legislative, ponendo in essere nuovi contingenti equilibri giurisprudenziali, che possono, talora, prescindere da una corretta esegesi della norma vigente.
Si deve, quindi, che soluzione preferibile, siccome meglio aderente alla realtà quotidiana, debba essere quella di riconoscere la ormai consolidata giurisprudenza che ammette, seppure con limiti significativamente rigorosi, la possibilità di esonero da responsabilità del datore.
Vanno ricordate in proposito le posizioni della Sez. IV, che ha sancito con la decisione 19-06-2006, n. 38425 (rv. 235184) CED Cassazione, 2006, come“….gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro. Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive” e successivamente, in data 7-02-2007, n. 12800 (rv. 236196) CED Cassazione, 2007 ha sostenuto che “In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può essere esonerato dalla responsabilità penale se dimostri di aver delegato ad altri i relativi compiti con atto certo ed inequivoco che, quantunque non necessariamente scritto, deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa”.
 
Rimini, lì 24 Marzo 2008
 
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 6 dicembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6277
(Presidente ******** – Relatore ******)
Osserva
O. A. e *****, imputati, il primo nella qualità di legale rappresentante della ditta X. s.p.a ed il secondo in quella di direttore ed addetto alla sicurezza sul lavoro, del delitto di lesioni colpose gravi avvenute in data 26/7/2002 in danno dell’operaio-dipendente O. W., mentre costui, effettuando con l’aiuto di un collega lo spostamento manuale di una porta di peso elevato e perdendo la presa, veniva colpito alla gamba destra, sono stati, con sentenza del 23/5/2006, assolti dal Tribunale di Bolzano, in composizione monocratica, con la formula per non aver commesso il fatto.
Il giudice di merito ha ritenuto in sentenza provata la materialità del fatto, in quanto la movimentazione manuale di un carico ingombrante e pesante, quale quello rappresentato, nel caso di specie, dalla porta, costituiva omessa osservanza della contestata disposizione antinfortunistica di cui all’art. 48 del D.L.vo 626/1994; tuttavia, ha asserito che tale violazione sarebbe ascrivibile non agli imputati nelle rispettive qualità, bensì a tale F. R., il quale, all’epoca del fatto, era stato designato dal datore di lavoro responsabile del servizio di prevenzione e protezione per lo stabilimento di F. in cui è avvenuto l’infortunio.
Avverso tale sentenza ha, ai sensi dell’art. 569, comma 1, c.p.p., proposto ricorso per cassazione per saltum, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano deducendo a sostegno violazione di legge, per avere il giudice di merito, interpretando erroneamente le disposizioni di cui agli artt. 4 ed 8 del D.L.vo 626/1994, ritenuto che fosse sufficiente a giustificare l’esenzione da responsabilità degli imputati, il solo fatto che il datore di lavoro avesse designato un responsabile del servizio di prevenzione degli infortuni per lo stabilimento di F., nella persona di F. R..
Il ricorso è meritevole di accoglimento.
Fermo restando la prova, perché ritenuta dal primo giudice pacificamente acquisita, sulla materialità del fatto e sul rapporto di causalità tra violazione della specifica disposizione antinfortunistica ed evento, la doglianza del ricorrente sulla questione della attribuzione della condotta colposa coglie, infatti, nel segno.
Nella fattispecie, il primo giudice, ha, escluso tout court la responsabilità penale del datore di lavoro e del dirigente addetto alla sicurezza del lavoro, avendo incentrato prevalentemente la sua attenzione sulla deduzione difensiva, con la quale era stata prospettata la possibilità di configurare nel caso in esame l’esenzione da responsabilità del datore di lavoro in forza della designazione di un responsabile del servizio di prevenzione, fatta per lo stabilimento di F. dal datore di lavoro, nella persona del F..
In tal modo procedendo, il giudice di merito ha finito per accogliere quella deduzione difensiva, mostrando di non aver tenuto in considerazione, come avrebbe dovuto, il principio giuridico secondo cui, tra i destinatari iure proprio delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dal D.P.R. n. 547/1955, sono compresi, tra gli altri, il datore di lavoro ed il dirigente e che quest’ultimo non si sostituisce, di regola, alle mansioni dell’imprenditore, del quale condivide, secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza del lavoro: a meno che, da parte del titolare dell’impresa, sia avvenuta, non soltanto la nomina nel suddetto ruolo (di Dirigente) di persona qualificata e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti di natura tecnica, con le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro.
Quella deduzione difensiva ha accolto, non considerando, altresì, che il documento prodotto dalla difesa non poteva svolgere la funzione di delega utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi, invece, di designazione – ai sensi dell’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo 19/9/1994, n. 626 – del F. quale responsabile del servizio prevenzione e protezione, per l’osservanza dei compiti previsti dal successivo art. 9, figura sprovvista, come è stato accertato, di quei ampi ed autonomi poteri di spesa ed organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, ritenuti indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro.
Va considerato, scendendo al particolare, che, ai sensi del disposto di cui all’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo n. 626 del 1994, il datore di lavoro designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e che i compiti di detto responsabile sono dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 e, tra essi, rientra l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare.
Nel fare ciò, il responsabile del servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l’obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo a lui in base all’art. 4, commi 1, 2 e 6 del citato D.L.vo, tanto è vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a carico del responsabile del servizio, mentre, all’art. 89 punisce il datore di lavoro per non avere valutato correttamente i rischi.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo delle eventuali negligenze del primo è chiamato comunque a rispondere.
Orbene, secondo lo schema originario del decreto, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è figura che non si trova in posizione di garanzia e non risponde delle proprie negligenze, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro.
Senonché tale schema originario ha subito nel tempo una evoluzione, che ha indotto il legislatore ad introdurre con il D. L.vo n. 195 del 2003 una norma (con l’art 8 bis) che prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica.
La modifica normativa ha comportato in via interpretativa una revisione della suddetta figura, nel senso che il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.
Quanto sopra vale a destituire di giuridico fondamento l’assunto del primo giudice che la designazione da parte dell’O., legale rappresentante di un’organizzazione aziendale complessa e difficilmente controllabile, di un responsabile del servizio di prevenzione nello stabilimento di F., possa, di per sé, rendere esente da responsabilità il datore di lavoro; ma esenzione di tal fatta, in virtù della medesima designazione, non può essere validamente sostenuta nemmeno in favore dell’altro imputato, *****, investito della carica di Dirigente dell’azienda, addetto alla sicurezza del lavoro.
Il tema della dirigenza merita alcune puntualizzazioni in diritto dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 626 del 1994.
Il D.P.R. n. 547 del 1955, all’art. 4 non consentiva riserve sull’essere il dirigente destinatario delle norme antinfortunistiche, disponendo la lett. a) che i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono alle attività indicate all’art 1, devono nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, attuare le misure di sicurezza previste nel presente decreto. Attuazione che, nel caso di attribuzioni e di competenze con autonomia di spesa, non poteva non comprendere anche l’obbligo di adeguare alle specifiche disposizioni antinfortunistiche (art. 48 D.L.vo n. 626 cit.) lo spostamento manuale dei carichi pesanti; attuazione, invece, che, in mancanza di detta autonomia o in presenza di una relativa autonomia, che non consentisse se non determinati, limitati, interventi, imponeva al dirigente di segnalare al datore di lavoro le inadempienze alle norme antinfortunistiche, chiedendone il rispetto o chiedendo le risorse per adempiervi personalmente, salvo, ovviamente, il caso della delega delle funzioni, la quale, facendo del dirigente l’alter ego del datore di lavoro a tutti gli effetti, non avrebbe potuto non prevedere anche un’adeguata autonomia finanziaria.
Il D.P.R. n. 626 del 1994, art. 4 nella formulazione originaria, distingueva tra gli obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, disponendo, nel comma 5, – analogamente a quanto previsto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 – che "il datore di lavoro, il dirigente e il preposto esercitano, dirigono o sovrintendono le attività indicate all’art. 1 nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottando le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori"; disposizione seguita da un nutrito elenco di ipotesi di intervento.
Ma, il successivo D.Lgs. del 19 marzo 1996, n. 242, ha abolito la distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, quasi a voler individuare nel datore di lavoro l’unico destinatario di tutti i precetti indirizzati al vertice gestionale dell’azienda o dell’ente.
Infatti, nell’enunciazione specifica del contenuto dei precetti da osservare, è stato eliminato ogni riferimento al dirigente, riportando, invece, sotto l’art. 1, comma 4 bis, la disposizione generale, secondo cui il datore di lavoro che esercita le attività soggette alla normativa prevenzionale e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovrintendono le stesse attività, sono tenuti al rispetto di tutte le regole dettate dalla disciplina prevenzionale, quasi a voler evidenziare, con questa diversa collocazione della norma, il suo precipuo carattere di criterio di massima, destinato essenzialmente a riconoscere e ad autorizzare la piena delegabilità della stragrande maggioranza degli obblighi prevenzionali, eccezione fatta per quel ristretto nucleo di compiti prioritari espressamente indicati nel medesimo art. 1, comma 4 ter.
La dottrina – preso atto della eliminazione, dall’art. 4, della distinzione contenuta nel comma 5 e del trasferimento di quest’ultima disposizione, nella prima sua parte, nell’art. 1, comma 4 bis – si è chiesta quale sia il significato di tale variazione in apparenza solo topografica: si è chiesta, cioè, se tale variazione sia mera questione di tecnica legislativa, senza conseguenze sostanziali, ovvero sia un cambiamento di impostazione con notevoli riflessi sul piano sia teorico che pratico.
Se, in sostanza, l’innovazione stia a significare l’adesione del legislatore del 1996 alla teoria dell’ontologica inscindibilità della posizione di garanzia dalla qualifica di datore di lavoro, con la conseguenza di ritenere che, senza una valida delega di funzioni, non possa sorgere nessuna responsabilità né del dirigente, né del preposto, perché su di loro non graverebbe iure proprio alcun obbligo prevenzionale" o se l’innovazione stia, invece, a significare che la modifica operata sul punto abbia semplicemente ripristinato la vecchia e sperimentata formula contenuta nel D.P.R. n. 547 del 1955 – art. 4 – e anche nel D.P.R. n. 303 del 1956, secondo cui i collaboratori del datore di lavoro sono, al pari di quest’ultimo, da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati come dirigenti o preposti e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc.
La scelta tra le due tesi, ad avviso di questo Collegio, non può che cadere sulla seconda di esse. Sembra, invero, potersi affermare, innanzitutto, che è la stessa formulazione della norma – negli stessi, pressoché identici, termini usati dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 – che consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega.
E ciò anche alla luce della storia dell’applicazione delle norme antinfortunistiche, successiva all’entrata in vigore del D.P.R. n. 547 del 1955, storia che insegna che la ragionevole articolazione del potere di intervento iure proprio e, quindi, l’attribuzione di questo potere ai dirigenti e ai preposti, quotidianamente presenti nel luogo di lavoro e, pertanto, a costante contatto dei lavoratori, non può, di norma, che rendere più immediata e, quindi, più incisiva ed efficace la tutela antinfortunistica.
In secondo luogo, è la stessa intestazione della rubrica dell’art. 4 ("Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto") che può far ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista una investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza, anche se il contenuto dell’art. 4, dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 242 del 1996, elenca obblighi riferibili unicamente al datore di lavoro, non dovendo, peraltro, trascurarsi che, se è vero che l’art. 4 parla sempre e soltanto del datore di lavoro, è pur vero che l’art. 89, dedicato alle sanzioni per le contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti, prevede, nel comma 2, che anche il dirigente, oltre che il datore di lavoro, possa essere punito per la violazione dell’art. 4, comma 5, lett. b), d), e), h), 1), n), q) e ciò, nonostante che il dirigente non sia nominato nell’art. 4.
Ed è sufficiente, peraltro, scorrere il contenuto di queste disposizioni per cogliere che il dirigente è investito di dettagliate responsabilità in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Consegue da tutto ciò che anche il L., dirigente della ******** con compiti attinenti anche alla sicurezza sul lavoro, doveva ritenersi destinatario delle norme antinfortunistiche iure proprio, sicché egli aveva l’obbligo di vigilare e provvedere alla eliminazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei manufatti ingombranti e pesanti o, quanto meno, anche a mezzo di informazione diretta del problema al datore di lavoro, interessarsi perché altri provvedesse, specialmente nel momento in cui ne è venuto a conoscenza, alla eliminazione di quei rischi per la salute dei lavoratori.
Il giudice di rinvio, individuato ex art. 569, comma 4, c.p.p., nella Corte di Appello di Trento, procederà a nuovo esame, tenendo conto dei principi giuridici sopra affermati.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Trento.
 
