Il reato di Stalking – Una introduzione

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L’ art. 612-bis (Atti persecutori) dispone: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena e’ aumentata se il fatto e’ commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena e’ aumentata fino alla metà se il fatto e’ commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto e’ punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela e’ di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto e’ commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio“.

 

  1. Premessa

Il fenomeno dello stalking, definito “Atti persecutori” dal codice, è divenuto di moda prima che il legislatore lo prevedesse normativamente. Esso consiste in un atteggiamento di grave petulanza ed interferenza nella vita di una persona, provocandole un insieme, spesso variegato e molto grave, di conseguenze indesiderate, che possono degenerare in vere e proprie patologie psicologiche, e non solo, per la vittima dello stalking.

Il termine, importato dal linguaggio venatorio anglosassone, sta ad indicare proprio l’atto del braccare effettuato dal predatore (stalker) sulla sua preda, ed è particolarmente significativo, anche se non traducibile in modo ottimale, se non scontando una cifra di ineludibile approssimazione letterale.

Lo stalking non era adeguatamente punito, nel nostro ordinamento, con fattispecie quali le molestie (art. 660 c.p.), poiché questa fattispecie tutela in primo luogo l’ordine pubblico e solo mediatamente l’individuo, vittima delle molestie.

Occorre sottolineare, comunque, che “la lesione o messa in pericolo della tranquillità personale”, reale oggetto di tutela, “può sfociare in una aggressione alla libertà individuale” (1), perciò in passato si è tutelato la prima solo ove e se si fosse leso anche un bene giuridico tutelato con altre fattispecie dal codice, e con modalità meno subdole e ben più visibili dello stalking.

Difatti, solo quando lo stalker aveva “trasmodato verso le sequenze più violente della sua condotta” (13) si poteva configurare una lesione che partiva dal minimo delle molestie fino ad aggressioni via via più incisive e deleterie per la vittima. Non rari sono gli omicidi quali conseguenza (evitabile e) punibile dall’ordinamento, poiché lo stalking è un atteggiamento tanto invasivo quanto strisciante, spesso; e in questi casi, quelli di omicidio in particolare, si ha una sostanziale “sconfitta” dello stato di diritto e della società civile.

Il Regno Unito, la Germania, la Danimarca, l’Olanda, Malta, hanno già una disposizione che punisce lo stalking, poiché esso è frutto degenere delle società avanzate, ed è visto quale paletto evolutivo della società di cui è figlio.

Il fatto è che a volte lo stalker è spesso autore e vittima (13) dello stalking. E non è un caso che gli ordinamenti che già prevedono un reato simile agli atti persecutori, accompagnano lo stesso reato con misure terapeutiche e sociali per la vittima e per lo stesso stalker; tuttavia l’Italia non ha provveduto in merito, nonostante i lavori parlamentari propendessero per un inserimento di misure in tal senso.

In Italia il fenomeno non è affatto minimo, partendo dal primo caso letterario di stalking, quello di fantasia de “I promessi sposi” – come si è scritto – a quelli più recenti, le statistiche sono in forte aumento.

Per tutte queste ragioni si è addivenuti ad una tutela specifica, prevista dall’art. 612-Bis c.p., con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38).

La collocazione del reato tra quelli contro la libertà morale è, dunque, significativa.

 

2. Misure che accompagnano lo stalking

Lo stalking è accompagnato da altre disposizioni al di fuori del codice penale, prive tuttavia di organicità; tra di esse:

  1. una misura di prevenzione: l’ammonimento comminato dal Questore, affinché lo stalker tenga un contegno rispettoso della legge. Il Questore redigerà verbale della diffida e ne darà copia al diffidato, il quale potrà – si deduce – presentare memorie e deduzioni (1). Ove la diffida non dovesse avere esito utile, il reato sarà aggravato e procedibile d’ufficio. Si tratterebbe di una “attività preventiva, rectius, pre-procedimentale”, assumendo il verbale del Questore la veste di strumento di tutela della vittima, “ogniqualvolta l’autore dei fatti non ottemperi alla prescrizione disposta, esibendolo, ad esempio, alle forze di pubblica sicurezza” (12).

