IL potere regolamentare dei comuni in materia urbanistica in tema di impianti di telefonia

Puliatti Paola 07/09/06
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PREMESSE

 

L’argomento è di scottante attualità: la diffusione delle nuove tecnologie in materia di comunicazione, delle quali si sconosce appieno la potenzialità nociva per la salute, almeno a lunga distanza, suscita allarme sociale.

I Comuni si trovano a fronteggiare, impreparati, la nuova emergenza “dell’elettrosmog”, dovuta al rapido moltiplicarsi degli impianti sul territorio, conseguente alla presenza sul mercato di una pluralità di gestori ed alla velocità delle innovazioni tecnologiche, che in breve tempo rende obsolete tecniche e impianti preesistenti.

Di quale armamentario giuridico dispongono? Il loro potere di intervento a tutela di quali interessi pubblici è concepito dall’ordinamento vigente? E quali i limiti derivanti dal “preminente interesse nazionale” ad assicurare un servizio in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale?

Quali spazi di autonomia residuano in capo all’ente locale, tenuto conto di competenze statali e regionali?

Sono queste le domande cui cercheremo di dare risposta.

 

L’argomento in qualche misura mette in luce aspetti non del tutto pacifici dell’ampiezza dei confini della tradizionale materia dell’”urbanistica”, oggi “governo del territorio”, attribuita alla competenza normativa di rango primario concorrente Stato- Regioni e di rango secondario dei Comuni.

Mette in luce come incertezze interpretative permangono nel terreno scivoloso della individuazione delle materie e dei contenuti della potestà normativa-regolamentare dei comuni.

 

Segnale dell’esistenza di tali incertezze interpretative  è come sempre dato dalla statistica giudiziaria: una buona percentuale dei ricorsi che vengono trattati in sospensiva in questo periodo attengono alla impugnazione di regolamenti comunali adottati ai sensi dell’art. 8 comma 6, l. 36/2001; altri all’impugnazione di provvedimenti di diniego delle istanze di concessione avanzate dai gestori degli impianti di telefonia; altre all’impugnazione di ordinanze contingibili e d’urgenza a tutela della salute, adottate dai sindaci.

 

La trattazione dell’argomento prende necessariamente le mosse dalle fonti normative e, in primis, dal quadro costituzionale.

 

IL QUADRO COSTITUZIONALE

 

Dopo la riforma del 2001, con un rovesciamento completo rispetto alla tecnica previgente del riparto di competenze legislative, la nuova formulazione dell’art. 117 cost. è imperniata sull’elencazione delle materie di competenza statale esclusiva.

 

Sono affidate alle regioni oltre le funzioni concorrenti, elencate al terzo comma dell’art. 117, le funzioni legislative residuali/esclusive, non attribuite alla competenza statale.

 

Nelle materie di competenza legislativa concorrente, lo stato detta i principi della materia, nel quadro dei quali la Regione adotta la disciplina.

 

E veniamo alle materie che risultano implicate dal nostro tema dell’insediamento nel territorio delle stazioni radio-base.

 

La tutela “ dell’Ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è materia nuova, che ha assunto una propria autonoma consistenza nella Costituzione ( non compariva prima, neppure negli statuti speciali) ed è di competenza statale esclusiva (l’art. 117 comma 2 lett s).

Alla legislazione esclusiva appartiene anche “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (117, lett. m)

La “tutela della salute” invece rientra tra le materie di competenza concorrente ( art. 117, 3° comma)

E così pure l’urbanistica.

Il termine “urbanistica” non figura più… ma compare la materia “governo del territorio”, anch’essa  di competenza concorrente stato-regione.

Ma tra le materie di legislazione concorrente figurano anche “la protezione civile” e “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”

La tutela del paesaggio, non espressamente menzionata rientra invece nella competenza residuale/esclusiva delle regioni.

 

In materia di comunicazioni la competenza della regione è di tipo concorrente, limitata dai principi fissati dalla legge statale ( questo è quanto ha affermato la Corte Costituzionale con sent. 307/2003)

Due osservazioni si impongono in limine: l’una concernente la condizione di esercizio del potere legislativo concorrente della regione, rappresentata dai “principi fondamentali” posti dallo Stato.