 


[1]"il datore di lavoro, il dirigente e il preposto esercitano, dirigono o sovrintendono le attività indicate all’art. 1 nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottando le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori";
[2] "ART. 4 (OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO, DEL DIRIGENTE E DEL PREPOSTO). – 1. IL DATORE DI LAVORO, IN RELAZIONE ALLA NATURA DELL’ATTIVITÀ DELL’AZIENDA OVVERO DELL’UNITÀ PRODUTTIVA, VALUTA, NELLA SCELTA DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO E DELLE SOSTANZE O DEI PREPARATI CHIMICI IMPIEGATI, NONCHÉ NELLA SISTEMAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO, I RISCH i LA SICUREZZA E PER LA SALUTE DEI LAVORATORI, IVI COMPRESI QUELLI RIGUARDANTI GRUPPI DI LAVORATORI ESPOSTI A RISCHI PARTICOLARI.
2. ALL’ESITO DELLA VALUTAZIONE DI CUI AL COMMA 1, IL DATORE DI LAVORO ELABORA UN DOCUMENTO CONTENENTE:
A) UNA RELAZIONE SULLA VALUTAZIONE DEI RISCHI PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DURANTE IL LAVORO, NELLA QUALE SONO SPECIFICATI I CRITERI ADOTTATI PER LA VALUTAZIONE STESSA;
B) L’INDIVIDUAZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE E DI PROTEZIONE E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE, CONSEGUENTE ALLA VALUTAZIONE DI CUI ALLA LETTERA A);
C) IL PROGRAMMA DELLE MISURE RITENUTE OPPORTUNE PER GARANTIRE IL MIGLIORAMENTO NEL TEMPO DEI LIVELLI DI SICUREZZA.
3. IL DOCUMENTO È CUSTODITO PRESSO L’AZIENDA OVVERO L’UNITÀ PRODUTTIVA.
4. IL DATORE DI LAVORO:
A) DESIGNA IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE INTERNO O ESTERNO ALL’AZIENDA SECONDO LE REGOLE DI CUI ALL’ART. 8;
B) DESIGNA GLI ADDETTI AL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE INTERNO O ESTERNO ALL’AZIENDA SECONDO LE REGOLE DI CUI ALL’ART. 8;
C) NOMINA, NEI CASI PREVISTI DALL’ART. 16, IL MEDICO COMPETENTE.
5. IL DATORE DI LAVORO ADOTTA LE MISURE NECESSARIE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DEI LAVORATORI, E IN PARTICOLARE:
A) DESIGNA PREVENTIVAMENTE I LAVORATORI INCARICATI DELL’ATTUAZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE INCENDI E LOTTA ANTINCENDIO, DI EVACUAZIONE DEI LAVORATORI IN CASO DI PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO, DI SALVATAGGIO, DI PRONTO SOCCORSO E, COMUNQUE, DI GESTIONE DELL’EMERGENZA;

