La sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. può essere impugnata con ricorso per Cassazione prima della scadenza del termine di cui all’art. 159, ultimo comma, cod. pen.? Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
Indice
1. Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per mancata conoscenza della pendenza del processo nei suoi confronti ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen..
Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorreva per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova, con un unico motivo, il quale deduceva violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 420-bis e 420-quater cod. proc. pen., chiedendo l’annullamento della sentenza.
In particolare, secondo il ricorrente, nei confronti di chi elegge domicilio, nominando un difensore di fiducia nel corso delle indagini e rendendosi poi irreperibile, devono ritenersi realizzati i presupposti per la dichiarazione di assenza, tenuto conto altresì del fatto che, al momento dell’elezione di domicilio, l’imputato aveva acquisito la conoscenza della pendenza del procedimento e aveva mostrato, anzi, con la nomina fiduciaria, di essere pienamente al corrente del processo a suo carico, di talché la mancata comparizione doveva considerarsi frutto di una scelta consapevole e volontaria.
Orbene, a fronte della proposizione di siffatto ricorso e della sua assegnazione alla Sezione terza, se il difensore di ufficio, nominato dopo la rinuncia al mandato del difensore fiduciario, presentava conclusioni scritte con le quali chiedeva la conferma della sentenza impugnata, valorizzando in particolare quanto affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019), alla luce della inidoneità della sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio a costituire presupposto per la dichiarazione di assenza, osservando contestualmente che la sostanziale mancanza di reali contatti col difensore fiduciario, per come emergenti dalle ragioni della dismissione del mandato, non consentiva di ritenere effettiva l’instaurazione del rapporto professionale, e, dunque, certa la conoscenza del processo, dal canto suo, il Procuratore generale presso la Cassazione, con requisitoria scritta, ritenendo nel caso di specie sussistenti le condizioni per la dichiarazione di assenza, avendo l’imputato nominato un difensore di fiducia, chiedeva l’annullamento senza rinvio del provvedimento con restituzione degli atti all’ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova. Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
Cosa cambia nel processo penale
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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: il termine per l’impugnazione in Cassazione della sentenza di non doversi procedere
La Terza Sezione della Cassazione, come già osservato, assegnataria del ricorso suesposto, lo rimetteva all’esame delle Sezioni unite, avendo la questione sottoposta al suo esame dato luogo, nella giurisprudenza di legittimità, ad un contrasto interpretativo.
Nel dettaglio, codesta Sezione semplice osservava in via preliminare la presenza di orientamenti giurisprudenziali contrari alla ammissibilità del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere ex art. 420-quater cod. proc. pen. nel lasso temporale in cui la stessa sia ancora revocabile, corrispondente al periodo utile per proseguire le ricerche dell’irreperibile ai sensi del terzo comma della norma, trattandosi di quell’indirizzo espresso da due sentenze della Seconda Sezione penale, ovvero Sez. 2 n. 50426 del 26/10/2023, e Sez. 2, n. 11757 del 09/02/2024, a mente delle quali la pronuncia ex art. 420-quater cod. proc. pen., pur avendo la denominazione di sentenza, è destinata ad assumerne i caratteri solo al momento in cui, con lo spirare del termine di cui al terzo comma della norma, ne viene meno la revocabilità, con la conseguenza che, fino a quel momento, in applicazione del principio generale di tassatività dei mezzi di impugnazione, la stessa non è suscettibile di ricorso per Cassazione fermo restando che, sempre secondo tale indirizzo, il provvedimento – di natura sostanzialmente interlocutoria fino al momento della sua “non revocabilità” – difetta del carattere decisorio che rende operativa la garanzia costituzionale di cui all’art. 111, settimo comma, Cost..
Oltre a ciò, si evidenziava al contempo come un secondo indirizzo, sostenuto da Sez. 5, n. 20140 del 23/02/2024, ritenga invece la decisione immediatamente ricorribile per cassazione per violazione di legge, quantomeno in relazione alla determinazione della durata delle ricerche dell’imputato, in quanto, almeno per tale “segmento decisorio“, immediatamente idoneo ad incidere in via definitiva sulle situazioni giuridiche, opera la garanzia sancita dall’art. 111, settimo comma, Cost..
Ebbene, con l’ordinanza di rimessione in questione, valutandosi oltre tutto ammissibile l’immediato ricorso per Cassazione del provvedimento de quo, al pari di ogni altra “sentenza” inappellabile, secondo la disciplina delineata dall’art. 606, comma 2 cod. proc. pen., non stimando che la natura decisoria della pronuncia trovi un ostacolo nella sua possibile revocabilità, anche in considerazione della presenza, nell’ordinamento, di altre forme di sentenza “revocabile” suscettibili di immediata impugnazione, in guisa tale da reputare la soluzione di tale questione prodromica alla valutazione nel merito del ricorso, si procedeva a rimettere gli atti alle Sezioni unite, formulandosi il seguente quesito:
“Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, cod. pen.”.
