Il regime di sorveglianza particolare, disciplina giuridica e caratteri

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Il regime di sorveglianza particolare prevede restrizioni al trattamento e ai diritti dei detenuti ritenuti pericolosi per la sicurezza penitenziaria. Può essere applicato anche a detenuti che abbiano scontato lunghi periodi in regime di 41 bis.

Il regime di sorveglianza particolare è disciplinato dagli articoli 14-bis, ter e quater della legge n.354 del 1975.
In base all’art. 14 bis possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi (prorogabile più volte, ma ogni volta in misura non superiore a tre mesi) i detenuti che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza negli istituti penitenziari; quelli che con la violenza o la minaccia impediscono le attività degli altri detenuti; quelli che nella vita penitenziaria mettono in stato di soggezione altri detenuti.

Si può essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, sino dal momento dell’ingresso in istituto, sulla base di precedenti comportamenti tenuti in istituti penitenziari o di comportamenti tenuti in stato di libertà. L’autorità giudiziaria fa una segnalazione all’amministrazione penitenziaria che decide riguardo all’adozione di provvedimenti. In caso di necessità e urgenza l’amministrazione può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che devono essere acquisiti entro dieci giorni dal provvedimento. Scaduto tale termine l’amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide entro dieci giorni in via definitiva; se questi trascorrono senza che vi sia una decisione c’è il decadimento del provvedimento provvisorio.

In base all’art. 14-ter può essere presentato da colui che è sottoposto a regime di sorveglianza particolare un reclamo al tribunale di sorveglianza entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento. Il tribunale di sorveglianza provvede a una decisione entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo.

In base all’art 14-quater il regime di sorveglianza particolare comporta restrizioni, necessarie per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, all’esercizio dei diritti dei detenuti e alle regole di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario.

Le restrizioni non possono tuttavia riguardare: l’igiene e le esigenze della salute, il vitto, il vestiario e il corredo; il possesso, l’acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi dal regolamento interno (nei limiti in cui ciò non comporti pericolo per la sicurezza), la lettura di libri e periodici, le pratiche di culto, l’uso di apparecchi radio del tipo consentito, la permanenza all’aperto per almeno due ore al giorno (salvo quanto disposto dall’articolo 10), i colloqui con i difensori, quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.

Se il regime di sorveglianza particolare non é attuabile nell’istituto dove si trova il detenuto, l’amministrazione penitenziaria può disporre, con un provvedimento motivato, il trasferimento in un altro istituto idoneo dandone immediato avviso al magistrato di sorveglianza.

Sino al luglio 2013 erano sottoposti a regime di sorveglianza particolare 64 detenuti (dei quali 4 in esecuzione anche del regime del 41 bis, secondo comma, e 11 sottoposti anche a quello di alta sicurezza).

La legge 10 ottobre 1986 n. 663, la legge Gozzini, colloca la disciplina della sorveglianza particolare nel capo III dell’Ordinamento Penitenziario, dedicato alle “modalità di trattamento”. Questo per evidenziare che quello che si introduce con gli articoli 14 bis, ter, quater è una forma di individualizzazione del trattamento basata sulla personalità del soggetto e sulla sua pericolosità. Con questa collocazione si è voluto sottolineare il suo carattere non punitivo, ma preventivo e cautelare, diretto a salvaguardare l’ordine e la sicurezza in carcere.
I presupposti del regime penitenziario della sorveglianza particolare vengono definiti dall’articolo 14 bis dell’Ordinamento Penitenziario, che al comma 1 stabilisce che possono essere sottoposti a regime di sorveglianza per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore a tre mesi, i condannati e gli internati e gli imputati:che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti che con la violenza impediscono le attività degli altri detenuti o internati che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.

Lo stato di soggezione difficilmente può essere oggetto di una manifestazione diretta, si può ricavare dai comportamenti degli altri detenuti che subiscono queste condotte.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione, per questa condizione di soggezione “il legislatore richiede la sussistenza di questa situazione, e non sono sufficienti generiche affermazioni di pericolosità fondate sui reati dei quali il detenuto è stato riconosciuto colpevole o per i quali si procede nei suoi confronti, che sono relativi a una più completa comprensione della pericolosità, e non possono assumere rilevanza decisiva ai fini dell’adozione del regime di sorveglianza particolare”.
A questa interpretazione si contrappongono altre decisioni giurisprudenziali della stessa Corte, condivise anche da una parte della dottrina che, al contrario, introducono il concetto di “pericolosità penitenziaria”.

La pericolosità presente e attuale va distinta dalla sua esteriorizzazione, quello che rileva ai fini del provvedimento del quale all’articolo 14 bis è una complessità di giudizio della personalità del detenuto che può fare riferimento a fatti anteriori e pregressi, dovendosi valutare una certa capacità e possibilità di comportamento del soggetto.

