In presenza di un sostanziale svolgimento di una trattativa privata “procedimentalizzata” si ritiene che non possa farsi applicazione della rigorosa interpretazione del L’art. 17 della l. 12.3.1999, n. 68 e che sia , invece, sufficiente che la prescritt

Lazzini Sonia 10/05/07
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Anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli articoli 43 e 55 del trattato C.E.), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici impone all’amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l’utilizzo di procedure competitive selettive
 
 
E’ evidente come la determinazione del valore dell’appalto, rilevante ai fini del superamento della soglia comunitaria, non possa dipendere dalle offerte delle concorrenti, in quanto altrimenti si giungerebbe all’irragionevole conseguenza che le stazioni appaltanti non sarebbero in grado al momento dell’indizione della procedura di stabilire se la soglia è superata o meno e, quindi, di individuare la disciplina applicabile.
 
Si parla di concessione di servizi qualora i rischi della gestione del servizio ricadono sull’aggiudicatario il quale se ne assume tutte le responsabilità e il cui compenso deriva da quanto l’utente paga per il servizio reso a differenza dell’appalto di servizi nel quale è l’amministrazione che paga l’aggiudicatario.
 
 
Il Consiglio di stato con la decisione numero 6368 del 15 novembre 2005 ci insegna la differenza tra un appalto di servizi e una concessione di servizi.
 
< nell’appalto di servizi:  l’amministrazione paga l’aggiudicatario per la prestazione di un servizio reso in suo favore.>
 
mentre
 
< nello schema della concessione di servizio, ad esempio, l’aggiudicatario si impegna a corrispondere al Consorzio una determinata somma per ogni cartello segnaletico e la remunerazione della sua attività deriva dalla percezione degli introiti da parte delle imprese interessate al servizio.
 
Qui è l’aggiudicatario che paga l’amministrazione per poter gestire il servizio relativo alla segnaletica, rivolto ai privati (imprese della zona industriale) e retribuito a carico di privati attraverso il pagamento di un corrispettivo.
 
Nel caso di specie, quindi, i rischi di gestione del servizio ricadono sull’aggiudicatario, il quale può rifarsi sull’utente e si assume la responsabilità di gestione>
 
 
In tema di giurisdizione, merita sottolineare quanto segue:
 
< Trattandosi della concessione di un pubblico servizio, sussiste, di conseguenza, la giurisdizione del giudice amministrativo sulla base dell’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998, nel testo risultante a seguito della pubblicazione della sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, secondo cui sono devolute alla giurisdizione del G.A. “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio>
 
ma vi è di più.
 
<Del resto, già in passato la giurisprudenza, con riferimento alla trattativa privata, aveva abbandonato l’orientamento, secondo cui non vi sono interessi legittimi, svolgendosi trattativa esclusivamente sul piano dell’autonomia negoziale privata, affermando invece che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sia in caso di contestazione del ricorso alla trattativa, sia in ipotesi di violazione delle regole procedimentali adottate dall’amministrazione o, più in generale, dei principi di imparzialità e di logicità (cfr., Cons. Stato, V, n. 1577/96; IV, n. 125/97; V, n. 112/99; VI, n. 1018/99; V, n. 2079/2000, VI, n. 1206/2001 e per quanto concerne la contestazione dell’utilizzo della trattativa privata Cass., Sez. Unite, n. 11619/98).
 
Sulla base di tali considerazioni deve quindi ritenersi che quando una amministrazione sia comunque obbligata a seguire un procedimento per la scelta del contraente, che garantisca la trasparenza, l’imparzialità e la par condicio, tale procedura e il provvedimento di aggiudicazione assumono la natura di atti amministrativi che incidono su posizioni di interesse legittimo, con conseguente devoluzione delle relative controversi al giudice Amministrativo>
 
 
A questo proposito giova aggiungere tre considerazioni:
 
1. tutta l’attività amministrativa deve tener conto dei principi comunitari
 
Legge 241/90 s.m.i. come novellata dalla Legge 15 del 2005
Capo I – Princìpi
Art.1. Princípi generali dell’attività amministrativa
1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell’ordinamento comunitario.
1-bis. La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente.
1-ter. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princípi di cui al comma 1.
2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria
 