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite, dopo avere individuato la questione sottoposta al suo vaglio giudiziale (delineata nei seguenti termini: “Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, cod. pen.”) e richiamati i contrapposti orientamenti nomofilattici formatisi in subiecta materia, consideravano come, per la soluzione del caso in esame, rilevasse, anzitutto, il tema dell’impugnabilità per cassazione delle sentenze processuali, connotate da un’incidenza solo sul rito, nel senso che non contengono alcuna valutazione sul merito della regiudicanda e sul fatto-reato che la costituisce.
In particolare, si evidenziava prima di tutto che, se, sotto la vigenza del cessato codice del 1930, la giurisprudenza si era pronunciata a favore della generale impugnabilità delle sentenze anche processuali (Sez. U, n. 2477 del 6/12/1991, e Sez. U, n. 1475 del 24/11/1984), dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di rito, tale principio è stato ribadito dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009) che, per superare l’orientamento che riteneva in contrasto con il principio di tassatività delle impugnazioni e con il disposto degli artt. 607 e 608 cod. proc. pen. l’ammissibilità del ricorso per Cassazione di una sentenza non inerente questioni di merito, ha ribadito la portata generale della garanzia di impugnabilità delle sentenze di cui all’art. 111, settimo comma, Cost., confermata indirettamente proprio dall’esplicita esclusione delle sentenze sulla competenza, altrimenti da ricomprendere tra quelle ricorribili, fermo restando che le medesime Sezioni unite hanno tra l’altro rilevato come la presenza, nel codice di rito, di una norma (segnatamente contenuta nell’art. 190, secondo comma, del codice del 1930, e nell’art. 568, comma 2, del codice del 1988) che riprende il principio costituzionale dell’art. 111, settimo comma, Cost., abbia inciso notevolmente sull’assetto dei rimedi impugnatori “attraverso un parziale rovesciamento della logica originaria che presiedeva all’impiego dei diversi mezzi di impugnazione, dal momento che veniva di fatto ad assumere un connotato di centralità, quale rimedio di generale applicazione, proprio il ricorso per cassazione, prefigurato, invece, dal codice abrogato, come strumento eccezionale rispetto all’appello”, oltre a richiamare, infine, un inciso di un’altra importante decisione della Corte costituzionale relativa all’errore percettivo nel giudizio di cassazione che espressamente sottolinea come: “il presidio costituzionale… testualmente rivolto ad assicurare il controllo sulla legalità del giudizio (a ciò riferendosi, infatti, l’espresso richiamo al paradigmatico vizio di violazione di legge) contrassegna il diritto a fruire del controllo di legittimità riservato alla Corte Suprema, cioè il diritto al processo in cassazione” (Corte cost., sent. n. 395 del 2000).
Ebbene, dopo avere proceduto ad un inquadramento in ordine a contenuto e natura della norma processuale all’origine del contrasto, ritenendosi ciò utile per la soluzione della questione controversa, i giudici di piazza Cavour ritenevano come dovesse essere privilegiata l’interpretazione che consente l’immediata ricorribilità per Cassazione della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato, in tal senso convergendo una serie di considerazioni, sia di ordine sistematico che di ordine logico – giuridico.
Nel dettaglio, la Suprema Corte, nell’enunciare le ragioni atte a farle aderire a codesta opzione interpretativa, notava prima di tutto come fosse necessario muovere da una riflessione di carattere generale, correlata al principio del controllo di legalità processuale esercitato – per Costituzione prima ancora che per regola ordinamentale e processuale – dalla Corte di Cassazione.
D’altronde, in questo senso, la sottrazione della sentenza ex art. 420 – quater cod. proc. pen., al controllo di legalità da parte dell’organo deputato all’esatta osservanza della legge, non pare avere alcuna effettiva giustificazione.
In effetti, per i giudici di legittimità ordinaria, pur trattandosi di pronuncia interlocutoria e suscettibile di revoca e pur avendo essa natura strumentale, in quanto inclusiva di una ulteriore vocatio in ius, l’adozione della “sentenza” in questione riposa anzitutto su una serie di valutazioni del giudice in merito all’esistenza dei presupposti che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria, fermo restando che tali presupposti, a loro volta, selezionano come rilevanti una serie di parametri legali relativi alla sussistenza dell’effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato e della conseguente volontarietà o meno della mancata comparizione, cui si connette una sicura attività decisoria, in ragione del fatto che il loro effettivo accertamento rende legittima o meno l’emissione della sentenza stessa.
