Il litisconsorzio dell’ente creditore nella opposizione ad esecuzione forzata avviata dall’agente della riscossione

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Esito: Annullamento con rinvio

Riferimenti normativi: D.Lgs. n. 112 del 13 aprile 1999, art. 39, nonché Artt. 102 e 106 c.p.c.

Precedenti giurisprudenziali conformi: Cass. civ. Sez. I Ord., 02/10/2019, n. 24589 (rv. 655338-01); Cass. civ. Sez. I Ord., 22/05/2019, n. 13929 (rv. 654264-01); Cass. civ. Sez. I Sent., 05/05/2016, n. 9016 (rv. 639535).

Precedenti giurisprudenziali contrari: Cass. civ. Sez. I Ord., 12/12/2017, n. 29806 (rv. 646847-02); Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 16/06/2016, n. 12450 (rv. 640372).

Premessa

Per i contribuenti non è raro vedersi notificare un atto esecutivo da parte dell’agente della riscossione, senza che lo stesso sia stato preceduto da altre comunicazioni provenienti dalla pubblica amministrazione e volte a rendere nota l’esistenza di un debito nei loro confronti. Pertanto, quando si ci trova a contestare un’azione avviata dall’agente della riscossione fondata su crediti risalenti nel tempo, frequente motivo di doglianza è l’omessa notifica degli atti prodromici, la quale porta spesso alla prescrizione del credito.

Di particolare importanza è dunque che l’ente creditore fornisca al concessionario della riscossione la prova dell’avvenuta notifica, ovvero che intervenga nel giudizio al fine di far valere le proprie pretese e deduzioni. Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte precisa su chi ricada l’onere della chiamata dell’ente creditore e le conseguenze dell’eventuale omissione.

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Il Fatto

Con sentenza del 15 giugno 2016, il Tribunale di Roma annullava la pronuncia del Giudice di Pace di Roma, il quale riteneva fondata l’opposizione ex art. 615 c.p.c. del ricorrente, avverso l’esecuzione avviata dall’agente della riscossione e con la quale lamentava l’omessa notifica degli atti prodromici e la conseguente prescrizione del credito tributario.

In particolare, il Tribunale investito del gravame, annullava la sentenza appellata e rimetteva la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 co. II .c.p.c., rilevando la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ente impositore, ritenendolo quale litisconsorte necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c.

Il ricorso alla Suprema Corte

Il contribuente proponeva ricorso nanti la Suprema Corte, lamentando la falsa applicazione e violazione dell’art. 102 c.p.c., rilevando come non ricadesse sullo stesso l’onere di chiamare in causa l’ente creditore e che non si ci trovasse in una ipotesi di litisconsorzio necessario.

Invero, nel caso in cui vengano contestati atti che non dipendono dall’attività svolta dall’agente della riscossione – quali la mancata notifica degli atti prodromici alla intimazione di pagamento – sarà quest’ultimo ad avere la facoltà di richiedere al giudice l’autorizzazione a chiamare in causa la pubblica amministrazione che gli ha affidato il recupero del proprio credito.

Sarà poi il concessionario che non si avvale di tale possibilità, a rispondere eventualmente dell’esito della lite[1].

La pronuncia

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 29798 del 18 novembre 2019, accoglieva il ricorso presentato dal contribuente e rimetteva la causa al Tribunale di Roma affinché la decidesse nel merito. In particolare, nella citata pronuncia, la Corte aderisce alla tesi del ricorrente, evidenziando come nel caso di contestazioni afferenti gli atti prodromici alla esecuzione avviata dall’agente della riscossione, su richiesta dell’ente creditore, non vi sia con lo stesso un litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c..

Nella pronuncia in commento, veniva inoltre rilevato come la Corte avesse già sancito più volte il principio secondo il quale “in tema di riscossione di crediti mediante iscrizione a ruolo, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra l’ente creditore ed il concessionario del servizio di riscossione qualora il giudizio sia promosso da quest’ultimo o nei confronti dello stesso, non assumendo a tal fine alcun rilievo che la domanda abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l’insorgenza solo di una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’ente creditore”.

Ai fini della risoluzione della controversia – precisano gli Ermellini – è sufficiente e dirimente quanto previsto dall’art. 39 D.Lgs. 112 del 1999, il quale prevede come “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”. Da tale previsione legislativa, si evince chiaramente come l’onere di integrare il contraddittorio ricada esclusivamente sull’agente della riscossione, il quale in caso contrario viene oltretutto “sanzionato” rispondendo delle eventuali conseguenze negative riferibili alla propria condotta.

Alla luce di quanto sopra, si ritiene dunque che la fattispecie che ci occupa non rientri nelle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c. e – dunque – il Tribunale non poteva applicare l’art. 354 c.p.c. in quanto, le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice sono state previste tassativamente dal legislatore.

Il carattere tassativo dei motivi di rimessione, trova inoltre il proprio fondamento teorico nel fatto che ciascuna delle ipotesi previste dalla norma sia una deroga al principio secondo cui i motivi di nullità si convertono in motivi di impugnazione[2]. Tale deroga è stata prevista al fine di garantire il doppio grado di giurisdizione al litisconsorte necessario pretermesso, nonché per garantire la posizione di assoluta uguaglianza di tutte le parti del processo, provvedendo alla rinnovazione nel pieno contraddittorio con le stesse di tutte le attività svolte invalidamente in primo grado[3].

