Infortuni sul lavoro: la responsabilità del datore

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Il lavoratore infortunato ha sua disposizione sia concorso tra responsabilitàl’azione contrattuale che quella extracontrattuale per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti del datore di lavoro.

La duplicità degli strumenti di tutela deriva dal contemporaneo operare di due istituti: il generale principio del neminem laedere a tutela del diritto all’integrità psicofisica, che spetta al lavoratore indipendentemente dal rapporto di lavoro, nonché l’obbligo contrattuale, stabilito dall’art. 2087 c.c. a carico dell’imprenditore, di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica del proprio dipendente.
La giurisprudenza ormai da tempo ammette il  contrattuale ed extracontrattuale nella materia degli infortuni sul lavoro e la possibilità di avvalersi, alternativamente, dell’una o dell’altra azione, qualora dalla violazione dell’obbligo contrattuale di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica del lavoratore sia derivata anche la lesione dei diritti che spettano a questi indipendentemente dal rapporto di lavoro. (Cass. civ., 8 aprile 1995, n. 4078 in C.E.D. Cass. Rv. 491703 – 01).
In caso di infortunio mortale i prossimi congiunti possono invece far valere i danni subiti iure proprio solo ai sensi dell’art. 2043 c.c., non essendo parti del rapporto di lavoro.
Sicuramente l’esercizio della azione contrattuale è agevolato dal più favorevole regime della prescrizione, di durata ordinaria decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., mentre l’azione aquiliana si prescrive, in base all’art. 2947 c.c., in cinque anni, salve le ipotesi in cui il fatto è considerato dalla legge come reato e per questo è stabilita una prescrizione più lunga che viene applicata anche all’azione civile.
Inoltre la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, in caso di infortunio del dipendente, si fonda sulla presunzione di colpa stabilita dall’art. 1218 c.c., mentre l’azione extracontrattuale pone a carico del danneggiato la prova della colpa o del dolo dell’autore della condotta lesiva.

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Il riconoscimento della responsabilità contrattuale consente attualmente anche la risarcibilità dei danni non patrimoniali, avendo le sezioni unite della Cassazione espressamente affermato che il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008 n. 26972 in C.E.D. Cass. Rv. 605494 – 01).
La responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. comporta però la limitazione del risarcimento, salvo il caso di dolo, ai soli danni che potevano prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, come espressamente previsto dall’art. 1225 c.c., norma che consente al datore di lavoro il calcolo del rischio economico insito nell’obbligazione di cui all’art. 2087 c.c. Analoga limitazione non è prevista nella disciplina codicistica del risarcimento da illecito aquiliano, in mancanza di un rapporto giuridicamente rilevante tra danneggiante e danneggiato prima del verificarsi dell’evento dannoso.

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La responsabilità del datore negli infortuni sul lavoro

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Tutela risarcitoria e tutela previdenziale

Da tempo risalente l’esigenza del ristoro dei danni assume particolare rilevanza per il legislatore nei casi in cui questi scaturiscano da infortunio occasionato dalle mansioni lavorative.
Risale infatti a più di un secolo fa la prima legge organica (l. n. 80 del 17 marzo 1898) che ha affrontato il tema della sicurezza sul lavoro in Italia.

Essa introdusse l’obbligo della tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro sulla base del principio per cui, quando un lavoratore diventa inabile a svolgere mansioni lavorative, ha diritto a ricevere assistenza.
Il meccanismo assicurativo era sin dall’origine così strutturato:

diritto all’indennità da parte del lavoratore infortunato, subordinato al pagamento del premio da parte del datore di lavoro;
obbligo dell’assicurazione a carico del datore di lavoro e corrispondente esonero della responsabilità civile, tranne che nel caso di riconoscimento con sentenza della responsabilità penale.

La previsione di un sistema di tutela previdenziale pubblica in favore del lavoratore infortunato trova oggi la sua copertura costituzionale nell’art. 38 della Costituzione il cui comma 2 stabilisce che “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio…” mentre il comma 4 prevede che “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.
Viene sancito il principio di solidarietà dello Stato nei confronti del lavoratore che, a causa dell’infortunio, vede diminuire la propria capacità di lavoro e quindi di mantenimento.

Il successivo d.P.R. del 30 giugno 1965 n. 1124, Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (d’ora in poi anche T.U. INAIL o T.U.) ispirato ai principi costituzionali di solidarietà, era destinato a regolare in maniera organica ed esaustiva la materia previdenziale.
Esso ha comunque mantenuto di fatto un impianto normativo non dissimile da quello precedente, in particolare per quanto riguarda il meccanismo indennitario fondato sull’obbligo assicurativo a carico del datore di lavoro e sul corrispondente esonero dalla responsabilità civile.
L’art. 2 del T.U. INAIL ha stabilito che “L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni.”.
Al verificarsi dell’infortunio l’istituto di previdenza quindi corrisponde al lavoratore, o ai suoi congiunti, in caso di evento mortale, un indennizzo.

Questo originariamente consisteva in una rendita, determinata dalla legge in base ad un sistema tabellare, destinata a compensare la perdita o diminuzione della capacità lavorativa.

Solo a seguito all’entrata in vigore dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 23 febbraio 2000 l’indennizzo ristora il danno biologico a prescindere ed in misura indipendente dalla incidenza della menomazione sulla capacità di produzione del reddito del danneggiato (v. infra par. 3).

Ai sensi dell’art. 74 del T.U. INAIL “Agli effetti del presente titolo deve ritenersi inabilità permanente assoluta la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale, la quale tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro. Deve ritenersi inabilità permanente parziale la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale la quale diminuisca in parte, ma essenzialmente e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro. Quando sia accertato che dall’infortunio dalla malattia professionale sia derivata un’inabilità permanente tale da ridurre l’attitudine al lavoro in misura superiore al dieci per cento per i casi di infortunio e al venti per cento per i casi di malattia professionale, è corrisposta, con effetto dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea assoluta, una rendita d’inabilità rapportata al grado dell’inabilità stessa sulla base delle seguenti aliquote della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120: (…)”.

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