Il verbale di separazione consensuale e l’esecuzione promossa dalla banca

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Può capitare che in sede di separazione consensuale si ponga il problema della attribuzione della casa coniugale, per l’acquisto della quale i coniugi abbiano stipulato un mutuo fondiario cointestato. In particolare, rileva la questione della uscita di un coniuge dal contratto, in quanto non più interessato a sostenere i costi rivenienti dal mutuo.

Ciò accade quando il coniuge che intende svincolarsi dal contratto reclami la necessità di prendere in locazione un altro immobile, o, più semplicemente, faccia valere l’avvenuta attribuzione all’altro coniuge del diritto di proprietà della casa coniugale o del diritto personale di godimento di abitazione della stessa.

Al riguardo, diverse sono le possibili soluzioni.

Una prima idea può essere quella per cui un solo coniuge continua a pagare la propria quota parte di rata – se non addirittura quella di accollarsi per intero la rata – per portare il relativo importo in ideale detrazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento. Di ciò deve essere fatta espressa menzione nell’accordo consensuale di separazione. Di questo proposito è dato rinvenire tracce nelle decisioni della Suprema Corte, nella quali si è presa in considerazione la mancata restituzione delle rate a suo tempo versate dall’ex coniuge.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la corresponsione per intero da parte del marito della rata di mutuo relativa ad immobile adibito ad abitazione esclusiva della ex moglie incide sulla quantificazione dell’assegno coniugale. Si è infatti deciso nei seguenti termini:

 

“In materia di separazione personale, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dovuto dall’un coniuge all’altro è legittimo avere riguardo al pagamento da parte del coniuge obbligato dell’intera rata di mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in regime di comunione e, pur in assenza di figli, adibita ad abitazione della moglie. La circostanza di cui innanzi, oltre che pienamente ammissibile, in quanto apprezzamento di fatto, deve ritenersi non sindacabile in sede di legittimità” (Cass. civ., 25 giugno 2010, n. 15333).

 

E ancora:

 

“Il pagamento da parte del coniuge separato del mutuo gravante sulla casa coniugale costituisce un fatto − ammissibile e non sindacabile nel merito − sicuramente incidente sulla determinazione del contributo di mantenimento. La decurtazione dell’assegno di mantenimento dovuto dal coniuge separato è giustificata dalla circostanza del pagamento da parte del medesimo del mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in regime di comunione, che, pur in assenza di prole, è stata adibita ad abitazione della moglie” (Cass. civ., 25 giugno 2010, n. 15333, cit.).

 

Il pagamento delle rate residue di mutuo può essere imposto dal giudice stesso, come forma di contribuzione dell’ex coniuge al mantenimento dei figli:

 

“In tema di separazione personale dei coniugi, il giudice può legittimamente imporre a carico di un genitore, quale modalità di adempimento dell’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, il pagamento delle rate del mutuo contratto per l’acquisto della casa familiare, trattandosi di voce di spesa sufficientemente determinata e strumentale alla soddisfazione delle esigenze in vista delle quali detto obbligo è disposto” (Cass. civ., 3 settembre 2013, n. 20139).

 

Tale soluzione, tuttavia, non porta con sé l’effetto – desiderato dall’ex coniuge – di uscire dal contratto di mutuo. Semplicemente, si limita a prendere atto della perdurante corresponsione della rata per abbassare la determinazione dell’assegno di mantenimento.

Inoltre, la banca è soggetto estraneo al verbale di separazione e, in caso di inadempimento del marito, potrebbe agire anche nei confronti della moglie assegnataria, in quanto pur sempre cointestataria del mutuo a suo tempo stipulato. Detto accordo tra i coniugi, rispetto all’istituto di credito, si configura infatti come un accollo interno e, come tale, inopponibile al creditore che non vi ha aderito.

Al riguardo, è dato leggere nella giurisprudenza di merito le seguenti affermazioni:

 

“L’accollo è generalmente ricondotto allo schema del contratto a favore di terzo previsto dall’ art. 1411 c.c. e, a seconda che il creditore aderisca o no, l’accollo è esterno o interno. In tale ultimo caso − non previsto espressamente dal codice e riconducibile all’esercizio dell’autonomia privata per il perseguimento di interessi meritevoli di tutela – l’accollante non assume alcuna obbligazione verso il creditore, il quale non può quindi pretendere l’adempimento da lui, tale che la convenzione di accollo può essere modificata o revocata in qualsiasi momento dalle parti che l’hanno stipulata, mentre l’accollante risponde dell’inadempimento nei confronti dell’accollato e non pure del creditore, che rimane terzo estraneo all’accollo. L’accollo esterno si perfeziona, invece, con l’accordo tra accollato ed accollante, mentre l’adesione del creditore costituisce elemento ulteriore ed eventuale che comporta l’estensione a lui degli effetti dell’accordo, come dispone l’art. 1413 c.c. L’accollo esterno è liberatorio se il creditore, manifestando la propria adesione, dichiara di liberare l’accollato, e cumulativo nel caso opposto, con la conseguenza che nel primo caso l’obbligazione si trasferisce all’accollante e nel secondo rimane anche a carico dell’accollato. L’adesione del creditore, pertanto, non basta a liberare l’accollato, essendo a questo fine richiesta una espressa manifestazione di volontà del creditore o, per lo meno, una specifica previsione della convenzione di accollo” (Trib. Benevento, 11 agosto 2008).

