Il principio di apparenza del diritto ha portata generale nell’ordinamento giuridico e riveste la funzione di tutelare l’affidamento ingenerato nei consociati a fronte di situazioni che appaiono reali. La buona fede diventa colonna portante dei meccanismi di apparenza che suscitano l’incolpevole fiducia delle operazioni negoziali tra i soggetti. Infatti, la legge associa un doppio requisito per dare precedenza all’apparenza in luogo della realtà. In passato, la dottrina riteneva che il solo requisito della buona fede soggettiva non fosse sufficiente a prevedere questo meccanismo, ma che ad essa, doveva affiancarsi un elemento oggettivo connesso alla situazione univoca di fatto desumibile da indici sintomatici di concretezza dell’apparenza.
Tuttavia, la finzione giuridica prevalente sulla realtà è destinata a soccombere rispetto alle regole pubblicitarie di conoscibilità ed effettività del diritto. Infatti, queste regole consentono di regolare i conflitti con i terzi che dichiarino di aver assunto posizioni giuridiche in contrasto con l’acquirente.
Indice
1. Questioni applicative sul principio di apparenza del diritto
Sul crinale dei beni mobili, la risoluzione del conflitto dell’alienazione tra più soggetti è risolta attraverso la regola del possesso vale titolo di cui all’art. 1153 c.c.; mentre, la trascrizione costituisce il sistema pubblicitario dei beni immobili e dei mobili registrati. Nel primo caso, il possesso della res, la buona fede al momento della consegna e un titolo in astratto idoneo all’acquisto del bene consentono di risolvere il conflitto tra il terzo effettivo titolare del bene e l’acquirente a non domino, a favore di quest’ultimo. La trascrizione, invece, risolve il conflitto a favore dell’acquirente a non domino in base all’iscrizione dell’atto nei registri pubblici; la buona o la mala fede dei soggetti prescinde in base all’assunto che la regola è costituita dal criterio di priorità temporale in coordinamento con il principio di continuità delle trascrizioni di cui all’art. 2650 c.c.
Il codice ha menzionato la disciplina dell’apparenza nelle ipotesi dell’erede apparente di cui all’art. 534 comma 2 c.c., del creditore apparente ex art. 1189 c.c. e nella simulazione del contratto di cui all’art. 1414 c.c. La giurisprudenza ha, infine, elaborato, in virtù delle norme codicistiche, le figure della società apparente e della rappresentanza apparente.
Una questione dibattuta riguarda il modo in cui l’apparenza sortisce gli effetti nelle dinamiche del negozio giuridico. Il contrasto assume rilievo poiché le norme del codice riferiscono come unico criterio la buona fede del terzo acquirentenel caso dell’acquisto del terzo dall’erede apparente di cui all’art. 534 comma 2 c.c. o del debitore nel caso dell’art. 1189 c.c. Invece, la giurisprudenza pare orientata nel senso di ritenere dirimente ai fini dell’apparenza anche la colpa del soggetto che approfitti della situazione d’apparenza e che non faccia nulla per rimuoverla.
In ogni caso, sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di rappresentanza legale, la soluzione sembra orientata ad ammettere un atteggiamento colposo in capo al titolare effettivo del diritto tale da generare nei confronti del terzo un legittimo affidamento a concludere il contratto con il falso rappresentante.
Nel caso di specie, l’apparenza prevale sulla situazione giuridica reale perché il creditore ha innescato nei confronti del terzo in buona fede la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza legale sia stato attribuito con effettività in capo al rappresentante apparente. In definiva, le manifestazioni legislative costituiscono norme eccezionali a cui il legislatore associa l’apparenza pura, mentre, le elaborazioni giurisprudenziali richiedono l’elemento ulteriore della colpa in capo al titolare effettivo in forza del principio di auto-responsabilità. Siffatta impostazione presuppone che ogni soggetto che compia un’azione ne assuma le conseguenze, qualora quest’ultime generino un affidamento incolpevole nella sfera giuridica del destinatario.
L’assunto si pone in coerenza sistemica con la norma di cui all’art. 1372, comma secondo, c.c. che evoca il principio di relatività del contratto.