L’altra,lo spinoso problema della “individuazione delle materie.

 

Per il primo aspetto, per inciso, va detto che la Corte Cost. ha ritenuto che non sia necessario per l’esercizio della competenza regionale di dettaglio la previa adozione di tali principi in leggi statali nuove ed apposite e che i “principi”, secondo la Corte possono trarsi oltre che da leggi apposite posteriori alla riforma del titolo V della Costituzione, anche dalle leggi statali  non di cornice già vigenti e rimaste in vita per il principio di continuità ( corte cost. 282/2002).

Il che consente di sottrarre i legislatori regionali all’inerzia del legislatore statale nell’adottare nuove e apposite leggi- cornice.

Così pure in assenza totale di principi statali, la soluzione in maggiore sintonia con l’attuale configurazione della competenza statale come derogatoria e di quella regionale come generale, è che la regione è legittimata comunque a legiferare (Corte Cost. 94/2003)

 

Per il secondo profilo, e cioè l’ardua questione della individuazione delle materie, va detto che proprio per alcune delle materie implicate nel nostro argomento, “tutela dell’ambiente e “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” La Corte Costituzionale le ha definite “materie-non materie”, o “competenze statali “trasversali”, intendendo con ciò la loro potenzialità di penetrare e muoversi in potenzialmente tutte le altre materie individuate con criteri diversi e spettanti alla competenza regionale di qualsiasi tipo ( e cioè sia concorrente, sia residuale/esclusiva), accostandovisi o sovrapponendovisi o altrimenti limitandola.

La ragione del carattere trasversale di tali materie è dovuta principalmente al fatto che non si individuano come settori riferentesi a dati oggetti, ma secondo un criterio finalistico, sulla base dei valori che intendono proteggere.

E’ così per la tutela dell’ambiente e della salute.

Quando la materia è definita dal fine che vuole raggiungere l’estensione della relativa disciplina tocca una pluralità di oggetti pertinenti a materie diverse e assegnate a diversi titolari.

Allora è inevitabile il proliferare di interferenze e sovrapposizioni di normative.

Una ulteriore implicazione del carattere trasversale di talune materie è la difficoltà di collocare un oggetto di protezione esclusivamente in un ambito definito.

La conseguenza è, ad es., un primo profilo problematico attinente la disciplina della protezione dall’esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti per telecomunicazioni  e cioè quello se la disciplina sia da far rientrare tout court nella materia “ambiente” o in quella “salute”.

La normativa comunitaria ( direttiva 96/2/CE della Commissione del 16 gennaio 1966 prevedendo che soltanto gli stati membri possono imporre condizioni circa l’installazione e la gestione di reti o la fornitura di servizi di telecomunicazioni ed esclusivamente per esigenze fondamentali tassativamente individuate) sembrerebbe imporre una conseguente considerazione del riparto delle materie di legislazione concorrente tra stato e regione: la disciplina dovrebbe spettare esclusivamente allo Stato, almeno per quanto riguarda fissazione di limiti-soglie di esposizione a rischio per l’ambiente e la popolazione.

Tuttavia, non è irragionevole escludere del tutto la competenza concorrente delle regioni, anche pensando alla concomitanza con altri settori, ad es. se si pensa che la “salubrità” dell’ambiente tocca inevitabilmente la tutela della salute.

La Corte Costituzionale in recenti pronunzie sull’argomento, in realtà sembra orientata nel senso di considerare la competenza in materia di tutela ambientale condivisa tra stato e regione e mostra di intendere la riserva esclusiva alla competenza statale solo limitata al potere di fissare standards minimi inderogabili di tutela, uniformi su tutto il territorio nazionale, mentre al di là degli standards permarrebbe la legittimità di  interventi regionali diretti a soddisfare interessi concomitanti più o meno appartenenti a campi di materie diversi( sent. 407/2002)

La competenza statale esclusiva in materia di ambiente sembra dunque restringersi in materia di ambiente a quella di “determinazione di valori limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell’ambiente sul territorio ( secondo una dizione che era contenuta nella riforma Bassanini D.P.R. 112 del 1998, art. 69, comma 1, lett. e)).

 

A questo punto è d’obbligo una considerazione: se il compito dello stato è quello di individuare gli standars minimi di tutela, che competenza residua al riguardo in capo alle regioni?