Altre ipotesi che legittimano l’adozione del provvedimento del regime di sorveglianza particolare, sono quelle descritte al comma 5 dell’articolo 14 bis dell’Ordinamento Penitenziario.
Questa disposizione risulta molto indeterminata perché non prevede comportamenti relativi allo stato di detenzione, ma a condotte che possono essere relative a precedenti carcerazioni o tenute nello stato di libertà, indipendentemente dall’imputazione, e consente l’applicazione del particolare regime detentivo dall’ingresso nell’istituto penitenziario.

Il successivo inciso, del comma 5, mira a colpire con la sorveglianza particolare i comportamenti tenuti dal soggetto quando si trova nello stato di libertà, “indipendentemente dalla natura dell’imputazione”, anche quelle condotte, che nonostante non costituiscano reato, sono ritenute particolarmente significative ai fini dell’ordine e della sicurezza penitenziaria.
L’ amministrazione penitenziaria gode di un ambito discrezionale molto ampio nel decidere quali siano i comportamenti, tenuti in libertà, che possono influire sulla decisione di sottoporre il soggetto al particolare regime detentivo.
Non fare dipendere questa valutazione dalla natura del reato, di sicuro serve a non creare nessun collegamento tra il regime di detenzione e l’imputazione, ma l’indeterminatezza della disposizione rischia di colpire condotte o rapporti personali che solo presumibilmente costituiscono un pericolo per l’ordine e la sicurezza penitenziaria.
La previsione del comma 5 dell’articolo 14 bis ha comportato diversi inconvenienti, soprattutto nei confronti di quei detenuti sottoposti a un particolare regime detentivo a noma dell’articolo 90 dell’Ordinamento Penitenziario.

Si era diffusa una prassi amministrativa secondo la quale questi detenuti, ritenuti presuntivamente pericolosi, venivano sottoposti al regime di sorveglianza particolare, basandosi proprio sul loro trascorso penitenziario o su alcune condotte tenute durate lo stato di libertà.

Un chiarimento su queste situazioni è stato dato dalla giurisprudenza dei Tribunali di Sorveglianza, che ha sottolineato l’esigenza che i comportamenti sanzionati con il particolare regime detentivo, debbano essere concretamente lesivi dell’ordine e della sicurezza.
L’amministrazione penitenziaria deve sempre valutare l’evoluzione della personalità del soggetto, non potendo basare la sua decisione esclusivamente su comportamenti passati del detenuto stesso.

Se la pena detentiva, inflitta entro il limite di cui al comma 1 dell’art. 47, deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, l’interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l’attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una unità sanitaria locale o con uno degli enti, associazioni, cooperative o privati di cui all’art. 1-bis del decreto-legge 22 aprile 1985, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 297. Alla domanda deve essere allegata certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza e la idoneità, ai fini del recupero del condannato, del programma concordato.

Si applica la procedura della quale al comma 4 dell’articolo 47 anche se la domanda è presentata dopo che l’ordine di carcerazione è stato eseguito. In tal caso il pubblico ministero o il pretore ordina la scarcerazione del condannato.

Il tribunale di sorveglianza, nominato un difensore al condannato che ne sia privo, fissa senza indugio la data della trattazione, dandone avviso al richiedente, al difensore e al pubblico ministero almeno cinque giorni prima. Se non è possibile effettuare la notifica dell’avviso al condannato nel domicilio indicato nella richiesta e lo stesso non compare all’udienza, il tribunale di sorveglianza dichiara inammissibile la richiesta.

Ai fini della decisione, il tribunale di sorveglianza può anche acquisire copia degli atti del procedimento e disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico concordato, deve altresì accertare che lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza o l’esecuzione del programma di recupero non siano preordinati al conseguimento del beneficio.

5. Dell’ordinanza che conclude il procedimento è data immediata comunicazione al pubblico ministero o al pretore competente per l’esecuzione, il quale, se l’affidamento non è disposto, emette ordine di carcerazione.

Se il tribunale di sorveglianza dispone l’affidamento, tra le prescrizioni impartite devono essere comprese quelle che determinano le modalità di esecuzione del programma. Sono altresì stabilite le prescrizioni e le forme di controllo per accertare che il tossicodipendente o l’alcooldipendente prosegue il programma di recupero. L’esecuzione della pena si considera iniziata dalla data del verbale di affidamento.

L’affidamento in prova al servizio sociale non può essere disposto, ai sensi del presente articolo, più di due volte.

Si applica, anche se non diversamente stabilito, la disciplina prevista dalla presente legge per la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale.

Dott.ssa Concas Alessandra

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