Dunque, per la Corte di legittimità, non importa che il provvedimento finale abbia natura “precaria” e sia destinato alla eventuale caducazione: ciò che rileva è che la sua adozione possa trovare origine in violazioni di legge che, ove si escludesse l’immediata ricorribilità in Cassazione, risulterebbero incongruamente prive di formale rimedio, così dovrebbe anzitutto dirsi per la sentenza, fondata sul presupposto erroneo della mancata conoscenza del processo, emessa in relazione ad un reato imprescrittibile nel senso che, da un lato, non diventerebbe ex lege mai irrevocabile, e, dall’altro, ove si accogliesse il primo orientamento, resterebbe immutabile, sicché precludere l’intervento della Cassazione attraverso la sua immediata impugnabilità in sede di legittimità, sottraendole il controllo sulla corretta applicazione della legge, non sarebbe né giuridicamente né logicamente tollerabile, posto che il presunto autore di un reato imprescrittibile – dunque, potenziale destinatario di una pena perpetua – finirebbe per perdere la qualità di imputato per un tempo indefinito, in ragione di un errore giudiziale non emendabile.
Del resto, sempre ad avviso del Supremo Consesso, a conclusioni analoghe dovrebbe giungersi nell’ipotesi in cui la sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen. fosse emessa nei confronti dell’imputato già dichiarato latitante (come nel caso deciso da Sez. 2, del 24/11/2023, n. 2343), ipotesi per la quale è la stessa legge processuale a stabilire, invece, espressamente che si debba procedere in assenza (art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen.): ove non si ammettesse la immediata ricorribilità per Cassazione di tale sentenza, si legittimerebbe l’innesco della complessa procedura prevista dall’art. 420-quater, cod. proc. pen. fuori dai casi consentiti, così come a considerazioni simili, infine, varrebbero per il caso – non certo infrequente – dell’erroneo calcolo, nella sentenza in oggetto, del termine di prescrizione del reato: anche detto errore, tutt’altro che irrilevante – posto che dal tempo calcolato per la prescrizione del reato dipenderebbe anche quello della sospensione e, dunque, la stessa irrevocabilità della pronuncia – resterebbe irrazionalmente sottratto all’immediato sindacato giurisdizionale di legittimità.
D’altronde, per gli Ermellini, non può considerarsi ostativa alla ricorribilità per Cassazione nemmeno la natura “processuale” della sentenza emessa ai sensi dell’art. 420-quater, cod. proc. pen. visto che, pur trattandosi di pronuncia interlocutoria e suscettibile di eventuale revoca, la sentenza ha una sicura natura “decisoria”, in quanto è legata all’esercizio da parte del giudice di un indubbio potere valutativo volto ad affermare l’esistenza di presupposti che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria.
Sottrarla, dunque, al controllo di legalità da parte dell’organo deputato all’esatta osservanza della legge, per la Cassazione, non avrebbe alcuna effettiva giustificazione, tanto più se si considera che, già nella vigenza del codice di rito del 1930, in seguito all’entrata in vigore della Costituzione ed all’inserimento, ad opera della legge 18 giugno 1955, n. 517, di un secondo comma all’art. 190 che riprende il principio costituzionale dell’art. 111, settimo comma, Cost., la giurisprudenza si era pronunciata a favore della generale impugnabilità delle sentenze, anche processuali, militando a tal proposito le Sez. U, nella sentenza n. 1475 del 24/11/1984, le quali, risolvendo un contrasto sul punto, aveva affermato che il provvedimento del giudice di appello di restituzione degli atti al pubblico ministero per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (previsto dal combinato disposto degli artt. 477, 519 del codice di rito del 1930), “avendo natura composta di sentenza e di ordinanza”, doveva ritenersi soggetto a ricorso per Cassazione, in virtù della regola generale fissata dall’art. 111 Cost. e 190, secondo comma, del codice di procedura del 1930.
Per di più, il principio della generale ricorribilità in Cassazione di tutte le sentenze, anche non relative al merito, non altrimenti impugnabili, era stato poi ribadito, sempre con riferimento ad istituti del codice abrogato, da Sez. U, n. 2477 del 6/12/1991, il cui insegnamento, in relazione agli istituti del nuovo codice (in particolare la sentenza di annullamento di cui all’art. 604, comma 4, cod. proc. pen.), veniva poi confermato da Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, che riteneva ammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d’appello dichiara la nullità di quella di primo grado, rinviando gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio, specie se si osserva che, per superare l’orientamento che riteneva in contrasto con il principio di tassatività delle impugnazioni e con il disposto degli artt. 607 e 608 cod. proc. pen. l’ammissibilità del ricorso per cassazione di una sentenza non inerente questioni di merito, le Sezioni Unite ribadivano la portata generale della garanzia dì impugnabilità delle sentenze di cui all’art. 111, settimo comma, Cost., confermata indirettamente proprio dall’esplicita esclusione delle sentenze sulla competenza, altrimenti da ricomprendere tra quelle ricorribili per Cassazione, e sottolineavano il connotato di centralità, quale rimedio di generale applicazione, assunto dal ricorso per cassazione, prefigurato, invece, dal codice abrogato, come strumento eccezionale rispetto all’appello.
