Il problema dell’attuazione degli ordini esibitori in una recente proposta di riforma del processo civile

Redazione 23/01/19
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di Beatrice Ficcarelli*

* Professore Associato di diritto processuale civile nell’Università di Siena

Sommario

1. Osservazioni introduttive.

2. I fondamenti dell’attuale assetto dell’esibizione istruttoria.

3. Brevi cenni ai principali aspetti dell’esibizione documentale.

4. Il problema delle “sanzioni”. La dottrina e la prassi giurisprudenziale. L’ordine rivolto alla controparte.

5. La recente proposta governativa tra scelte “pubblicistiche” ed erosione del principio del nemo tenetur edere contra se.

6. Osservazioni conclusive.

Recenti proposte di riforma del processo civile e segnatamente gli “Interventi per l’efficienza del processo civile” di recente promossi dal Ministro Alfonso Bonafede e diffusi on line dal Ministero della Giustizia, suggeriscono di ripensare all’attuale assetto dell’istituto dell’esibizione documentale sotto il rilevante profilo delle conseguenze del rifiuto di ottemperare all’ordine del giudice.

Quello relativo alle sanzioni, invero, ha sempre rappresentato l’aspetto più delicato (nonché criticabile) dell’attuale disciplina normativa dell’istituto caratterizzato, attualmente, dalla pressoché totale incertezza delle conseguenze che discendono, per la parte e per il terzo che ne sono destinatari, dall’inottemperanza del provvedimento esibitorio.

Il codice di procedura civile del 1942, non a caso, in sede di disciplina generale dell’istituto dell’esibizione istruttoria, non stabilisce espressamente alcuna sanzione né mezzo di cautela a servizio dell’ordine di esibizione.

Le ragioni di questa scelta sono molteplici ma, sostanzialmente, alla possibilità che il legislatore ha lasciato alla parte o al terzo di non collaborare all’esibizione, può essere data una duplice lettura: anzitutto quella che vede tale scelta in funzione della permanenza nel nostro ordinamento del principio dispositivo che attualmente regola, nel processo, i rapporti tra le parti ed il giudice definendone i rispettivi ruoli nonché del postulato del nemo tenetur edere contra se che di quella regola é considerato corollario indispensabile1.

La seconda intepreatazione, invece, é quella secondo la quale le norme in tema di esibizione non contemplano sanzioni semplicemente perché non configurano neppure l’eventualità che l’intimato possa restare inadempiente2.

Quale che sia la ragione, la mancanza di rimedi, se può essere spiegata, sul piano speculativo, in base ai menzionati principi, contrasta in modo evidente con l’immagine ufficiale di un istituto, quale quello dell’esibizione delle prove, a cui il legislatore ha indubbiamente inteso conferire carattere “pubblicistico” ed acquista p>

Difatti, un ordine che può essere disatteso senza conseguenze precise e rilevanti rischia di servire a ben poco; e la prassi diffida giustamente degli strumenti processuali inidonei a produrre risultati certi e, almeno, secundum eventum, utili.

Infine, ma non da ultimo, il problema della mancanza di un apposito apparato sanzionatorio per l’ordine di esibizione rimasto ineseguito va affrontato alla luce del diritto costituzionale alla prova che, come noto, si é affermato come estrinsecazione del più ampio e fondamentale art. 24 della Carta costituzionale3.

E il diritto alla prova non si esplica soltanto con la deduzione ed assunzione delle prove di cui la parte dispone ma va attuato anche con l’effettiva acquizione delle prove ritenute necessarie per la prova dei fatti4 .

L’effettività del precetto costituzionale in questione comporta infatti l’estendibilità del raggio di azione del diritto alla tutela giurisdizionale ad ogni aspetto o elemento della controversia necessario per il conseguimento del bene controverso, poiché il diritto di agire non si esaurisce nella possibilità di accesso agli organi giurisdizionali, ma comprende tutte le attività processuali successive alla proposizione della domanda che siano strumentali all’effettiva e cocreta tutela dei diritti.

Del resto, proprio dall’ammissione o meno di una prova può dipendere l’unica possibilità che il soggetto abbia per dimostrare al giudice l’esistenza del suo diritto ed ottenere quindi tutela giurisdizionale.

