Il precario equilibro del contributo tecnico nella dialettica processuale

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Commento alla sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione Penale, sez. III penale del 18 febbraio- 20 maggio 2020, n. 16458.

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Con l’arresto giurisprudenziale in oggetto, il Supremo Consesso di legittimità ha partorito il principio di diritto ad onta del quale il valore probatorio della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 359 c.p.p., seppur non equiparabile a quello della perizia disposta dal giudice ex art. 220 ss c.p.p., deve ritenersi superiore a quello della consulenza disposta da altre parti del giudizio, avuto riguardo al fatto che il pubblico ministero, pur nell’ambito della dialettica processuale, non è portatore di interessi di parte.

In aggiunta, il ruolo svolto dal pubblico ministero consente- quasi per osmosi- al tecnico dallo stesso nominato, nella fase delle indagini preliminari, di assumere la qualifica di pubblico ufficiale, ergo il suo elaborato diventa il frutto di un’attività di natura giurisdizionale non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio.

Indubbio che i due pilastri su cui gli Ermellini fanno reggere- o almeno tentano di farlo- la prevalenza probatoria degli esiti degli accertamenti e delle valutazioni del consulente, nominato dal P.M. ai sensi dell’art. 359 c.p.p., vanno rintracciati tanto nell’assenza di interessi di parte rappresentati dall’organo di accusa, quanto nella qualifica di pubblico ufficiale assunta, per l’investitura ricevuta, del consulente tecnico dal primo nominato.

Sulla base della asserita prevalenza probatoria, i giudici di Piazza Cavour dichiarano inammissibile il ricorso ex art. 606 c.p.p. avanzato dalla difesa dell’imputata, al precipuo fine di censurare in sede di legittimità la sentenza confermativa della responsabilità penale della stessa, pronunciata dal giudice di appello.

Più specificatamente, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza dell’11 febbraio 2019, aveva confermato la condanna alla pena di sei mesi di arresto ed euro 25.000 di ammenda per i reati di cui agli artt. 44, lett. c), 71 e 95 D.P.R. n. 380/2001, e 181 D.lvo. n. 42/2004, per aver realizzato in zona paesaggisticamente vincolata la ricostruzione di un preesistente manufatto rurale, qualificabile come nuova costruzione […] in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, oltre alla violazione delle prescrizioni per le opere in cemento armato.

 

Il ricorso per cassazione avanzato dall’imputata, per il tramite del suo difensore, risulta articolato su di un solo motivo di gravame, il quale censurava il vizio di motivazione in cui era incorso – a dire della difesa- il Collegio leccese. Ebbene esso Collegio, pur riscontrando palesi divergenze tra gli esiti degli accertamenti effettuati dal consulente tecnico della difesa e quelli a cui era giunto, all’opposto, il consulente del P.M., aderisce apoditticamente alla perizia disposta dal PM, senza offrire un adeguato impianto motivazione che potesse giustificare, ovvero sostenere, la scelta di seguire tale direzione conclusiva.

Orbene, la Corte di Cassazione investita dell’arduo compito di dirimere il contrasto di posizioni de quo, si mostra palesemente orientata a mettere in dubbio l’attendibilità (rectius genuinità) degli elaborati tecnici forniti dai consulenti della difesa, verosimilmente poiché impregnati di interessi personalistici e di parte e dunque non affidabili in sede di valutazione. Ex adverso priorità assoluta, salvo casi del tutto eccezionali – oserei dire irrealizzabili- viene accordata alle argomentazioni fornite dal consulente tecnico operante dietro lo scudo della Pubblica accusa.

Tali asserzioni consentono di porre un rigido perimetro all’oggetto di analisi, orbitando nell’alveo della rilevanza che consegue, nella dialettica processale, l’elaborato tecnico del consulente del P.M. e la sua prevalenza nella comparazione con l’elaborato dei consulenti delle altre parti private.

Le norme del codice di rito

Ciò posto, appare indispensabile focalizzare l’attenzione sulle norme del codice di rito vigente, che trovano operatività nell’illustrato segmento del processo penale.

Fa da apripista l’art. 359 c.p.p., il quale positivizza il principio che legittima il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti od operazioni tecniche, per le quali sono necessaria specifiche competenze, a nominare e avvalersi dei consulenti.