Di conseguenza, alla luce di siffatte considerazioni di ordine giurisprudenziale, per le Sezioni unite, non sono allora condivisibili le argomentazioni svolte dal primo orientamento tendente ad escludere l’immediata ricorribilità della sentenza in esame, essenzialmente fondate sulla sua precarietà e sulla sua natura “interlocutoria” (o, il che è lo stesso, asseritamente “non decisoria”), alla luce delle considerazioni dianzi espresse, tanto più considerando che il rimedio evocato per emendare il provvedimento che si fondi su erronei presupposti, ovvero la revoca della sentenza, finisce per risultare, e ben vedere, esteso al di fuori delle strette ipotesi di legge posto che ferma l’inappellabilità ex lege e la non ricorribilità della sentenza in questione per la inapplicabilità dell’art. 111, settimo comma, Cost., il rimedio sarebbe, secondo tale indirizzo, costituito, anche per il caso che l’imputato sia stato ab origine a conoscenza della pendenza del processo, dalla revoca della sentenza, ipotesi, questa, tuttavia ordinariamente contemplata non già per emendare patologie processuali della pronuncia, quanto, unicamente, per (re)instaurare il rapporto processuale nell’ipotesi di fisico reperimento dell’imputato, secondo l’unica sequenza procedimentale legittimamente individuata dall’art. 420-sexies, cod. proc. pen. dal momento che la disciplina de qua prevede espressamente un “unico fatto” cui consegue l’obbligo per il giudice di revocare con decreto la sentenza, vale a dire il rintraccio dell’imputato con notifica a mani della sentenza contenente la vocatio in iudicium, e con relata di notifica che documenti la “comunicazione” della pendenza del processo.
Operando quindi come una sorta di “condizione”, il rintraccio induce alla riapertura del processo: alla ricezione del processo verbale, il giudice è tenuto a revocare la sentenza e a riavviare il processo, nuovamente verificando la regolare costituzione delle parti, trattandosi di una revoca automatica, consentita solo fino alla data indicata come conclusiva delle ricerche, corrispondente al doppio del termine prescrizionale ex art. 157 cod. pen., calcolato a partire proprio dalla pronuncia della sentenza e parametrato sul reato più grave.
Di qui, dunque, per la Corte, la constatazione che l’orientamento qui disatteso finirebbe, negando la ricorribilità del provvedimento e in assenza, come appena visto, di ogni altro praticabile rimedio, per vanificare la ragione stessa dello strumento impugnatorio, ovvero l’esigenza, insita nel sistema, di confutare l’illegittima applicazione della norma da cui derivino le conseguenze appena sopra considerate.
Ad opinione delle Sezioni unite, per di più, a favore della immediata impugnabilità della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen., vi è da considerare come, nel nostro sistema processuale, siano presenti numerose ipotesi in cui la ricorribilità in Cassazione è stata espressamente prevista dal legislatore, nell’intento di fornire uno strumento immediato alle parti onde ottenere una verifica di legittimità su provvedimenti che, pur non avendo natura decisoria, incidono significativamente sullo svolgimento dell’attività processuale.
In particolare, si pensi all’immediata ricorribilità per cassazione di talune ordinanze di sospensione del giudizio (artt. 71, comma 3; 464-quater, comma 7; 479, comma 2, cod. proc. pen.), in un’ottica di tutela dell’interesse delle parti, in special modo della parte pubblica, alla regolare ed immediata prosecuzione del processo e della sua ragionevole durata, o anche al fine di garantire un immediato controllo nei confronti di provvedimenti che anticipano una definizione alternativa rispetto a quella perseguita.
Più nel dettaglio, quest’ultimo obiettivo è da ritenere a fondamento della ricorribilità immediata in cassazione dell’ordinanza di sospensione per messa alla prova di cui all’art. 464-quater cod. proc. pen.: qualora il giudice ritenga idoneo il programma di trattamento presentato con la richiesta di messa alla prova, fatto salvo il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., dispone la sospensione del processo con ordinanza, fermo restando che questa ha natura interlocutoria in quanto destinata a risolversi in una sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova ovvero, in caso di esito negativo, con la prosecuzione del processo e la sua ordinaria definizione (art. 464-septies cod. proc. pen.), così come la mancata ammissione dell’imputato (o indagato) alla messa alla prova è parimenti espressa in un’ordinanza di rigetto, ovvero di prosecuzione del processo, se iniziato.
