IL POTERE DI INDIRIZZO DEL CONSIGLIO PER LA NOMINA E LA DESIGNAZIONE DEI RAPPRESENTANTI DEL COMUNE PRESSO ENTI, AZIENDE E ISTITUZIONI: CONFRONTO TRA LA NORMASTIVA DI LEGGE E LE SCELTE STATUTARIE (CON RIFEIRMENTO AL COMUNE DI BOLOGNA)

Redazione 04/02/00
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di Aurora Nardelli

(collaboratrice Cattedra Diritto Amministrativo della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna)

Qualificazione degli indirizzi consiliari: criteri per la nomina dei rappresentanti del Comune in Aziende ed Enti controllati.

L’art. 32 comma 2 lett. n) della L. 142 del 1990 attribuisce al Consiglio Comunale la definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione dei rappresentanti del Comune presso Enti, Aziende e Istituzioni.

Il successivo art. 36 comma 5 prevede poi che, sulla base degli indirizzi stabiliti dal Consiglio, il Sindaco provveda alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del Comune presso Enti, Aziende e Istituzioni.

Pare potersi dare risposta positiva al quesito che sorge in merito all’esercizio di poteri di nomina e designazione da parte del Sindaco in caso di mancata formulazione degli indirizzi da parte del Consiglio; soccorre a tal proposito il disposto di cui al comma 5-bis dell’art. 36 della L. 142, a norma del quale tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro 45 gg. dall’insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. E’ evidente che il Sindaco dovrà provvedere ai succitati adempimenti entro il termine perentorio fissato dalla legge, pena l’intervento sostitutivo che il Comitato Regionale di Controllo porrà in essere con la nomina di un Commissario ad acta che effettuerà le nomine entro i successivi 60 gg. dal conferimento dell’incarico, prescindendo dall’apporto dell’organo consiliare in termini di definizione degli indirizzi.

Meno concordia riguarda invece un ulteriore ed altrettanto importante aspetto, vale a dire la definizione degli indirizzi da parte del consiglio ed in particolare la più o meno intensa incisività da un punto di vista squisitamente politico degli stessi.

Al riguardo parte della dottrina (ad esempio Staderini) sottolinea come il modello di governo dell’Ente Locale descritto nella legge n. 81 del 1993 sia piuttosto ambiguo e, nella sostanza, rimetta alle scelte dello Statuto comunale il diverso “peso politico” da assegnare rispettivamente al Sindaco e al Consiglio in relazione al procedimento per la formalizzazione delle nomine.

Le affermazioni della dottrina richiamata sono indubbiamente condivisibili, ma occorre ricordare che la legge n. 142/1990 ha voluto evidenziare in maniera piuttosto netta e chiara le diverse attribuzioni degli organi comunali, assegnando esplicitamente al Consiglio il ruolo di indirizzo e controllo dell’attività dell’Ente e al Sindaco la responsabilità dell’amministrazione del Comune.

Il potere del Sindaco di provvedere alla nomina e alla designazione di rappresentanti dell’Ente si giustifica con la diversa e più responsabile posizione che assume la figura del Capo dell’Amministrazione nel nuovo sistema di elezione diretta; l’attribuzione di tale potere non potrà assumere i caratteri dell’arbitrarietà; gli indirizzi consiliari costituiranno un parametro di riferimento vincolante, ma non é possibile escludere un margine di apprezzamento discrezionale e politico al Sindaco stesso.

A conferma di quanto esposto, cioé la separazione dei compiti fra gli organi, il TAR Friuli-Venezia Giulia sostiene che l’attribuzione del potere di nomina in capo al Sindaco non comporta altresì il conferimento a quest’ultimo del potere di controllo di conformità dell’attività dei nominati agli indirizzi consiliari.

Da ciò si desume che é opportuno, anche se non espressamente vietato dalla legge, che il Consiglio non formuli considerazioni di ordine politico nella definizione degli indirizzi per le nomine, anche per l’evidente difficoltà a far valere in una sede adeguata (cioé non meramente politica) l’eventuale responsabilità. dei rappresentanti nominati dal Sindaco, cui peraltro spetta il potere di revoca.

Per gli amministratori delle aziende viene in rilievo l’art. 12-bis del Dl 28 febbraio 1983 n. 55, conv. in L. 131 del 1983, a norma del quale essi “vanno scelti con criteri di prestigio, di competenza e di esperienza politico-amministrativa” ed inoltre “per studi compiuti, per funzioni disimpegnate presso aziende pubbliche o private, per uffici ricoperti”.