  2. modifiche al c.p.p. (significativa l’anticipazione procedimentale nell’acquisizione delle prove);

  3. misure di natura socio-assistenziale di sostegno alle vittime, attraverso contatti utili con centri antiviolenza e l’istituzione di un numero verde per i casi urgenti, attivo 24 ore su 24.

 

3. Bene tutelato, condotta, evento

Il bene oggetto di tutela sembra essere la libertà morale, vista sotto diversi punti di vista, o la “tranquillità psichica” a seconda dell’evento che si realizza (16), configurandosi così, in realtà, più un reato plurioffensivo. Parte della dottrina lo ritiene tale solo quando crea un “grave stato di ansia o di paura” poiché lederebbe l’”integrità funzionale psichica” (4) oltre che la più ampia libertà morale.

Analizzando il reato si deve dar conto della clausola di chiusura: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”. Tuttavia, individuare il reato, più grave, che possa entrare in conflitto con l’art. 612-Bis non è cosa facile (7); si pensi all’art. 615-Bis, che tutela “la riservatezza o privacy nei luoghi di privata dimora… Ne deriva, pertanto, che titolare dell’interesse protetto della norma non è soltanto il soggetto direttamente” colpito dal reato, ma anche il marito della vittima, come nel caso di Cass. 16/04/03, n. 18058.

Difatti l’art. 615-Bis non riguarda il singolo, colto nella sua dimensione fisica, emotiva, psicologica, ma la sua esistenza sociale nella dimensione più fieramente ‘domiciliare’, tanto che il mezzo, non solo la condotta, sono tipici (riprese visive o sonore) e il luogo pure (quelli di cui all’art. 614: il reato di violazione di domicilio).

Se ne deduce che “oggetto giuridico è il diritto alla riservatezza domiciliare. Offesa è la lesione di tale diritto” (6), non l’individuo nella sua persona.

Altri reati chiamati a tutela della vittima di stalking sono stati: a) la violenza privata (art. 610); b) le minacce (art. 612).

In entrambi i casi, tuttavia, il “processo persecutorio aveva già raggiunto un punto di non ritorno” (3), in situazioni, cioè, sostanzialmente irrimediabili, cui la ‘soluzione’ si offre tardi, spesso molto tardi, e con esiti non sempre encomiabili.

Leggendo l’art. 612-bis si nota subito la carenza di “determinatezza dei presupposti del reato, prestando così il fianco al rischio di applicazioni discordanti” (2), con l’aggravante di “ancorare l’integrazione della condotta vietata a parametri estremamente soggettivi” (2), facendosi riferimento a indici di reazione che cambiano da soggetto a soggetto, a seconda dello stato emotivo del singolo individuo e del suo carattere. Infatti anche la “robusta tradizione interpretativa” (15) degli elementi che compongono la dizione del reato (“minaccia o molestia”) non serve ad eliminare dubbi ermeneutici di non poco momento.

Correttamente, attenta dottrina ha subito sostenuto che il nuovo reato di stalking è caratterizzato da una condotta base che può porre in essere “chiunque”, attraverso le condotte “reiterate” di minaccia o di molestia verso “taluno”; trattasi dunque di reato abituale (2), la cui “serialità” qualifica il reato stesso; anche se certa dottrina sembra voglia individuare differenze tra reiterazione e abitualità (1).

La condotta può costituire un reato di per sé (reato abituale proprio) o costituire solo il reato di stalking (reato abituale improprio).

Il dolo è generico, evidentemente, mentre non sembra compatibile il dolo eventuale (4).

