Illegittimità costituzionale art. 37, primo periodo, l.161/2017

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161: vediamo come
(Riferimento normativo: l., 17/10/2017, n. 161, art. 37)

Corte costituzionale -sentenza n.18 del 10-01-2023)

Indice

1. Il caso

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, aveva dichiarato inammissibile per tardività la domanda di tutela del credito ipotecario inciso da una misura di confisca penale cosiddetta allargata ex art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1992, n. 356 (disposizione applicabile ratione temporis nella fattispecie concreta), proposta da un istituto di credito, in data 8 maggio 2018, ai sensi dell’art. 1, commi 198 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)».
In particolare, il GIP felsineo aveva ritenuto che dovesse trovare applicazione l’art. 1, comma 205, della stessa legge n. 228 del 2012, laddove individua il dies a quo della decorrenza del termine di decadenza di centottanta giorni per la proposizione della domanda di tutela in quello della definitività della confisca e, quindi, della conoscenza legale di essa da parte del creditore, termine ormai inutilmente spirato poiché il creditore aveva avuto contezza del provvedimento, soltanto una volta decorso siffatto lasso temporale.
Orbene, a fronte di tale pronuncia di inammissibilità, proponevano ricorso per cassazione il creditore e il procuratore speciale del successivo cessionario del credito, chiedendone l’annullamento, in primis (e in via principale), per la valenza innovativa con efficacia ex nunc e non già di interpretazione autentica dell’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017 e, in secondo luogo, in quanto la data di conoscenza effettiva del provvedimento di confisca sarebbe stata in realtà successiva a quella del 6 luglio del 2017, in modo da rendere comunque tempestiva la domanda proposta, anche a voler ritenere applicabile l’art. 1, comma 205, della legge n. 228 del 2012.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

La Corte di Cassazione, sezione prima penale, investita dal  ricorso summenzionato, a sua volta, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), che prevede che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 194 a 206, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, all’esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale prima del 13 ottobre 2011».
Nel dettaglio, in punto di rilevanza, la Corte rimettente evidenziava come il predetto GIP avesse correttamente individuato la portata retroattiva della disposizione recata dall’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017, che deriva comunque dall’essere la stessa espressamente qualificata come di interpretazione autentica.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo sottolineava, poi, che tale disposizione sarebbe in realtà, al di là della sua qualificazione testuale, una norma «falsamente interpretativa», perché avrebbe invece un contenuto innovativo, comunque con efficacia retroattiva, sicché il termine di decadenza per proporre domanda di ammissione del credito al giudice dell’esecuzione presso il Tribunale che ha disposto la confisca potrebbe avere – e in effetti ha avuto nel giudizio principale – un inizio della decorrenza retrodatata rispetto alla data di entrata in vigore di tale disposizione (19 novembre 2017) con conseguente violazione sia dell’art. 3 Cost. sia dell’art. 24, primo comma, Cost..

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3. La soluzione adottata dalla Consulta