 

E’ possibile con legge regionale una deroga in melius?

E’ possibile innalzare ulteriormente il livello di tutela attraverso fonti normative concorrenti?

 

In passato la Corte aveva ammesso una deroga in melius ( rispetto alla tutela dei valori ambientali escludendo l’illegittimità costituzionale di una legge regionale che prescriveva per la collocazione sul territorio di linee elettriche, distanze di rispetto da aree edificabili con particolari destinazioni, maggiori di quelle stabilite con legge dello Stato ( Corte Cost. 382 del 1999)

 

La questione si è posta, di recente, all’attenzione della Corte Costituzionale a proposito di limiti di distanza tra impianti di telefonia mobile ed edifici, rispetto ad una legge della regione Lombardia ( n. 4 del 2002) che introduceva in aggiunta al criterio basato su limiti di immissione, previsto dalla legge statale ( l. 36/01)  l’ulteriore limite del criterio della distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione.

La soluzione che la Corte ha dato è stata negativa  considerando che la “deroga in melius” agli standards statali interviene dopo che con legge quadro statale è stata dettata una “disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull’intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni”. In questo contesto, afferma la Corte, interventi regionali del tipo di quello ritenuto dalla sentenza del 1999 non incostituzionale, in quanto aggiuntivo deve ritenersi ora incostituzionale “ perchè l’aggiunta si traduce in una alterazione”, quindi in una violazione dell’equilibrio tracciato dalla legge statale di principio”. (Corte Cost. 331/2003).

 

Risulta, in realtà, piuttosto difficile condividere l’argomentazione della Corte sic et simpliciter: riteniamo piuttosto che tutto ciò che comporti innalzamento della tutela e sia pur compatibile con gli altri interessi in gioco non possa essere considerato in contrasto con l’assetto costituzionale delle competenze, proprio in quanto migliorativo del livello standard di protezione, di un livello cioè di protezione che in quanto “minimo” non può escludersi a priori che venga innalzato. Ciò ovviamente senza compromettere l’equilibrio tra le varie esigenze compresenti e, nella materia che ci occupa, la garanzia in primis di un eguale livello del servizio, ovvero di prestazioni della rete di comunicazione come nel resto del territorio nazionale.

 

 

Quanto alla realtà delle regioni a statuto speciale, come la Sicilia, occorre solo aggiungere che ai sensi dell’art. 10 della l. cost. 3/2003, nell’attuale fase transitoria, finchè non verranno aggiornati gli Statuti, vige una situazione di favore per cui si applicano tutte le norme della riforma che attribuiscono maggiore autonomia alle regioni speciali rispetto a quella già attribuita; peraltro rimangono ferme le competenze preesistenti che delineano una autonomia maggiore.

In concreto, in Sicilia lo statuto (art. 14, comma 1 lett. F, r.d.l. 15 maggio 1946, n. 455 conv. In l. cost. 26.2.1948, n. 2) attribuisce alla Regione la competenza esclusiva in materia di urbanistica e lavori pubblici, nonché in altre ricomprese pacificamente in queste, come la tutela del paesaggio la conservazione delle antichità e delle opere artistiche.

 La materia dell’ambiente che non aveva prima una propria autonomia, anch’essa si riconduceva alle stesse materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio.

La Competenza legislativa esclusiva della regione incontra il limite delle riforme economico-sociali varate dallo Stato ( anzi secondo l’espressione usata dall’art. 14, comma 1 “ delle riforme  agrarie e industriali”).

Rimangono escluse dalla competenza regionale le reti infrastrutturali e le grandi opere pubbliche di interesse nazionale che sono ricondotte dall’art. 17 alla competenza concorrente ( coi noti limiti dei principi e interessi generali, individuati con legge statale)

 

E venendo al potere regolamentare, l’art. 118 Cost. lo attribuisce allo stato nelle materie di competenza esclusiva e alla regione nelle materie di competenza concorrente.

L’art. 117, comma 6 cost, da poi fondamento costituzionale al potere regolamentare dei comuni solo in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Ma il quantum dell’autonomia comunale non è delineato direttamente dalla Costituzione, piuttosto rimane soggetto al potere di conformazione di leggi statali e regionali che lo conferiscono.