Lo scopo, dunque, per il Supremo Consesso, è quello di ottenere un controllo immediato di legittimità su decisioni giudiziarie “irragionevolmente” dilatorie, in tal modo sottendendosi, ancora, la possibilità di ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza di sospensione del processo prevista dagli artt. 3, comma 2 e 479, comma 2, cod. proc. pen..
Ad ogni modo, in entrambi i casi, in deroga al principio dell’autosufficienza della giurisdizione penale di cui all’art. 2 cod. proc. pen., il giudice ha la facoltà di assumere la decisione di sospendere il processo per rapporto di pregiudizialità con una decisione relativa allo stato di cittadinanza o di famiglia in corso di valutazione in un processo civile o amministrativo, ovvero per attendere la risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, da cui “dipenda” la configurabilità della fattispecie di reato oggetto della contestazione, essendo evidente l’esigenza di consentire un controllo immediato su decisioni connotate da un rilevante grado di discrezionalità (sulla “serietà” della questione, sulla pregiudizialità, sulla “dipendenza” della questione civile o amministrativa sulla sussistenza del reato), suscettibili di procrastinare o anche impedire l’accertamento del fatto e che comunque hanno effetti indiretti, ma evidenti, sull’oggetto del giudizio.
Oltre a ciò, è da ritenere, poi, ragione fondante della immediata impugnabilità per Cassazione dell’ordinanza di sospensione del processo prevista dall’art. 71, comma 3, cod. proc. pen. l’esigenza di evitare inutili stasi processuali dal momento che, se l’ordinanza in esame segue ad una valutazione giudiziale, fondata su perizia o anche su altri elementi significativi, in merito alla incapacità dell’imputato, per infermità mentale sopravvenuta, di partecipare coscientemente al processo, ed alla possibile reversibilità di tale stato patologico, a loro volta, i controlli vengono ripetuti ogni semestre e, salvo il proscioglimento nel merito o in rito con sentenza, non appena risulti che lo stato mentale dell’imputato ne consente la cosciente partecipazione al procedimento, l’ordinanza è revocata e il processo riprende.
In particolare, secondo quanto postulato dalla Sez. 1, nella decisione n. 29936 del 08/07/2010, è da doversi escludere che l’ordinanza di revoca sia autonomamente impugnabile giustificando significativamente in motivazione la differenza con la prevista impugnabilità dell’ordinanza di sospensione, proprio richiamando la ratio che la sottende: “L’aporia è presto risolta, sol che si consideri che, mentre l’ordinanza che dispone la sospensione, determinando una stasi del procedimento che non può più progredire verso il suo naturale epilogo rappresentato dalla sentenza, abbisogna, come rimedio contro gli eventuali errori, della specifica previsione di un apposito mezzo di impugnazione, l’ordinanza che dispone la revoca della sospensione, permettendo invece al processo di riprendere il suo corso verso la celebrazione del giudizio e la pronuncia della sentenza, sarà impugnabile, a norma dell’art. 586 c.p.p., comma 1, con l’impugnazione differita contro la sentenza.”
Ciò posto, le Sezioni unite osservano infime come il ricorso per Cassazione sia ammesso anche avverso l’ordinanza, prevista dall’art. 721 cod. proc. pen., così come modificato dal D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, di sospensione del processo nel caso di operatività del principio di specialità nell’estradizione anche in ambito processuale, ove previsto nei rapporti convenzionali con lo Stato di consegna essendo prevista, ai sensi del terzo comma, l’impugnabilità del provvedimento per cassazione da parte del pubblico ministero, dell’imputato e del suo difensore, non limitata ai motivi di legittimità.
Conclusivamente, al pari dei provvedimenti giurisdizionali citati, per i quali la giurisprudenza della Cassazione ha ammesso la generale ricorribilità per Cassazione in un’ottica di tutela dell’interesse delle parti alla regolare ed immediata prosecuzione del processo e della sua ragionevole durata (o anche al fine di garantire un immediato controllo nei confronti di provvedimenti che anticipano una definizione alternativa rispetto a quella perseguita), ad avviso delle Sezioni unite, deve dunque riconoscersi l’immediata ricorribilità della sentenza ex art. 420-quater, cod. proc. pen..
