Il Tar richiude la Calabria, accogliendo il ricorso del Governo

Redazione 11/05/20
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Il Tar Catanzaro ha accolto il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’annullamento dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria 29 aprile 2020, n. 37 – adottata ai sensi dell’art. 32, comma 3 l. 23 dicembre 1978, n. 833 per dettare misure per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 – nella parte in cui ha disposto che, sin dalla data di adozione dell’ordinanza, è consentita, nel territorio della Regione Calabria, la ripresa dell’attività di ristorazione, non solo con consegna a domicilio e con asporto, ma anche mediante servizio al tavolo, purché all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di carattere igienico sanitario.

Sul punto si legga anche:

-“Governo e Regione Calabria finiscono davanti al Tar: impugnata l’ordinanza della Presidente Santelli”;

Carenza di potere per incompetenza assoluta

L’ordinanza violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1, d.l. 25 marzo 2020, n. 19 e sarebbe stata emanata in carenza di potere per incompetenza assoluta. Infatti, l’art. 2, comma 1, dell’atto normativo citato attribuisce la competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del Covid-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri decreti previo adempimento degli oneri di consultazione specificati.

Per quel che rileva, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha provveduto con d.P.C.M. 26 aprile 2020 che, con efficacia dal 4 maggio 2020 al 17 maggio 2020, dispone la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.

Come visto, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto disposto dal d.P.C.M., ha autorizzato anche la ristorazione con servizio al tavolo.

 

Il Tar ha escluso che le prescrizioni del d.l. n. 19 del 2020 violino la Costituzione.

Ha osservato che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte anche con un atto di natura amministrativa.

Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, tra la citata norma costituzionale e una disposizione legislativa che demandi al Presidente del Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Covid-19.

Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1, d.l. n. 19 del 2020, il contenuto del provvedimento risulta predeterminato («limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande (…)»), mentre alla discrezionalità dell’Autorità amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della limitazione in ragione dell’esame epidemiologico.

Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto nell’art. 117, comma 2, lett. q, Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale».

Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile».

A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori osservazioni, che traggono le mosse dal duplice rilievo critico secondo cui l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020 comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà costituzionali dei cittadini e comporterebbe un’alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost.

Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola possibilità di limitare o sospendere le attività di somministrazione al pubblico di cibi e bevande, il Tribunale ritiene che è la legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la commisurazione dell’estensione di tale limitazione.

Il principio di sussidiarietà

Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova giustificazione nell’art. 118, comma 1, Cost.: il principio di sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata al livello amministrativo unitario.

Ma, una volta accertato che l’individuazione nel Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è conforme al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali la «tutela della salute» e la «protezione civile».

È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278).

Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale.

É quindi da escludere che nel caso di specie siano stati attribuiti all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non previsti dalla Costituzione.

L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».

In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8, l. 5 giugno 2003, n. 131.

Ma nel caso di specie non vi è stato un intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione legislativa.

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