 Il fondamento normativo del potere regolamentare degli enti locali si trova  nell’art. 5 l. 8.6.1990 n. 142 ( e ora nell’art. 7 d.lg 18.8.2000, n.267); pertanto anche al di là delle materie espressamente contemplate, la potestà regolamentare degli enti locali può spaziare oltre, in considerazione della caratterizzazione degli enti locali come enti a fini generali ( c.d.s. V, 27.9.2004, n.6317)

 

Infine, per completare il quadro dell’assetto di competenze risultante dal dettato costituzionale, va aggiunto che l’attività unificante dello stato non è limitata alle sole materie di competenza esclusiva, o alla enunciazione di principi nelle materie di competenza concorrente.

 Come osservato dalla Corte Cost. ( sent 331/2003), un sistema rigido di competenze, quale quello delineato dalla Costituzione, è tuttavia reso flessibile da congegni che tendono ad assicurare unità anche dove l’ampia articolazione di competenze, attribuzioni e funzioni diverse rischierebbe di comprometterla.

L’art. 118, 1° comma, rappresenta uno di questi elementi di flessibilità, laddove consente che competenze amministrative comunali possano esser allocate a diverso livello in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza ,.differenziazione. 

Per il principio di legalità quando la funzione amministrativa sia assunta per sussidiarietà da altro livello, ciò fa ritenere che lo stesso livello statale di legislazione debba regolarla e organizzarla.

La sussidiarietà diventa, così, un metodo dinamico capace di modificare a vantaggio dello stato la ripartizione rigida di competenze delineata dalla Costituizione: l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre oltre la funzione amministrativa anche quella legislativa a livello statale è compatibile con la costituzione solo se assumono risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovvero le intese tra Stato e Regione.

 

Fonti NORMATIVE primarie

 

Passando all’esame delle fonti normative che riguardano il nostro tema, due essenzialmente le fonti:

 

1. la legge 22.2.2001 n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici magnetici ed elettromagnetici);

 

2. il D.Lvo 1.8.2003 n. 259   (codice delle comunicazioni elettroniche)

 

 

La legge 36/2001 enuncia i principi fondamentali diretti a : a) assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici, della popolazione,dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’art. 32 della Cost.;

b) attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’art. 174, paragrafo 2, del Trattato Istitutivo dell’Unione Europea,

c) assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio (art. 1)

Nell’ambito di tali finalità, la legge attribuisce allo stato( art. 4 ,comma 1):

La determinazione dei limiti di esposizione , dei valori di attenzione, degli obiettivi di qualità ( intesi questi ultimi quali valori di campo ai fini della progressiva miticizzazione dell’esposizione ai campi medesimi, in funzione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee  

 

 

Limiti di esposizione: sono valori di campo elettrico, magnetico e d elettromagnetico considerati come valori di immissione ai fini della tutela della salute da effetti acuti. (VALORI MASSIMI DI IMMISSIONE CONSENTITI)

 

Valori di attenzione: sono valori di campo .. considerato come valore che non deve essere superato negli ambienti abitativi e luoghi adibiti a permanenze prolungate. E’ misura di cautela da possibili effetti a lungo termine.   (valori massimi consentiti negli ambienti abitativi)

 

Obiettivi di qualità sono: 1. nell’ambito della competenza statale obiettivi di minimizzazione dei rischi a lungo termine ( o miticizzazione dell’esposiizone ai campi)

2. nell’ambito delle competenze regionali di cui all’art. 8 della legge, criteri localizzativi, standard urbanistici,    prescrizioni e incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili

 

 Spetta poi allo Stato: b. la promozione di attività di ricerca

c. l’istituzione del catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili di campo.. per monitorare i livelli di campo nell’ambiente.

 

d.  l’individuazione di criteri di elaborazione di piani di risanamento.

 

e. l’individuazione  di tecniche di misurazione e rilevamento dell’ inquinamento elettromagnetico;

 

f. la realizzazione di accordi di programma con gestori o esercenti gli impianti per promuovere tecniche di costruzione e tecnologie che minimizzino le emissioni nell’ambiente e tutelino il paesaggio.

 

g. la definizione dei tracciati degli elettrodotti con tensione superiore a 150 Kw.