La Corte costituzionale – dopo avere affrontato talune questioni di ordine preliminare e compiuto una disamina della disciplina della confisca penale allargata e di quella di prevenzione quanto alla tutela dei diritti di credito di terzi che intendano far valere la responsabilità patrimoniale del debitore, già proprietario del (o titolare di altro diritto reale sul) bene confiscato – riteneva come le sollevate questioni di legittimità costituzionale fossero fondate con riferimento a entrambi i parametri di cui agli artt. 3 e 24, primo comma, Cost..
Nell’addivenire a siffatta conclusione, il giudice delle leggi riteneva necessario prima di tutto muovere dal presupposto secondo cui la disposizione censurata (art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017), qualificata come di interpretazione autentica, reca in realtà – quanto alla disciplina del termine di decadenza in esame (sopra, punto 3) – una norma che non è genuinamente tale, bensì è innovativa con carattere retroattivo; profilo questo che nella fattispecie si rivelava decisivo al fine, poi, della fondatezza delle questioni, ribadendosi, in generale, che «una disposizione può qualificarsi di interpretazione autentica quando opera la selezione di uno dei plausibili significati di una precedente disposizione, quella interpretata, la quale sia originariamente connotata da un certo tasso di polisemia e, quindi, sia suscettibile di esprimere più significati secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge. In tal senso, la disposizione interpretativa si limita ad estrarre una delle possibili varianti di senso dal testo della disposizione interpretata e la norma, che risulta dalla saldatura tra le due disposizioni, assume tale significato sin dall’origine, dando luogo ad una retroattività che, nella logica del sintagma unitario, è solo apparente» (sentenza n. 104 del 2022).
Se ciò che rileva, a tal fine, dunque, per la Corte, è che la scelta imposta dalla legge con la disposizione interpretativa rientri nell’ambito delle possibili varianti di senso del testo originario, ossia che venga reso vincolante un significato che, secondo gli ordinari canoni dell’interpretazione della legge, sarebbe stato riconducibile alla disposizione precedente (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 167 e n. 15 del 2018, n. 73 del 2017 e n. 525 del 2000), in realtà, sempre a suo avviso, la disposizione censurata non è genuinamente interpretativa per almeno due concorrenti ragioni.
Innanzi tutto, si osservava come la disposizione interpretata (l’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012) si riferisse esclusivamente alla confisca di prevenzione e non già a quella penale allargata; e quindi, rendendo applicabile anche a quest’ultima la disciplina già dettata per la prima, il censurato art. 37, primo periodo, non l’ha “interpretata”, ma ne ha esteso l’operatività ampliandone la portata applicativa e quindi l’ha innovata, seppur con effetto retroattivo, mentre, per la confisca penale allargata, dal canto suo, la stessa legge n. 228 del 2012 prevedeva una diversa e distinta disposizione, non richiamata da quella interpretativa: l’art. 1, comma 190, che, novellando proprio l’art. 12-sexies citato, stabiliva che le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal codice antimafia si applicavano anche ai casi di sequestro e confisca di cui ai commi da 1 a 4 della medesima disposizione.
Quindi, ravvisavano a loro avviso i giudici di legittimità costituzionale, era presente, nella legge n. 228 del 2012, la distinzione tra le confische di prevenzione – seppure non tutte, ma solo quelle relative a procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del codice antimafia (13 ottobre 2011), fosse già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione – e le confische penali allargate (queste sì tutte perché senza distinzione diacronica).
In particolare, per le prime, la legge n. 228 del 2012 dettava una disciplina speciale (ai commi da 194 a 206 dell’art. 1), simile ma non identica a quella posta dal codice antimafia mentre, per le altre, la medesima legge (al comma 190 dell’art. 1) rendeva invece applicabili le disposizioni del codice antimafia, ma limitatamente alla «materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati», rilevandosi al contempo che semmai un dubbio interpretativo concerneva la portata di quest’ultimo riferimento alla «materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati», contenuta nel Titolo III del Libro I del codice antimafia, essendo controvertibile se tale richiamo fosse da leggere come comprendente, o no, anche le disposizioni contenute nel successivo Titolo IV, concernenti la tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali e se operasse anche la disciplina transitoria di cui all’art. 117 del medesimo codice.
Invero, prima del 2017 – stante il già menzionato richiamo contenuto nel comma 190 dell’art. 1 di quest’ultima legge (n. 228 del 2012) – si sarebbe potuto ipotizzare (come parte della giurisprudenza ha ritenuto: Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 20 maggio-19 giugno 2014, n. 26527) l’applicabilità di altri termini, quelli previsti per le confische di prevenzione a regime, contemplati dall’art. 57, comma 2, cod. antimafia (ossia quello non superiore a sessanta giorni assegnato dal giudice delegato per la presentazione delle istanze di accertamento del credito) e dal successivo art. 58, comma 5 (che all’epoca era di un anno dalla definitività del provvedimento di confisca) ma, per la Corte costituzionale, questi termini non vengono in rilievo perché la scelta del legislatore del 2017 è stata diversa: rendere applicabile, nella fattispecie, il procedimento di cui