B) AGGIORNA LE MISURE DI PREVENZIONE IN RELAZIONE AI MUTAMENTI ORGANIZZATIVI E PRODUTTIVI CHE HANNO RILEVANZA AI FINI DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEL LAVORO, OVVERO IN RELAZIONE AL GRADO DI EVOLUZIONE DELLA TECNICA DELLA PREVENZIONE E DELLA PROTEZIONE;
C) NELL’AFFIDARE I COMPITI AI LAVORATORI TIENE CONTO DELLE CAPACITÀ E DELLE CONDIZIONI DEGLI STESSI IN RAPPORTO ALLA LORO SALUTE E ALLA SICUREZZA;
D) FORNISCE AI LAVORATORI I NECESSARI E IDONEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE, SENTITO IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE;
E) PRENDE LE MISURE APPROPRIATE AFFINCHÉ SOLTANTO I LAVORATORI CHE HANNO RICEVUTO ADEGUATE ISTRUZIONI ACCEDANO ALLE ZONE CHE LI ESPONGONO AD UN RISCHIO GRAVE E SPECIFICO;
F) RICHIEDE L’OSSERVANZA DA PARTE DEI SINGOLI LAVORATORI DELLE NORME VIGENTI, NONCHÉ DELLE DISPOSIZIONI AZIENDALI IN MATERIA DI SICUREZZA E DI IGIENE DEL LAVORO E DI USO DEI MEZZI DI PROTEZIONE COLLETTIVI E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI MESSI A LORO DISPOSIZIONE;
G) RICHIEDE L’OSSERVANZA DA PARTE DEL MEDICO COMPETENTE DEGLI OBBLIGHI PREVISTI DAL PRESENTE DECRETO, INFORMANDOLO SUI PROCESSI E SUI RISCHI CONNESSI ALL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA;
H) ADOTTA LE MISURE PER IL CONTROLLO DELLE SITUAZIONI DI RISCHIO IN CASO DI EMERGENZA E DÀ ISTRUZIONI AFFINCHÉ I LAVORATORI, IN CASO DI PERICOLO GRAVE, IMMEDIATO ED INEVITABILE, ABBANDONINO IL POSTO DI LAVORO O LA ZONA PERICOLOSA;
I) INFORMA IL PIÙ PRESTO POSSIBILE I LAVORATORI ESPOSTI AL RISCHIO DI UN PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO CIRCA IL RISCHIO STESSO E LE DISPOSIZIONI PRESE O DA PRENDERE IN MATERIA DI PROTEZIONE;
L) SI ASTIENE, SALVO ECCEZIONI DEBITAMENTE MOTIVATE, DAL RICHIEDERE AI LAVORATORI DI RIPRENDERE LA LORO ATTIVITÀ IN UNA SITUAZIONE DI LAVORO IN CUI PERSISTE UN PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO;
M) PERMETTE AI LAVORATORI DI VERIFICARE, MEDIANTE IL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA, L’APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA E DI PROTEZIONE DELLA SALUTE E CONSENTE AL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA DI ACCEDERE ALLE INFORMAZIONI ED ALLA DOCUMENTAZIONE AZIENDALE DI CUI ALL’ART. 19, COMMA 1, LETTERA E);
N) PRENDE APPROPRIATI PROVVEDIMENTI PER EVITARE CHE LE MISURE TECNICHE ADOTTATE POSSANO CAUSARE RISCHI PER LA SALUTE DELLA POPOLAZIONE O DETERIORARE L’AMBIENTE ESTERNO;
O) TIENE UN REGISTRO NEL QUALE SONO ANNOTATI CRONOLOGICAMENTE GLI INFORTUNI SUL LAVORO CHE COMPORTANO UN’ASSENZA DAL LAVORO DI ALMENO UN GIORNO. NEL REGISTRO SONO ANNOTATI IL NOME, IL COGNOME, LA QUALIFICA PROFESSIONALE DELL’INFORTUNATO, LE CAUSE E LE CIRCOSTANZE DELL’INFORTUNIO, NONCHÉ LA DATA DI ABBANDONO E DI RIPRESA DEL LAVORO. IL REGISTRO È REDATTO CONFORMEMENTE AL MODELLO APPROVATO CON DECRETO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, SENTITA LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE, DI CUI ALL’ART. 393 DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 APRILE 1955, N. 547, E SUCCESSIVE MODIFICHE, ED È CONSERVATO SUL LUOGO DI LAVORO, A DISPOSIZIONE DELL’ORGANO DI VIGILANZA. FINO ALL’EMANAZIONE DI TALE DECRETO IL REGISTRO È REDATTO IN CONFORMITÀ AI MODELLI GIÀ DISCIPLINATI DALLE LEGGI VIGENTI;
P) CONSULTA IL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA NEI CASI PREVISTI DALL’ART. 19, COMMA 1, LETTERE B), C) E D);
Q) ADOTTA LE MISURE NECESSARIE AI FINI DELLA PREVENZIONE INCENDI E DELL’EVACUAZIONE DEI LAVORATORI, NONCHÉ PER IL CASO DI PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO. TALI MISURE DEVONO ESSERE ADEGUATE ALLA NATURA DELL’ATTIVITÀ, ALLE DIMENSIONI DELL’AZIENDA, OVVERO DELL’UNITÀ PRODUTTIVA, E AL NUMERO DELLE PERSONE PRESENTI.
6. IL DATORE DI LAVORO EFFETTUA LA VALUTAZIONE DI CUI AL COMMA 1 ED ELABORA IL DOCUMENTO DI CUI AL COMMA 2 IN COLLABORAZIONE CON IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE E CON IL MEDICO COMPETENTE NEI CASI IN CUI SIA OBBLIGATORIA LA SORVEGLIANZA SANITARIA, PREVIA CONSULTAZIONE DEL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA.
7. LA VALUTAZIONE DI CUI AL COMMA 1 E IL DOCUMENTO DI CUI AL COMMA 2 SONO RIELABORATI IN OCCASIONE DI MODIFICHE DEL PROCESSO PRODUTTIVO SIGNIFICATIVE AI FINI DELLA SICUREZZA E DELLA SALUTE DEI LAVORATORI.
8. IL DATORE DI LAVORO CUSTODISCE, PRESSO L’AZIENDA OVVERO L’UNITÀ PRODUTTIVA, LA CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO DEL LAVORATORE SOTTOPOSTO A SORVEGLIANZA SANITARIA, CON SALVAGUARDIA DEL SEGRETO PROFESSIONALE, E NE CONSEGNA COPIA AL LAVORATORE STESSO AL MOMENTO DELLA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO, OVVERO QUANDO LO STESSO NE FA RICHIESTA.
9. PER LE PICCOLE E MEDIE AZIENDE, CON UNO O PIÙ DECRETI DA EMANARSI ENTRO IL 31 MARZO 1996 DA PARTE DEI MINISTRI DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATOE DELLA SANITÀ, SENTITA LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE PER LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI E PER L’IGIENE DEL LAVORO, IN RELAZIONE ALLA NATURA DEI RISCHI E ALLE DIMENSIONI DELL’AZIENDA, SONO DEFINITE PROCEDURE STANDARDIZZATE PER GLI ADEMPIMENTI DOCUMENTALI DI CUI AL PRESENTE ARTICOLO. TALI DISPOSIZIONI NON SI APPLICANO ALLE ATTIVITÀ INDUSTRIALI DI CUI ALL’ART. 1 DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 17 MAGGIO 1988, N. 175, E SUCCESSIVE MODIFICHE, SOGGETTE ALL’OBBLIGO DI DICHIARAZIONE O NOTIFICA AI SENSI DEGLI ARTICOLI 4 E 6 DEL DECRETO STESSO, ALLE CENTRALI, TERMOELETTRICHE, AGLI IMPIANTI E LABORATORI NUCLEARI, ALLE AZIENDE ESTRATTIVE ED ALTRE ATTIVITÀ MINERARIE, ALLE AZIENDE PER LA FABBRICAZIONE E IL DEPOSITO SEPARATO DI ESPLOSIVI, POLVERI E MUNIZIONI, E ALLE STRUTTURE DI RICOVERO E CURA SIA PUBBLICHE SIA PRIVATE.
10. PER LE MEDESIME AZIENDE DI CUI AL COMMA 9, PRIMO PERIODO, CON UNO O PIÙ DECRETI DEI MINISTRI DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATO E DELLA SANITÀ, SENTITA LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE PER LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI E PER L’IGIENE DEL LAVORO, POSSONO ESSERE ALTRESÌ DEFINITI:
A) I CASI RELATIVI A IPOTESI DI SCARSA PERICOLOSITÀ, NEI QUALI È POSSIBILE LO SVOLGIMENTO DIRETTO DEI COMPITI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE IN AZIENDE OVVERO UNITÀ PRODUTTIVE CHE IMPIEGANO UN NUMERO DI ADDETTI SUPERIORE A QUELLO INDICATO NELL’ALLEGATO I;
B) I CASI IN CUI È POSSIBILE LA RIDUZIONE A UNA SOLA VOLTA ALL’ANNO DELLA VISITA DI CUI ALL’ART. 17, LETTERA H), DEGLI AMBIENTI DI LAVORO DA PARTE DEL MEDICO COMPETENTE, FERMA RESTANDO L’OBBLIGATORIETÀ DI VISITE ULTERIORI, ALLORCHÈ SI MODIFICANO LE SITUAZIONI DI RISCHIO.
11. FATTA ECCEZIONE PER LE AZIENDE INDICATE NELLA NOTA (1) DELL’ALLEGATO I, IL DATORE DI LAVORO DELLE AZIENDE FAMILIARI, NONCHÉ DELLE AZIENDE CHE OCCUPANO FINO A DIECI ADDETTI NON È SOGGETTO AGLI OBBLIGHI DI CUI AI COMMI 2 E 3, MA È TENUTO COMUNQUE AD AUTOCERTIFICARE PER ISCRITTO L’AVVENUTA EFFETTUAZIONE DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI E L’ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI AD ESSA COLLEGATI. L’AUTOCERTIFICAZIONE DEVE ESSERE INVIATA AL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA. SONO IN OGNI CASO SOGGETTE AGLI OBBLIGHI DI CUI AI COMMI 2 E 3 LE AZIENDE FAMILIARI NONCHÉ LE AZIENDE CHE OCCUPANO FINO A DIECI ADDETTI, SOGGETTE A PARTICOLARI FATTORI DI RISCHIO, INDIVIDUATE NELL’AMBITO DI SPECIFICI SETTORI PRODUTTIVI CON UNO O PIÙ DECRETI DEL MINISTRO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DI CONCERTO CON I MINISTRI DELLA SANITÀ, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATO, DELLE RISORSE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI E DELL’INTERNO, PER QUANTO DI RISPETTIVA COMPETENZA.
12. GLI OBBLIGHI RELATIVI AGLI INTERVENTI STRUTTURALI E DI MANUTENZIONE NECESSARI PER ASSICURARE, AI SENSI DEL PRESENTE DECRETO, LA SICUREZZA DEI LOCALI E DEGLI EDIFICI ASSEGNATI IN USO A PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI O A PUBBLICI UFFICI, IVI COMPRESE LE ISTITUZIONI SCOLASTICHE ED EDUCATIVE, RESTANO A CARICO DELL’AMMINISTRAZIONE TENUTA, PER EFFETTO DI NORME O CONVENZIONI, ALLA LORO FORNITURA E MANUTENZIONE. IN TAL CASO GLI OBBLIGHI PREVISTI DAL PRESENTE DECRETO, RELATIVAMENTE AI PREDETTI INTERVENTI, SI INTENDONO ASSOLTI, DA PARTE DEI DIRIGENTI O FUNZIONARI PREPOSTI AGLI UFFICI INTERESSATI, CON LA RICHIESTA DEL LORO ADEMPIMENTO ALL’AMMINISTRAZIONE COMPETENTE O AL SOGGETTO CHE NE HA L’OBBLIGO GIURIDICO.."
 