2. i principi comunitari devono essere comunque osservati
 
Anche per gli appalti di modesto rilievo economico, valgono alcune regole “etiche” europee
Le stazioni appaltanti devono rispettare i principi fondamentali del Trattato CEE
            Il ministero per le politiche comunitarie nella persona del suo responsabile, ministro Buttiglione, con la circolare numero 8756 del 6 giugno 2002 ha inteso porre alcuni fondamentali principi in tema di normativa applicabile agli appalti pubblici "sottosoglia"
Alcuni contratti di appalti, sebbene per il loro modesto importo risultino essere esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie, sono comunque soggetti ad alcuni fondamentali principi di diritto primario dettati dal Trattato CEE quali ad esempio:
il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalita’;
la parita’ di trattamento;
le norme relative alla libera circolazione delle merci,
le norme relative alla liberta’ di stabilimento;
le norme relative alla libera prestazione di servizi;
il rispetto del principio di trasparenza
a cui le amministrazioni devono adeguare il proprio operato.
3. Anche le nuove direttive europee ne parlano
 
DIRETTIVA 2004/18/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi – 2° considerando
 
L’aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico è subordinata al rispetto dei principi del trattato ed in particolare
ai principi della libera circolazione delle merci,
della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi,
nonché ai principi che ne derivano, quali i principi di parità di trattamento,
di non discriminazione,
di riconoscimento reciproco,
di proporzionalità e
di trasparenza.
Tuttavia, per gli appalti pubblici con valore superiore ad una certa soglia è opportuno elaborare disposizioni di coordinamento comunitario delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti fondate su tali principi, in modo da garantirne gli effetti ed assicurare l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. Di conseguenza, tali disposizioni di coordinamento dovrebbero essere interpretate conformemente alle norme e ai principi citati, nonché alle altre disposizioni del trattato.
 
Relativamente alla normativa sui disabili, ovvero per quanto concerne l’applicazione dell’art. 17 della legge n. 12.03.1999, n. 68 va ancora osservato che:
 
<In ordine all’interpretazione del citato art. 17, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’adempimento previsto da tale disposizione si configuri come requisito di partecipazione alla gara e non come condizione dell’aggiudicazione e che, pertanto, la relativa certificazione deve essere prodotta al momento della presentazione della domanda
 
E’ stato anche aggiunto che la norma ha un chiaro contenuto di ordine pubblico e la sua applicazione non viene fatta dipendere dall’inserimento o meno dell’obbligo ivi previsto fra le specifiche clausole di concorso delle singole gare. Di conseguenza il bando, che non contenga alcun riferimento agli obblighi derivanti dalla norma legislativa anzidetta, deve intendersi dalla stessa comunque integrato, ponendosi tutt’al più un problema di illegittimità della clausola del bando che espressamente disponga in difformità>
 
ATTENZIONE PERO’….
 
<In presenza di un sostanziale svolgimento di una trattativa privata “procedimentalizzata” si ritiene che non possa farsi applicazione della descritta rigorosa interpretazione del citato art. 17 e che sia , invece, sufficiente che la prescritta dichiarazione sia “preventivamente” prodotta dall’impresa prima della conclusione della procedura, caratterizzata – si ripete – da un minor grado di formalità e che per tale connotato mal si presta ad essere “eterointegrata” dalla citata disposizione di legge>
 
 
A cura di Sonia LAZZINI
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente :
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da **** pubblicità s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’ avv.to Mario Sanino, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso, in Roma, viale Parioli, n. 180;
 
contro
 
**** pubblicità s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesca Mastroviti e Andrea Manzi, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo, in Roma, via Confalonieri, n. 5;
 
Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova, non costituitosi in giudizio;
 
per l’annullamento
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sezione I, n. 4475/2004 pubblicata il 30-12-2004;
 
     Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
     Visto l’atto di costituzione in giudizio della società appellata;
 
     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
     Visti gli atti tutti della causa;
 
     Alla pubblica udienza del 12-7-2005 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.
 