all’art 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 e non già quello di cui agli artt. 52 e seguenti cod. antimafia, trattandosi comunque di una disposizione diversa da quella che, secondo la qualificazione formale, è stata invece interpretata autenticamente dall’art. 37 censurato, tenuto conto altresì del fatto che siffatto dubbio è stato, poi, superato dall’art. 31 della legge n. 161 del 2017 che, sostituendo il comma 4-bis dell’art. 12-sexies citato, nel confermare che alla confisca allargata si applicano le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, ha aggiunto ad esse – ma non con disposizione qualificata di interpretazione autentica – altresì quelle, prima non espressamente previste, «in materia di tutela dei terzi» del codice antimafia, così rendendo ora applicabili anche le disposizioni del Titolo IV del Libro I del codice.
Inoltre, vi era che la disposizione (formalmente) interpretata, riguardante – come appena rilevato – le confische di prevenzione più risalenti nel tempo (e non già quelle penali), aveva una finalità, per la Corte, ben precisa perché andava a colmare una lacuna presente nel codice antimafia, per essere questo applicabile solo ai procedimenti nei quali, alla data della sua entrata in vigore, non fosse già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione atteso che il comma 194 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 prevedeva espressamente – e prevede tuttora – che la disciplina di seguito introdotta ai commi successivi riguardasse gli “altri” procedimenti di prevenzione, ossia quelli più risalenti ai quali non si applicava la disciplina dettata dal Libro I del codice antimafia sulle misure di prevenzione.
Orbene, per la Consulta, questa differenziazione diacronica (procedimenti di prevenzione “nuovi” versus procedimenti di prevenzione più risalenti) non era invece ravvisabile quanto alle confische penali allargate per le quali tutte il comma 190 dell’art. 1 citato – come appena ricordato – non operava alcuna distinzione.
Invece, solo successivamente, proprio con la disposizione censurata (art. 37 della legge n. 161 del 2017) è stato introdotto ex novo – e in modo «imprevedibile» (come sottolinea l’ordinanza di rimessione) – un distinto e diverso (come tale, nuovo) discrimine temporale, anche per le confische penali allargate, considerando il momento in cui la notizia del reato presupposto è stata iscritta nel registro degli indagati, se prima o dopo l’entrata in vigore del codice antimafia, in modo da distinguere tra le confische penali più risalenti e quelle “nuove”.
Sulla base di tale criterio distintivo si ha quindi che, se tale momento è anteriore al codice antimafia si applica l’art. 37 (ossia la stessa disciplina prevista, come regolamentazione transitoria e ad esaurimento, per le confische di prevenzione più risalenti) mentre, se è successivo, si applica l’art. 31 (ossia il codice antimafia, come per le confische di prevenzione a regime), così realizzandosi un pieno parallelismo.
Ciò posto, a sua volta l’introduzione, solo con la legge n. 161 del 2017, di tale discrimine temporale di nuovo conio conferma, per il giudice delle leggi, il carattere innovativo della censurata disposizione, formalmente di interpretazione autentica.
In sintesi, da una parte, la disposizione interpretata era stata dettata, nella legge n. 228 del 2012, esclusivamente per le confische di prevenzione e non anche per quelle penali allargate, sicché l’estensione a queste ultime ha portata innovativa, d’altra parte, la disposizione interpretata conteneva, per le confische di prevenzione, un discrimine temporale con riferimento alla data della proposta di applicazione della misura, del tutto sconosciuto (e neppure ipotizzabile quanto) alle confische penali allargate, per le quali invece un distinto e diverso discrimine, parimenti temporale, sarà introdotto (ex novo) solo dalla disposizione interpretativa censurata.
Da ciò se ne faceva conseguire, per l’una e l’altra ragione, come la disposizione censurata esibisse un chiaro contenuto innovativo e non potesse ritenersi, al di là della sua qualificazione, che fosse genuinamente di interpretazione autentica, trattandosi, invece, di una disposizione innovativa, pur con portata retroattiva, applicandosi a partire dalla data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012 (1° gennaio 2013).
Tal che se ne faceva ulteriormente discendere che il termine di decadenza di centottanta giorni, decorrente dal momento in cui la confisca diviene definitiva, entro cui proporre domanda di ammissione del credito al pagamento – termine già previsto per le confische di prevenzione – viene introdotto per le confische penali allargate solo dall’art. 37 della legge n. 161 del 2017 e quindi dall’entrata in vigore di quest’ultima (19 novembre 2017); ma viene introdotto con efficacia retroattiva risalente alla data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012 (ossia dal 1° gennaio 2013), sicché, prima del 19 novembre 2017, il creditore non poteva immaginare di avere, per proporre domanda di ammissione del credito, un termine di decadenza di centottanta giorni, decorrente dal momento in cui la confisca (penale allargata) era divenuta definitiva; termine appunto introdotto, con efficacia retroattiva, solo dalla disposizione censurata.