Lasciare uno degli strumenti attraverso cui passa la tutela giurisdizionale privo di un adeguato supporto sanzionatorio non può essere accettabile qualora si voglia salda ed effettiva la garanzia del diritto di azione e del correlativo diritto alla prova.

Alla luce di una cornice ordinamentale progressivamente mutata, non pare più possibile definire, in positivo, l’assenza di sanzioni come una delle p>

1 Tale postulato, nell’elaborazione dottrinale, ha sempre costituito un ostacolo all’introduzione di poteri coercitivi in capo al giudice per forzare la collaborazione della parte qualora ciò sia necessario per accertare la verità dei fatti nel processo. V. Cavallone, voce Esibizione delle prove nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv. sez. civ., vol.VII, Torino, 1991, 666. Piu di recente, sull’effettiva portata del “principio” v. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, Milano, 2003, 197 ss. e ci sia consentito il rinvio al nostro Esibizione di documenti e discovery, Torino, 2004, 238 ss.

2 V. Taruffo, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1984, 95.

3 Sull’elaborazione e concetto di diritto alla prova nel nostro ordinamento v. Cappelletti, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale (art. 24 Costituzione e “due process of law clause”), in Giur. cost., 1961, 1284; Trocker, Processo civile e Costituzione, Milano, 1974; Taruffo, Il diritto alla prova nel processo civile, cit., 74 ss.; Graziosi, L’esibizione istruttoria, cit., 11 ss.

4 Questa considerazione, unita al valore che l’accertamento della verità assume nel moderno processo civile, costituisce il filo conduttore dell’opera di Dondi, Effettività dei provvedimenti istruttori del giudice civile, Padova, 1985 che subito affronta il tema dell’attuazione degli ordini esibitori in ottica comparatistica.

Un sia pur breve studio sull’attuazione degli ordini esibitori, non può prescindere da una veloce disamina delle basi su cui l’istituto si é fondato5.

Sull’esempio della legislazione francese ed in ossequio al principio individualistico dei codici napoleonici, nella vigenza del codice di procedura civile del 1865, l’obbligo di esibire documenti in un giudizio era limitato alle ipotesi in cui il richiedente vantasse su di essi un diritto di natura privatistica. Nessuno, parte o terzo rispetto al giudizio, poteva essere costretto ad esibire nel processo medesimo documenti di cui non fosse proprietario, comproprietario o quantomeno documenti che non fossero anche a lui comuni, cioè documenti che costituissero la prova di atti o fatti cui il richiedente stesso avesse direttamente contribuito.

Per questo motivo, la possibilità di chiedere l’esibizione era ammessa solamente quando potesse essere vantato un diritto sostanziale sul documento; diritto che fungeva da giustificazione teorica e, contemporaneamente, da limite applicativo dell’ordine giudiziale di esibizione. L’istanza di esibizione veniva così (correttamente) strutturata come una actio ad exhibendum, fondata sul diritto di comproprietà o su un obbligo legale di presentazione.

Nel 1942, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, l’idea sostanzialista che fino a quel momento ha retto interamente la teoria dell’esibizione e che, in assenza di specifiche norme processuali, ne ha anzi consentito la concreta edificazione, viene superata dal dato normativo degli artt. 210 e seguenti (oltre che dagli artt. 94 e 95 delle disposizioni di attuazione).

La nuova disciplina libera l’esibizione da qualsiasi presupposto sostanziale e crea un istituto di ratio e funzione esclusivamente processuali, che riconosce alle parti il potere, puramente istruttorio, di pretendere l’esibizione di cose o documenti. Le parti medesime, nel corso del giudizio, possono quindi, da quel momento, ottenere dal giudice la pronuncia di un ordine di esibizione relativamente ad un documento di cui ritengano necessaria l’acquisizione al processo e che sia in possesso della controparte o di un terzo.

Con il vigente codice non ha pertanto senso neppure negare efficacia probatoria al documento dolosamente sottratto, come sosteneva il Carnelutti prima dell’introduzione dell’apposita disciplina esibitoria, perché alla valutazione privatistica imposta dal rilievo essenziale dato al diritto sul documento, si è sostituita la valutazione meramente processuale che è fondata sugli stessi principi cui sono informati l’interrogatorio formale della parte e la prova testimoniale del terzo.