Per quanto attiene alla condotta base si richiamano i reati di minaccia e molestia, che saranno però avvinti in un progetto unico di lesione, che “trascorre dai singoli” reati-requisito alla “fattispecie intera” (7).

Interessante in merito è la configurabilità del reato continuato di molestie (o minacce) al posto dello stalking. Si ritiene in dottrina che ove il contesto temporale sia “unico” si avrà continuazione, altrimenti si avrà stalking; questo almeno in punto di diritto, in astratto, ma in punto di fatto il problema è analizzare caso per caso, poiché intendere quale sia il continuo (spazio-)temporale che configuri lo stalking e quando ricorra il “medesimo disegno criminoso” chiesto dal reato continuato è davvero difficile spesso.

In altre parole, sarà ” compito del giudice” valutare la “natura degli specifici atti e il concreto contesto in cui gli stessi si sono verificati” ai fini della abitualità oppure “slegati” e separati; occorre cioè un “nesso di abitualità” tra i singoli atti reiterati, che non dovranno essere conseguenza di situazioni contingenti, occasionali (16). Si vede che il problema rientra in quello solito dei reati abituali, e in quell’ottica devono essere letto anche lo stalking.

Inoltre, le molestie come le minacce non devono guardarsi nella dimensione giuridicamente tipizzata dal legislatore (11), la riprova dovrebbe risiedere nel fatto che gli eventi di questi reati sono (e anche molto) diversi da quelli previsti dallo stalking; in questo modo si evidenzia che importare la nozione di molestie e quella di minacce come previste, interamente e senza adattamenti, al nuovo reato è prima che errato poco realistico.

In realtà, quindi, con “il termine ‘molestia’, il legislatore pare riferirsi alla condotta in sé considerata e non tanto, sulla falsariga della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., al risultato della condotta medesima ” (14) (16). In questo modo la possibilità di un reato complesso, ex art. 84, dovrebbe escludersi alquanto facilmente.

Importante è sottolineare che lo stalking è reato di danno e di evento, come ha sostenuto il CSM nel proprio parere, espresso nel corso del procedimento legislativo. Ne consegue che: 1) non è sufficiente una condotta unica o reiterata, che offenda la libertà dell’individuo e 2) deve aversi un evento di danno, non un pericolo di lesione, altrimenti si sarebbe avuta una serie di “indebite e pericolose estensioni” del reato (3) (14); difatti, rapporti conflittuali di ‘amore-odio’ non sono entità così stravaganti, di modo che se lo “stato di ansia”, in modo particolare, dovesse essere sempre punito penalmente, le condotte ex art. 612-Bis, sarebbero davvero innumerevoli.

Si aggiunge che trattasi di delitto di evento, ma a forma libera, perché nonostante la fattispecie sembra richiedere specificamente le condotte di minaccia o molestia, le stesse si possono avere attraverso una “molteplicità di forme non aprioristicamente individuabili” (14).

D’altro canto, non tutta la dottrina ritiene lo stalking reato di danno. Difatti, chiamando a proprio sostegno i lavori preparatori (ove è definito reato di “pericolo concreto”), si sostiene che lo stalking deve colmare una lacuna normativa e perciò il pericolo è “elemento costitutivo” del delitto stesso (4).

L’evento, si diceva, è il vero fulcro del reato di stalking; difatti gli eventi sono particolarmente tipizzati ma anche molto eterogenei, tanto che si è autorizzati a ritenere che trattasi di reato plurioffensivo, che può ledere “la salute pubblica” come “l’autodeterminazione” (3); tuttavia, chi scrive, ritiene che questo sia un profilo secondario, mentre la reale natura dello stalking deve cogliersi primariamente nella tutela della persona in sé presa, senza ulteriori (legittimi ed opportuni) vagli ermeneutici.

La rilevanza della persona nel reato si avvalora anche per la procedibilità: lo stalking è punibile a querela di parte, entro sei mesi però (non tre); a meno che non si tratti della tutela di minori, invalidi, donne in stato interessante, persone diffidate dal Questore e che alla diffida non hanno tenuto fede, per i quali si procede d’ufficio.