2. L’erede apparente
La regola dell’apparenza depone in senso favorevole nel caso degli acquisti del terzo dall’erede apparente secondo quanto previsto dall’art. 534, comma secondo, c.c. L’ordinamento appresta una particolare tutela, in deroga al comma primo, per gli aventi causa che abbiano acquistato diritti, per effetto di convenzioni a titolo oneroso, dall’erede apparente.
Secondo l’opinione della dottrina, l’erede apparente è colui che pone in essere comportamenti volti a ingenerare la situazione d’apparenza per gli aventi causa poiché compie atti idonei a sortire la percezione che si tratti del vero successore del de cuius.
La norma richiede due condizioni per far salvi i diritti dell’avente causa: l’acquisto attraverso convenzioni a titolo oneroso e la buona fede del terzo. Quanto al primo requisito, la dottrina, in via del tutto pacifica, ha esteso la portata delle convenzioni anche agli atti unilaterali, in base all’affidamento riposto dal terzo sull’acquisto di un diritto che rientra nella sfera giuridica del vero erede.
Il secondo requisito riguarda la prova processuale della buona fede in capo al terzo durante il contratto. La previsione costituisce una deroga all’art. 1147, comma terzo, c.c. che ritiene la buona fede presunta fino a prova contraria.
La buona fede del terzo acquirente necessita di essere coordinata con il sistema della pubblicità dei beni immobili o mobili registrati. Se negli atti inter vivos, la trascrizione assolve, il più delle volte, ad una funzione dichiarativa ai fini dell’opponibilità dei terzi, negli atti mortis causae, la stessa soddisfa una funzione di conservazione. Infatti, l’art. 534, comma terzo, c.c. prescrive che la norma non trovi applicazione nel caso in cui l’acquisto dall’erede apparente non sia stato trascritto anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte o della domanda giudiziale del vero erede.
Infine, la dottrina si è interrogata sulle vicende relative all’acquisto a titolo originario o derivativa da parte del terzo acquirente dall’erede apparente.
La tesi maggioritaria ritiene che si tratti di acquisto a titolo derivativo sulla base dell’assunto per cui è il negozio a produrre l’acquisto. Infatti, il legislatore, attraverso un meccanismo di fictio iuris, qualifica l’erede apparente come soggetto dotato di un potere di legittimazione a disporre al pari del vero erede.
Tuttavia, è preferibile la tesi che qualifica l’acquisto a titolo originario a non domino, in base allo schema per cui il potere di disposizione dell’erede apparente costituisce una legittimazione generale a disporre. Si tratta in definitiva, di un’operazione complessa costituita da tre elementi: la buona fede del terzo come fattore autonomo e costitutivo della fattispecie, la situazione apparente e l’accordo tra l’avente causa e il successore apparente.
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3. Il creditore apparente
Un’ulteriore previsione legislativa che annette la prevalenza della finzione sulla realtà è la norma di cui all’art. 1189 c.c. Il pagamento al creditore apparente si raccorda con la disciplina di cui all’art. 534, comma secondo, c.c. nel momento in cui la buona fede del debitore deve essere provata. La diligenza del debitore è, altresì, ostacolata dal meccanismo di pubblicità legale dove gli effetti della sentenza dichiarativa producono effetti erga omnes. La giurisprudenza e la dottrina ritengono che il sistema pubblicitario consenta al debitore di evitare l’adempimento della prestazione ad un soggetto non legittimato in forza del meccanismo legale di sicurezza insito nella registrazione del vero creditore.
La questione si pone anche con riferimento agli effetti vantaggiosi o svantaggiosi provenienti dalla simulazione sui terzi. La legge prevede che per i terzi svantaggiati dall’accordo simulatorio la realtà prevalga sull’apparenza; mentre, l’apparenza insiste sulla realtà nel caso dei terzi avvantaggiati dalla simulazione.
Nel caso di specie, l’apparenza è riconnessa alla buona fede dei terzi che hanno riposto la fiducia nei confronti del titolare, reputato effettivo, del diritto.