 

h. la determinazione dei parametri per la previsione di fasce di rispetto da elettrodotti ( in cui è vietata la destinazione ad uso residenziale… edifici pubblici o adibiti ad  usi che comportino permanenza non inferiore a 4 ore)

 

L’art. 4, comma 2, demanda a D.P.C.M., su proposta del ministro dell’ambiente di concerto col ministro della sanità di stabilire i limiti di esposizione, i valori di attenzione, gli obiettivi di qualità, le tecniche di misurazione e rilevazione dell’inquinamento…  a tutela della salute della popolazione; mentre, con D.P.C.M., adottato su proposta del Ministro della Sanità e sentiti i ministri dell’Ambiente e del lavoro sono stabiliti gli stessi valori a tutela dei lavoratori.

 

 L’art.  5 prevede che con  REGOLAMENTO (DPR) su proposta del Ministro dei Lavori pubblici sono adottate misure, a tutela del paesaggio e dell’ambiente, per la localizzazione dei tracciati per la costruzione degli impianti e misure specifiche relative alle caratteristiche tecniche degli stessi.

 

 

 

COMPETENZE DELLE REGIONI; DELLE PROVINCE DEI COMUNI

 

 L’art. 8 della l. 36/2001 attribuisce alle REGIONI:

 

1.l’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti di telefonia, radioelettrici, per radiodiffusione;

 

2. la definizione dei tracciati degli elettrodotti con tensione sup.a 150 KV

 

3. le modalità di rilascio delle autorizzazioni

 

4. la realizzazione e gestione del catasto regionale

 

5.l’ individuazione degli strumenti e azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità relativi a standard urbanistici, criteri di localizzazione, nonché l’ incentivazione per utilizzazione di migliori tecnologie.

 

 

La legge quadro distingue tra obiettivi di qualità in termini i valori di campo per perseguire la progressiva minimizzazione dell’esposizione ( definiti dallo Stato) e obiettivi di qualità in termini di criteri localizzativi ( questi ultimi sono attribuiti sia alle regioni che agli enti locali).

 

Le regioni infatti, DEFINISCONO LE COMPETENZE DI PROVINCE E COMUNI (art. 8, comma 4).

 

Quanto alle competenze che la legge statale riconosce a Comuni, l’ art. 8, comma 6, così recita: I COMUNI POSSONO ADOTTARE UN REGOLAMENTO PER ASSICURARE IL CORRETTO INSEDIAMENTO URBANISTICO E TERRITORIALE DEGLI IMPIANTI E MINIMIZZARE L’ESPOSIZIONE DELLA POPOLAZIONE AI CAMPI ELETTROMAGNETICI.

 

Si tratta di potestà non autonoma e concorrente con quella di Stato e Regioni, ma subordinata al rispetto dell’esercizio dei compiti preliminarmente a loro devoluti (TAR Marche, 6.8.2003, n. 941).

Sembra allora essenziale riflettere sui limiti individuati in sede di interpretazione dal giudice delle leggi rispetto alle attribuzioni della Regione che più direttamente valgono a configurare l’autonomia normativa del Comune.

 

 

Il criterio della localizzazione degli impianti -LIMITI ALLA COMPETENZA REGIONALE (e DEGLI ENTI LOCALI)

 

 Si è visto che alla regione compete la funzione relativa alla individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile.

 

A proposito dei limiti alla competenza legislativa regionale in materia di fissazione di criteri di localizzazione che discendono dal rispetto della competenza esclusiva in materia appartenente alla legislazione statale, (limiti che a maggior ragione devono ritenersi operanti nei confronti delle competenze regolamentari attribuite a Province e Comuni) è innanzitutto opportuno richiamare le pronunce della Corte Costituzionale.

 

Le premesse con cui si è delineata la difficoltà di stabilire nettamente i confini tra materie come tutela dell’ambiente ed ecosistema, tutela della salute, governo del territorio, rendono evidente che ci si muove su un terreno di sabbie mobili.