[3] Recita, infatti, la sentenza in commento “….E ciò anche alla luce della storia dell’applicazione delle norme antinfortunistiche, successiva all’entrata in vigore del D.P.R. n. 547 del 1955, storia che insegna che la ragionevole articolazione del potere di intervento iure proprio e, quindi, l’attribuzione di questo potere ai dirigenti e ai preposti, quotidianamente presenti nel luogo di lavoro e, pertanto, a costante contatto dei lavoratori, non può, di norma, che rendere più immediata e, quindi, più incisiva ed efficace la tutela antinfortunistica…”
 
Per l’ennesima volta la S.C. viene chiamata a pronunziarsi in ordine al delicato tema dei rapporti fra posizione di garanzia del datore di lavoro e delegazione dei poteri a dirigenti, nella concreta ipotesi di verificazione di un infortunio sul lavoro che coinvolga un dipendente.
La posizione che emerge dalla sentenza n° 6277 dell’8 Febbraio 2008 appare di stretta osservanza del dpr 547 del 1955 (che regola, seppure in coordinamento con successive normative, la materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro) dal quale viene sussunto il principio generale in base al quale sussiste concorso di responsabilità fra il datore di lavoro e dirigente che venga designato – ai sensi dell’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo 19/9/1994, n. 626 – quale responsabile del servizio prevenzione e protezione, per l’osservanza dei compiti previsti dal successivo art. 9.
A tale indirizzo si può derogare solamente, nel caso in cui il titolare dell’impresa, contestualmente alla nomina nel suddetto ruolo dirigenziale, (che risulta, peraltro, figura sprovvista di ampi ed autonomi poteri di spesa ed organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, considerati, quindi, del tutto indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro) operi, in favore di costui, il trasferimento di tutti i compiti di natura tecnica.
Per vero, va detto che tale delega opera in maniera esonerativa e salvifica solo a vantaggio dell’imprenditore, il quale, in ossequio alle logiche produttive, che sottendano una necessaria e doverosa ripartizione dei compiti di controllo e direzione – nel contesto di complessi ed articolati  contesti societari -, abbia prevista il conferimento e l’attribuzione di compiti di indirizzo, promozione e verifica di specifici settori aziendali, connotati da profili di elevato tecnicismo.
Stando, infatti, alla ratio che sottende la struttura dell’art. 4 del dpr 547 del 1955, i dirigenti od i preposti di un’azienda, quali collaboratori dell’imprenditore risultano, al pari di quest’ultimo, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc.
Si tratta di un’impostazione che, da sempre, intende e mira a coinvolgere il più ampio numero di soggetti in un contesto di responsabilità oggettiva, di natura penale, rafforzando, quindi, il vincolo di solidarietà passiva nei confronti della parte offesa, in ipotesi di verificazione di evento lesivo concretante reato.
Devono, dunque, venire riconosciute e conferite le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni; solo quest’ultima forma di delegazione potrà, pertanto, giustificare il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro.
Appare, pertanto, rilevante e decisivo, onde elidere e fare venire meno una posizione soggettiva di originaria e concorsuale responsabilità, che si può delineare nell’ambito dell’attribuzione degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza concernenti l’attività lavorativa (situazione che indubbiamente rafforza sia il profilo strettamente penale, che quello risarcitorio) la scelta del datore di lavoro (o del legale rappresentante della società) di conferire ad un dirigente un espresso potere decisionale autonomo, che si concretizzi con una forma destinata ad probationem tantum, cioè idonea a fare fede nei rapporti extramoenia.
L’aspetto formale, quindi, acquisisce notevole importanza, se è vero che il dictum della Corte di legittimità, impone che si possa identificare con assoluta chiarezza la circostanza che il delegato opera effettivamente in nome e per conto del delegante nei rapporti con terzi, i quali devono essere posti in grado di venire, così, a conoscenza della situazione di fatto e di diritto creatasi, quindi, dell’assunzione di quello specifico incarico nel settore antinfortunistico, in assenza del quale diversamente opererebbe in capo al datore di lavoro il principio della responsabilità oggettiva.
Ma alla forma si deve abbinare necessariamente la sostanza, se è vero che, oltre alla percepibilità ab estrinseco della delegazione di poteri, la giurisprudenza richiede, onde esonerare il legale rappresentante da attribuzione di colpe in caso di illecito penale, alcuni requisiti che si possono sintetizzare secondo la pronunzia della Sez. IV della Corte di Cassazione, (19-04-2005, n. 23729, ******* e altri Guida al Diritto, 2005, 37, 88) :
1.    nell’effettiva attribuzione al delegato dei poteri di decisione e di intervento, anche di spesa, necessari per esercitare le mansioni delegate;
2.    nell’idoneità tecnico-professionale del delegato;
3.    nella prova dell’accettazione della delega;
4.    nell’assenza di concreta ingerenza del delegante nelle mansioni delegate, fermo restando l’obbligo del delegante di vigilare e controllare che il delegato usi concretamente la delega in ossequio alla normativa vigente.
E’ quello sopra richiamato principio, che ulteriormente esplicita ed approfondisce la posizione assunta dalla medesima Sez. IV, con la decisione 12-01-2005, n. 12230, *****, [in Guida al Diritto, 2005, 20, 71, Ambiente e sicur., 2005, 21, 34 nota di *******], la quale ebbe a sancire che “…gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro. Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive”.
I caratteri appena elencati appaiono indefettibili e decisivi sul piano ermeneutico, proprio perché, usualmente, nella dinamica aziendale, considerata sul piano generale, il dirigente svolge un attività di condivisione dei compiti, degli incarichi, dei pesi dell’imprenditore e non già di sostituzione dello stesso.
Particolarmente importante è, poi, la circostanza che la Corte ponga un significativo accento sulla esatta identificazione della figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, previsto dal combinato disposto dagli artt. 4 e 9 del d.l.vo 626 del 1994.
Quest’ultima norma, in particolare, descrive, delinea e circoscrive i compiti che vengono ascritti alla figura in oggetto e, tra essi, rientra l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare.
Se, dunque, questo è il contesto nel quale si viene a collocare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non è revocabile in dubbio la convinzione che egli risulti null’altro che un soggetto che può essere definito come parzialmente estraneo all’organizzazione aziendale, ma soprattutto (ed è ciò che maggiormente rileva ai fini che ci interessano) privo di quei reali poteri dei poteri di decisione e di intervento, anche di spesa, necessari per esercitare le mansioni delegate (indicati al precedente n. 1).
Egli, dunque, appare equiparabile ad un consulente che, però, si trova in un rapporto di dipendenza rispetto al datore di lavoro, il quale giuridicamente rimane nella originaria posizione di garanzia, sancita ex lege-
Questa figura organizzativa è, quindi, sfornita di poteri ed obblighi valutativi finali ed elaborativi in relazione al documento di sintesi che contiene le misure di prevenzione e protezione, le quali rimangono ad esclusivo appannaggio del datore di lavoro, il quale, ai sensi dell’art. 89 d.l.vo 626/94, è, infatti, sanzionabile per l’ipotesi di non avere valutato correttamente i rischi connessi con l’attività lavorativa intrapresa.
Seguendo lo schema venutosi a concretare secondo l’evoluzione dell’originario orientamento interpretativo del dpr 547 del 1955, la peculiarità che emergerebbe, peraltro in linea puramente teorica, in capo alla figura giuridica monitorata dalla Corte, sarebbe quella di un’assoluta irresponsabilità sul piano penalistico e, comunque, sotto il profilo della possibile assunzione di una qualsiasi forma di responsabilità.