Preliminarmente occorre precisare che la locuzione accertamenti non si identifica con l’operazione volta alla costatazione raccolta dei dati pertinenti al reato o alla sua prova, ma riguarda piuttosto lo studio e l’elaborazione critica dei medesimi (cfr. Cass. pen. sez. I 03/06/1994, n. 10893).

La facoltà di nominare dei consulenti tecnici, riconosciuta anche alle altre parti componenti la dialettica processuale, può essere esercitata sia quando il giudice abbia disposto la perizia, sia fuori dei casi di perizia. Infatti nel primo caso l’art. 225 c.p.p. sancisce che disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti. In maniera del tutto analoga, quando non è stata disposta la perizia, l’art. 233 c.p.p. dispone che ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici.

Per completare l’analisi del quadro normativo operante in tale materia, va osservato che, limitatamente alla posizione del PM, i consulenti dallo stesso nominati non possono rifiutare la loro opera e devo essere scelti, conformemente all’art. 73 disp. att. c.p.p., tra i soggetti iscritti negli albi dei periti.

L’assetto normativo testé descritto costituisce le fondamenta che consentono alla Suprema Corte di edificare il principio di diritto innanzi esposto, il quale può essere analizzato sotto due punti di osservazione distinti.

Il primo pone in risalto il ruolo svolto dall’organo di accusa, il quale, conformemente al diritto/dovere di ricercare anche prove a favore dell’indagato, ha come esclusivo obiettivo quello della ricerca della verità concretamente raggiungibile attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza ed imparzialità.

Tale assunto si regge su di una nitida contraddizione di fondo.!

Difatti, gli Ermellini – come si legge nella motivazione della sentenza de quaex ante identificano nell’attività tecnica svolta dal consulente del PM, la quale sfocia in conclusioni alle quali il magistrato inquirente aderisce hic et nunc, comunque il prodotto di un’indagine di parte, che da consolidata ed inconfutabile prassi processuale posta a sostegno e tutela del paradigma vittimario.

Immediatamente dopo, in palese antinomia, il supremo collegio rende la funzione del Pubblico Ministero avulsa da qualsivoglia coinvolgimento soggettivistico, assurgendo a mero strumento terzo ed imparziale di ricerca della verità, essendo positivizzato nell’art. 358 c.p.p. – ma poche volte attuato- il diritto/ dovere dell’organo di accusa di ricercare anche prove “a favore dell’indagato”.

La narrativa motivazionale offerta in sentenza compie un ulteriore passo verso la consacrazione della figura del consulente tecnico, che in quanto ausiliario nominato dal PM nella fase delle indagini acquista la qualifica di pubblico ufficiale, e la cui relazione conclusiva viene considerata “frutto di un’attività di natura giurisdizionale”, dai contenuti dommatici, non comparabile con quella del consulente della parte privata.

Viene confermato un precedente indirizzo giurisprudenziale della medesima Corte, secondo cui il consulente tecnico del pubblico ministero, sia per l’investitura ricevuta dal magistrato, sia per lo svolgimento di un incarico ausiliario all’esercizio della funzione giurisdizionale, assume la qualifica di pubblico ufficiale (Cass. pen. sez. VI, 7/01/1999, n. 4062).

La decisione

Sono questi i vacillanti pilastri sui quali la Corte di Cassazione riconosce agli accertamenti ed alle valutazioni del consulente nominato ex art. 359 c.p.p., in ragione della funzione ricoperta dal Pubblico Ministero, che sia pur nell’ambito della dialettica processuale, non è portatore di interessi di parte, una valenza probatoria non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio, con l’unica valvola di sicurezza rintracciabile nella illogicità, contraddittorietà ed inattendibilità dei medesimi apprezzamenti tecnico-scientifici.

Tale orientamento, in definitiva, oltre a creare un evidente vulnus nelle dinamiche processuali a discapito dell’indagato/imputato, le cui garanzie vanno sempre più erodendosi, mina la credibilità del professionista, consulente tecnico, innalzato a portatore di verità profetiche quando assolve l’incarico per conto dell’organo d’accusa, e declassato, ex adverso, a mero portatore di interessi di parte quando, suo malgrado, assiste la tesi difensionale.

Per tali ragioni, a parere di chi scrive, si auspica che la pronuncia in commento non trovi seguito ed appiattimento da parte della medesima Corte nelle sue successive pronunce. Infatti, se così fosse ci troveremmo difronte ad un ulteriore tassello tendente a dare implicita conferma della mai raggiunta parità tra accusa e difesa che finirebbe- sempre di più- per divenire solo mera utopia.

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