Il fondamento pubblicistico del nuovo istituto e la sua base esclusivamente processuale, trovano espressa conferma nell’ enfatica presentazione che ne fa il Ministro Guardasigilli nella relazione (n. 29) al nuovo codice di procedura civile: “Il potere conferito al giudice di ordinare d’ufficio ispezioni sulla persona delle parti o di un terzo, ovvero sulle cose in loro possesso, quando ciò appaia indispensabile per conoscere i fatti della causa; ed altresì il potere di ordinare, a istanza di parte, la esibizione in giudizio di cose in possesso delle parti o del terzo, corrispondono, in conformità dei voti della dottrina e della pratica, a quelle stesse considerazioni di solidarietà sociale e di cooperazione dei cittadini al miglior funzionamento della giustizia, sul quale è basato il dovere pubblico di rendere testimonianza. Come il cittadino è tenuto a deporre secondo verità in giudizio, così, quando l’interesse della giustizia lo reclama, egli deve essere tenuto a mettere a disposizione di questa le proprie cose ed anche, in certi casi eccezionalissimi, la propria persona”.

Il legislatore dimostra in tal modo tutta la sua fiducia in un rimedio di carattere e finalità puramente istruttorie senza sollevare il problema dell’inossrvanza dell’ordine che appare, di conseguenza, un dato del tutto eventuale.

E questa fiducia acquista particolare rilievo se si considera che i riferimenti dell’art. 210 c.p.c. a requisiti ed interessi processuali seguono ad un progetto preliminare e ad un progetto definitivo di riforma del codice di procedura civile che ponevano, invece, come requisiti fondamentali della legittimità dell’ordine di esibizione l’esistenza del carattere della comunanza del documento, nei rapporti tra le parti, e dell’obbligo del terzo, per legge o per convenzione, alla consegna del documento medesimo.

5 Si rinvia, quanto ad un approfondito esame, ai lavori base di La China, L’esibizione delle prove nel processo civile, Milano, 1960; Sparano, L’esibizione delle prove e la sua evoluzione, in Dir. giur., 1960, 140 ss.; Cavallone, voce Esibizione delle prove., cit.; Graziosi, L’esibizione istruttoria, cit.; Volpino, Dell’esibizione delle prove, Commento all’art. 210 c.p.c., in Commentario del Codice di procedura civile, a cura di Sergio Chiarloni, Libro II: Processo di cognizione art.191-266, a cura di Michele Taruffo, Istruzione probatoria, Bologna, 2014, 185 ss.

Come noto, il dato normativo di carattere generale, quello cioè che disciplina l’esibizione documentale come mezzo istruttorio, è rappresentato dal primo comma dell’art. 210 c.p.c. (ordine di esibizione alla parte o al terzo).

La norma stabilisce che “negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’art. 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”.

La disciplina legislativa dell’esibizione processuale é poi completata dall’ art. 94 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile, articolo rubricato “istanza di esibizione”, ai sensi del quale “La istanza di esibizione di un documento o di una cosa in possesso di una parte o di un terzo deve contenere la specifica indicazione del documento o della cosa e, quando è necessario, l’offerta della prova che la parte o il terzo li possiede”.

Dal combinato disposto di questi due articoli emergono i seguenti indici normativi che concorrono a delineare la fisionomia dell’istituto e, anzitutto, anzitutto, l’”istanza di parte”. L’esibizione processuale, è collocata, non a caso, tra i mezzi di prova a disposizione delle parti in base al principio dettato dall’art. 115 c.p.c. e non già, a differenza dell’ispezione – cui peraltro la disciplina esibitoria rimanda-, tra i “Poteri del giudice”.

Nella scelta del legislatore vi è evidentemente, oltre all’ossequio dei principi generali -primo fra tutti il “principio dispositivo” che connota il modello processuale cui il nostro ordinamento si è informato e che nel codice di procedura civile trova nel succitato art. 115 solo una delle sue espressioni-, la considerazione di ordine pragmatico per cui di regola è la parte più che il giudice che è in grado di soddisfare i presupposti a cui è subordinata la possibilità operativa dell’istituto. E’ la parte, cioè, più che il Giudice, la quale conosce se nella sfera giuridica della controparte o di un terzo vi sia un documento rilevante per la dimostrazione dei fatti dalla medesima allegati.