     Uditi l’Avv. Sanino e l’Avv. Manzi;
 
     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 
F A T T O    E    D I R I T T O
 
     1. Con lettera raccomandata del 13 gennaio 2004 il Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova invitava alcune ditte alla gara per l’affidamento a trattativa privata dell’appalto per la gestione della segnaletica aziendale da installare all’interno del comprensorio consortile.
 
     L’appalto prevedeva, in particolare, il pagamento di un canone annuo al Consorzio per lo svolgimento del servizio di segnaletica, con remunerazione dell’attività attraverso la percezione degli introiti derivanti dalla conclusione di contratti con le imprese interessate.
 
     Alla gara hanno partecipato quattro società, tra le quali la appellante **** Pubblicità e la ricorrente in primo grado **** Pubblicità.
 
     In sede di apertura delle buste, un rappresentante della **** chiedeva alla commissione se fosse stata presentata dalle altre ditte la certificazione relativa all’impiego di disabili secondo la legge 12.03.1999 n. 68 art. 17.
 
     La commissione di gara accertava che la **** ed un altro concorrente non avevano presentato la certificazione e tuttavia, ritenendo che non sussistesse alcuna irregolarità nella presentazione delle istanze in quanto il bando non prevedeva questo espresso obbligo, procedeva all’apertura delle offerte economiche e successivamente dichiarava aggiudicataria della gara la
 
ditta **** che aveva presentato la migliore offerta economica.
 
     La ****, ritenendo illegittimo il provvedimento di aggiudicazione, lo impugnava, deducendo che l’offerta della **** avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per la violazione dell’art. 17 della legge n. 68/1999, con cui è stato introdotto un requisito aggiuntivo per la partecipazione alle gare e, come tale vincolante immediatamente le stazioni appaltanti, senza necessità di un richiamo specifico nel bando.
 
     Con l’impugnata sentenza il Tar ha respinto l’eccezione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed ha accolto il ricorso della ****, respingendo un ricorso incidentale della ****.
 
     Il giudice di primo grado ha evidenziato che l’art. 17 della legge n. 12.03.1999, n. 68, posto a presidio dell’osservanza del complesso di norme tese a promuovere l’inserimento e l’integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro, stabilisce che “le imprese, sia pubbliche che private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici. . . sono tenute a presentare preventivamente la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l’ottemperanza alle norme della presente legge, pena l’esclusione”.
 
     Il Tar ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sul punto (per tutte, C.d.S. sez. 5^ 14 maggio 2004 n. 3148; id. sez. VI, 21 luglio 2003, n. 4202; id. Sez. V, n. 3733 del 6 luglio 2002), secondo cui il rispetto della normativa a tutela dei disabili deve essere dichiarato al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara e anche le imprese concorrenti non tenute all’osservanza della normativa a tutela dei disabili sono comunque tenute a trasmettere, anch’esse al momento della presentazione della domanda, la dichiarazione che attesti l’inapplicabilità alla loro impresa della normativa citata.
 
    La **** pubblicità contesta tale decisione per i seguenti motivi:
 
     1) difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
 
     2) erronea applicazione dell’art. 17 della legge n. 68/1999;
 
     3) fondatezza del ricorso incidentale proposto in primo grado.
 
     All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
 
     2.1. Il primo motivo è privo di fondamento, in quanto la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, anche se sulla base di motivi diversi da quelli indicati dal Tar.
 
     Il giudice di primo grado ha ritenuto non applicabile al caso di specie la giurisprudenza, secondo cui esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo ex artt. 6 e 7 della L. n. 205/2000 una controversia riguardante gli atti di una gara di appalto di importo inferiore alla soglia comunitaria, per la quale le “amministrazioni aggiudicatrici” e gli “organismi di diritto pubblico” non sono tenuti all’applicazione della normativa comunitaria (Cass., sez. unite, n. 17635/2003, con cui è stato riformato Cons. Stato, IV, n. 934/2002; in senso conforme alla Cassazione, vedi poi Cons. Stato, V, n. 7554/2004).
 
     Secondo il Tar la gara oggetto della controversia è stata bandita da un soggetto, rientrante espressamente tra gli organismi di diritto pubblico ed il valore dell’appalto era superiore alla soglia comunitaria, sia tenendo conto dell’offerta della ditta aggiudicataria che di quella della ricorrente.
 