Chiarito ciò, per gli Ermellini, a questo punto della disamina, una volta ammessa per l’appunto la ricorribilità per Cassazione della sentenza emessa ai sensi dell’art. 420-quater, cod. proc. pen., si ritenevano poi che non sussistessero ragioni per non consentire detta ricorribilità per tutte le ipotesi contemplate dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. visto che la lettura estensiva offerta sul punto dall’ordinanza di rimessione – alla luce delle considerazioni già espresse circa la necessità di non sottrarre al controllo di legittimità la valutazione, frutto dell’accertamento giudiziale, dei presupposti giuridici e di fatto (in particolare, l’accertamento “di merito” della non conoscenza della pendenza del processo in capo all’imputato) che consentono l’adozione della pronuncia ex art. 420-quater, cod. proc. pen. – era reputata (dalle medesime Sezioni unite) condivisibile, ove siffatta “condivisibilità” viene fatta discendere da considerazioni di ordine sistematico – ossia l’espressa qualificazione della sentenza come inappellabile, ciò che rende di immediata applicazione l’art. 606, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente estensione dell’impugnazione di legittimità anche a tutti i restanti motivi individuati dal comma 1 dell’art. 606, cod. proc. pen., diversi dalla mera violazione di legge – nonché dalla considerazione ulteriore per la quale, soprattutto con riferimento all’accertamento “di merito” della non conoscenza della pendenza del processo in capo all’imputato, la relativa valutazione giudiziale implica inevitabilmente l’estensione del sindacato anche a vizi diversi da quello di violazione di legge, e in particolare al vizio di motivazione atteso che la sentenza resa ai sensi dell’art. 420-quater, cod. proc. pen., pur se revocabile e destinata a “consolidarsi” solo dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, cod. pen., si fonda sulla dimostrazione e sul controllo di una serie di elementi, storici e processuali, la cui corretta sussistenza costituisce, come visto, presupposto per l’emissione del provvedimento stesso.
L’estensione del sindacato di legittimità a tutti i motivi elencati dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. è dunque, per il Supremo Consesso una conseguenza necessaria di quanto in precedenza illustrato nel senso che, se la ragione del ricorso è di offrire alle parti processuali la possibilità di evidenziare che il giudice ha erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per la pronuncia della sentenza ex art. 420-quater, cod. proc. pen., il rimedio sarebbe evidentemente incompleto ove venisse limitato alla sola violazione di legge e da qui, dunque, la legittimazione della tesi dell’estensione dei casi di ricorso a tutte le ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 606, cod. proc. pen..
Le Sezioni Unite, inoltre, ritenevano che, una volta raggiunta tale conclusione, nell’ambito di un necessario, compiuto, esame sistematico della questione devoluta, deve valutarsi il profilo soggettivo della impugnabilità per Cassazione del provvedimento non solo, come nella specie, ad opera del pubblico ministero, il cui interesse concreto si sostanzia ictu oculi nella rimozione di un “impedimento” alla prosecuzione del giudizio nel merito, ma anche delle altre parti del processo, anch’esse in via generale legittimate, come la parte pubblica, ad impugnare, anche secondo i postulati, tracciati dalle Sez. U, nella sentenza n. 29529 del 25/06/2009, la sentenza inappellabile a norma degli artt. 568, comma 2, e 606, comma 2, cod. proc. pen., oltre che, con riferimento specifico all’imputato, a norma dell’art. 607 comma 1, cod. proc. pen.
Orbene, in ordine a tale punto, il Collegio stimava che non possano sussistere preclusioni di sorta né per la parte civile, né per l’imputato.
In effetti, dell’interesse alla rimozione della sentenza ex art. 420-quater, cod. proc. pen., erroneamente pronunciata al di fuori delle condizioni di legge, è anzitutto portatrice la parte civile al fine di ottenere una celere celebrazione del processo a carico dell’imputato, che, seppure ai soli effetti civili, ne affermi la responsabilità, rimuovendo la situazione di stasi procedurale altrimenti non eliminabile, così come la necessità di tutela degli interessi della persona offesa, costituitasi parte civile, giustifica – come evidente in special modo per i reati di maggiore impatto sociale per i quali la “cristallizzazione” della sentenza può non verificarsi affatto ovvero verificarsi in un momento irragionevolmente lungo – l’attribuzione alla stessa del potere di sollecitare un immediato controllo sulla valutazione del giudice in merito ai presupposti della mancata dichiarazione di assenza e all’indicazione del termine finale di prosecuzione delle ricerche.