Dalla lettura e collocazione della normativa generale dell’ esibizione processuale si ricaverebbe pertanto, ed anzitutto, l’impossibilità per il giudice di disporre d’ufficio l’esibizione in qualsivoglia tipo di processo considerato, del resto, che il potere istruttorio di ufficio da parte del giudice può essere esercitato solo nei casi tassativamente stabiliti dalla legge, a pena di violare il principio della disponibilità delle prove (dettato dal già ricordato art.115 c.p.c.)7.

6 Per una analisi di approfondimento mi permetto di fare rinvio al nostro Esibizione di documenti e discovery, cit., 252 ss.

7 Come noto, infatti, i casi di attribuzione al giudice civile di poteri ufficiosi in materia probatoria sono, in linea generale, e salvo procedimenti speciali, limitati sostanzialmente: all’interrogatorio libero delle parti in qualunque stato del processo ex art.117 c.p.c; al potere di disporre l’ispezione ex art.118 (norma, come la precedente, ricompresa nel titolo dedicato ai “Poteri del giudice”); alla nomina del consulente tecnico (nei limiti in cui la consulenza tecnica sia un mezzo di prova); al giuramento suppletorio e di estimazione; alla prova per testi nelle ipotesi specifiche previste ex lege, (per esempio l’audizione dei testi de relato); all’esperimento giudiziale ex art. 261 c.p.c.; all’assunzione di sommarie informazioni ai fini di decidere sulla competenza ex art. 38 c.p.c.; alla richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione ex art. 213 c.p.c., norma di carattere speciale in tema di esibizione con funzione complementare, non sostitutiva, rispetto al 210 c.p.c.2.; e, sempre in tema di esibizione ma riguardante parimenti una fattispecie particolare, all’ordine all’imprenditore parte in causa dei libri e delle scritture contabili nonché di lettere, telegrammi e fatture ex art. 2711 c.c. Queste due ultime ipotesi, pur trattandosi di fattispecie esibitorie, rappresentano tuttavia eccezioni alla regola generale e, non a caso, sono espressamente stabilite ex lege.

Le soluzioni fino a questo momento prospettate in dottrina relativamente all’assenza di strumenti che consentano di intervenire qualora l’ordine di esibizione resti inosservato, si differenziano sensibilmente a seconda che il soggetto passivo della richiesta sia la controparte o piuttosto il terzo estraneo alla lite.

Peer quanto riguarda l’ordine rivolto alla parte le conseguenze si pongono (o si sono poste) su di un piano probatorio, risolvendosi nella facoltà per il giudice di trarre “argomenti di prova” dall’inottemperanza della parte initmata, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.

Il rimedio, applicato sia facendo leva sulla visione unitaria dei mezzi istruttori esibizione-ispezione , fondata sul richiamo dell’art. 210 c.p.c. sia in base alla tesi per cui il rifiuto di esibire é di per sé un contegno processuale significativo ai sensi e per gli effetti di quella norma, é apparso, nella pratica dei tribunali l’unico percorribile per tentare di ovviare al problema della violazione della normativa esibitoria in assenza di rimedi espressamente stabiliti. Esso, tuttavia, si scontra sulla difficile individuazione di che cosa sia effettivamente argomento di prova -definito “una tra le più ambigue e termentate nozioni della disciplina delle prove”8 e sopratutto sulla consistenza probatoria di tali argomenti (o sul valore probatorio del comportamento processuale delle parti in relazione alla formazione del convincimento del giudice).

Secondo qualche orientamento, infatti, gli argomenti di prova non possono avere lo stesso valore delle prove in senso tecnico, ma sono solo elementi secondari di convincimento del giudice e, più precisamente hanno, rispetto alle prime, un carattere di probatio inferior privi della forza di essere decisivi per il giudizio9.

Gli argomenti di prova dovrebbero pertanto essere considerati unicamente quali elementi di valutazione delle altre prove addotte in giudizio, con la conseguenza che il giudice, pur tenendone conto, non potrebbe mai fondare su questi soltanto il proprio convincimento. In tal modo, come rilevato dalla miglior più recente dottrina in materia, é abbastanza intuibile come la forza coercitiva che può esercitare sulla parte la facoltà del giudice di trarre argomento di prova dalla mancata esibizione di una determinata prova sia nulla o quasi10.