Un risvolto con rilevanza politico-amministrativa, da intendersi come definizione degli indirizzi d’azione per i nominati nei contesti propri delle aziende e degli enti controllati e partecipati, potrà casomai rinvenirsi nell’eventuale indicazione di elementi di correlazione tra nomina ed indirizzi per l’attività delle Azende e degli Enti nell’atto con il quale il Capo dell’Amministrazione formalizza gli incarichi, stante comunque il fatto che solo su di esso graverà la responsabilità delle scelte effettuate.

La nuova normativa, del resto, non ha privato il Consiglio comunale (che ne aveva, vigente la L. 142/90, competenza esclusiva e funzionale) della facoltà di designare presso enti, aziende e istituzioni, ma l’ha limitata al solo caso in cui tale competenza sia riservata espressamente dalla legge a tale organo. La legge n. 142/1990 si esprime, a tal riguardo, parlando di rappresentanti del Consiglio e non di rappresentanti del Comune con ciò volendo rimarcare una differenza che consente, nel primo caso, all’organo collegiale rappresentativo di far valere il proprio indirizzo politico in seno a tali enti e nel secondo di perseguire un fine più generale, del Comune, appunto, che prescinde da considerazioni politiche e mira a garantire il perseguimento degli interessi della collettività.

Le scelte adottate sino ad oggi dal Consiglio Comunale di Bologna in relazione alla definizione degli indirizzi per le nomine, comportano l’unione degli elementi-guida per la scelta degli incaricati (individuazione dei requisiti soggettivi) e di quelli per l’azione che questi dovranno sviluppare nelle Aziende e negli enti nell’ambito dei quali opereranno in virtù della nomina o della designazione.

Lo Statuto del Comune di Bologna, prevedendo (art. 49, comma 9) che i soggetti nominati in Aziende ed Enti possano essere revocati anche in caso di “esplicito contrasto con gli indirizzi deliberati dagli organi di governo del Comune” sembra confortare tale prassi, orientando l’interprete verso la determinazione di un provvedimento consiliare in cui vi sia combinazione tra la definizione dei requisiti per la nomina e gli indirizzi per l’attività.

Tuttavia tale dato normativo non porta all’obbligo di formulazione di un atto nel quale vi sia necessaria contestualità tra “indirizzi per la selezione dei nominati” ed “indirizzi per l’attività delle Aziende e degli Enti”, stante il fatto che per questi ultimi la sede propria di esplicitazione è data in atti formalizzati in base a quanto disposto dall’art. 32, comma 2, lett. h) della legge n. 142/1990.

Risulta interessante far rilevare come una ricerca condotta presso altri Enti Locali (ad es. Provincia di Bologna) abbia posto in luce la scelta. da parte di tali Amministrazioni, di definire gli indirizzi per le nomine unicamente come criteri generali per la scelta di tutti i rappresentanti da nominare.

Le scelte del Consiglio Comunale in ordine alla formulazione degli indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o vigilati possono infatti essere opportunamente tradotte in momenti ed atti diversi da quello di definizione degli indirizzi per le nomine.

In merito possono quindi aversi determinazioni del Consiglio espresse:

a) in un provvedimento a valenza generale, riguardante le linee d’azione per Aziende ed Enti, definitorio anche degli elementi-guida per i rappresentanti nominati;

b) in altri provvedimenti di natura programmatica, adottati anno per anno, quali il Bilancio di Previsione e la Relazione Previsionale e Programmatica.

Sussistenza e validità degli indirizzi consiliari approvati dal precedente Consiglio Comunale.

La legge così come pure lo Statuto del Comune di Bologna non prevedono una “durata” degli indirizzi, quale conseguenza immediata del potere del Consiglio di modificare, integrare e persino revocare la deliberazione di definizione degli indirizzi medesimi, in base al principio generale per cui la funzione di indirizzo politico è insuscettibile di essere altrimenti condizionata e limitata se non da se stessa e gli organi che ne sono titolari (in questo caso il Consiglio) sono insuscettibili di essere assoggettati ad un qualche limite nell’esercizio delle medesime.

Per quel che concerne la valutazione del rilievo degli indirizzi qualora si verifichino vicende oggettive in ordine ai rappresentanti, ossia la contemporanea cessazione dalla carica per naturale scadenza dei termini di tutti i nominati nelle Aziende e negli Enti, risulta necessario far rilevare come il provvedimento del Sindaco per la formalizzazione dei nuovi incarichi abbia sempre richiamato espressamente gli specifici indirizzi consiliari, adottati all’inizio del mandato, quale presupposto per le nomine effettuate.

