Il reato di offese ai danni di una confessione religiosa con vilipendio o danneggiamento di cose

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Il reato di offese a una confessione religiosa con vilipendio o danneggiamento di cose è disciplinato  all’articolo 404 del codice penale.

La norma sanziona l’offesa nei confronti delle cose che sono pertinenti all’esercizio di una funzione religiosa oppure relative al culto.

L’articolo in questione, rubricato “Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose” recita:

Chiunque, in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.

Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni.

La dottrina maggioritaria propende per considerare oggetto di tutela la religione quale bene della collettività.

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L’interpretazione della norma

La disposizione punisce chi vilipende con espressioni ingiuriose cose oggetto di culto.

È necessario che il vilipendio sia commesso in luogo destinato al culto, in luogo pubblico oppure aperto al pubblico, o persino in luogo privato, se nello stesso sia svolta una funzione religiosa.

Il vilipendere non si identifica con il semplice disappunto, anche se dovesse essere aspro, nei confronti della religione, ma in modo esclusivo con un disappunto che eccede i limiti di decoro e correttezza e del prestigio della stessa.

Secondo la comune interpretazione, il vilipendio consiste nel tenore a vile, nel ricusare qualsiasi valore etico, sociale o politico all’entità contro il quale è diretta la manifestazione, in modo da negarle ogni prestigio, rispetto e fiducia.

La disposizione punisce chi vilipende con espressioni ingiuriose cose oggetto di culto.

Al comma la  2 la pena si trasforma in detentiva, se il comportamento si dovesse concretizzare in fatti di distruzione, dispersione, deterioramento o imbrattamento di oggetti di culto.

In che modo agisce la sanzione

Secondo le affermazioni di Daniele Polanti in un suo scritto, “l’offesa a una confessione religiosa con il vilipendio alle cose che formano oggetto di culto, si determina attraverso comportamenti, nonostante l’elevato grado di entità di formulazione della norma abbia esposto la stessa a diverse contestazioni di incostituzionalità, soprattutto sull’apparente violazione dei canoni di tassatività e tipicità propri della norma penale”.

Il legislatore, da parte sua, non specifica quali siano i comportamenti che costituiscono vilipendio alle cose che formano oggetto della professione di determinate confessioni religiose.

Da qui deriva la presa di posizione della giurisprudenza nomofilattica ha svolto un’autentica supplenza normativa, colmando un vuoto apparente.

Attraverso l’esegesi della Suprema Corte di Cassazione, si è ritenuto che per vilipendio non si deve intendere un disappunto, ma un’offesa fine nel senso del termine, diretta esclusivamente al disprezzo e alla privazione del pregio, decoro e dignità delle cose che appartengono a un qualsiasi culto.

Una inevitabile circostanza, allo scopo della configurabilità del reato è che il fatto deve avvenire necessariamente in un luogo dove si professa il culto, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, purché vi si svolga una funzione religiosa.

Il comma 2 prevede un’ipotesi più oltraggiosa del bene giuridico meritevole di tutela, che si evidenzia nel deteriorare, distruggere, imbrattare, oppure, rendere inservibili, cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o destinate all’esercizio del culto.

La pena prevista

La pena prevista per il comportamento del quale al comma 1, vale a dire, il vilipendio alle cose pertinenti una confessione religiosa, è la multa da euro 1.000 a euro 5.000.

Sempre Daniele Polanti afferma che:

Mentre, chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto che viene punito con la reclusione sino a due anni.

L’elemento soggettivo ai fini della configurabilità del reato è il dolo generico, vale a dire, la premeditazione di commettere il fatto.

La persona offesa e la persona danneggiata

In un suo scritto Francesca Longo sostiene che:

La giurisprudenza  di  legittimità in  tema  di  reati  contro  il  sentimento  religioso, non  sembra  considerare  la  differenza  tra  soggetto  fisicamente  destinatario  delle offese, soggetto passivo e soggetto danneggiato dal reato.

La norma si limita a indicare, attraverso le modalità della condotta, che destinatari delle offese debbano essere, ai fini della corretta integrazione del reato, i fedeli o il ministro  del  culto. 

La  Cassazione  amplia  tale novero,  ma  senza  effettivamente  trovare  riscontro  nelle  rare  pronunce  successive, sostenendo che nell’ipotesi di offesa rivolta ai professanti la religione rientri anche quella aun ente collettivo, a due condizioni: deve valutarsi l’effettiva possibilità di circoscrivere  l’offesa  nell’ambito  di  un  gruppo  di  persone,  ancorché  ampio, quantitativamente  delimitabile, si deve  verificare la  sua  diretta  incidenza  sui  singoli componenti dello stesso.

Tale interpretazione non sembra rispettare il portato  letterale  della  norma  e,  in  particolare,  la  previsione  di  una  condotta vincolata. L’ente religioso,   rappresentativo   della   comunità   di   riferimento, invero, può qualificarsi semmai quale persona offesa, mentre non potrà dirsi oggetto materiale del  reato.

L’ente religioso,  rappresentativo   della relativa  comunità, si può qualificare semmai quale persona offesa, mentre non potrà dirsi oggetto materiale del  reato.

La  norma descrive  in  modo chiaro e  preciso  le  modalità  della condotta: 

se  un’offesa  è  rivolta  all’ente  esponenziale  di  riferimento -sia  esso garante degli interessidella comunità religiosa o on lo sia, non si rientrerà nell’ipotesi della quale all’articolo 403 del codice penale, è passibile di essere riconosciuto quale soggetto passivo del reato nel caso nel quale  l’espressione ingiuriosa sia stata rivolta a un fedele o  a  un  ministro del  culto  in  quanto  professanti  la  religione,  riconosciuta  quale interesse primario dall’ente stesso.

I  singoli  fedeli  o  il  ministro  del  culto  (non  quale  rappresentante  della  comunità religiosa di ma in proprio), non sono legittimati né a proporre istanza  di  punizione né  a chiedere  il  risarcimento  del  danno  per  tale  espressa violazione, in quanto non qualificabili come persone offese o danneggiate.

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