Informazione e dossieraggi: il duello interminabile tra libertà di critica e condotte penalmente rilevanti

Sagna Alberto 28/10/10
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1. Notizia, quell’involucro costruito del fatto quotidiano, un veicolo a fari sempre accesi, proiettato sul mondo, pronto ad attraversare a tutta velocità le più anguste vie, per raggiungere la sottile linea del vero.

L’odore della carta stampata dove viene riprodotta la notizia è pungente, acre, ma insostituibile.

Il suono mettallico e ferruginoso del rotatore scandisce la notte dei correttori di bozze all’interno della redazione.

Il sapore della notizia, talvolta, è amaro, difficile da mandar giù, e fa molto rumore, altre volte conferisce un senso profondo di soddisfazione, altre ancora è assolutamente neutrale.

Tutto ciò dipende dall’abilità del giornalista, che si aggira tra le verità dello stesso fatto, suggestionando, denunciando fatti, o semplicemente riportando alla luce con la sua penna una verità nascosta.

Chi si addentra nei meandri oscuri della ricerca della notizia deve avere, prima di ogni cosa, un buon fiuto. Ma non basta. Il giornalista deve anche avere la consapevolezza che questo fiuto da mastino lo potrà portare a svolgere il compito di sentinella sul mondo, di cane da guardia all’interno di un già delicato equilibrio di poteri politici o industriali che siano.

Ruolo centrale è allora l’intervista, quel momento dove all’intervistato viene concesso il contraddittorio sull’informazione appresa.

L’intervista, tuttavia, non è mai la pura e semplice riproduzione del pensiero dell’intervistato, ma anche la conferma delle opinioni del giornalista che guida ed indirizza sia le domande che le risposte.

Ne consegue che rimane inibito al giornalista di riportare dichiarazioni non assistite dal requisito della verità.

Il giornalista intervistatore è, pertanto, esente da responsabilità per diffamazione solo quando egli abbia rispettato e accertato il requisito della cosiddetta «doppia verità»: la prima verità consiste nella fedele riproduzione di quanto dichiarato durante l’intervista, mentre la seconda verità concerne la rispondenza al vero delle circostanze riferite dall’intervistato e riportate nell’articolo.

L’autore dell’articolo in qualche misura crea l’evento dell’intervista, formula domande, talvolta anche suggestive e provocatorie, pungolando l’intervistato, divenendo in un certo qual modo dissimulato coautore delle eventuali dichiarazioni, ovvero, talvolta, strumento consapevole di diffamazione altrui1.

Correttezza formale e continenza sono dunque i volani di un giornalista professionista.

Il clima politico sempre più rovente impone, allora, anche in favore dei lettori, un attento controllo della notizia, proprio laddove si ha riguardo a personaggi di spicco con cariche istituzionali.

Per uscire dall’impasse di divenire fazioso, fomentando ora questa ora quella parte politica, il giornalista che ha in mano una notizia scottante dovrebbe tendenzialmente porsi in maniera imparziale.

Pur non potendosi ravvisare, nel nostro ordinamento, un’astratta e generalizzata “esimente da intervista”, nell’ipotesi in cui un personaggio, che occupi una rilevante posizione nell’ambito della vita politica, sociale, economica, scientifica e culturale rilasci dichiarazioni nei confronti di un altro personaggio, la cui posizione sia altrettanto rilevante negli ambiti sopra indicati, è la dichiarazione stessa rilasciata dal personaggio intervistato che rappresenta di per sè la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza formale delle parole usate. Notizia che, per una parte della giurisprudenza, anche se lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata perché soddisfa quell’interesse della collettività all’informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall’art. 21 Cost.2

 

2. Costruire un dossier è costruire una notizia. Sia che avvenga attraverso l’intervista, sia che avvenga attraverso la ricerca di documenti, bilanci di società, sentenze, intercettazioni, il giornalista ha, in primo luogo, il dovere di scovare la notizia, perché il suo compito è garantito dalla libertà di stampa e dalla necessità di informare i cittadini, costituzionalmente tutelata dall’art. 21.

