Il “vero” Machiavelli

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Machiavelli e la Provvidenza ,a prima vista, sembrerebbe un accostamento quanto meno anomalo,ma ,come vedremo, in alcuni passi del celebre pensatore vi sono tracce in tal senso.

Dobbiamo comunque premettere che non v’è in Machiavelli un riconoscimento esplicito di un intervento negli eventi storici di un attore quale è la Providenza comunque intesa,sia trascendente che immanente in quella sequenza di fatti che denominiamo Storia.

Ma il “core” del nostro saggio consiste nell’individuazione del “vero Machiavelli” contrapposto al Machiavelli che la tradizione ci ha consegnato.

io quando il monumento

vidi ove posa il corpo di quel grande,

che temprando lo scettro a’ regnatori,

gli allor ne sfronda,ed alle genti svela

di che lacrime grondi e di che sangue


Così Foscolo nei Sepolcri .

 

La prevalente interpretazione del pensiero del Machiavelli , per così dire ,metaforicamente, la “vulgata”, è ben diversa da quella che è contenuta nei bei versi del Foscolo.

Secondo gli interpreti tradizionali,ancor più secondo i detrattori, e anche secondo la voce popolare ,pur con diverse sfumature , il principio che informa le opere del nostro è quello che <il fine giustifica i mezzi > e,è bene precisare, lo scopo che si propone il Machiavelli coi suoi scritti è quello di insegnare al “ principe”[ nel caso Lorenzo de’ Medici di Piero,nipote del Magnifico] quali siano i mezzi da usare per mantenere lo stato acquisito ,in modi diversi .

Per tutti v.Cap. V de Il Principe,I Classici del pensiero iataliano Ricciardi,ed.Treccani,2006,pag.17:

<Quomodo administrandae sunt civitates vel principatus qui antequam occuparentur,suis legibusi vivebant.- Quando quelli stati che si acquistono come è detto, sono consueti a vivere con le loro legge e in libertà, a volerli tenere ci sono tre modi: el primo ruinarle, l’altro andarvi ad abitare personalmente, el terzo lasciarle vivere con le sua legge, traendone una pensione e creandovi drento uno stato di pochi che te le conservino amiche. Perché, sendo quello stato creato da quello principe, sa che non può stare sanza l’amicizia e potenzia sua, e ha a fare tutto per mantenerlo. E più facilmente si tiene una città usa a vivere libera con il mezzo de’ sua cittadini che in alcuno altro modo, volendola preservare.>

Ma ,seguendo il suo naturale pessimismo,il Machiavelli conclude .

<Perché in verità non ci è modo securo a possederle altro che la ruina. E chi diviene patrone di una città consueta a vivere libera e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella: perché sempre ha per refugio nella rebellione el nome della libertà e gli ordini antiqui suoi; li quali né per la lunghezza de’ tempi né per benefizii mai si dimenticano. E per cosa che si faccia o si provegga, se non si disuniscono o dissipano gli abitatori, e’ non sdimenticano quel nome né quelli ordini, e subito in ogni accidente vi ricorrono: come fe’ Pisa dopo cento anni che l’era suta posta in servitù da’ Fiorentini .>.

Deve chiarirsi che il predetto principio, nella letteratura diciamo filosofica, presenta due chiavi di lettura.

  1. la prima “soggettiva” ,individualistica, meramente pratica, politica, che consiste nel fatto che l’attore al fine di perseguire uno scopo ( a prescindere dalla natura dello stesso e soprattutto da ogni giudizio morale) può usare ogni mezzo( sempre a prescindere dalla sua natura e da ogni giudizio morale) da lui ritenuto idoneo per conseguirlo;

  2. la seconda <oggettiva> che non si pone nella prospettiva dell’agente,o quanto meno dell’agente “umano”, ma si pone in una prospettiva che lo trascende.In questo secondo scenario il principio viene letto in termini oggettivi.Altrimenti formulato: gli scopi finali,giudicati positivi, “buoni”, giustificano per il loro raggiungimento l’uso di qualunque mezzo anche di per sé illecito e/o immorale, o meglio “possono conseguire a eventi di per sé di natura immorale se non proprio illecita.Il Bene dell’umanità e della società può scaturire da fatti (atti) che ,visti in sé e per sé, quanto meno appaiono negativi ,Tali che la coscienza li vorrebbe respingere.