Una diversa conclusione pregiudicherebbe, del resto, per la Corte, il diritto delle vittime ad ottenere un processo per l’accertamento dei fatti, che la normativa sovranazionale riconosce in relazione ai reati più gravi, facendosi presente a tal proposito che, con riferimento alla persona offesa, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che l’art. 6 par. 1 CEDU impone agli Stati di organizzare i loro sistemi in modo da assicurare le garanzie ivi previste, e ha sottolineato l’importanza dell’amministrazione della giustizia in un tempo ragionevole, onde non pregiudicarne l’effettività e la credibilità (si veda in particolare, Corte EDU 18/03/2021, Petrella c. Italia) mentre la Corte costituzionale (da ultimo, in particolare, con la sentenza n. 192 del 2023), a sua volta, ha richiamato, con riguardo ai presupposti per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis, cod. proc. pen., la tutela costituzionale della dignità delle vittime a non vedersi irragionevolmente precluso il diritto all’accertamento giudiziale.
In secondo luogo, non possono sussistere preclusioni neppure per l’imputato, portatore dell’interesse non solo a vedere emendati eventuali errori del giudice nella determinazione in suo pregiudizio del tempo necessario a prescrivere ex art. 420-quater, comma 6, cod. proc. pen., ma anche, e soprattutto, ad ottenere una sentenza di proscioglimento nel merito e non meramente processuale che ne riconosca formalmente l’innocenza, fino a tale momento solo presunta, non potendo pertanto, per gli Ermellini, reputarsi condivisibile quanto affermato dalla già citata Sez. 2, nella pronuncia n. 11109 del 17/01/2024, secondo cui l’imputato non avrebbe “un interesse ad impugnare che si connoti come pratico, concreto e attuale” a contrastare immediatamente l’erronea qualificazione di “irreperibile” quale presupposto della sentenza resa ex art. 420-quater cod. proc. pen., né quanto sostenuto da Sez. 5, nella sentenza n. 42643 del 19/09/2023, che ha escluso la sussistenza dell’interesse ad impugnare del coimputato del soggetto nei confronti del quale sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere poiché il diritto al giusto processo di cui l’imputato è titolare include in ogni caso la prospettiva che esso sia celebrato senza ingiustificate dilazioni, stante, diversamente, la eventuale quiescenza dello stesso sino alla possibile maturazione dei termini di prescrizione, impeditiva dell’esclusione nel merito della colpevolezza.
Oltre a ciò, era altresì notato che quanto appena esposto “supera” anche le osservazioni della difesa dell’imputato, la quale – muovendo da una prospettiva di ritenuta non ricorribilità, allo stato attuale delle norme, della sentenza da parte dell’imputato, e della ricorribilità, invece, ad opera del pubblico ministero – , ne ha tratto la conclusione che riconoscere solo a quest’ultimo il potere di impugnazione si tradurrebbe in un’evidente e ingiustificabile disparità di trattamento tra accusa e difesa, sicché, nella specie, il ricorso del pubblico ministero andrebbe dichiarato inammissibile visto che deve essere disatteso, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, il ragionamento secondo cui la mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato comporterebbe automaticamente l’impossibilità per lo stesso di conferire lo specifico mandato ad impugnare tale sentenza (richiamandosi a sostegno il disposto dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen.), oltre che l’impossibilità di resistere con piena coscienza nel giudizio incardinato, in seguito al ricorso promosso dal pubblico ministero, con inevitabile compromissione del diritto di difesa, dovendosi a tal proposito rilevare che, se la previsione dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. (che, nella originaria versione richiedeva sempre, a pena d’inammissibilità dell’impugnazione, il deposito di uno “specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”), non impone più, a far data dal 25 agosto 2024, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, al difensore di fiducia dell’imputato assente un tale obbligo di deposito, avendo il legislatore circoscritto (e mantenuto) lo stesso alla sola ipotesi di difesa d’ufficio, ossia quella in cui il rapporto tra imputato e difensore è, verosimilmente, più labile, ciò posto, tuttavia, anche con riguardo all’ipotesi del difensore di ufficio, non sussiste il paventato trattamento discriminante derivante dal fatto che, in tal caso, l’imputato non potrebbe impugnare per cassazione il provvedimento, a differenza del pubblico ministero dal momento che, nella vigenza dell’attuale sistema processuale, l’art. 581, comma 1 – quater cod. proc. pen. nel riferirsi allo “imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza”, intende richiamare un concetto di assenza in senso “formale”, ossia una dichiarazione di assenza conseguente ad una delle ipotesi normativamente indicate dall’art. 420-bis cod. proc. pen. che hanno tutte, quale presupposto positivo, l’effettiva conoscenza della pendenza del processo e il fatto che la “assenza” all’udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole.