Il datore di lavoro rimarrebbe, in buona sostanza – in ipotesi di infortunio con lesioni o morte del dipendente – l’obbligato principale ed addirittura l’unico, in assenza di altra persona che sia stata validamente munita di delega, mentre il responsabile del servizio di prevenzione e protezione verrebbe ad essere figura “…..che non si trova in posizione di garanzia e non risponde delle proprie negligenze, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro….”.
       La Sez. III della Corte di legittimità, con la sentenza del 19-04-2005, n. 29229 (rv. 232307) ******** ed altri CED Cassazione, 2005, ha, infatti, confermato il principio generale, affermando che:“In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia dell’amministratore delegato di una società, in quanto datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l’inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di spesa”.
La figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è, però, rimasto ruolo concettuale immutato ed immutabile.
In forza dell’art. 8 bis del d.l.vo n. 195 del 2003, è intervenuta, infatti, una particolare modifica, che, a cascata, ha inciso sulla vigente interpretazione giurisprudenziale, riducendo il campo di irresponsabilità in cui tale ruolo versava ed ampliando, contestualmente, lo spettro dei soggetti sui quali può gravare la responsabilità in tema di infortuni.
Ferma, quindi, la posizione di garanzia del datore di lavoro, il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione può, “…ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione…”.
Si tratta di una forma di responsabilità specificamente eventuale, non autonoma, e quindi, per relationem.
Essa si può ricavare a percorrendo a ritroso, la catena di collegamento – partendo dal datore di lavoro – posto che la fonte di tale posizione di concorso penalmente rilevante, si ricava dalla dimostrazione della violazione dell’obbligo di comunicare la sussistenza di profili di pericolosità.
Si tratterebbe, quindi, di una condotta omissiva impropria, dunque un comportamento commissivo, mediante omissione, che si può porre come elemento concorrente e, dunque, etiologicamente efficiente alla causazione dell’evento letifero.
La Corte, però, nel caso in esame, va ben oltre, questa visione.
I giudici di legittimità partono, infatti, dal presupposto desumibile dalla modifica che il d.l.vo 19 Marzo 1996 n. 242 ha operato rispetto all’art. 4/5°[1] del dpr 626 del 1994, il quale, ab origine, operava una distinzione tra gli obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti.
La novella del 1996 ha inciso, infatti, abolendo la distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, legittimando una visione ermeneutica, la quale intende individuare nel datore di lavoro l’unica figura destinataria di tutti i precetti indirizzati al vertice gestionale dell’azienda o dell’ente.
I Supremi giudici, nella sentenza che si commenta, rompono, infatti, con quell’indirizzo dottrinale, il quale aveva concluso che l’innovazione legislativa, così introdotta, starebbe a certificare l’adesione del legislatore del 1996 alla teoria dell’assoluta interdipendenza e connessione della posizione di garanzia rispetto la qualifica di datore di lavoro.
Da tale situazione di naturalistica inscindibilità, deriverebbe, quindi, la evidente conseguenza che, senza una valida delega di funzioni, non può sorgere nessuna responsabilità né del dirigente, né del preposto, perché su costoro non graverebbe iure proprio alcun obbligo di prevenzione.
La Corte, invece, si riallaccia a quelle posizioni che hanno privilegiato l’idea che la novella legislativa abbia semplicemente ripristinato la vecchia e sperimentata equiparazione – sul piano della responsabilità – dei dirigenti e dei preposti all’imprenditore, essendo queste tutte figure titolari iure proprio di doveri di rispetto ed ottemperanza dei precetti antinfortunistici, a prescindere dall’emissione di una delega ad hoc.
La ragioni di questa preferenza del giudice di legittimità possono essere sintetizzate :
A)   in un dato prettamente lessicale, posto che i giudici della Corte rinvengono un carattere di identità terminologica fra il d.l.vo 242/96 ed il dpr 547 del 1955,
B)    in un ulteriore fattore filologico è che sarebbe desumibile dalla intestazione della rubrica dell’art. 4 che recita "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto".
Si tratta di ragioni inidonee ad apparire anche solo in parte convincenti.
Va detto, infatti, che lo stesso tenore dell’art. 4[2] d.l.vo 626/94 (nella lettura offerta dalla modifica operata dal d.l.vo 242/96) dimostra che il legislatore, con siffatta norma, ha dato corso ad un elenco di obblighi riferibili unicamente al datore di lavoro e per nulla estensibili ad altre figure aziendali.
Parimenti inconcludente risulta l’osservazione secondo la quale debba essere considerata decisiva la circostanza che l’art. 89 del d.l.vo 626/94 [concernente le sanzioni per le contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti] preveda, nel comma 2, che anche il dirigente, oltre che il datore di lavoro, possa essere punito per la violazione dell’art. 4, comma 5, lett. b), d), e), h), 1), n), q) e ciò, nonostante che il dirigente non sia nominato nell’art. 4, fatta propria dalla Suprema Corte, in sentenza.
Va, infatti, sottolineato come il giudice di legittimità ometta di considerare che proprio la richiamata modifica intervenuta con il d.l.vo 242/96 vanifica in radice il presunto valore dell’argomento richiamato, posto che l’art. 89 è divenuta, in progresso di tempo, norma contenente profili sanzionatori riguardanti fattispecie non più operative (quali quella originaria dell’art. 4 co. 5° non più rivolto ai dirigenti ed ai preposti) e, quindi, svuotata di pregnanza.
Si deve, inoltre, rilevare che, sempre in relazione al richiamo operato nei confronti del citato art. 89, il ragionamento della Corte soffre, poi, di un utilizzo ermeneutico estensivo assolutamente improprio della norma in parola, la quale governava (nella sua vigenza più estesa) una serie di situazioni di natura puramente e formalmente contravvenzionale, del tutto differenti per struttura e relazione rispetto agli artt. 589 o 590 c.p. (omicidio colposo o lesioni colpose).
Ed anche volendo per pura ipotesi seguire l’opinione del Supremo Collegio non si comprende come la previsione normativa richiamata coprendo profili operativi specifici, potesse fungere da baluardo all’efficacia di un atto di delegazione fiduciaria di compiti determinati da parte dell’imprenditore ai propri dirigenti.
Quella addotta dalla Corte di Cassazione appare, dunque, in sintesi, e complessivamente, argomentazione inidonea a vanificare il principio della cd. delegazione.
In realtà, ad abundantiam, si deve notare che la posizione del Supremo collegio, (per implicita ammissione della stessa in sentenza) è certamente particolarmente attenta a rinvenire fattori di rafforzamento delle forme di tutela repressiva delle norme in materia antinfortunistica[3] ed a valorizzare gli stessi a fini di una nuova elaborazione interpretativa.
Si tratta, quindi, di una scelta che si caratterizza più per connotazioni politiche, che giuridiche, e, quindi, per tutta la serie delle ragioni esposte non è per nulla condivisibile.
E’ ben vero che esiste un’emergenza sicurezza nell’ambito del lavoro, ma è altrettanto vero che, come purtroppo, avvenuto in altri settori del diritto, il giudice non si può fare carico di eventuali lacune e carenze legislative, ponendo in essere nuovi contingenti equilibri giurisprudenziali, che possono, talora, prescindere da una corretta esegesi della norma vigente.
Si deve, quindi, che soluzione preferibile, siccome meglio aderente alla realtà quotidiana, debba essere quella di riconoscere la ormai consolidata giurisprudenza che ammette, seppure con limiti significativamente rigorosi, la possibilità di esonero da responsabilità del datore.
Vanno ricordate in proposito le posizioni della Sez. IV, che ha sancito con la decisione 19-06-2006, n. 38425 (rv. 235184) CED Cassazione, 2006, come“….gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro. Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive” e successivamente, in data 7-02-2007, n. 12800 (rv. 236196) CED Cassazione, 2007 ha sostenuto che “In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può essere esonerato dalla responsabilità penale se dimostri di aver delegato ad altri i relativi compiti con atto certo ed inequivoco che, quantunque non necessariamente scritto, deve poter essere provato in modo rigoroso quanto al contenuto e alla forma espressa”.
 