La particolarissima correlazione tra i due atti (deliberazione definitoria degli indirizzi per la nomina e provvedimento del Sindaco) e la riferibilità alla formalizzazione di incarichi a soggetti qualificati per un periodo sostanzialmente corrispondente al mandato amministrativo fanno ritenere che gli indirizzi debbano essere definiti dall’organo consiliare neo-insediato, potendo questo caratterizzare le procedure di nomina con l’individuazione di specifici elementi di scelta.

Sembra potersi escludere, pertanto, la “ultrattività” degli indirizzi consiliari formulati dal precedente Consiglio Comunale, in quanto espressamente riferiti a nomine “collegate” al mandato amministrativo.

Proroga dei rappresentanti: limiti.

L’art. 36, comma 5 della legge n. 142/1990 stabilendo che sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il Sindaco provvede alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del Comune presso enti, aziende ed istituzioni, delinea un rapporto di propedeuticità tra gli stessi indirizzi ed il provvedimento con il quale il Sindaco, in qualità di Capo dell’Amministrazione Comunale, procede alla formalizzazione delle scelte inerenti le nomine e le designazioni.

La portata del dato normativo e dei suoi effetti vincolanti viene tuttavia ad essere moderata dalle previsioni del comma 5-bis, in base al quale:

a) è stabilito un riferimento temporale entro il quale il potere di nomina deve essere esercitato, affermando che tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall’insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico;

b) è definita una sanzione al mancato esercizio del potere, in quanto, in mancanza della formalizzazione degli incarichi presso Aziende ed Enti, il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell’articolo 48 della legge n. 142/1990.

Tali dati normativi si esplicitano pertanto come elementi condizionanti anche l’interpretazione del disposto statutario (art. 49, comma 8), che si limita a riaffermare un principio di continuità per la presenza del Comune nell’Ente o nell’Azienda, senza peraltro confliggere con la legge, che invece determina la perentorietà dei termini per la sostituzione dei rappresentanti.

La “sanzione” prevista in caso di inadempimento o di inerzia da parte del sindaco è particolarmente grave e con incidenza lesiva dell’autonomia non solo dell’organo, ma dell’Ente nel suo complesso.

In altra prospettiva, l’art. 4 della legge n. 444/1993, in tema di ricostituzione degli organi amministrativi, stabilisce perentoriamente che entro il periodo di proroga (45 giorni, decorrenti dal giorno della scadenza del termine di durata, come dettato dal combinato disposto tra gli artt. 3 e 2 della legge) i medesimi organi scaduti debbono essere ricostituiti e che, nei casi in cui i titolari della competenza alla ricostituzione siano organi collegiali e questi non procedano alle nomine o designazioni ad essi spettanti almeno tre giorni prima della scadenza del termine di proroga, la relativa competenza è trasferita ai rispettivi presidenti, i quali debbono comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo.

L’art. 6 della stessa legge, peraltro, afferma chiaramente che decorso il temine massimo di proroga senza che si sia provveduto alla loro ricostituzione, gli organi amministrativi decadono e che tutti gli atti adottati dagli organi decaduti sono nulli.

Risulta evidente come il mancato esercizio del potere di nomina possa condurre, in alcuni casi, al verificarsi di simili situazioni, ossia al determinarsi di presupposti che rendano non funzionanti (per mancanza del quorum strutturale, ecc.) organi nei quali devono essere necessariamente nominati rappresentanti del Comune.

E’ dunque configurabile un preciso obbligo di agire in capo al Sindaco, per la nomina e la designazione dei rappresentanti del Comune in Aziende ed Enti, pur in mancanza di indirizzi dell’organo consiliare.

E’ ben noto, infatti, soprattutto a seguito di consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, che non vige un principio generale di “prorogatio ad infinitum” degli organi amministrativi e soprattutto che, a seguito dell’inadempimento del Consiglio, il Sindaco non può essere chiamato a rispondere, anche dal punto di vista penale, per una condotta omissiva a lui non ascrivibile, ma di cui è responsabile il Consiglio Comunale.

La cogenza delle disposizioni sopra richiamate fa ritenere che permanga in capo al Sindaco un obbligo di formalizzazione delle nomine entro il termine di scadenza dei 45 giorni, anche in assenza di indirizzi espressi del Consiglio Comunale, in ragione della necessaria tutela dell’attività del Comune e del principio di continuità dell’azione amministrativa.

In tal senso risulta opportuno far rilevare come la giurisprudenza abbia affermato che sono da censurare sia il ritardo, da parte di chi vi è tenuto, nelle designazioni dei membri del Consiglio di amministrazione di un Ente, sia l’irregolare situazione di detto organo collegiale con alcuni membri rinnovati ed altri “in prorogatio”, in quanto tale istituto, lungi dal rispondere al generale criterio di buon funzionamento, viola la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa nonché i principi dell’imparzialità e del buon andamento.

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