Se cosi è, dunque, la circostanza che il novellato art. 581, comma 1 – quater, cod. proc. pen. richieda oggi, nella sola ipotesi dell’imputato “rispetto al quale si è proceduto in assenza” (dichiarata, s’intende, a norma dell’art. 420-bis cod. proc. pen.), l’obbligo di depositare, a pena d’inammissibilità, se difeso da un difensore d’ufficio, l’atto di impugnazione unitamente allo specifico mandato ad impugnare “rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”, non preclude allo stesso difensore la presentazione dell’impugnazione della sentenza resa ai sensi dell’art. 420-quater, cod. proc. pen. trattandosi, infatti, di sentenza pronunciata proprio in difetto della condizione necessaria per pervenire a tale epilogo, ovverossia la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato.
Conclusivamente, per la Suprema Corte, si deve riconoscere a tutte le parti processuali il diritto ad interloquire e sollecitare il controllo di legittimità su di un provvedimento, qual è la sentenza emessa ai sensi dell’art. 420-quater, cod. proc. pen. che “chiude” il processo, definito in assenza dei relativi presupposti posto che la funzione di controllo sulla legalità del processo svolta dalla Corte di Cassazione comporta il riconoscimento di un suo potere di intervento tutte le volte in cui siano in gioco una possibile violazione di legge (o un vizio di motivazione rilevante ex art. 606, cod. proc. pen.), su iniziativa della parte pubblica o privata.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, componeva il contrasto giurisprudenza succitato, attraverso la formulazione del seguente principio di diritto: “La sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. può essere impugnata da tutte le parti con ricorso per cassazione, proponibile per tutti i motivi di cui all’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., anche prima della scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, cod. pen.”.
4. Conclusioni
Le Sezioni unite, con la sentenza qui in commento, ha affrontato la suddetta questione: “Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. (cioè: la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato ndr.) possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, cod. pen.” che, come è noto, prevede quanto segue: “Quando è pronunciata la sentenza di cui all’articolo 420-quater del codice di procedura penale il corso della prescrizione rimane sospeso sino al momento in cui è rintracciata la persona nei cui confronti è stata pronunciata, ma in ogni caso non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione di cui all’articolo 157” cod. pen..
Ebbene, con motivazione articolata e congruamente motivata, le suddette Sezioni hanno dato risposta positiva a siffatto quesito.
Tal che ne consegue che, per effetto di questo arresto giurisprudenziale, non ci saranno più problemi interpretativi su tale questione, essendo adesso possibile, per ciascuna parte processuale e per qualsivoglia motivo tra quelli previsti dall’art. 606, co. 1, cod. proc. pen.[1], ricorrere per Cassazione avverso la sentenza emessa a norma dell’art. 420-quater cod. proc. pen.[2] anche prima che questo “rintraccio” sia stato compiuto.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, poiché fa chiarezza su questa tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
Note
da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri; b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale; c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza; d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2; e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.
[2] Ai sensi del quale: “1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 420-bis e 420-ter, se l’imputato non è presente, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato. 2. La sentenza contiene: a) l’intestazione “in nome del popolo italiano” e l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata; b) le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private; c) l’imputazione; d) l’indicazione dell’esito delle notifiche e delle ricerche effettuate; e) l’indicazione della data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare la persona nei cui confronti la sentenza è emessa; f) il dispositivo, con l’indicazione degli articoli di legge applicati; g) la data e la sottoscrizione del giudice. 3. Con la sentenza il giudice dispone che, fino a quando per tutti i reati oggetto di imputazione non sia superato il termine previsto dall’articolo 159, ultimo comma, del codice penale, la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza sia ricercata dalla polizia giudiziaria e, nel caso in cui sia rintracciata, le sia personalmente notificata la sentenza. 4. La sentenza contiene altresì: a) l’avvertimento alla persona rintracciata che il processo a suo carico sarà riaperto davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza; b) quando la persona non è destinataria di un provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia in carcere per i fatti per cui si procede, l’avviso che l’udienza per la prosecuzione del processo è fissata: 1) il primo giorno non festivo del successivo mese di ottobre, se la persona è stata rintracciata nel primo semestre dell’anno; 2) il primo giorno non festivo del mese di marzo dell’anno successivo, se la persona è stata rintracciata nel secondo semestre dell’anno; c) l’indicazione del luogo in cui l’udienza si terrà; d) l’avviso che, qualora la persona rintracciata non compaia e non ricorra alcuno dei casi di cui all’articolo 420-ter, si procederà in sua assenza e sarà rappresentata in udienza dal difensore. 5. Alla sentenza si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 546. 6. Decorso il termine di cui al comma 3 senza che la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza sia stata rintracciata, la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo non può più essere revocata. 7. In deroga a quanto disposto dall’articolo 300, le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere perdono efficacia solo quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6. In deroga a quanto disposto dagli articoli 262, 317 e 323, gli effetti dei provvedimenti che hanno disposto il sequestro probatorio, il sequestro conservativo e il sequestro preventivo permangono fino a quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6”.
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