Rimini, lì 24 Marzo 2008
 
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 6 dicembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6277
(Presidente ******** – Relatore******i)
Osserva
O. A. e *****, imputati, il primo nella qualità di legale rappresentante della ditta X. s.p.a ed il secondo in quella di direttore ed addetto alla sicurezza sul lavoro, del delitto di lesioni colpose gravi avvenute in data 26/7/2002 in danno dell’operaio-dipendente O. W., mentre costui, effettuando con l’aiuto di un collega lo spostamento manuale di una porta di peso elevato e perdendo la presa, veniva colpito alla gamba destra, sono stati, con sentenza del 23/5/2006, assolti dal Tribunale di Bolzano, in composizione monocratica, con la formula per non aver commesso il fatto.
Il giudice di merito ha ritenuto in sentenza provata la materialità del fatto, in quanto la movimentazione manuale di un carico ingombrante e pesante, quale quello rappresentato, nel caso di specie, dalla porta, costituiva omessa osservanza della contestata disposizione antinfortunistica di cui all’art. 48 del D.L.vo 626/1994; tuttavia, ha asserito che tale violazione sarebbe ascrivibile non agli imputati nelle rispettive qualità, bensì a tale F. R., il quale, all’epoca del fatto, era stato designato dal datore di lavoro responsabile del servizio di prevenzione e protezione per lo stabilimento di F. in cui è avvenuto l’infortunio.
Avverso tale sentenza ha, ai sensi dell’art. 569, comma 1, c.p.p., proposto ricorso per cassazione per saltum, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano deducendo a sostegno violazione di legge, per avere il giudice di merito, interpretando erroneamente le disposizioni di cui agli artt. 4 ed 8 del D.L.vo 626/1994, ritenuto che fosse sufficiente a giustificare l’esenzione da responsabilità degli imputati, il solo fatto che il datore di lavoro avesse designato un responsabile del servizio di prevenzione degli infortuni per lo stabilimento di F., nella persona di F. R..
Il ricorso è meritevole di accoglimento.
Fermo restando la prova, perché ritenuta dal primo giudice pacificamente acquisita, sulla materialità del fatto e sul rapporto di causalità tra violazione della specifica disposizione antinfortunistica ed evento, la doglianza del ricorrente sulla questione della attribuzione della condotta colposa coglie, infatti, nel segno.
Nella fattispecie, il primo giudice, ha, escluso tout court la responsabilità penale del datore di lavoro e del dirigente addetto alla sicurezza del lavoro, avendo incentrato prevalentemente la sua attenzione sulla deduzione difensiva, con la quale era stata prospettata la possibilità di configurare nel caso in esame l’esenzione da responsabilità del datore di lavoro in forza della designazione di un responsabile del servizio di prevenzione, fatta per lo stabilimento di F. dal datore di lavoro, nella persona del F..
In tal modo procedendo, il giudice di merito ha finito per accogliere quella deduzione difensiva, mostrando di non aver tenuto in considerazione, come avrebbe dovuto, il principio giuridico secondo cui, tra i destinatari iure proprio delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dal D.P.R. n. 547/1955, sono compresi, tra gli altri, il datore di lavoro ed il dirigente e che quest’ultimo non si sostituisce, di regola, alle mansioni dell’imprenditore, del quale condivide, secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza del lavoro: a meno che, da parte del titolare dell’impresa, sia avvenuta, non soltanto la nomina nel suddetto ruolo (di Dirigente) di persona qualificata e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti di natura tecnica, con le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro.
Quella deduzione difensiva ha accolto, non considerando, altresì, che il documento prodotto dalla difesa non poteva svolgere la funzione di delega utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi, invece, di designazione – ai sensi dell’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo 19/9/1994, n. 626 – del F. quale responsabile del servizio prevenzione e protezione, per l’osservanza dei compiti previsti dal successivo art. 9, figura sprovvista, come è stato accertato, di quei ampi ed autonomi poteri di spesa ed organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, ritenuti indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro.
Va considerato, scendendo al particolare, che, ai sensi del disposto di cui all’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo n. 626 del 1994, il datore di lavoro designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e che i compiti di detto responsabile sono dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 e, tra essi, rientra l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare.
Nel fare ciò, il responsabile del servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l’obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo a lui in base all’art. 4, commi 1, 2 e 6 del citato D.L.vo, tanto è vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a carico del responsabile del servizio, mentre, all’art. 89 punisce il datore di lavoro per non avere valutato correttamente i rischi.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo delle eventuali negligenze del primo è chiamato comunque a rispondere.
Orbene, secondo lo schema originario del decreto, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è figura che non si trova in posizione di garanzia e non risponde delle proprie negligenze, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro.
Senonché tale schema originario ha subito nel tempo una evoluzione, che ha indotto il legislatore ad introdurre con il D. L.vo n. 195 del 2003 una norma (con l’art 8 bis) che prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica.
La modifica normativa ha comportato in via interpretativa una revisione della suddetta figura, nel senso che il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.
Quanto sopra vale a destituire di giuridico fondamento l’assunto del primo giudice che la designazione da parte dell’O., legale rappresentante di un’organizzazione aziendale complessa e difficilmente controllabile, di un responsabile del servizio di prevenzione nello stabilimento di F., possa, di per sé, rendere esente da responsabilità il datore di lavoro; ma esenzione di tal fatta, in virtù della medesima designazione, non può essere validamente sostenuta nemmeno in favore dell’altro imputato, *****, investito della carica di Dirigente dell’azienda, addetto alla sicurezza del lavoro.
Il tema della dirigenza merita alcune puntualizzazioni in diritto dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 626 del 1994.
Il D.P.R. n. 547 del 1955, all’art. 4 non consentiva riserve sull’essere il dirigente destinatario delle norme antinfortunistiche, disponendo la lett. a) che i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono alle attività indicate all’art 1, devono nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, attuare le misure di sicurezza previste nel presente decreto. Attuazione che, nel caso di attribuzioni e di competenze con autonomia di spesa, non poteva non comprendere anche l’obbligo di adeguare alle specifiche disposizioni antinfortunistiche (art. 48 D.L.vo n. 626 cit.) lo spostamento manuale dei carichi pesanti; attuazione, invece, che, in mancanza di detta autonomia o in presenza di una relativa autonomia, che non consentisse se non determinati, limitati, interventi, imponeva al dirigente di segnalare al datore di lavoro le inadempienze alle norme antinfortunistiche, chiedendone il rispetto o chiedendo le risorse per adempiervi personalmente, salvo, ovviamente, il caso della delega delle funzioni, la quale, facendo del dirigente l’alter ego del datore di lavoro a tutti gli effetti, non avrebbe potuto non prevedere anche un’adeguata autonomia finanziaria.
Il D.P.R. n. 626 del 1994, art. 4 nella formulazione originaria, distingueva tra gli obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, disponendo, nel comma 5, – analogamente a quanto previsto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 – che "il datore di lavoro, il dirigente e il preposto esercitano, dirigono o sovrintendono le attività indicate all’art. 1 nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottando le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori"; disposizione seguita da un nutrito elenco di ipotesi di intervento.
Ma, il successivo D.Lgs. del 19 marzo 1996, n. 242, ha abolito la distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, quasi a voler individuare nel datore di lavoro l’unico destinatario di tutti i precetti indirizzati al vertice gestionale dell’azienda o dell’ente.
Infatti, nell’enunciazione specifica del contenuto dei precetti da osservare, è stato eliminato ogni riferimento al dirigente, riportando, invece, sotto l’art. 1, comma 4 bis, la disposizione generale, secondo cui il datore di lavoro che esercita le attività soggette alla normativa prevenzionale e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovrintendono le stesse attività, sono tenuti al rispetto di tutte le regole dettate dalla disciplina prevenzionale, quasi a voler evidenziare, con questa diversa collocazione della norma, il suo precipuo carattere di criterio di massima, destinato essenzialmente a riconoscere e ad autorizzare la piena delegabilità della stragrande maggioranza degli obblighi prevenzionali, eccezione fatta per quel ristretto nucleo di compiti prioritari espressamente indicati nel medesimo art. 1, comma 4 ter.
La dottrina – preso atto della eliminazione, dall’art. 4, della distinzione contenuta nel comma 5 e del trasferimento di quest’ultima disposizione, nella prima sua parte, nell’art. 1, comma 4 bis – si è chiesta quale sia il significato di tale variazione in apparenza solo topografica: si è chiesta, cioè, se tale variazione sia mera questione di tecnica legislativa, senza conseguenze sostanziali, ovvero sia un cambiamento di impostazione con notevoli riflessi sul piano sia teorico che pratico.
Se, in sostanza, l’innovazione stia a significare l’adesione del legislatore del 1996 alla teoria dell’ontologica inscindibilità della posizione di garanzia dalla qualifica di datore di lavoro, con la conseguenza di ritenere che, senza una valida delega di funzioni, non possa sorgere nessuna responsabilità né del dirigente, né del preposto, perché su di loro non graverebbe iure proprio alcun obbligo prevenzionale" o se l’innovazione stia, invece, a significare che la modifica operata sul punto abbia semplicemente ripristinato la vecchia e sperimentata formula contenuta nel D.P.R. n. 547 del 1955 – art. 4 – e anche nel D.P.R. n. 303 del 1956, secondo cui i collaboratori del datore di lavoro sono, al pari di quest’ultimo, da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati come dirigenti o preposti e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc.
La scelta tra le due tesi, ad avviso di questo Collegio, non può che cadere sulla seconda di esse. Sembra, invero, potersi affermare, innanzitutto, che è la stessa formulazione della norma – negli stessi, pressoché identici, termini usati dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 – che consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega.
E ciò anche alla luce della storia dell’applicazione delle norme antinfortunistiche, successiva all’entrata in vigore del D.P.R. n. 547 del 1955, storia che insegna che la ragionevole articolazione del potere di intervento iure proprio e, quindi, l’attribuzione di questo potere ai dirigenti e ai preposti, quotidianamente presenti nel luogo di lavoro e, pertanto, a costante contatto dei lavoratori, non può, di norma, che rendere più immediata e, quindi, più incisiva ed efficace la tutela antinfortunistica.
In secondo luogo, è la stessa intestazione della rubrica dell’art. 4 ("Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto") che può far ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista una investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza, anche se il contenuto dell’art. 4, dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 242 del 1996, elenca obblighi riferibili unicamente al datore di lavoro, non dovendo, peraltro, trascurarsi che, se è vero che l’art. 4 parla sempre e soltanto del datore di lavoro, è pur vero che l’art. 89, dedicato alle sanzioni per le contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti, prevede, nel comma 2, che anche il dirigente, oltre che il datore di lavoro, possa essere punito per la violazione dell’art. 4, comma 5, lett. b), d), e), h), 1), n), q) e ciò, nonostante che il dirigente non sia nominato nell’art. 4.
Ed è sufficiente, peraltro, scorrere il contenuto di queste disposizioni per cogliere che il dirigente è investito di dettagliate responsabilità in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Consegue da tutto ciò che anche il L., dirigente della ******** con compiti attinenti anche alla sicurezza sul lavoro, doveva ritenersi destinatario delle norme antinfortunistiche iure proprio, sicché egli aveva l’obbligo di vigilare e provvedere alla eliminazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei manufatti ingombranti e pesanti o, quanto meno, anche a mezzo di informazione diretta del problema al datore di lavoro, interessarsi perché altri provvedesse, specialmente nel momento in cui ne è venuto a conoscenza, alla eliminazione di quei rischi per la salute dei lavoratori.
Il giudice di rinvio, individuato ex art. 569, comma 4, c.p.p., nella Corte di Appello di Trento, procederà a nuovo esame, tenendo conto dei principi giuridici sopra affermati.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Trento.
 