     Innanzitutto, si rileva come il giudice di primo grado per determinare il valore dell’appalto abbia erroneamente preso come riferimento non il prezzo posto a base di gara, ma quello offerto dalle concorrenti.
 
     E’ evidente come la determinazione del valore dell’appalto, rilevante ai fini del superamento della soglia comunitaria, non possa dipendere dalle offerte delle concorrenti, in quanto altrimenti si giungerebbe all’irragionevole conseguenza che le stazioni appaltanti non sarebbero in grado al momento dell’indizione della procedura di stabilire se la soglia è superata o meno e, quindi, di individuare la disciplina applicabile.
 
     In realtà, l’erronea affermazione del Tar è derivata dall’omessa percezione del fatto che, nel caso di specie, non si trattava di un appalto di servizi, dove generalmente a fronte di un prezzo posto a base di gara (con cui si individua la somma che l’amministrazione dovrà pagare per il servizio prestato dall’aggiudicatario) le offerte dei concorrenti vengono fatte al ribasso.
 
     Nella procedura in esame, l’aggiudicatario si impegnava a corrispondere al Consorzio una determinata somma per ogni cartello segnaletico e la remunerazione della sua attività derivava dalla percezione degli introiti da parte delle imprese interessate al servizio.
 
     Si era quindi al di fuori dello schema tipico dell’appalto di servizi, in cui l’amministrazione paga l’aggiudicatario per la prestazione di un servizio reso in suo favore.
 
     Qui è l’aggiudicatario che paga l’amministrazione per poter gestire il servizio relativo alla segnaletica, rivolto ai privati (imprese della zona industriale) e retribuito a carico di privati attraverso il pagamento di un 
corrispettivo.
 
     Nel caso di specie, quindi, i rischi di gestione del servizio ricadono sull’aggiudicatario, il quale può rifarsi sull’utente e si assume la responsabilità di gestione.
 
     Lo schema è quindi quello della concessione di servizio.
 
     Deve ritenersi inoltre che si tratti di un servizio pubblico, in quanto:
 
     – il Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova ha certamente natura pubblica, trattandosi di un ente pubblico economico del Comune, della Provincia e della Camera di Commercio di Padova, rientrante peraltro nella nozione di organismo pubblico ai sensi dell’all. 7 del D. Lgs. n. 157/95;
 
     – il Consorzio svolge compiti attinenti alla realizzazione dell’area industriale di Padova, provvedendo anche ad assegnare i terreni e a eseguire una serie di opere e servizi funzionali all’area industriale;
 
     – tra tali servizi rientra anche quello relativo alla segnaletica aziendale, che non ha il mero scopo di un’attività pubblicitaria resa in favore delle imprese, ma consente di regolare e razionalizzare il traffico veicolare all’interno dell’area industriale attraverso segnalazioni che rendono agevole l’individuazione e il raggiungimento delle imprese, che svolgono la loro attività all’interno dell’area;
 
     – si tratta di un servizio che è quindi istituzionalmente indirizzato al soddisfacimento dei bisogni della generalità delle imprese e del pubblico che accede all’area industriale e il cui svolgimento assume i caratteri della doverosità e deve conformarsi ad obblighi di continuità e regolarità, estranei ad una comune attività economica.
 
     Trattandosi della concessione di un pubblico servizio, sussiste, di conseguenza, la giurisdizione del giudice amministrativo sulla base dell’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998, nel testo risultante a seguito della pubblicazione della sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, secondo cui sono devolute alla giurisdizione del G.A. “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio”.
 
     2.2. Deve essere evidenziato che, anche qualificando diversamente la procedura in esame, si sarebbe comunque giunti alla medesima conclusione sul punto della giurisdizione.
 
     Infatti, questo Collegio ritiene che l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di alcune tipologie di controversie relative alle procedure di evidenza pubblica non svaluta completamente il problema della qualificazione della posizione soggettiva del privato che intende contestare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.
 