In questo secondo filone si muovono correnti di pensiero di matrice assai importante.

Si guardi alla provvidenza vichiana,all’Astuzia della ragione di Hegel,ma pure al pensiero cristiano nelle sue diverse formulazioni.

Per quanto riguarda Vico, ricordiamo la Scienza Nuova Libro I Sezione IV ,341:

< Ma gli uomini, per la loro corrotta natura, sono tiranneggiati dall’amor propio, per lo quale non sieguono principalmente che la propia utilità; onde eglino, volendo tutto l’utile per sé e nìuna parte per lo compagno, non posson essi porre in conato le passioni per indirizzarle a giustizia. Quindi stabiliamo: che l’uomo nello stato bestiale ama solamente la sua salvezza; presa moglie e fatti figliuoli, ama la sua salvezza con la salvezza delle famiglie; venuto a vita civile, ama la sua salvezza con la salvezza delle città; distesi gl’imperi sopra più popoli, ama la sua salvezza con la salvezza delle nazioni; unite le nazioni in guerre, paci, allianze, commerzi, ama la sua salvezza con la salvezza di tutto il gener umano: l’uomo in tutte queste circostanze ama principalmente l’utilità propria. Adunque, non da altri che dalla provvedenza divina deve esser tenuto dentro tali ordini a celebrare con giustizia la famigliare, la civile e finalmente l’umana società; per gli quali ordini, non potendo l’uomo conseguire ciò che vuole, almeno voglia conseguire ciò che dee dell’utilità: ch’è quel che dicesi «giusto». Onde quella che regola tutto il giusto degli uomini è la giustizia divina, la quale ci è ministrata dalla divina provvedenza per conservare l’umana società.>.

Non è il caso di illustrare la famosa teoria dell’Astuzia della ragione di Hegel che ha avuto tra i suoi sviluppi l’affermarsi della deprecata figura dell “uomo della provvidenza” che tanta parte ha avuto nell’instaurarsi delle dittature personali del secolo XIX.

Vedi anche Herder,pastore luterano, in Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità trad. Venturi ed. Einaudi, pag 114 :< il corso della Provvidenza passa anche su milioni di cadaveri per raggiungere quel fine che è il suo>.

In alcuni passi lo stesso Machiavelli sembra richiamarsi a una provvidenza che trascende le intenzioni del suo principe vedi op.cit pag.53 De crudelitate et pietate; et an sit melius amari quam timeri,vel e contra : <Scendendo appresso alle altre preallegate qualità, dico che ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele: nondimanco debbe avvertire di non usare male questa pietà. Era tenuto Cesare Borgia crudele: nondimanco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola, ridottola in pace e in fede. Il che se si considerrà bene, si vedrà quello essere stato molto più pietoso che il populo fiorentino, il quale, per fuggire el nome del crudele, lasciò destruggere Pistoia. Debbe pertanto uno principe non si curare della infamia di crudele, per tenere li sudditi sua uniti e in fede: perché con pochissimi esempli e’ sarà più pietoso che quelli e quali per troppa pietà lasciono seguire e disordini, di che ne nasca occisioni o rapine: perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengano dal principe offendano uno particulare.>. Passo che,letto criticamente, non può attribuire alle azioni del principe intenzioni che certo non aveva,mirando esso esclusivamene alla conservazione del suo potere.

Ha pensato di mettere un punto fermo sull’interpretazione del pensiero di Machiavelli Benedetto Croce e lo fa da par suo; ma lo fa sul piano della ragion pura

.In una delle conferenze tenute agli alunni dell’Istituto storico di Napoli, del quale era presidente,tratta de “La questione del Machiavelli” [ vedi Storiografia e idealità Morale ,ed.Laterzaa 1950,pag.153].