Con lo stalking, dunque, si offre tutela a diversi beni della vita, da altro punto di vista – lo si è accennato – ci si scontra però con la non chiara determinatezza della fattispecie oggettiva del reato (5) (4).

Per quanto riguarda il primo evento (“perdurante e grave stato di ansia o paura”) sembra identificato proprio dalla sua aggettivizzazione in termini di stabilità e gravità.

Ne conseguono dei quesiti: come detto sopra, i rapporti sociali, sentimentali, di lavoro e simili, caratterizzati da alta (e magari rodata e ben sopportata) conflittualità (3) configurino il reato? E quando è persecutorio il timore per l’incolumità propria e/o altrui? E quando poi mutano le “abitudini di vita” a seguito degli atti persecutori?

In dottrina c’è chi sostiene che solo la giurisprudenza e la prassi potranno rispondere alle domande sopra poste (5) e chi ritiene che, come chi scrive, solo l’evento “timore”, sopra menzionato, sia particolarmente difficile da identificare (3). Questo perché, se non si presta attenzione, potrebbero accedere alla fattispecie oggettiva del reato, non a quella soggettiva che riguarda comunque l’agente, fattori della personalità della vittima, colto nel suo retroterra di carattere e atteggiamenti che – se fosse persona particolarmente forte e risoluta – potrebbero elidere un evento che in altri avrebbe dato momento a reazioni emotive ben maggiori. In questo modo è comunque inevitabile un tasso di discrezionalità – per taluno “intollerabile” (9) – in sede processuale, che alimenta un vero “corto circuito probatorio” (9).

Insomma, bisogna evitare (facili) personalismi attraverso la vittima, perché altrimenti si scolorerebbe verso un indistinto reato ‘del sentimento’, in cui la vittima “di particolare fragilità psicologica” fa estendere la fattispecie oltre i limiti compatibili del dettato della tipicità penale (13).

Difatti il diritto penale tutela non il sentimento, cioè “ogni moto dell’animo umano” (Dizionario Gabrielli) in sé, ma una sua obiettivizzazione esteriore (10) che trascende la percezione del soggetto che quel sentimento prova; così per gli atti osceni, non deve considerarsi il sentimento di chi compie l’atto osceno, ma il “comune” sentimento del pudore, che può essere offesa da atti di terzi indebitamente posti in essere in pubblico, attenendo alla “libertà dei singoli” (17).

Perciò, anche in questo caso, è la qualificazione del timore ad essere rilevante; il timore deve essere fondato, e tale dovrà valutarsi secondo una persona normale, che non sia caduta in oscure paranoie, debolezze, ‘timori’ appunto. Perciò deve individuarsi un evento di danno, per eliminare dubbi sulla configurabilità del reato di stalking, anche per quanto attiene allo stato di ansia e paura, che dovrà essere inquadrato in un protocollo medico-scientifico (7), seppure non rigidamente vincolante l’interprete, in specie il giudice.

Per quanto riguarda l’”alterazione delle abitudini” di vita, invece, va da sé che la nozione è ampia, forse troppo. Un profilo comparativo della vita – prima e dopo – lo stalking potrebbe non essere sufficiente. Così anche in questo caso, forse, il trucco è individuare il danno da stalking, non la mera condotta dello stalker. Occorre cioè capire se l’alterazione della vita della vittima è conseguenza inevitabile o naturale dello stalking; ed in ciò sarà il danno, non nella condotta dell’agente che, magari in maniera poco o punto minacciosa (o molesta), tenta lo stalking. Pertanto il mutamento di abitudini frivole o insignificanti non dovrebbero identificare una “alterazione” ex art. 612-Bis (7).