 


[1]"il datore di lavoro, il dirigente e il preposto esercitano, dirigono o sovrintendono le attività indicate all’art. 1 nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottando le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori";
[2] "ART. 4 (OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO, DEL DIRIGENTE E DEL PREPOSTO). – 1. IL DATORE DI LAVORO, IN RELAZIONE ALLA NATURA DELL’ATTIVITÀ DELL’AZIENDA OVVERO DELL’UNITÀ PRODUTTIVA, VALUTA, NELLA SCELTA DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO E DELLE SOSTANZE O DEI PREPARATI CHIMICI IMPIEGATI, NONCHÉ NELLA SISTEMAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO, I RISCH i LA SICUREZZA E PER LA SALUTE DEI LAVORATORI, IVI COMPRESI QUELLI RIGUARDANTI GRUPPI DI LAVORATORI ESPOSTI A RISCHI PARTICOLARI.
2. ALL’ESITO DELLA VALUTAZIONE DI CUI AL COMMA 1, IL DATORE DI LAVORO ELABORA UN DOCUMENTO CONTENENTE:
A) UNA RELAZIONE SULLA VALUTAZIONE DEI RISCHI PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DURANTE IL LAVORO, NELLA QUALE SONO SPECIFICATI I CRITERI ADOTTATI PER LA VALUTAZIONE STESSA;
B) L’INDIVIDUAZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE E DI PROTEZIONE E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE, CONSEGUENTE ALLA VALUTAZIONE DI CUI ALLA LETTERA A);
C) IL PROGRAMMA DELLE MISURE RITENUTE OPPORTUNE PER GARANTIRE IL MIGLIORAMENTO NEL TEMPO DEI LIVELLI DI SICUREZZA.
3. IL DOCUMENTO È CUSTODITO PRESSO L’AZIENDA OVVERO L’UNITÀ PRODUTTIVA.
4. IL DATORE DI LAVORO:
A) DESIGNA IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE INTERNO O ESTERNO ALL’AZIENDA SECONDO LE REGOLE DI CUI ALL’ART. 8;
B) DESIGNA GLI ADDETTI AL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE INTERNO O ESTERNO ALL’AZIENDA SECONDO LE REGOLE DI CUI ALL’ART. 8;
C) NOMINA, NEI CASI PREVISTI DALL’ART. 16, IL MEDICO COMPETENTE.
5. IL DATORE DI LAVORO ADOTTA LE MISURE NECESSARIE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DEI LAVORATORI, E IN PARTICOLARE:
A) DESIGNA PREVENTIVAMENTE I LAVORATORI INCARICATI DELL’ATTUAZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE INCENDI E LOTTA ANTINCENDIO, DI EVACUAZIONE DEI LAVORATORI IN CASO DI PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO, DI SALVATAGGIO, DI PRONTO SOCCORSO E, COMUNQUE, DI GESTIONE DELL’EMERGENZA;