     A tal fine. il problema non è quindi tanto di verificare se a seguito del superamento della c.d. soglia comunitaria scatti o meno l’applicazione della disciplina prevista per gli appalti soprasoglia, ma piuttosto di accertare se l’amministrazione ( o il soggetto ad essa equiparato) sia tenuta o meno a scegliere il contraente secondo procedure di carattere amministrativo che garantiscano, attraverso la procedimentalizzazione delle stesse, il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento.
 
     E’ evidente che, ai fini del riparto di giurisdizione, non può rilevare l’adozione, ancorché libera e non obbligata, di una procedura di evidenza pubblica da parte della amministrazione aggiudicatrice, in quanto altrimenti ciò renderebbe di fatto così la stessa P.a. arbitra di scegliere, in prospettiva, la giurisdizione che preferisce (in tal senso, vedi Cass. Sez. Unite, n. 17635/2003 e Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9/2004).
 
     Fondamentale è quindi accertare se una determinata procedura di scelta del contraente sia stata indetta per libera scelta dell’amministrazione, che avrebbe quindi potuto stipulare il contratto con qualsiasi soggetto liberamente individuato, o per rispetto di un obbligo, di seguire un procedimento di natura amministrativa, che, benché non disciplinato nel dettaglio dal legislatore, garantisca la trasparenza, l’imparzialità e la non discriminazione nella scelta.
 
     In questa seconda ipotesi, anche nei casi in cui non si applica una dettagliata disciplina di derivazione comunitaria (quale quella in tema di appalti pubblici soprasoglia di lavori, di forniture o di servizi), il provvedimento di aggiudicazione, ancorché sia collocato all’interno del procedimento (civilistico) preordinato alla conclusione del contratto, ha natura amministrativa per quanto concerne l’individuazione del contraente, contenendo, in primo luogo, un atto (amministrativo) di accertamento (costitutivo) e solo in secondo luogo quasi sempre anche la manifestazione di volontà (negoziale) della pubblica amministrazione in ordine al contratto da stipulare.
 
     La aggiudicazione assume così una valenza procedimentale ed amministrativa ed integra una vera e propria determinazione autoritativa dell’esito della procedura selettiva, mediante una statuizione propria degli atti pubblici diretti a creare certezze legali privilegiate ed a incidere sulla posizione soggettiva degli aspiranti all’aggiudicazione, qualificabile come di interesse legittimo.
 
     L’aggiudicazione ha quindi natura di provvedimento amministrativo e come tale può essere annullata dall’amministrazione in sede di autotutela, come anche riconosciuto di recente dalla stessa Cassazione, che la ha qualificata come atto amministrativo, che costituisce il presupposto di un contratto (Cass., Sez. Unite, 21 giugno 2005, n. 13296).
 
     Nel caso di specie, il Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova, pur non essendo tenuto per il servizio in questione a seguire le disposizioni di cui al D. Lgs n. 157/95, non era libero di affidare il servizio liberamente, ma in base alla sua natura di soggetto pubblico doveva pur sempre seguire, come in concreto fatto, un procedimento selettivo idoneo a garantire trasparenza e par condicio.
 
     Infatti, la giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato che, anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli articoli 43 e 55 del trattato C.E.), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici impone all’amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l’utilizzo di procedure competitive selettive (cons. Stato, VI, n. 1206/2001 con riferimento ad un appalto sottosoglia; IV, n. 253/2002; V, n. 2294/2002).
 
     In applicazione di tali principi, l’impugnato provvedimento di aggiudicazione assume natura di atto amministrativo idoneo ad incidere su posizioni di interesse legittimo.
 
     Del resto, già in passato la giurisprudenza, con riferimento alla trattativa privata, aveva abbandonato l’orientamento, secondo cui non vi sono interessi legittimi, svolgendosi trattativa esclusivamente sul piano dell’autonomia negoziale privata, affermando invece che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sia in caso di contestazione del ricorso alla trattativa, sia in ipotesi di violazione delle regole procedimentali adottate dall’amministrazione o, più in generale, dei principi di imparzialità e di logicità (cfr., Cons. Stato, V, n. 1577/96; IV, n. 125/97; V, n. 112/99; VI, n. 1018/99; V, n. 2079/2000, VI, n. 1206/2001 e per quanto concerne la contestazione dell’utilizzo della trattativa privata Cass., Sez. Unite, n. 11619/98).
 