Appare evidente che gli eventi che il legislatore ha tipizzato sono eterogenei nella loro natura: uno di natura psicologica (“stato di ansia e paura” e “fondato timore”), uno di natura fisico-psicologica (l’alterazione delle abitudini di vita); in dottrina si è sostenuto che i primi due eventi sono eterogenei al punto da formare ognuno un proprio polo di attrazione tipologico che si individua pienamente nel rispettivo evento; la questione appare priva di rilevanza pratica.

Il profilo della compatibilità, inoltre, col tentativo è interessante e non univoco. Secondo parte della dottrina non dovrebbe essere compatibile, “fermo restando che deve riuscire a provarsi un numero sufficiente di atti”, nell’insieme, persecutori (5); di contrario avviso la dottrina maggioritaria (7) (8).

 

4. Conclusioni

Nel tracciare la nuova fattispecie, il legislatore “avrebbe potuto fare di meglio e di più, anche se non poche delle difficoltà di tipizzazione legislativa derivano proprio dalle caratteristiche criminologiche del fenomeno stesso” (7) e da espressioni ambigue, usate dallo stesso legislatore, quali: “relazione affettiva”; quale sarà e qual no una relazione affettiva in grado di sorreggere il reato in parola?

Vi rientrano i rapporti familiari stretti (per gli altri vige l’indefinito!), i rapporti amorosi e quelli amicali (4), oltre non sembra potersi avere relazione tutelabile con gli atti persecutori.

Di rilievo, in ultimo, è l’opinione (9) secondo cui l’art. 612-Bis costituirebbe uno strumento agile “dichiaratamente orientato a prevenire reati” gravi, che poggia su una struttura malleabile, in cui si protende verso accertamenti delittuosi che utilizza, pare, mere presunzioni.

Nell’insieme si può affermare che lo stalking ha una sua coerenza complessiva, pur nelle sue non poche lacune e molto può (e si spera riesca a) fare contro lo stalking.

 

 

Scanniello Michelangelo

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

  1. Marino, Violenza sessuale, pedofilia, stalking, 2009, Esselibri;

  2. Garofoli, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, t. II, 2009, Nel diritto editore;

  3. Agnese-De Gioia-De Simone-Puliatti-Rotunno, Violenza sessuale e stalking, 2009, Lex;

  4. Terzi, Il nuovo reato di Stalking: prime considerazioni, in Riv. Penale, 7-8/09, 780;

  5. Neppi Modona-Petrini-Scomparin, Giustizia penale e servizi sociali, 2009, LaTerza;

  6. Mantovani, Diritto penale, Parte speciale, vol. I, 2005, Cedam;

  7. Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte speciale, vol. II, t. I, 2008 (rist. agg.) Zanichelli;

  8. Orfino, Il nuovo art. 612-Bis c.p.: lo stalking entra nel codice Rocco, in Il diritto per i concorsi, 3/2009, 140 ss.;

  9. Squillaci, Gli atti persecutori di cui al nuovo art. 612-Bis, in La rivista nel diritto, 6/2009, 876;

  10. Donini, Danno e offesa nella c.d. tutela dei sentimenti, RIDPP, 4/08.

  11. Parodi, Stalking e tutela penale, 2009, Giuffrè;

  12. Marandola, I profili processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking, in Diritto penale e processo, 8/09, 947 ss;

  13. Cadoppi, Atti persecutori: una normativa necessaria, in Guida al diritto 10/09;

  14. Barbozza-Gazzetta, Il nuovo reato di “atti persecutori”, in www.altalex.it.

  15. Bricchetti-Pistorelli, Sulla circostanza aggravante dell’omicidio c’è il rischio di interpretazioni forzate, in Guida al Diritto, n. 10 del 7 marzo 2009;

  16. Valsecchi, Il delitto di “Atti persecutori” (il cd Stalking), in RIDPP, 3/09, 1370;

  17. Zaza, Atti osceni e contrari alla pubblica decenza, in Enc. Giur., III, Treccani.

Scanniello Michelangelo

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