I principi espressi hanno come logica conseguenza l’inapplicabilità degli artt. 353 e 354 c.p.c. fuori dai casi previsti dal codice, e anche per tale ragione la Corte ha accolto il ricorso e rimesso la causa al Tribunale che – nel decidere nel merito la causa – dovrà attenersi al principio di diritto secondo il quale “Nelle cause di opposizione all’esecuzione forzata di crediti erariali mediante iscrizione a ruolo, non sussiste litisconsorzio necessario fra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, non assumendo rilievo la circostanza che l’opposizione abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito. Infatti, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 (Riordino del servizio nazionale della riscossione), spetta al concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, chiamare in causa l’ente creditore interessato”

Considerazioni conclusive

La Corte di Cassazione, con la ordinanza in commento, ha ribadito un orientamento che non risulta comunque ancora consolidato – stante alcune pronunce contrarie – secondo il quale non è onere del contribuente chiamare in causa l’ente creditore. Tale dovere, previsto direttamente dalla legge, dovrebbe ricadere infatti sull’agente della riscossione ed è da annoverare fra le ipotesi previste dall’art. 106 c.p.c. secondo il quale “Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita”.

A parere di chi scrive, inoltre, l’esclusione della qualifica dell’ente creditore quale litisconsorte necessario è desumibile direttamente dall’art. 39 D.Lgs. 112/1999 il quale prevede che in caso di omessa chiamata in causa, sarà il concessionario a rispondere delle conseguenze della lite.

Pertanto, in una logica di interpretazione sistematica delle norme di cui si deve fare applicazione, è evidente che la mancata partecipazione al giudizio della pubblica amministrazione titolare del credito, non implichi la nullità della sentenza. Una diversa conclusione, infatti, renderebbe privo di effetti precettivi l’assunto normativo secondo il quale l’agente della riscossione è responsabile degli esiti del giudizio in caso di omessa richiesta di integrazione del contraddittorio.

Per completezza espositiva, pare opportuno evidenziare come la giurisprudenza di legittimità e quella tributaria si sia in qualche occasione espressa in senso contrario, rilevando come la pubblica amministrazione creditrice deve essere necessariamente evocata in giudizio dal ricorrente, poiché diversamente argomentando si arriverebbe alla negazione stessa del principio del contraddittorio e si permetterebbe ai ricorrenti di non evocare in giudizio i legittimi contraddittori e le parti resistenti nei confronti dei quali si invoca giustizia[4].

La pronuncia in commento, in definitiva, si colloca in un solco interpretativo più favorevole al contribuente e che si ritiene più idoneo a bilanciare gli interessi in gioco. Infatti, in un sistema contributivo e sanzionatorio in cui il cittadino è spesso in una posizione di inferiorità, non parrebbe equo onerare ulteriormente il contribuente  di ulteriori inadempimenti.

Quanto sopra pare altresì conforme ai principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, la quale dovrebbe adoperarsi – prima di porre in essere azioni esecutivi – di verificare la legittimità della pretesa e raccogliere tutta la documentazione utile onde dimostrare la fondatezza delle richieste stesse.

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Note

[1] D.Lgs. n. 112 del 13 aprile 1999, art. 39

[2] In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 26/10/1999, n. 12052 in Mass. Giur. It., 1999 secondo cui “Il potere del giudice di appello di rimettere la causa al giudice di primo grado ha carattere eccezionale concretandosi in una deroga al principio secondo cui i motivi di nullità si convertono in motivi d’impugnazione, e, pertanto, può essere esercitato solo nei casi tassativamente previsti dagli art. 353 e 354 c.p.c., tra i quali non rientra l’ipotesi di erronea dichiarazione, in primo grado, della contumacia di una parte.”

[3] In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 14/01/2003, n. 432 in Mass. Giur. It., 2003, Arch. Civ., 2003, 1212 secondo cui “La rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c. si caratterizza per la pregiudizialità assoluta dell’accertamento del vizio, che impone la rimessione stessa, e, pertanto, il giudice di appello deve limitarsi ad emettere la relativa declaratoria, essendogli precluso l’esame del merito della pretesa al fine di garantire il doppio grado di giurisdizione al litisconsorte pretermesso e la posizione di assoluta uguaglianza di tutte le parti del processo con la rinnovazione a contraddittorio pieno di tutte le attività invalidamente svolte in primo grado”

[4] In tal senso vedi Comm. trib. regionale Lazio Sez. XVI, 24/04/2018 in Boll. Trib., 2019, 2, 156 nota di CARNIMEO, secondo cui “L’art. 39 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in tema di riscossione tributaria, contempla l’obbligo di integrazione del contraddittorio, in capo all’agente della riscossione, nell’ipotesi in cui sia contestata la notificazione di un atto presupposto ad una cartella di pagamento e/o ad un atto tipico della riscossione, quale un preavviso di fermo amministrativo, di talché nell’ipotesi in cui gli atti impugnati siano stati emessi e notificati direttamente dall’ente creditore è quest’ultimo che deve essere necessariamente evocato in giudizio dal ricorrente che ne contesti l’esistenza, poiché diversamente argomentando si arriverebbe alla negazione stessa del principio del contraddittorio e si permetterebbe ai ricorrenti di non evocare in giudizio i legittimi contraddittori e le parti resistenti nei confronti dei quali si invoca giustizia.”; Vedi anche Cass. civ. Sez. I Ord., 12/12/2017, n. 29806 in Fallimento, 2018, 6, 723 nota di Aprile, secondo cui “Nei giudizi di opposizione allo stato passivo di crediti previdenziali iscritti a ruolo l’ente di previdenza è litisconsorte necessario con il concessionario del servizio di riscossione”.

Sentenza collegata

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Avv. Matteo Bottino

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