 

Detto esito argomentativo incide sulla soluzione di una distinta questione, esaminata dalla giurisprudenza arbitrale, la quale ha avuto modo di intrattenersi sul caso in cui l’ex coniuge, che nel verbale di separazione si è accollato per intero il pagamento delle residue rate di mutuo, domandi all’istituto di credito una rimodulazione delle condizioni di mutuo originariamente stipulate.

Detto accordo modificativo, si è deciso, deve incontrare il consenso anche della moglie, pur se dal verbale di omologazione della separazione consensuale risulti che il marito si è accollato per intero il pagamento delle rate di mutuo.

Ciò in quanto un simile accordo contenuto nel verbale di separazione omologato è inopponibile nei confronti dell’istituto di credito e, per tale ragione, il relativo accordo modificativo delle condizioni di mutuo inizialmente pattuite è nullo. Detta nullità, peraltro, non rientra tra quelle che possono essere fatte valere solo dal cliente nei confronti dell’istituto di credito; quest’ultimo è pertanto legittimato alla proposizione della relativa eccezione.

L’eventuale comportamento della banca che, sua sponte, dopo aver convenuto le modifiche al contratto di mutuo, sia tornata ad applicare le condizioni originarie, sarebbe dunque perfettamente legittimo, stante la nullità dell’accordo modificativo. Al riguardo:

 

“Nella sentenza di omologa della separazione consensuale si legge che «resta a carico del marito l’onere relativo al pagamento della rata del mutuo (…)».

Si tratta di un accollo interno. Tale accordo tra i coniugi (omologato dal Tribunale) ha effetto solo tra loro, obbligando il marito a provvedere al pagamento delle rate, di cui pure è per intero debitrice la moglie nei confronti della banca, ovvero a rimborsare interamente la moglie della rata o delle rate di cui l’intermediario avesse preteso da lei il pagamento. l’accordo non incide, appunto, sul rapporto di mutuo tra l’intermediario e la banca. Non potrebbe perché un accordo può spiegare effetti solo tra le parti (v. l’art. 1372 c.c.).

Di conseguenza, per poter modificare il contratto di mutuo, anche dopo la separazione, era necessario il consenso anche della moglie. Perciò, il contratto di modifica è nullo. E questa ipotesi di nullità non è tra quelle che possono farsi valere solo dal cliente (ex art. 127, comma 2, TUB) ma da chiunque vi abbia interesse (art. 1421 c.c.). Legittimamente, dunque, l’intermediario è tornato ad applicare le condizioni originarie del mutuo: non avendo, queste, mai perduto efficacia.

Pertanto, il ricorso non è fondato.

D’altro canto, per poter migliorare le relazioni con il cliente, soddisfacendo il suo interesse alla modifica delle condizioni originarie del contratto, non sembra vi sia altra strada per l’intermediario che liberare la moglie dall’obbligo nascente a suo carico dal contratto di mutuo (con il consenso del ricorrente a restare obbligato per l’intero: v. l’art. 1301 c.c.). Né questo Collegio avrebbe potuto coinvolgerla alla ricerca di una soluzione concordata della controversia: questo Arbitro, infatti, non ha potestà conciliatorie (Banca d’Italia, Regolamento sull’ABF, sez. VI)” (ABF Milano, 18 gennaio 2013, n. 387).

 

Occorre quindi concentrare l’attenzione sulle soluzioni necessarie per procurare all’ex coniuge lo svincolo dal contratto di mutuo stipulato con l’oramai ex consorte.

Una soluzione risiede, brutalmente, nella vendita del cespite immobiliare e nella conseguente estinzione del mutuo. Tuttavia, un simile percorso comporta la perdita della casa e – specialmente in presenza di figli minori – può creare notevoli disagi specie a costoro. In compenso, l’idea può apprezzarsi nei casi in cui l’immobile sia eccessivamente grande per il coniuge e la prole, nonché troppo oneroso per le spese di gestione corrente, imposte comprese. Di certo, solo l’esame delle circostanze specifiche del caso concreto potrà consigliare in questo, come negli altri casi, la scelta della decisione ottimale.

Un’altra possibilità risiede nell’estinzione del mutuo da parte di entrambi i coniugi mediante corresponsione delle rate residue. Ciò si apprezza allorché le rate rimaste siano poche e i coniugi intendano preservare per i figli il cespite. Nel qual caso, si potrà prevedere anche la cessione a titolo oneroso della quota di comproprietà a favore del coniuge assegnatario. Naturalmente, nel caso in cui il mutuo sia stato stipulato da poco una simile soluzione non risulta praticabile e deve essere quindi tralasciata.

Un’altra soluzione possibile risiede nella uscita di uno dei coniugi dal mutuo e nella contestuale cessione della propria quota di proprietà all’altro, il quale, di conseguenza, diventa proprietario esclusivo della casa e unico titolare del contratto di mutuo.