Il dossier è il contenitore di quegli appunti, di quei numeri di telefono, del nome della fonte, delle e-mail inviate e ricevute, dei ritagli di altri articoli di giornali, della trascrizione di un’intervista “sbobinata”, di tutto ciò, pertanto, che costituisce l’armamentario quotidiano di ogni buon giornalista.

Quello che conta, dunque, non è il dossier in sé, ma il modo con il quale si sono apprese le notizie e la correttezza con le quali vorranno essere usate.

Moderazione, proporzione e misura, allora, rappresentano i criteri guida, pur non essendo vietate coloriture, toni aspri o polemici rientranti nel costume e termini oggettivamente offensivi che non abbiano equivalenti e non siano sovrabbondanti ai fini del concetto da esprimere3. Tutto ciò dovrà essere valutato non solo all’intero contenuto espositivo dell’articolo e al complesso della pubblicazione, ma anche dal titolo, dal modo di rappresentazione4e dalla grafica, giacché la mera collocazione del riferimento può implicarne un ulteriore significato, connotato dal disvalore5.

Il diritto di cronaca e di critica nell’esercizio dell’attività politica rappresentano una manifestazione della libertà di pensiero (art. 21 Cost.), ma anche un’estrinsecazione della libertà di concorrere con metodo democratico alla formazione della politica nazionale.

Il metodo democratico, esplicitato come regola di gestione della politica nell’art. 49 Cost., comporta non solo l’attribuzione ad ogni cittadino dei diritti di elettorato attivo e passivo (artt. 46 e 51 Cost.), di costituzione e partecipazione ad associazioni politiche (art. 49 Cost.), di interpello delle Camere (art. 50 Cost.), ma anche il rispetto di altre regole necessarie al regime democratico.

Tale direttiva opera anche come criterio ermeneutico dell’art. 51 c.p. in forza del quale l’interprete deve tener conto della particolare rilevanza dell’interesse pubblico e della conseguente minore tutela dell’onore personale6.

Nell’usare un dossier, pertanto, occorre verificare se sia mantenuto integro l’interesse all’informazione per finalità di accrescimento democratico con il diritto all’onore.

E all’interno del dossier dovrà essere apprezzato sia il contenuto della cronaca che quello della critica, entrambi fondamentali ma ben distinti.

Mentre il primo, infatti, ha uno scopo essenzialmente narrativo e descrittivo, il secondo è eminentemente valutativo.

Se è differente uno scopo, allora, sarà differente anche l’atteggiamento del giornalista, il quale seguirà un’inclinazione, una propensione, la sua, quella soggettiva.

La critica, infatti, sia essa artistica, storica, scientifica, sindacale o politica, non si limita alla mera indicazione dei fatti, ma esprime sugli stessi un giudizio, interpretandoli.

In tema di diffamazione, la giurisprudenza, infatti, ha affermato che le espressioni utilizzate nell’ambito della c.d. critica politica assumono naturalmente connotazioni soggettive ed opinabili, in quanto si confrontano varie concezioni contrapposte per il raggiungimento di fini pubblici; ne consegue che, in tale contesto, la valutazione dei comportamenti e dei giudizi fortemente critici nei confronti degli avversari politici deve essere compiuta tenendo presente il preminente interesse generale al libero svolgimento della vita democratica7.

In altre parole, l’interesse sociale e pubblico della notizia domina, anzi dirige lo scenario della libertà di critica a cui non può mancare un contenuto base, preso da spunto, sempre ancorato al dato di verità oggettiva.

Molte volte si leggono notizie, anche in forma di dossier, si ascoltano dibattiti televisivi ove, in effetti, la notizia sembra essere riportata come l’unica vera, la sola obbiettivamente rispondente alla realtà.

Ciò è frutto di quella libera critica espressione di un diritto pubblico soggettivo, rinvenibile anche nell’art. 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

Il limite all’esercizio di tale diritto, però, deve intendersi superato quando il giornalista trascenda in attacchi personali diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacché in tal caso, l’esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell’ambito di una critica misurata e obiettiva trascende nel campo dell’aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta.

Il limite della verità, che è altro non è in fondo che un limite allo stesso esercizio del diritto di critica, per un dosato senso di equilibrio, talvolta, dovrebbe essere valutato in termini non sempre assolutamente rigorosi per la necessità di offrire una più ampia base di informazione di cui ha bisogno la collettività, al fine di poter valutare criticamente l’azione delle forze politiche, la gestione dell’apparato politico amministrativo ed ogni altro fatto o evento rilevante di natura politica.