     Sulla base di tali considerazioni deve quindi ritenersi che quando una amministrazione sia comunque obbligata a seguire un procedimento per la scelta del contraente, che garantisca la trasparenza, l’imparzialità e la par condicio, tale procedura e il provvedimento di aggiudicazione assumono la natura di atti amministrativi che incidono su posizioni di interesse legittimo, con conseguente devoluzione delle relative controversi al giudice 
amministrativo.
 
     Tale conclusione vale anche in quei casi in cui, nonostante il mancato superamento della soglia comunitaria, l’amministrazione abbia comunque un obbligo di scelta “procedimentalizzata” del contraente nei sensi indicati in precedenza (va anche considerato che nella fattispecie esaminata da Cass. n. 17635/2003, l’aspetto che è risultato determinante per escludere la giurisdizione del giudice amministrativo è stato soprattutto che in quel caso, a differenza di quello in esame, la stazione appaltante non rientrava neanche tra gli organismi di diritto pubblico e non era quindi soggetta ad alcun obbligo per la scelta del contraente).
 
     3. Passando al merito della controversia, deve essere esaminato il secondo motivo con cui la società appellante deduce la erronea applicazione dell’art. 17 della legge n. 68/1999.
 
     Il motivo è fondato.
 
     L’art. 17 della legge n. 12.03.1999, n. 68 prevede che “Le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l’ottemperanza alle norme della presente legge, pena l’esclusione”.
 
     Innanzitutto, va precisato come non sia contestato che il bando non facesse alcun riferimento all’obbligo di presentare la suddetta dichiarazione, che la **** non avesse presentato tale dichiarazione in sede di offerta; che la stessa impresa non fosse tenuta all’osservanza della normativa per la tutela dei disabili, come dichiarato successivamente alla presentazione dell’offerta.
 
     In ordine all’interpretazione del citato art. 17, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’adempimento previsto da tale disposizione si configuri come requisito di partecipazione alla gara e non come condizione dell’aggiudicazione e che, pertanto, la relativa certificazione deve essere prodotta al momento della presentazione della domanda (Cons. Stato, V, n. 3733/2002; VI, n. 4202/2003).
 
     E’ stato anche aggiunto che la norma ha un chiaro contenuto di ordine pubblico e la sua applicazione non viene fatta dipendere dall’inserimento o meno dell’obbligo ivi previsto fra le specifiche clausole di concorso delle singole gare. Di conseguenza il bando, che non contenga alcun riferimento agli obblighi derivanti dalla norma legislativa anzidetta, deve intendersi dalla stessa comunque integrato, ponendosi tutt’al più un problema di illegittimità della clausola del bando che espressamente disponga in difformità (Cons. Stato, V, n. 3148/2004; n. 7555/2004; n. 5053/2004).
 
     Il Collegio, pur non ritenendo di porre in contestazione tali principi, ritiene che gli stessi non siano applicabili alla fattispecie in esame, che non è caratterizzata, come in precedenza illustrato, dallo svolgimento di una delle procedure di evidenza pubblica, espressamente e dettagliatamente disciplinate dal legislatore.
 
     In presenza di un sostanziale svolgimento di una trattativa privata “procedimentalizzata” si ritiene che non possa farsi applicazione della descritta rigorosa interpretazione del citato art. 17 e che sia , invece, sufficiente che la prescritta dichiarazione sia “preventivamente” prodotta dall’impresa prima della conclusione della procedura, caratterizzata – si ripete – da un minor grado di formalità e che per tale connotato mal si presta ad essere “eterointegrata” dalla citata disposizione di legge,
 
     Deve essere di conseguenza respinto il ricorso proposto in primo grado dalla **** e non deve essere esaminato, perché assorbito, l’ultimo motivo di appello relativo al ricorso incidentale proposto in primo grado dalla ****.
 
     4. In conclusione, l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado.
 
     Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
 
     P. Q. M.
 
     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.
 
     Spese compensate.
 
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
     Così deciso in Roma, il 12-7-2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il..15/11/2005

Lazzini Sonia

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