Il “rinnovo” dell’appalto di servizio e il problema della conformità al ‘progetto di base’

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¦ Un primo passaggio della richamata sentenza così recita ([1]):
«Ritiene il Collegio che l’attivazione della procedura negoziata in impugnativa si atteggia, per le ragioni dianzi espresse, quale autonomo procedimento rispetto alla procedura concorsuale cui è conseguita l’aggiudicazione del servizio da affidare, le cui regole non sono, dunque, quelle contenute negli atti di gara, ed in specie, nella lex specialis, ma sono quelle indicate a tal riguardo dalla legge che ne consente in via eccezionale l’esperibilità, di talchè, la possibilità circa tale ulteriore ed autonomo sviluppo procedimentale avrebbe potuto anche, in ipotesi, non essere stato espressamente indicato dalla stazione appaltante, fermo rimanendo che quest’ultima, ricorrendone i presupposti come dal legislatore indicati, avrebbe potuto attivare ugualmente la trattativa privata, ove ne avesse ravvisato l’opportunità».
 
Ora, che tale procedura negoziata configuri un «autonomo sviluppo procedimentale» ciò è sicuramente vero (anche per altri aspetti).
Tuttavia, tale «autonomo sviluppo procedimentale» non è legittimamente possibile direttamente ex lege (a differenza di altri casi di procedura negoziata), qualora «la possibilità del ricorso alla procedura negoziata» non sia stata «indicata nel bando del contratto originario» (D.Lgs. 163/2006, art. 57, comma 5, lett. b), conforme alla Dir. 2004/18/CE).
 
¦ Ma ecco la tesi centrale, del tutto non condivisibile:
il giudice di appello ha ritenuto «non percorribile il ricorso alla fattispecie» già «contemplata dall’art. 7, D. lgs 157/1995 in mancanza dell’indefettibile presupposto applicativo della conformità dei nuovi servizi ad un progetto base, “al quale non può in alcun modo essere assimilato il capitolato speciale (posto che quest’ultimo risulta unilateralmente definito dall’amministrazione, mentre il primo dev’essere elaborato dall’impresa appaltatrice)” (cfr. tra le altre, Cons. di Stato, Sez. IV, n. 6462/2006)».
 
Tale richiamata pronuncia del giudice di appello così recita:
«in ogni caso, l’applicabilità della disposizione esige indefettibilmente la conformità dei nuovi servizi (affidati a trattativa privata) ad un progetto di base (nella specie inesistente)»: «si dovrebbe, comunque, rilevare la mancanza dell’indefettibile presupposto applicativo della conformità dei nuovi servizi ad un progetto base, al quale non può in alcun modo essere assimilato il capitolato speciale (posto che quest’ultimo risulta unilateralmente definito dall’amministrazione, mentre il primo dev’essere elaborato dall’impresa appaltatrice)».
 
In sostanza, si sostiene che, se la prima gara non ha avuto come criterio di aggiudicazione quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa – al fine di farsi presentare un progetto, in sede di offerta tecnica – , sarebbe preclusa la possibilità della procedura negoziata.
Ora, la necessità formale di questo supposto requisito non è prevista né in direttiva, né nel codice.
La ratio della norma, che certamente richiede la conformità «a un progetto di base»,si ricollega proprio e soltanto alla pragrmaticità con cui il legislatore comunitario intende garantire il principio di concorrenza.
Chi partecipa alla prima gara deve confidare che, in ipotesi di aggiudicazione, avrà la possibilità di vedersi riaffidato lo stesso identico servizio e non un qualcosa d’altro. Solo ciò gli consente di formulare la propria (prima) offerta nel modo più ponderato possibile, sia che si tratti di prezzo più basso, sia che si tratti di offerta economicamente più vantaggiosa.
È anche, inoltre e soprattutto, una questione di par condicio. Se fosse consentito, a gara conclusa, di rinegoziare le condizioni tecniche di (ri)esecuzione dell’appalto, si lederebbe ex post l’affidamento che i concorrenti hanno riposto nell’immutabilità del progetto di esecuzione dell’appalto. Quest’ultimo può essere stato predisposto dall’amministrazione aggiudicatrice sia a un livello di massima definizione (nel qual caso seguirà, più naturalmente ma non necessariamente, il criterio del prezzo più basso), sia a un livello di minor definizione (nel qual caso potrà seguire solo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ma non inevitabilmente la necessità del progetto-offerta). Non può pertanto darsi ipotesi – né concettualmente, né materialmente – che un «progetto di base» possa essere «nella specie inesistente»!
Anche se la procedura di gara (al di fuori di quella del dialogo tecnico) dovesse prevedere una soluzione progettuale integrale come contenuto dell’offerta tecnica (ipotesi che oggi il codice non prevede, ma neanche nega), rimane il fatto che la gara si svolge sulla base delle c.d. “idee-guida” o “progetto-pilota”. Sarà poi il progetto (esecutivo) dell’aggiudicatario a costituire «oggetto di un primo contratto».
 