In giurisprudenza si è andata delineando anche una tendenza favorevole all’idoneità degli argomenti di prova a fondare da soli il convincimento del giudice per considerare il recalcitrante comportamento processuale della parte un elemento grave e preciso di prova, idoneo, di per sé, a costituire unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento e non solo elemento di valutazione degli elementi già acquisiti nel processo. Una prova libera, dunque, in senso pieno.

Tuttavia, come si è già avuto modo di rilevare in passato, l’equiparazione tra argomento di prova e prova in senso proprio sembra correttamente prospettabile solo quando appare più immediato il collegamento tra il fatto da cui è concesso desumere argomenti di prova e il fatto da provare; situazione questa che però, almeno di regola, non si verifica nel caso di inottemperanza all’ordine di ebibizione11.

segue: L’ordine rivolto al terzo.

Anche per il terzo che non ottemperi all’ordine, la legge non indica rimedi, nonostante che da un punto di vista pratico le situazioni di inottemperanza da parte di un terzo si profilano come assai frequenti data la veste di depositari o di detentori di documenti o cose nell’interesse altrui che possono rivestire numerosi soggetti quali banche, avvocati, notai, società e via di seguito. giurisprudenza non ha sostanzialmente mai indicato rimedi di alcun genere.

Ovviamente, poi, il comportamento negativo del terzo non può essere valutato dal giudice a livello probatorio, come invece accade o può accadere per le parti, poiché la sua estraneità alla lite non consente una soluzione direttamente collegata all’esito di un processo che non lo riguarda. Sull’eco della prevalente dottrina, la giurisprudenza si é limitata poi a precisare che l’ordine di esibizione, (indifferentemente rivolto alla parte o al terzo) non é suscettibile di esecuzione forzata e che la mancata esibizione non configura alcuna violazione di legge12.

Piuttosto, il legislatore si é preoccupato, con una disposizione ad hoc, cioé l’art. 211 c.p.c. di assicurare la tutela dei suoi diritti, accordandogli la possibilità, da un lato, di partecipare attivamente alla determinazione del giudice in ordine all’opportunità di disporre o meno l’esibizione e consentendogli, dall’altro, di muovere opposizione all’ordinanza già emessa.

Non è difficile notare, pertanto, come la nostra legge processuale abbia dato al terzo ampia possibilità di far valere situazioni di rifiuto ingiustificato di esibire.

Sulla base di queste premesse, la risposta più immediata all’esigenza di sanzionare il comportamento del terzo é stata ancora rinvenuta nell’art. 118, comma 3, c.p.c. in base al quale il terzo che rifiuta l’ispezione é passibile di una pena pecuniaria da euro 250 a euro 1.500. vale appena la pena di ricordare come tale importo sia stato consistentemente innalzato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 rispetto a quello in precedenza previsto di euro 5.

Sia pur dopo l’intervento del legislatore del 2009, non é difficile cogliere in tale soluzione – che postula la richiamata visione unitaria dei mezzi istruttori ispezione-esibizione a cui dottrina e giurisprudenza sono spesso ricorse, una sostanziale inadeguatezza ed inutlità a risolvere il tema dell’effettività dell’ordinanza di esibizione a causa del modesto importo previsto nelle controversie in cui la posto in gioco è molto alta.

Resta invece diffusa la convinzione della bontà dello strumento della sanzione pecuniaria in sé purché di valore adeguato alle circostanze, caratteristiche ed entità della controversia.

8 Così Chiarloni, Riflessioni sui limitidel giudizio di fatto nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1986, 840.

9 Sul valore probatorio degli argomenti di prova v. di recente le efficaci osservazioni di Luiso, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Milano, 2017, 81-82.

10 V. Graziosi, op. cit., 224.

11 Ci sia ancora consentito il richiamo al nostro Esibizione di documenti e discovery, cit., 276.

12 V. ad es. Cass. 10 dicembre 2003, n. 1883 (Arch. Civ, 2004, 370).

E veniamo al recente progetto di riforma dell’istituto esibitorio.

Intanto, esso riguarda solo il prolema delle sanzioni, non intaccando l’assetto normativo del mezzo istruttorio il quale resta pressochè inalterato quanto agli originari indici normativi concorrenti a delinearne la fisionomia.

Al punto 4 della cd. “proposta Bonafede”, si suggerisce infatti di aggiungere all’art. 210 c.p.c., dopo il terzo comma, i seguenti:

“se la parte rifiuta senza giustificato motivo di eseguire l’ordine di esibizione o non adempie allo stesso, il giudice può trarne argomenti di prova a norma dell’art.116, secondo comma”.