 

Su alcune questioni la Corte Costituzionale si è pronunciata: si è già detto che la Corte Cost. ( sentenza 331/2003) ha stabilito che i limiti di esposizione  all’inquinamento elettromagnetico fissati a livello statale sono inderogabili anche “in melius “, perché rappresentano un punto di equilibrio tra esigenze di tutela della salute e dell’ambiente e esigenza di consentire la realizzazione di impianti di interesse nazionale.

Così il criterio delle distanze da edifici e altri ambienti destinati a permanenze prolungate, in quanto già oggetto di protezione speciale ad opera della legge statale che prevede speciali valori di attenzione ( art. 3, comma 1 lett. b) non può essere aggiunto o sostituirsi al diverso criterio basato esclusivamente su limiti di immissione.

 Non è sufficiente dice la Corte il richiamo alla materia del governo del territorio di competenza regionale, per riconoscere libertà di determinazione dei “criteri localizzativi”, in quanto afferma la Corte ”un divieto di localizzazione in base al criterio della distanza, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da criterio di localizzazione in limitazioni alla localizzazione, dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione,- afferma ancora la Corte- non è senza una ragione di ordine generale corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi.

 

La Corte, con le sentenze n.307 e n.331 del 2003 ha invece ritenuto legittima la norma della legge della regione Lombardia ( n. 12 del 2002) che vieta l’installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione “in corrispondenza” delle aree sensibili(ospedali, case di cura e di riposo, asili nido e scuole): il criterio, secondo la Corte, non eccede l’ambito di “un criterio di localizzazione” sia pure formulato in negativo, la cui determinazione, a norma dell’art. 3 comma 1, lett. D, num. 1) dell’art. 8 comma 1 lett. e) della legge quadro, spetta alle regioni. Esso infatti, a differenza di quello esaminato precedentemente, comporta la necessità di una sempre possibile localizzazione alternativa, ma non è tale da determinare l’impossibilità della localizzazione”.

 

La Corte ha stabilito  anche che il divieto di localizzazione in aree vincolate, ai sensi della legge statale sui beni culturali e ambientali, in aree classificate di interesse storico architettonico, in aree di pregio storico culturale e testimoniale e in fasce di rispetto perimetrale secondo delibera della giunta regionale degli immobili protetti ( ospedali, scuole, case di cura etc) per l‘ampiezza ed eterogeneità delle categorie di aree contemplate, per l’indeterminatezza di alcune definizioni e per l’assoluta discrezionalità attribuita alla giunta nel perimetrale le fasce di rispetto introduce un vincolo in grado nella sua assolutezza di pregiudicare l’interesse protetto dalla legislazione nazionale alla realizzazione di reti di telecomunicazione.

 

E’ illegittima, secondo la Corte, la disciplina di procedura di impatto ambientale rimessa alla Giunta senza alcun criterio delimitativo, perchè può rivelarsi d’ostacolo alla realizzazione dell’impianto.

 

 

 

Dall’esame delle pronunce della Corte si trae una prima conclusione a proposito dei criteri e dell’atto localizzativi, una prima conclusione a proposito dei limiti che il sistema pone alle regioni e anche al potere regolamentare dei comuni nella materia de qua: sono in contrasto con la normativa statale e l’esigenza di standard uniformi su scala nazionale i criteri localizzativi che si traducono nella concreta impossibilità della localizzazione stessa.

 

Per es. i limiti di distanza minima da obiettivi sensibili, se imposti con carattere di generalità, genericità, eterogeneità non  configurano un quadro di standards urbanistici,  ma qualcosa di più troncante.

Sono espressione di un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale tale da poter pregiudicare l’interesse protetto dalla legislazione nazionale.

 

Ogni volta in cui, al contrario,il divieto non impedisce una localizzazione alternativa non si eccede l’ambito di “un criterio di localizzazione”.

 

IN PARTICOLARE: il potere regolamentare dei comuni

 

Innanzitutto va detto che si tratta di Potere e non dovere di adozione di un regolamento: discrezionalità e non obbligatorietà.

 

 Il regolamento è finalizzato al corretto insediamento urbanistico, ma anche alla minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

 

 qual’è il bene o i beni tutelati? Quali gli strumenti a disposizione, tenuto conto di quanto si è venuto dicendo a proposito del concetto di “criterio di localizzazione”?