Il principio, in sostanza, è che è riaffidabile solo lo stesso identico servizio che è immutabilmente andato in gara, ovvero che è scaturito dall’offerta tecnica presentata nella gara stessa e che alla fine è diventato (sostanzialmente) immutabile anch’esso.
La procedura negoziata “a valle” è solo formalmente un «autonomo sviluppo procedimentale». Essa è e deve essere, nella sostanza, un prolungamento della fase ad evidenza pubblica, nella quale soltanto trova necessario e sufficiente fondamento.
Alla luce della ricognizione dei principi comunitari applicabili alla fattispecie, appare inconferente una pretesa distinzione concettuale fra «capitolato» (e poi, quale?) e «progetto».
 
¦ Prosegue il collegio romano:
«Con riferimento al caso che ne occupa è incontestabile che nel bando di gara (…) non fosse prevista, tra i documenti di gara, anche la redazione da parte delle accorrenti di un progetto base. (…) In punto di fatto, pertanto, è acclarato che l’Amministrazione ha dato impulso alla procedura negoziata in assenza del presupposto indefettibilmente richiesto dalla norma della elaborazione di un progetto base da parte delle imprese poi aggiudicatarie del servizio in parola. Sul punto, ritiene di specificare il Collegio che è la stessa norma, di cui all’art. 57, a chiarire il momento in cui il progetto va redatto, dovendo quest’ultimo essere “stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta…”».
«Emerge, all’evidenza, che trattandosi di un nuovo affidamento quello oggetto di trattativa privata, e dovendo questo avvenire sulla scorta di un progetto di base oggetto di una precedente aggiudicazione, lo stesso presupposto deve essere contestualizzato all’interno della gara aperta o ristretta che ha dato luogo all’affidamento, e solo in questo caso il relativo oggetto, per essere successivamente ripetuto, può dare luogo a trattativa privata.
           
            In definitiva, T.A.R. e Consiglio di Stato interpretano il requisito che il progetto deve essere stato oggetto di gara, nel senso che dovrebbe essere stato fatto presentare come contenuto di offerta tecnica.
Tale tesi non regge neppure sul piano letterale. Tutt’al più la norma (in modo riduttivo) dovrebbe essere così riletta: «che tale progetto sia stato oggetto di – omissis – una procedura aperta o ristretta». Eppure, anche con la norma così ridotta, la tesi non è affatto consequenziale.
Anzi: «oggetto di – omissis – procedura» non vuol dire proprio «oggetto» di criterio di aggiudicazione!
            Più semplicemente, il progetto deve essere stato oggetto di gara nel senso che il contratto stipulato – che comunque deduce un progetto di esecuzione dell’appalto – deve conseguire a procedimento concorrenziale, a prescindere dal criterio di aggiudicazione ivi adottatto.
La norma, senza riduzioni di sorta, è già sufficientemente chiara: «che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta» ([2]).           
 


[1] Il corsivo è nostro.

Bellagamba Lino

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