E si aggiunge che “alla parte o al terzo che rifiuta senza giustificato motivo di eseguire l’ordine di esibizione o non adempie allo stesso, il giudice applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1000 a euro 50.000 che é devoluta a favore della cassa delle ammende”.

Nella scelta del proponente appare ben chiaro l’intento di dotare l’ordine di esibizione di un adeguato apparato sanzionatorio che, allo stato, pare volersi articolare in un cumulo di sanzioni (di carattere processuale e non) per la parte, mentre, per il terzo, si delinea esclusivamente lo strumento della sanzione pecuniaria.

Si tratta, peraltro, di una pena destinata ad entrare nelle “Casse dello Stato” e non già in quelle della controparte, con ciò evidenziando una spiccata scelta del proponendo legislatore di sottolineare la rilevanza pubblicistica del mezzo istruttorio, non volendosi distinguendosi, sotto questo profilo, tra la posizione della parte e quella del terzo13.

Intervenendo sulle sanzioni, i proponenti dimostrano così forte attenzione nei confronti del delicato problema dell’effettività dell’ordine di esibizione, la cui realizzazione comporta necessariamente l’attenuazione del postulato del nemo tenetur edere contra se che, fino a questo momento, ha pesamentemente inciso, in senso limitativo, sull’attuazione degli ordini esibitori.

Certamente l’intervento sull’art. 210 c.p.c. può leggersi nell’ambito del più ampio contesto della recente sensibilità maturata nei confronti dei fenomeni sanzionatori non solo a livello di diritto sostanziale ma anche di diritto processuale.

Il pensiero corre infatti a tutti gli indici normativi che in epoca recentissima sono apparsi quali segni tangibili di una curvatura deterrente-sanzionatoria anche in seno al processo civile (oltre che nel diritto sostanziale), quali l’art. 614 bis c.p.c. che ha introdotto nel sistema processuale le misure di coercizione indiretta14, l’art.709 ter c.p.c.15 che parimenti, sia pur nella circoscritta materia delle controversie tra genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o alle modalità di affidamento della prole, prevede un sistema progressivo di misure coercitive indirette16 tra cui una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende e l’art. 96, 3 comma c.p.c. che prevede la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo.

Con riferimento a questa ultima disposizione, tra l’altro, la “riforma Bonafede” propone di aggiungere un quarto comma del seguente letterale tenore: “il giudice condanna la parte che abbia agito o resistito con mala fede o colpa grave al pagamento, a favore della Cassa delle ammende, di una somma pari al massimo a dieci volte il contributo dovuto per il giudizio o, in mancanza, a dieci volte il contributo dovuto per le cause di valore indeterminabile”.

Si tratta, evidentemente, del tentativo di rafforzare una disposizione già di per sé sanzionatoria e non già meramente risarcitoria sottolinenadosi però ora la finalità pubblicistica dell’istituto giacché destinatario della sanzione é lo Stato e non già la parte soccombente.

Le sanzioni previste per l’inosservanza dell’ordine di esibizione si collocano pertanto, al momento attuale, in un preciso percorso ormai già sufficientemente tracciato a livello di legge processuale.

13 Calamandrei, in uno scritto dedicato alle “Conseguenze della mancata esibizione in giudizio” (in Riv. dir. proc. 1930, II, 293) ribadiva come dovesse tenersi distinta la posizione del terzo da quella della parte. Per il terzo, infatti, sussisterebbe un dovere di natura pubblicistica alla produzione di documenti in giudizio da intendersi come mezzi per accertare la verità in un processo. Rispetto alla parte, invece, Egli riteneva non superabili le difficoltà nascenti dal principio di disponibilità delle prove e della connessa regola dell’onere della prova.