Esordisce il Filosofo :<Ho avuto occasione di leggere in questi ultimi anni parecchi libri, italiani e stranieri sul Machiavelli; e, ricercando l’ intima ragione dello scontento che mi avevano lasciato, l’ ho ritrovata, come in altri casi simili o analoghi, nella deficienza o nell’ insufficienza di logica speculativa con cui vi era stato trattato il relativo problema, o < questione del Machiavelli >, la quale non è, come si crede, una questione di morale, ma di filosofia della morale, e, come di natura filosofica, richiede quella logica.>.

Quindi dopo un excursus di metodologia storico-filosofica secondo cui <l’ inventività filosofica si può presentare………….. senza formule definitorie, senza ordine sistematico, senza linguaggio tecnico o da iniziati, consistendo essenzialmente nell’approfondire i concetti nei quali si traducono i valori dello spirito, le categorie del reale, e che perciò sono cosa del tutto diversa e disparata rispetto ai concetti che si chiamano empirici e che designano gruppi o classi di fatti.> , conclude nel senso che <il Machiavelli si trovò dinanzi l’antinomia di politica e morale, resa acuta dal tramonto del dominio che la dottrina della chiesa cattolica aveva mantenuto per secoli facendo della politica un capitolo della morale, e, se diverge dai precetti della morale, considerandola come male. Ed egli ardì asserire che la politica non è nè la morale nè la negazione della morale, cioè il male,ma ha l’esser suo positivo e distinto come forza vitale che nessun’altra forza può abbattere e nessun raziocinio cancellare, come non si vince e non si cancella ciò che è necessario.>

Ma il passaggio che ci disvela il “vero” pensiero del Machiavelli è contenuto nel cap. XV dell’opera citata e che ci dimostra che l’Autore non era quel cinico che si dipingeva ma un uomo pratico con tanta esperienza della natura umana.Così infatti scrive:

<De his rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur.-Resta ora a vedere quali debbano essere e modi e governi di uno principe con sudditi o con li amici. E perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non essere tenuto prosuntuoso, partendomi, massime nel disputare questa materia, dalli ordini delli altri. Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa che alla imaginazione di essa. E molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero. Perché egli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene ruini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono,e usarlo e non l’usare secondo la necessità>

E ancora.

<Lasciando adunque indrieto le cose circa uno principe imaginate, e discorrendo quelle che sono vere, dico che tutti li uomini, quando se ne parla, e massime e principi per essere posti più alti, sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo o laude. E questo è, che alcuno è tenuto liberale, alcuno misero (usando uno termine toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace; alcuno crudele, alcuno pietoso; l’uno fedifrago, l’altro fedele; l’uno effeminato e pusillanime, l’altro feroce e animoso; l’uno umano, l’altro superbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero, l’altro astuto; l’uno duro, l’altro facile; l’uno grave, l’altro leggieri; l’uno religioso, l’altro incredulo, e simili.

E io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissima cosa in uno principe trovarsi, di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buone: ma perché le non si possono avere né interamente osservare, per le condizioni umane che non lo consentono, gli è necessario essere tanto prudente che sappi fuggire l’infamia di quelli vizii che li torrebbano lo stato, e da quelli che non gnene tolgano guardarsi se gli è possibile; ma, non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali e’ possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà e il bene essere suo.>.

Quindi il precetto contenuto nell’opera di Machiavelli è,lo ripetiamo:

< onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono,e usarlo e non l’usare secondo la necessità>, non secondo la sua libera volontà. Il principe dovrà valutare di volta in volta l’opportunità di “essere non buono”.Se possibile preferire l “esser buono”.Se non possibile “essere non buono”,che secondo il Machiavelli sarà l’ipotesi più probabile e più ricorrente considerata la natura umana. (1)

NOTE

(1) V. Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio,stessa Collana citata,I Classici del pensiero italiano Niccolò Machiavelli,pag 100: < Come dimostrano tutti coloro che ragionano del vivere civile, e come ne è piena di esempli ogni istoria, è necessario a chi dispone una republica ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbiano sempre a usare la malignità dello animo loro qualunque volta ne abbiano libera occasione; e quando alcuna malignità sta occulta un tempo, procede da una occulta cagione, che per non si essere veduta esperienza del contrario non si conosce, ma la fa poi scoprire il tempo, il quale dicono essere padre di ogni verità.>].

Avv. Viceconte Massimo

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