B) AGGIORNA LE MISURE DI PREVENZIONE IN RELAZIONE AI MUTAMENTI ORGANIZZATIVI E PRODUTTIVI CHE HANNO RILEVANZA AI FINI DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEL LAVORO, OVVERO IN RELAZIONE AL GRADO DI EVOLUZIONE DELLA TECNICA DELLA PREVENZIONE E DELLA PROTEZIONE;
C) NELL’AFFIDARE I COMPITI AI LAVORATORI TIENE CONTO DELLE CAPACITÀ E DELLE CONDIZIONI DEGLI STESSI IN RAPPORTO ALLA LORO SALUTE E ALLA SICUREZZA;
D) FORNISCE AI LAVORATORI I NECESSARI E IDONEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE, SENTITO IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE;
E) PRENDE LE MISURE APPROPRIATE AFFINCHÉ SOLTANTO I LAVORATORI CHE HANNO RICEVUTO ADEGUATE ISTRUZIONI ACCEDANO ALLE ZONE CHE LI ESPONGONO AD UN RISCHIO GRAVE E SPECIFICO;
F) RICHIEDE L’OSSERVANZA DA PARTE DEI SINGOLI LAVORATORI DELLE NORME VIGENTI, NONCHÉ DELLE DISPOSIZIONI AZIENDALI IN MATERIA DI SICUREZZA E DI IGIENE DEL LAVORO E DI USO DEI MEZZI DI PROTEZIONE COLLETTIVI E DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI MESSI A LORO DISPOSIZIONE;
G) RICHIEDE L’OSSERVANZA DA PARTE DEL MEDICO COMPETENTE DEGLI OBBLIGHI PREVISTI DAL PRESENTE DECRETO, INFORMANDOLO SUI PROCESSI E SUI RISCHI CONNESSI ALL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA;
H) ADOTTA LE MISURE PER IL CONTROLLO DELLE SITUAZIONI DI RISCHIO IN CASO DI EMERGENZA E DÀ ISTRUZIONI AFFINCHÉ I LAVORATORI, IN CASO DI PERICOLO GRAVE, IMMEDIATO ED INEVITABILE, ABBANDONINO IL POSTO DI LAVORO O LA ZONA PERICOLOSA;
I) INFORMA IL PIÙ PRESTO POSSIBILE I LAVORATORI ESPOSTI AL RISCHIO DI UN PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO CIRCA IL RISCHIO STESSO E LE DISPOSIZIONI PRESE O DA PRENDERE IN MATERIA DI PROTEZIONE;
L) SI ASTIENE, SALVO ECCEZIONI DEBITAMENTE MOTIVATE, DAL RICHIEDERE AI LAVORATORI DI RIPRENDERE LA LORO ATTIVITÀ IN UNA SITUAZIONE DI LAVORO IN CUI PERSISTE UN PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO;
M) PERMETTE AI LAVORATORI DI VERIFICARE, MEDIANTE IL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA, L’APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA E DI PROTEZIONE DELLA SALUTE E CONSENTE AL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA DI ACCEDERE ALLE INFORMAZIONI ED ALLA DOCUMENTAZIONE AZIENDALE DI CUI ALL’ART. 19, COMMA 1, LETTERA E);
N) PRENDE APPROPRIATI PROVVEDIMENTI PER EVITARE CHE LE MISURE TECNICHE ADOTTATE POSSANO CAUSARE RISCHI PER LA SALUTE DELLA POPOLAZIONE O DETERIORARE L’AMBIENTE ESTERNO;
O) TIENE UN REGISTRO NEL QUALE SONO ANNOTATI CRONOLOGICAMENTE GLI INFORTUNI SUL LAVORO CHE COMPORTANO UN’ASSENZA DAL LAVORO DI ALMENO UN GIORNO. NEL REGISTRO SONO ANNOTATI IL NOME, IL COGNOME, LA QUALIFICA PROFESSIONALE DELL’INFORTUNATO, LE CAUSE E LE CIRCOSTANZE DELL’INFORTUNIO, NONCHÉ LA DATA DI ABBANDONO E DI RIPRESA DEL LAVORO. IL REGISTRO È REDATTO CONFORMEMENTE AL MODELLO APPROVATO CON DECRETO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, SENTITA LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE, DI CUI ALL’ART. 393 DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 APRILE 1955, N. 547, E SUCCESSIVE MODIFICHE, ED È CONSERVATO SUL LUOGO DI LAVORO, A DISPOSIZIONE DELL’ORGANO DI VIGILANZA. FINO ALL’EMANAZIONE DI TALE DECRETO IL REGISTRO È REDATTO IN CONFORMITÀ AI MODELLI GIÀ DISCIPLINATI DALLE LEGGI VIGENTI;
P) CONSULTA IL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA NEI CASI PREVISTI DALL’ART. 19, COMMA 1, LETTERE B), C) E D);
Q) ADOTTA LE MISURE NECESSARIE AI FINI DELLA PREVENZIONE INCENDI E DELL’EVACUAZIONE DEI LAVORATORI, NONCHÉ PER IL CASO DI PERICOLO GRAVE E IMMEDIATO. TALI MISURE DEVONO ESSERE ADEGUATE ALLA NATURA DELL’ATTIVITÀ, ALLE DIMENSIONI DELL’AZIENDA, OVVERO DELL’UNITÀ PRODUTTIVA, E AL NUMERO DELLE PERSONE PRESENTI.
6. IL DATORE DI LAVORO EFFETTUA LA VALUTAZIONE DI CUI AL COMMA 1 ED ELABORA IL DOCUMENTO DI CUI AL COMMA 2 IN COLLABORAZIONE CON IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE E CON IL MEDICO COMPETENTE NEI CASI IN CUI SIA OBBLIGATORIA LA SORVEGLIANZA SANITARIA, PREVIA CONSULTAZIONE DEL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA.
7. LA VALUTAZIONE DI CUI AL COMMA 1 E IL DOCUMENTO DI CUI AL COMMA 2 SONO RIELABORATI IN OCCASIONE DI MODIFICHE DEL PROCESSO PRODUTTIVO SIGNIFICATIVE AI FINI DELLA SICUREZZA E DELLA SALUTE DEI LAVORATORI.
8. IL DATORE DI LAVORO CUSTODISCE, PRESSO L’AZIENDA OVVERO L’UNITÀ PRODUTTIVA, LA CARTELLA SANITARIA E DI RISCHIO DEL LAVORATORE SOTTOPOSTO A SORVEGLIANZA SANITARIA, CON SALVAGUARDIA DEL SEGRETO PROFESSIONALE, E NE CONSEGNA COPIA AL LAVORATORE STESSO AL MOMENTO DELLA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO, OVVERO QUANDO LO STESSO NE FA RICHIESTA.
9. PER LE PICCOLE E MEDIE AZIENDE, CON UNO O PIÙ DECRETI DA EMANARSI ENTRO IL 31 MARZO 1996 DA PARTE DEI MINISTRI DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATOE DELLA SANITÀ, SENTITA LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE PER LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI E PER L’IGIENE DEL LAVORO, IN RELAZIONE ALLA NATURA DEI RISCHI E ALLE DIMENSIONI DELL’AZIENDA, SONO DEFINITE PROCEDURE STANDARDIZZATE PER GLI ADEMPIMENTI DOCUMENTALI DI CUI AL PRESENTE ARTICOLO. TALI DISPOSIZIONI NON SI APPLICANO ALLE ATTIVITÀ INDUSTRIALI DI CUI ALL’ART. 1 DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 17 MAGGIO 1988, N. 175, E SUCCESSIVE MODIFICHE, SOGGETTE ALL’OBBLIGO DI DICHIARAZIONE O NOTIFICA AI SENSI DEGLI ARTICOLI 4 E 6 DEL DECRETO STESSO, ALLE CENTRALI, TERMOELETTRICHE, AGLI IMPIANTI E LABORATORI NUCLEARI, ALLE AZIENDE ESTRATTIVE ED ALTRE ATTIVITÀ MINERARIE, ALLE AZIENDE PER LA FABBRICAZIONE E IL DEPOSITO SEPARATO DI ESPLOSIVI, POLVERI E MUNIZIONI, E ALLE STRUTTURE DI RICOVERO E CURA SIA PUBBLICHE SIA PRIVATE.
10. PER LE MEDESIME AZIENDE DI CUI AL COMMA 9, PRIMO PERIODO, CON UNO O PIÙ DECRETI DEI MINISTRI DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATO E DELLA SANITÀ, SENTITA LA COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE PER LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI E PER L’IGIENE DEL LAVORO, POSSONO ESSERE ALTRESÌ DEFINITI:
A) I CASI RELATIVI A IPOTESI DI SCARSA PERICOLOSITÀ, NEI QUALI È POSSIBILE LO SVOLGIMENTO DIRETTO DEI COMPITI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE IN AZIENDE OVVERO UNITÀ PRODUTTIVE CHE IMPIEGANO UN NUMERO DI ADDETTI SUPERIORE A QUELLO INDICATO NELL’ALLEGATO I;
B) I CASI IN CUI È POSSIBILE LA RIDUZIONE A UNA SOLA VOLTA ALL’ANNO DELLA VISITA DI CUI ALL’ART. 17, LETTERA H), DEGLI AMBIENTI DI LAVORO DA PARTE DEL MEDICO COMPETENTE, FERMA RESTANDO L’OBBLIGATORIETÀ DI VISITE ULTERIORI, ALLORCHÈ SI MODIFICANO LE SITUAZIONI DI RISCHIO.
11. FATTA ECCEZIONE PER LE AZIENDE INDICATE NELLA NOTA (1) DELL’ALLEGATO I, IL DATORE DI LAVORO DELLE AZIENDE FAMILIARI, NONCHÉ DELLE AZIENDE CHE OCCUPANO FINO A DIECI ADDETTI NON È SOGGETTO AGLI OBBLIGHI DI CUI AI COMMI 2 E 3, MA È TENUTO COMUNQUE AD AUTOCERTIFICARE PER ISCRITTO L’AVVENUTA EFFETTUAZIONE DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI E L’ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI AD ESSA COLLEGATI. L’AUTOCERTIFICAZIONE DEVE ESSERE INVIATA AL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA. SONO IN OGNI CASO SOGGETTE AGLI OBBLIGHI DI CUI AI COMMI 2 E 3 LE AZIENDE FAMILIARI NONCHÉ LE AZIENDE CHE OCCUPANO FINO A DIECI ADDETTI, SOGGETTE A PARTICOLARI FATTORI DI RISCHIO, INDIVIDUATE NELL’AMBITO DI SPECIFICI SETTORI PRODUTTIVI CON UNO O PIÙ DECRETI DEL MINISTRO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, DI CONCERTO CON I MINISTRI DELLA SANITÀ, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATO, DELLE RISORSE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI E DELL’INTERNO, PER QUANTO DI RISPETTIVA COMPETENZA.
12. GLI OBBLIGHI RELATIVI AGLI INTERVENTI STRUTTURALI E DI MANUTENZIONE NECESSARI PER ASSICURARE, AI SENSI DEL PRESENTE DECRETO, LA SICUREZZA DEI LOCALI E DEGLI EDIFICI ASSEGNATI IN USO A PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI O A PUBBLICI UFFICI, IVI COMPRESE LE ISTITUZIONI SCOLASTICHE ED EDUCATIVE, RESTANO A CARICO DELL’AMMINISTRAZIONE TENUTA, PER EFFETTO DI NORME O CONVENZIONI, ALLA LORO FORNITURA E MANUTENZIONE. IN TAL CASO GLI OBBLIGHI PREVISTI DAL PRESENTE DECRETO, RELATIVAMENTE AI PREDETTI INTERVENTI, SI INTENDONO ASSOLTI, DA PARTE DEI DIRIGENTI O FUNZIONARI PREPOSTI AGLI UFFICI INTERESSATI, CON LA RICHIESTA DEL LORO ADEMPIMENTO ALL’AMMINISTRAZIONE COMPETENTE O AL SOGGETTO CHE NE HA L’OBBLIGO GIURIDICO.."
 
[3] Recita, infatti, la sentenza in commento “….E ciò anche alla luce della storia dell’applicazione delle norme antinfortunistiche, successiva all’entrata in vigore del D.P.R. n. 547 del 1955, storia che insegna che la ragionevole articolazione del potere di intervento iure proprio e, quindi, l’attribuzione di questo potere ai dirigenti e ai preposti, quotidianamente presenti nel luogo di lavoro e, pertanto, a costante contatto dei lavoratori, non può, di norma, che rendere più immediata e, quindi, più incisiva ed efficace la tutela antinfortunistica…”
 

Zaina Carlo Alberto

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