In tale direzione, l’interesse all’informazione attraverso la critica politica comprime la tutela della reputazione e legittima anche la critica di un fatto ancora da verificare, purché sia probabile in base alla ragionevole valutazione di altri fatti invece obbiettivamente certi8.

 

3. Sotto il profilo giuridico appare davvero arduo configurare nell’esercizio del diritto di critica politica il reato di violenza privata, anche nella forma del delitto tentato.

E’ pur vero che, secondo la giurisprudenza, la configurabilità del tentativo di violenza privata (art. 56 e 610 cod. pen.) non esige che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione, anche se improduttiva del risultato perseguito, essendo sufficiente che si tratti di minaccia idonea ad incutere timore e diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall’agente9.

Va, però, detto che l’esercizio di un normale e corretto diritto di critica mai potrà essere accostato a tale delitto, non solo perché mancano gli estremi della violenza o minaccia, ma anche perché lo stesso contesto è quello dell’informazione pluralista e garantita dalla Costituzione, dove il soggetto passivo ha il pieno diritto di intervenire offrendo la sua versione dei fatti e ben conoscendo la pubblica diffusione di un sistema come quello dell’informazione attraverso la carta stampata o nei dibattiti televisivi.

Criticare non vuol dire minacciare o usare violenza.

Quando, invece, si è al di fuori di un corretto uso del diritto di critica, sia è al di fuori di un corretto modo di fare il giornalismo, dove il terreno fertile delle varie fattispecie penalmente rilevanti può veramente sovrabbondare.

In tali casi, i risultati delle intercettazioni da cui possono essere apprese le critiche scorrette, secondo il dettato dell’art. 270, I comma, c.p.p., non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

La nozione di “diverso procedimento”, rilevante per stabilire l’ambito di utilizzabilità dei risultati intercettativi, ha natura sostanziale e non si ricollega pertanto ad un dato meramente formale, quale è il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato. Essa piuttosto è definita dalla relazione con il contenuto della medesima notizia, e cioè dalla relazione con il fatto-reato per il quale sono in corso le indagini, sicché non v’è diversità di procedimento nel caso di indagini strettamente connesse o collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, al reato al cui accertamento il mezzo di ricerca della prova è predisposto

Il divieto, inoltre, si riferisce soltanto all’utilizzazione dei risultati ai fini della loro valutazione come fonti di prova in procedimenti diversi.

Ciò sta significare che resta sempre salva la possibilità di utilizzare i detti risultati ai fini dell’acquisizione dell’eventuale “notizia criminis” per l’avvio di nuove indagini.

Anche in questo caso sussiste, però, un’equazione, seppure in termini inversi: reprimere reati non vuol dire cancellare quell’irrefrenabile e volenterosa opera di critica dell’azione politica, che rappresenta la più alta espressione di un libero e raffinato interpretare di un fatto o un atto democratico, il frutto di un lavoro professionale svolto a vantaggio della comunità civile.

 

Avv. Alberto Sagna

 

1 Cfr. Cass. pen., Sez. V, 11 aprile 2000, n. 7498, in Giur. It., 2002, 1934.

2 Cfr.Cass. pen., Sez. un., 16 ottobre 2001, n. 37140.

3 Cfr. Cass., Sez. V, 3 maggio 1985, Ruschini.

4 Cfr. Cass., Sez. V, 3 giugno 1998, Scalfari, in C.E.D. Cass., 212136

5 Cfr. Cass., Sez. V, 24 ottobre 1995, Fedele, in C.E.D. Cass., 203950

6 Cfr. Cass., Sez. V, 7 febbraio 2001, Gianfanti, in Cass. Pen., 2002, 2352.

7 Cfr. Cass., Sez. V, 2 ottobre 2001, Campobasso, in C.E.D. Cass., 221013.

8 Cfr. Cass., Sez. V, 7 febbraio 2001, Gianfanti, in Cass. Pen., 2002, 2352.

9 Cfr. Cass. pen., Sez. V, 04/03/2005, n.15977.

Sagna Alberto

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