In base alle osservazioni già svolte, una simile evenienza è possibile solo mediante il diretto coinvolgimento dell’istituto di credito, il quale deve prestare il proprio assenso a tale soluzione. Dal punto di vista della banca, infatti, una proposta del genere si traduce nell’obbligo di valutare se il coniuge residuo ha un merito di credito tale da poter offrire garanzie circa l’adempimento delle rate residue di mutuo.

Nel caso in cui il coniuge cui competerebbe l’esclusivo accollo del mutuo non sia in grado di offrire simili garanzie, la banca non presterà il proprio consenso ed entrambi i coniugi resteranno obbligati alle originarie condizioni negoziali.

Una questione collegata allo scenario prospettato deve rinvenirsi nella necessità, o meno, dell’intervento del notaio. Di certo, nel caso in cui il coniuge sta cedendo la propria quota all’altro, sta realizzando una vendita di quota di proprietà di immobile, soggetta a trascrizione immobiliare a norma dell’art. 2643 c.c. L’intervento del notaio può essere evitato solo laddove in sede di separazione consensuale si riesca a inserire nel relativo accordo una clausola completa di tutti i dati catastali del cespite. Nel qual caso, sarà sufficiente l’intervento del giudice dell’omologa. La giurisprudenza di legittimità approva una simile soluzione:

 

“Sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento.

Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi” (Cass. civ., 15 maggio 1997, n. 4306).

 

Peraltro, deve segnalarsi che nella giurisprudenza di merito è dato rinvenire un orientamento secondo il quale una simile clausola non può essere validamente inserita nel verbale di separazione.

Secondo l’orientamento di un giudice di merito:

 

“le parti, per effetto della loro autonomia contrattuale e della conseguente interpretazione dell’art. 711 c.p.c. e dell’art. 4, comma 16, della l. div., possono sì integrare le clausole consuete di separazione e di divorzio (figli, assegni, casa coniugale) con clausole che si prefiggono di trasferire tra i coniugi o in favore di figli diritti reali immobiliari o di costituire iura in re aliena su immobili: tuttavia, debbono ricorrere alla tecnica obbligatoria e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto. Tale tecnica obbligatoria, peraltro, consente pacificamente l’applicazione dell’art. 2932 c.c. e, quindi, di porre rimedio ad eventuali inadempimenti successivi alla pattuizione” (Trib. Milano, 21 maggio 2013).

 

Occorre quindi previamente valutare l’orientamento della Corte territoriale competente per l’omologa della separazione, in quanto, sul punto, si registra un contrasto giurisprudenziale.

Infine, residua la surrogazione o portabilità del mutuo, ossia il passaggio ad altro istituto di credito che comporti la modificazione del regolamento contrattuale del mutuo originariamente stipulato da entrambi i coniugi e la previsione di nuove condizioni negoziali, in base a cui risulti mutuatario un solo coniuge e l’importo dovuto sia pari a quello che residuava da pagare in costanza del primo contratto di credito.

Trattasi di una doppia modificazione, siccome incidente: i) sul numero di mutuatari; ii) sul regolamento contrattuale.

Se quindi l’originario mutuo era stato stipulato per 100 dai coniugi A e B con la banca X, si può effettuare la portabilità alla banca Y del mutuo prevedendo che la somma presa a mutuo sia 50 dal solo B.

Una simile operazione comporta la cancellazione dell’originaria ipoteca iscritta a garanzia del mutuo fondiario ma la applicazione degli attuali tassi variabili o fissi; occorre inoltre sostenere le relative spese notarili, i costi accessori della banca, le spese per l’iscrizione di una nuova ipoteca volontaria a garanzia del nuovo mutuo, l’assicurazione sul mutuo che si decida di stipulare, nonché – qualora si tratti di un mutuo stipulato anteriormente al 2 febbraio 2007 – anche la eventuale penale per la sua estinzione anticipata.

Qualora invece il contratto sia stato stipulato successivamente a tale data, nessuna penale per estinzione anticipata può essere domandata dall’istituto di credito, per espresso divieto legislativo (già ex d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito con modificazioni dalla l. 2 aprile 2007, n. 40; cfr. oggi l’art. 120-quater, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385).

Naturalmente, un simile esito può prospettarsi solo previo assenso del nuovo istituto di credito, il quale, dal canto suo, sarà propenso ad accettare l’operazione solo qualora: i) l’importo delle rate residue da pagare sia particolarmente basso, oppure, ii) il reddito del coniuge superstite sia così solido da offrire una garanzia sufficiente all’adempimento del residuo debito, pur ferma l’uscita dell’ex coniuge dal contratto quale mutuatario.

Come dianzi prospettato, molte sono le soluzioni che si possono adottare ai fini della sorte del mutuo sull’immobile coniugale a suo tempo stipulato dagli oramai ex coniugi che abbiano deciso di separarsi consensualmente. Solo la approfondita e prudente analisi delle circostanze empiriche di ciascuna fattispecie concreta può suggerire al pratico del diritto la miglior strada da percorrere per la soddisfazione degli interessi del proprio assistito.

 

Avv. Agnese Andrea

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