Chiarita la portata innovativa, e non già di interpretazione autentica, della disposizione censurata, la prevista efficacia retroattiva di quest’ultima, nella parte in cui ha introdotto il termine di decadenza di centottanta giorni, di cui ai commi 199 e 205 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, a decorrere dalla data di entrata in vigore della disposizione interpretata (1° gennaio 2013), per la Corte costituzionale, contrasta con entrambi i parametri indicati nell’ordinanza di rimessione atteso che la qualificazione della norma censurata, quale disposizione innovativa con efficacia retroattiva, non ne comporta, per ciò solo, l’illegittimità costituzionale (sentenze n. 61 del 2022, n. 39 del 2021 e n. 73 del 2017) in quanto al legislatore, al di fuori della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), non è precluso adottare leggi retroattive, sempre che non violino specifici parametri costituzionali (sentenza n. 118 del 1957) mentre ciò che può determinare l’illegittimità costituzionale di una previsione siffatta è, piuttosto, il contrasto con il principio di eguaglianza o con altri principi costituzionali.
Ebbene, per la Corte, è quanto nella fattispecie si era verificato nella misura in cui la disposizione censurata consente che il dies a quo del termine di centottanta giorni dalla definitività della confisca (in realtà, dalla conoscenza di ciò da parte del creditore) – termine di cui ai commi 199 e 205 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 – possa decorrere, retroattivamente, a partire dall’entrata in vigore della legge stessa.
Da una parte, quindi, si riteneva violato l’art. 3 Cost. perché vi è un’ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori che si giovano dell’intero termine di centottanta giorni, ogni qual volta il momento, in cui la confisca (penale allargata) è divenuta definitiva, risulti essere successivo all’entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, e i creditori che propongono la domanda di ammissione del credito in riferimento ad una confisca già divenuta definitiva (e da essi conosciuta) prima di tale data visto che, in quest’ultima evenienza, i creditori si vedono “accorciare” la durata del termine di decadenza nella misura in cui è calcolata anche quella precedente l’entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, quando il creditore non poteva immaginare che un tale termine sarebbe stato introdotto dal legislatore (così come è, in concreto, avvenuto nella vicenda oggetto del giudizio a quo) così come ancor di più sarebbero discriminati i creditori nei casi in cui la confisca fosse divenuta definitiva (e conosciuta) addirittura prima di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017, perché in tale evenienza il termine sarebbe per essi già interamente decorso al momento in cui il legislatore, con tale legge, l’ha introdotto, d’altra parte, violato è anche l’art. 24, primo comma, Cost..
In particolare, proprio in riferimento al precetto costituzionale appena citato, la Corte costituzionale rilevava che, se il difetto di congruità del termine, rilevante sul piano della violazione dell’art. 24, primo comma, Cost., si avrebbe solo qualora esso, per la sua durata, fosse inidoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e, di conseguenza, tale da rendere inoperante o carente la tutela accordata al cittadino (ex multis, sentenze n. 94 del 2017, n. 44 del 2016, n. 117 del 2012 e n. 30 del 2011), mentre non c’è ragione di dubitare della congruità del termine di centottanta giorni al fine della tutela giurisdizionale, non altrettanto può dirsi – al metro di questo stesso – per il termine quando esso risulta, in sostanza, essere ridotto per effetto del possibile computo retroattivo del periodo di tempo anteriore alla legge che l’ha introdotto, così come, a maggior ragione, il parametro è violato nella misura in cui consente, al limite, che il termine, al momento della sua introduzione per legge, sia già interamente decorso in ragione sempre della computabilità retroattiva anche del periodo di tempo anteriore all’entrata in vigore della legge stessa atteso che, in tale evenienza, vi sarebbe addirittura un impedimento – ossia la maturata decadenza – all’esercizio della tutela giurisdizionale.
In conclusione, per il giudice delle leggi, il legislatore non può – senza violare il principio di eguaglianza e il diritto alla tutela giurisdizionale – introdurre un termine di decadenza per il compimento di un atto processuale nella misura in cui esso finisca per essere già in parte, o finanche interamente, decorso al momento dell’entrata in vigore della disposizione che lo prevede.
La Consulta, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), nella parte in cui non esclude che il termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» possa decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37.

4. Conclusioni

Con la pronuncia in esame, come appena visto, la Corte costituzionale ha dichiarato dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge n. 161 del 2017, nella parte in cui – nel prevedere che le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012 si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, con successive modificazioni – non esclude che il termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge n. 228 del 2012, possa decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37, dovendo invece sempre iniziare a decorrere non prima della data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017 che tale termine ha previsto, ossia non prima del 19 novembre 2017.
Pertanto, questa norma non potrà più rilevare in relazione alle disposizioni di cui all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012, prima che essa sia entrata in vigore.
Ove si dovesse invece ancora a verificare una situazione di questo genere, ben si potrà contestare un provvedimento che disponga in tal senso nei modi e nelle forme consentite dal nostro ordinamento giuridico, citando quanto enunciato dalla Consulta con la sentenza qui in esame.

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