 

E’ evidente  che  la ratio e il contenuto dell’art. 8, comma 6 l. 36/2001 consiste in questo: tenendo conto delle specificità del territorio, delle individualità di cui è portatore ogni insediamento urbano e “umano”, trovare la soluzione che consente di realizzare gli impianti e il servizio di comunicazione, pur nel rispetto della urbanizzazione esistente e delle sue linee di sviluppo programmate coi piani regolatori, non superando i limiti di massima esposizione consentita dagli standars statali, ma se possibile, ridurre l’esposizione ai campi della popolazione, semprecchè questo non pregiudichi il servizio.

 

Il problema pratico: come realizzarla.

 

Nel fare ciò i comuni possono utilizzare tutti gli strumenti di cui solitamente si sono serviti in ambito urbanistico: pianificare gli insediamenti, stabilire distanze, imporre divieti di insediamento, tenendo fermi due limiti di fondo:

 

1.NON superare la soglia di esposizione massima ai campi consentita dalla norma statale;

 

2.Non ostacolare la realizzazione del servizio.

 

3.E con un ulteriore obiettivo: MINIMIZZARE il rischio alla salute

 

 

Ci si è chiesti, soprattutto, se le determinazioni che esulino dai fini strettamente edilizi –urbanistici e sconfinano nel campo della tutela della salute e della tutela dell’ambiente siano legittimamente assunte.

 

Per quanto si è venuto dicendo, a proposito della difficoltà di separare campi di intervento e definire rigidamente il perimetro della materia urbanistica rispetto alle altre, dovrebbe essere chiaro che non vi possono essere conclusioni nette.

 

D’altra parte la norma non esclude in toto una competenza del comune a tutela della salute: quale significato attribuire altrimenti alla dizione “ minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”?

Dunque due le finalità perseguite attraverso i regolamenti:

corretto insediamento urbanistico degli impianti; tutela della salute e dell’ambiente dall’inquinamento da “elettrosmog”.

 

 L’ordinato sviluppo urbanistico, include senz’altro il rispetto dei centri storici, dei valori paesaggistici, della tutela dei beni culturali e ambientali.

 

E’ stato ritenuto legittimo ad es. imporre limiti di altezza e di struttura, divieti di installazione in aree delimitate e individuate.

 

Il TAR Veneto ad es. (II, 5.5.2005,n. 1947), ha ritenuto legittimo il regolamento che imponeva nel centro storico di Venezia la collocazione di antenne sull’edificio più alto nel raggio di 50 metri “in quanto si configura come determinazione assunta ad esclusivi fini urbanistico-edilizi” e  perché  non determina ex se in via aprioristica aree escluse dall’installazione di tali infrastrutture.

 

Le misure distanziali sono state ritenute legittime nella misura in cui sono “sufficientemente specifiche ed omogenee, oltre che proporzionate e non irragionevoli”. Unica condizione: possibilità di deroga al divieto ove il gestore dimostri l’assoluta impossibilità di conseguire il completamento della rete cellulare o l’efficace copertura di un’area con il segnale irradiato se non posizionando esattamente la stazione nel punto che sarebbe vietato in base al criterio distanziale ( TAR Campania, Na, I, 8.8.2005, n. 3559)

 

Quanto ai divieti di installazione per aree omogenee, dopo molte oscillazioni, la giurisprudenza è giunta ad una conclusione univoca, ormai generalmente condivisa anche dalla giurisprudenza dei Tar, oltre che del C.d.S..

Queste le conclusioni:

Poiché il Comune con i regolamenti deve solo controllare il rispetto dei limiti delle radiofrequenze, essendo stato privilegiato a livello statale il solo “LIMITE DI IMMISSIONE” :

 

A)Non è compatibile con la realizzazione del servizio imporre divieti per zone omogenee, e distanze fisse.

(C.D.S IV, 14.2.2005 n. 450)

 

1.Illegittimo individuare due soli siti per l’installazione in zona F ed escluderla in tutte le altre ( C.d.s. VI, 5.8.2005, 4159).