Infatti, la presunzione della buona fede dei terzi avvantaggiati dall’accordo simulatorio, prevista dall’art. 1147 c.c., trova applicazione, salvo che i terzi, pregiudicati a far valere la realtà sull’apparenza, dimostrino la malafede degli avvantaggiati al momento dell’acquisto del bene.
Tuttavia, anche in questo caso la regola della buona fede dei terzi soccombe dinanzi alle norme dettate in materia di trascrizione per l’acquisto dei beni immobili o mobili registrati e alle regole del possesso vale titolo, secondo un coordinamento sistemico delle norme di cui all’art. 1153 e 1155 c.c.
4. La doppia alienazione immobiliare
Per un certo verso, la doppia alienazione immobiliare subisce gli effetti dell’apparenza per cui, il secondo acquirente a non domino può dichiararsi l’effettivo proprietario di un bene solo per il fatto che abbia adempiuto, per primo, a trascrivere l’atto.
Il nostro ordinamento accoglie il principio consensualistico, in forza del quale, la reciprocità dei consensi trasferisce il diritto reale di proprietà o di godimento del bene. L’accoglimento di siffatta impostazione ha due ragioni: da un lato, la volontà dei soggetti diventa momento nevralgico e sufficiente per realizzare la costituzione o il trasferimento del diritto; dall’altro, le esigenze di circolazione della ricchezza e la speditezza dei traffici giuridici rendono indispensabile la logica della semplificazione.
Tuttavia, la manifestazione del reciproco consenso delle parti ha richiesto una manovra legislativa per colmare eventuali vuoti di tutela legati alla sicurezza dei traffici giuridici per l’acquisto dei beni immobili attraverso le regole dell’opponibilità.
Infatti, l’art. 2644 c.c. si atteggia a norma risolutiva del conflitto che attribuisce al primo trascrivente-secondo acquirente l’acquisizione del diritto anche se acquistato successivamente al primo acquirente-secondo trascrivente.
La dottrina prevalente ha ritenuto che il secondo acquirente acquisti a titolo derivativo il bene dal medesimo dante causa, nonostante egli sia divenuto privo del potere di godere e di disporre, per effetto del consenso relativo al passaggio del bene al primo acquirente. La tempestiva trascrizione del secondo acquirente, tuttavia, ha innescato un meccanismo analogo a quello previsto dall’operatività di una condizione risolutiva legale, la cui verificazione ha risolto la prima alienazione con effetti retroattivi.
Un diverso orientamento ha rilevato che l’acquisto e la prima trascrizione del secondo acquirente si giustifichino sull’assunto dell’apparenza dell’operazione negoziale. La dottrina ha puntualizzato che la perdita della prima alienazione non è una conseguenza diretta del secondo acquisto – di per sé inidoneo a produrre effetti stando alla rilevanza del consenso legittimamente manifestato tra il primo acquirente e il dante causa- ma dalla situazione di apparenza complessiva creata dalla stipula di un nuovo contratto tra l’alienante e il secondo acquirente e la conseguente trascrizione del negozio. Tuttavia, la principale critica mossa alla tesi dell’apparenza della doppia alienazione immobiliare ha ad oggetto la trascrizione quale presupposto dell’efficacia delle successive trascrizioni di cui all’art. 2650 c.c.
Infine, la tutela del primo acquirente-secondo trascrivente riposa sul risarcimento del danno da inadempimento contrattuale dell’alienante di cui all’art. 1218 c.c. in forza del quale, quest’ultimo, è tenuto ad astenersi da comportamenti successivi che vanifichino il trasferimento il trasferimento. Dunque, la funzione dichiarativa della trascrizione impedisce al primo avente causa di conseguire l’alienazione del bene anche se il secondo-acquirente-primo trascrivente era a conoscenza dell’atto d’acquisto precedente. Infatti, la giurisprudenza e la dottrina hanno chiarito che il secondo acquirente e il medesimo dante causa sono obbligati in solido al risarcimento del danno in relazione al meccanismo riparativo di cui all’art. 2055 c.c.
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