14 La letteratura in materia é vastissima. Tra i molti Autori che si sono occupati in via generale dell’art. 614 bis c.p.c. ed ai quali, senza pretesa di esaustività, si rinvia per tutte le problematiche inerenti l’istituto v. Consolo – Godio, Commento all’art. 614 bis, in AA.VV., Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, a cura di Consolo – De Cristofaro – Zuffi, Milano, 2009, 277 ss.; Chizzini, Commento all’art. 614 bis, in Balena – Caponi – Chizzini – Menchini (a cura di), La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Torino, 2009, 160 ss.; Chiarloni, Esecuzione indiretta. Le nuove misure coercitive ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., in www.treccani.it; Barreca, L’attuazione degli obblighi infungibili di fare o di non fare (art. 614 bis c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2009, 4 ss.; Capponi, a cura di, L’esecuzione processuale indiretta, cit., 1 ss.; Gambineri, Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, in Foro it., 2009, V, c. 320 ss.; Mazzamuto, La comminatoria di cui all’art. 614 bis, Europa e dir. Priv., Commentario alla riforma del codice di procedura civile 2009, 947 ss.; Saletti, Commento all’art. 614 bis c.p.c., in AA.VV., a cura di Saletti – Sassani, Torino, 2009, 192 ss.; Merlin, Prime p>, in Riv. dir. proc., 2009, 1548 ss.; Mondini, L’attuazione degli obblighi infungibili, cit., 1 ss.; Zucconi Galli Fonseca, Misure coercitive tra condanna e tutela esecutiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 389 ss.; Tommaseo, L’esecuzione indiretta e l’art. 614 bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 2014, 267 ss.

15 Su cui, per tutti, v. il compiuto lavoro monografico di Donzelli, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., Torino, 2018.

16 Così Graziosi, Diritto processuale di famiglia, Torino, 2016, 237.

La previsione pura e semplice dell’istituto della esibizione documentale non accompagnata da un efficiente meccanismo di attuazione non si é rivelata idonea a salvaguardare il fondamentale diritto alla prova consacrato dall’art. 24 cost. ed elevato ad elemento del giusto processo dall’art.111 della Carte Costituzionale medesima.

Al di là della tecnica redazionale certamente passibile di eccezioni, il tentativo della proposta di riforma in esame di rispondere al delicato problema dell’attuazione dell’ordine di esibizione tramite la predisposizione di un preciso apparato sanzionatorio va pertanto salutato positivamente, essendo peraltro i tempi ormai ampiamente maturi per rendere concreto un simile risultato lungamente tenuto a freno soprattuto per effetto del postulato del nemo tenetur edere contra se.

La proposta avrebbe potuto prevedere tuttavia, a questo punto, un armamentario più complesso di sanzioni, orientandosi verso scelte già ampiamente sperimentate in altri ordinamenti che si sono rivelate in grado di garantire all’istituto esibitorio una concreta effettività.

Per quanto riguarda l’ordine rivolto alla parte, come si è gia avuto modo di osservare17, sarebbe stato opportuno affiancare all’argomento di prova ed alla sanzione amministrativa pecuniaria (preferibilmente però sotto forma di astreinte sulla falsariga del modello francese) anche la possibilità di considerare il rifiuto di esibire alla stregua di un elemento primario di prova con affetti assimilabili a quelli di una ficta confessio, accostandosi cioé il rifiuto di esibire al rifiuto di rispondere all’interrogatorio formale, ipotesi ricostruttiva, questa, che pare la più idonea a soddisfare le esigenze di funzionalità dell’istituto esibitorio.

Quanto al terzo, invece, stante l’insuscettibilità di prevedere sanzioni di carattere processuale, sarebbe stato opportuno affiancare alla sanzione amministrativa pecuniaria in cui si concentra tutto il proposto sistema di attuazione, anche la possibilità di applicare al terzo esibitore le stesse conseguenze, riadattate al nostro istituto, previste dall’art. 255 c.p.c. per la mancata comparizione dei testimoni, vale a dire la possibilità di emettere un nuovo ordine, oppure di ordinare l’esecuizione coattiva.

Del resto i motivi di similitudine tra questi “terzi” sono in effetti molteplici e lo stesso Guardasigilli, nella Relazione al codice di procedura civile (n. 29) non mancava di sottolineare come il potere di ordinare l’esibizione rispondesse alle stesse considerazioni sul quale è basato quello di rendere testimonianza. In entrambi i casi, si tratta di soggetti estranei al processo in corso che si trovano, per ordine del giudice, in posizione di soggezione rispetto a questo, collaborando al raggiungimento della verità processuale senza che si instauri un rappoorto diretto tra colui che richiede la prova e il terzo.

17 Il riferimento é ancora al nostro Esibizione di documenti e discovery, cit., 276 ss.

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