2.Illegittime esclusioni di impianti per intere zone omogenee del territorio (TAR Campania, I, 22.12.2004 n. 19627)

   3. legittimi i divieti di localizzazione in determinati ambiti      di territorio (C.d.S. VI, 5.12.2005, n.6961)

 

Restano ferme le norme a tutela di beni ambientali e culturali ( T.U.490/1999) (art. 86,comma4)

 

Con l’introduzione dell’art. 86, comma 3, del D.lvo 259/2003 che assimila gli impianti alle opere di urbanizzazione primaria si è aggiunto un altro argomento alla affermazione di illegittimità dei divieti generalizzati di installazione per interi ambiti di territorio:

 gli impianti sono perciò compatibili con qualsiasi zonizzazione prevista dagli strumenti urbanistici ( c.d.s. sez. VI, 5.12.2005, n.6961; TAR Puglia lecce, II 25.10.2005, n. 4620 )

 

Si è posta di recente anche la domanda se sia necessaria la variante allo strumento urbanistico per la localizzazione e se per tale variante sia sufficiente la delibera del consiglio comunale o anche seguire la procedura di conformità urbanistica per la realizzazione delle opere pubbliche di cui alla l.r. 81/86.

 

Ce ne siamo occupati in fase cautelare, negando che sia necessaria la conformità urbanistica prevista per le opere pubbliche e conseguentemente la variante, anche con procedura abbreviata, allo strumento urbanistico, perché non si tratta di opera pubblica, ma di infrastruttura assimilata a opera di urbanizzazione primaria ex art. 16 d.p.r. 380/2001. E tali impianti sono compatibili con qualsiasi zonizzazione prevista dagli strumenti urbanistici.

 

( ordinanza TAR CT, II sez.,del 4 aprile 2006, ricorso H3G contro Comune di Milazzo )

 

 

CONCLUSIONI

 

I Comuni hanno inteso il  potere regolamentare ex art. 8, comma 6, l. 36/2001 in funzione della tutela dell’ordinato sviluppo territoriale, come solitamente esercitato nella materia urbanistica come localizzazione, suddivisione del territorio in zone omogenee, in ragione della destinazione edilizia, imposizione di distanze, imposizione di limiti di altezza… limiti strutturali, divieti di installazione in singole aree degli impianti in funzione di valori estetico-paesaggistici, di rispetto del contesto territoriale e della tradizione storica etc…

Ma lo hanno inteso anche in funzione di tutela della salute, in relazione anche al secondo periodo della norma “ minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.

Sul punto, la giurisprudenza è stata piuttosto drastica nel ritenere che esuli dalle competenze comunali introdurre limiti di esposizione diversi per valore assoluto o metodologie di riferimento da quelli individuati dalla normativa statale.

Troppo drastica, alla luce delle considerazioni che siamo andati svolgendo.

 

A mio avviso,non è illegittimo che vengano stabiliti limiti di immissione più restrittivi di quelli statali, anche indirettamente, attraverso divieti e distanze, ovvero non è illegittima la c.d. deroga in melius, di cui si è sopra parlato,   A CONDIZIONE CHE NON SI TRADUCA IN IMPOSSIBILITà DEL SERVIZIO. 

 Per tradursi in regola ragionevole e certa, che non elude la normativa statale ed è compatibile col servizio,l’esercizio del potere normativo comunale non può prescindere da adeguate istruttorie e da contraddittorio o collaborazione con le imprese che realizzano gli impianti.

 

Quale la sede migliore?

L’Istruttoria in contraddittorio con le imprese.

 

Cercare la soluzione tecnica che minimizza l’esposizione, la mantiene al di sotto delle soglie massime di esposizione individuata a livello statale ma non crea ostacolo alla realizzazione del servizio e si armonizza col tessuto urbano.

Non sarebbe errato fare quello che si fa di solito per i piani regolatori: uno studio dei rischi geologici prima di zonizzare.

Uno studio dei rischi elettromagnetici( volta a minimizzare) prima di localizzare gli impianti.

Forse è utilizzabile l’accordo di programma con le imprese ( analogamente a quanto l’art. 3, comma f, prevede a livello di competenza statale per la realizzazione degli   obiettivi di qualità).

 

Così l’adozione del regolamento, dovrebbe essere preceduta dallo studio tecnico che consente di individuare soluzioni per minimizzare il rischio, compatibilmente con la realizzazione del servizio. Le altre esigenze, di tutela dei centri storici, paesaggistici, ambientali, estetici contemperati in questo contesto.

Puliatti Paola

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