Il reato di appropriazione indebita, caratteri e disciplina giuridica

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L’appropriazione indebita è una fattispecie di reato riconosciuta, con diverse denominazioni, in numerosi sistemi giuridici contemporanei (embezzlement nella Common law britannica, abus de confiance nel sistema giuridico francese e altri) con il comune denominatore di appropriazione di beni dei quali si sia in possesso, a differenza del furto che presuppone anche una presa di possesso del bene alienato.

Chiarisci i concetti essenziali su questo e altri reati con il “Compendio di diritto penale – parte speciale” di Fabio Piccioni, a cura di Marco Zincani.

L’appropriazione indebita nel passato

Nell’antichità essa si confondeva con il concetto di “furto”.

Alcuni casi di appropriazione indebita vengono descritti come furtum nelle leggi delle XII tavole, e questa concezione continua anche nel Digesto.

A partire dal tardo medioevo una distinzione tra furtum proprium e furtum improprium (quest’ultimo caratterizzato in genere dal detenere già i beni in proprio possesso) comincia a prevedere una distinzione tra le due fattispecie.

L’appropriazione indebita nel sistema attuale

Nel sistema giuridico italiano, l’appropriazione indebita appartiene alla categoria dei “delitti contro il patrimonio”.

Il reato viene così descritto dall’articolo 646 del codice penale che recita testualmente:

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a € 1.032.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d’ufficio se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61.

Nasce come specificazione del delitto di furto, se questo garantisce la proprietà attraverso la tutela del possesso, l’appropriazione indebita difende i diritti del proprietario quando una violazione del possesso non c’è stata, perché il bene è nella sfera possessoria del reo e questo gli consente di fare la cosa propria senza sottrarla.

Il bene giuridico tutelato, un tempo individuato nel generico diritto di proprietà, è oggi identificato nell’interesse di un soggetto diverso dall’autore del fatto, al rispetto dell’originario vincolo di destinazione della cosa, dove però l’origine del vincolo sembra scaturire da qualsiasi fonte, pubblica o privata.

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Il presupposto per l’integrazione della fattispecie criminosa in esame è il possesso da parte dell’agente, ma secondo la dottrina dominante, il possesso a qualsiasi titolo, così come disciplinato dall’articolo 646 del codice penale, non si identifica con il possesso esercitato animus rem sibi habendi, cioè con l’intenzione di esercitare sulla cosa oggetto dell’appropriazione i poteri riconnessi al diritto di proprietà o altro diritto reale, essendo sufficiente ad attribuire al soggetto la qualità di possessore, la facoltà concessa dal dominus di disporre della cosa al di fuori della sua sfera di sorveglianza.

Il possesso viene identificato come un autonomo potere di fatto sulla cosa, che può essere fondato su qualsiasi titolo secondo il disposto dell’articolo 646 del codice penale, e cioè su una legge, su un contratto e qualsiasi altra causa.

Un titolo per il possesso della cosa deve sempre sussistere, non potendovi per esempio essere appropriazione di un bene di provenienza illecita.

Non ha importanza la natura specifica della fonte, quello che assume rilievo è che non si deve trattare di un titolo che ne trasferisca anche la proprietà, perché in questo caso non sarebbe ipotizzabile il reato.

Secondo l’opinione dominante, è impossibile assumere a parametro la nozione civilistica di possesso, la quale così escluderebbe il reato di appropriazione in diverse figure, come ad esempio nel caso dei soggetti qualificabili civilisticamente come detentori.

Si deve determinare una concezione penalistica del possesso, ricomprendente qualsiasi situazione nella quale ci sia una relazione materiale con la cosa, in modo che questa rientri nella sfera di signoria del soggetto non proprietario, accompagnata dalla coscienza e volontà di tale relazione materiale.

Appropriarsi significa fare propria la cosa altrui della quale si ha il possesso, ed esige una connotazione di intenzionalità.

Come tradizione si scompone il concetto in due momenti, l’espropriazione e l’impossessamento, e con questo avviene la cosiddetta interversione del possesso.

Ne sono oggetto l’altrui denaro o altra cosa mobile, e tra queste rientra ogni cosa avente un valore intrinseco, anche non patrimoniale, ma non le idee.

La pena prevista per una simile violazione è quella della reclusione sino a tre anni congiunta alla multa sino a 1.032 euro, e se il fatto è commesso su cose detenute a titolo di deposito, la pena viene aumentata.

In questo caso e quando il reato è aggravato ai sensi del n. 11 dell’articolo 61 del codice penale, la procedibilità è d’ufficio, negli altri casi il reato è procedibile a querela di parte.

L’appropriazione indebita è un reato disciplinato dall’articolo 646 del codice penale, molto affine al furto, ma diverso per il fatto che nel furto il reo si impossessa della cosa altrui (ex art. 624 c.p. “…s’impossessa … sottraendola a chi la detiene”), mentre nel reato in questione la cosa è nel possesso del reo ex art. 646 c.p. “…della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”).

La denuncia o querela per appropriazione indebita può essere presentata personalmente presso qualsiasi ufficio di Polizia Giudiziaria (Carabinieri, Polizia, Segreteria di Procura).

Se si volessero meglio circostanziare i fatti, oppure seguire il procedimento anche al fine di costituirsi eventualmente parte civile (fare valere davanti al giudice penale la propria domanda di risarcimento) sarebbe meglio rivolgersi preventivamente a un avvocato penalista, al fine di esaminare se esistano i presupposti e in questo caso predisporre insieme la denuncia o la querela, da sottoporre poi all’Autorità Giudiziaria.

Nel caso di un soggetto indagato del reato di appropriazione indebita, egli dovrà in ogni caso essere assistito da un legale per poter affrontare il processo, è indispensabile un avvocato penalista.

Se il reato di appropriazione indebita è aggravato, è procedibile d’ufficio, pertanto, chi venga a conoscenza del fatto non ha termini per potere proporre la propria denuncia, anche se più tempo sarà trascorso, più sarà complicato raccogliere elementi di prova.

In assenza di aggravanti, è procedibile a querela con presentazione della stessa entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato.

Alcuni esempi di appropriazione indebita

Commette appropriazione indebita chi si appropri delle informazioni di un sistema informatico duplicandoli.

La duplicazione delle informazioni contenute in un sistema informatico o telematico costituisce condotta tipica del reato di accesso abusivo al sistema informatico o telematico previsto dall’articolo 615 ter del codice penale.

L’ appropriazione indebita viene assorbita da questo reato, l’unico del quale l’agente dovrà rispondere.

Commette appropriazione indebita chi trattenga del denaro vantando una compensazione con un credito preesistente, se il credito non sia sicuro nel suo ammontare, né liquido ed esigibile, in altre parole, se sia contestato e non sia stato accertato con prove scritte.

Ad esempio integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’avvocato che trattenga somme riscosse in nome e per conto del cliente, nonostante egli sia, a sua volta, creditore di costui per spese e competenze relative a incarichi professionali espletati ma per i quali non sia stata dimostrata l’esistenza del credito e del suo preciso ammontare.

Un simile comportamento può costituire anche illecito disciplinare.

Allo stesso modo si dica dei compensi del liquidatore di una società, autonomamente trattenuti dal conto della società stessa in liquidazione.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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