Il giudizio direttissimo “atipico”

Redazione 24/09/19
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Il presente contributo è tratto da “Quando scegliere un rito penale alternativo” di Antonio Di Tullio D’Elisiis, Gabriele Esposito, Alfonso Laudonia.

Il legislatore, nel corso del tempo, ha codificato, al fine di rispondere a esigenze emergenziali, alcune ipotesi delittuose per le quali è previsto il ricorso al giudizio direttissimo al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 449 c.p.p., e per questo definito “atipico”, e cioè anche in assenza degli ordinari presupposti alternativi dell’arresto in flagranza e della confessione.

Ipotesi nelle quali è previsto il giudizio direttissimo atipico

Tali ipotesi ratione materiae sono le seguenti:

– legge n. 356/1992 (Armi ed esplosivi): “Per i reati concernenti le armi e gli esplosivi, il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo anche fuori dei casi previsti dagli articoli 449 e 558 codice di procedura penale, salvo che siano necessarie speciali indagini”.

– art. 6, comma 5, legge n. 122/1993 (Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa – Disposizioni processuali): “Per i reati indicati all’art. 5, comma 1, il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo anche fuori dei casi previsti dall’art. 449 del codice di procedura penale, salvo che siano necessarie speciali indagini”;

– art. 8-bis legge n. 401/1989 (Casi di giudizio direttissimo per reati commessi in occasione di manifestazioni sportive): “Per i reati indicati nell’articolo 6, comma 6, nell’articolo 6-bis, commi 1 e 2, nell’articolo 6-ter e nell’articolo 8, comma 1, si procede sempre con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini”;

– art. 13, comma 13-ter, d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero): “Per i reati previsti dai commi 13 e 13-bis (violazione del divieto di reingresso in Italia) è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo”; – art. 235, comma 2, c.p. (Espulsione ed allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato a titolo di misura di sicurezza per i condannati alla reclusione per un tempo superiore a due anni): “ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l’espulsione e l’allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalità di cui, rispettivamente, all’articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all’articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. Il trasgressore dell’ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo”;
– art. 312, comma 2, c.p. (Espulsione ed allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato a titolo di misura di sicurezza per i condannati per delitti contro la personalità dello Stato): “ferme restando le disposizioni in materia di esecuzione delle misure di sicurezza personali, l’espulsione e l’allontanamento dal territorio dello Stato sono eseguiti dal questore secondo le modalità di cui, rispettivamente, all’articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e all’articolo 20, comma 11, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. Il trasgressore dell’ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. In tal caso è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto, anche fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo”.

In tali ipotesi, in particolar modo ogni qualvolta particolari disposizioni di legge prevedono come obbligatorio il giudizio direttissimo, anche fuori dei “casi” previsti dall’art. 449 c.p.p. la deroga si estende pure ai termini indicati nel medesimo articolo.

In sostanza l’espressione “fuori dei casi” deve intendersi riferita a tutti i presupposti del giudizio direttissimo, ivi compresi quelli “temporali” di ammissibilità del rito, cioè i termini di presentazione. Ne consegue che, in caso di giudizio direttissimo atipico e obbligatorio, la decisione del tribunale di restituire gli atti al pubblico ministero sul presupposto della mancata osservanza dei termini previsti dall’art. 449 c.p.p. sarebbe abnorme[1].

Doverosità del giudizio direttissimo atipico

Quanto, poi, al significato delle espressioni con cui viene temperata la doverosità del ricorso al giudizio direttissimo in vista della salvaguardia delle esigenze investigative, dove si fa riferimento all’espressione «salvo che siano necessarie speciali indagini» (prevista per le ipotesi di giudizio direttissimo atipico dagli art. 12-bis d.l. 306/1992, art. 6, comma 5, legge n. 122/1993 e art. 8-bis, legge n. 401/1989) o a «salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini», contemplata in relazione alle ipotesi di giudizio direttissimo tipico introdotte dall’art. 449, commi 4 e 5, c.p.p., (in caso di arresto già convalidato dal giudice per le indagini preliminari o di confessione) a alla clausola “salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini” dettata dall’art. 449, comma 6, c.p.p. per regolare la gestione dei procedimenti connessi a uno per il quale vi siano i presupposti per procedere con rito direttissimo, le indagini che vanno salvaguardate sono sia quelle afferenti la notizia di reato oggetto del giudizio direttissimo sia altri reati.

In conclusione, il pubblico ministero è autorizzato a procedere in forme diverse sia nel caso ciò sia nocivo al corretto esercizio dell’azione penale in relazione alla specifica notizia di reato per cui sussistono i presupposti di attivazione del rito, sia nel caso un intempestivo esercizio della stessa possa essere di nocumento ad altre indagini.

Anche secondo la Suprema Corte non è configurabile, un obbligo del pubblico ministero di procedere con il rito direttissimo tutte le volte che sia convalidato l’arresto in flagranza e la scelta non pregiudichi gravemente le indagini[2].

Infine, il destinatario delle clausole derogatorie che temperano la doverosità del ricorso al giudizio direttissimo in vista della salvaguardia delle esigenze investigative è il pubblico ministero in quanto al giudice non compete un controllo giudiziale sulla completezza delle indagini[3].

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Il presente contributo è tratto da “Quando scegliere un rito penale alternativo” di Antonio Di Tullio D’Elisiis, Gabriele Esposito, Alfonso Laudonia.

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[1] In tal senso è Cass. pen., sez. I, n. 11486 del 16 marzo 2010, in cui si afferma che “è abnorme il provvedimento con cui il Tribunale monocratico disponga la restituzione degli atti al PM sul presupposto che non vi sia stato arresto in flagranza per il reato di cui all’art. 14, comma quinto-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, impedendo al PM di dar corso ad un adempimento obbligatorio quale è l’instaurazione del giudizio direttissimo atipico previsto dall’art. 14, comma quinto- quinquies, del su citato d.lgs. (Fattispecie in cui vi era stato un arresto in flagranza per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 e solo il giorno successivo era stata accertata la violazione del reato di cui all’art. 14, comma quinto-ter, d.lgs. n. 286 del 1998)”. E poi, Cass. pen., sez. I, n. 27657 del 30 maggio 2007, in cui, a proposito del rispetto dei termini, si afferma che “è abnorme il provvedimento con cui il tribunale dispone la restituzione degli atti al PM. per l’inosservanza dei termini previsti dall’art. 449 c.p.p., in relazione all’instaurazione del giudizio direttissimo per i reati in materia di armi ed esplosivi, in quanto, comportando una illegittima regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, deve considerarsi emesso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. (Nel caso di specie, la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, affermando che ogniqualvolta particolari disposizioni di legge prevedano come obbligatorio tale giudizio, anche fuori dei «casi» previsti dall’art. 449 c.p.p., deve ritenersi che la deroga si estenda ai «termini» indicati nel medesimo articolo, compresi nei «casi», intesi quali presupposti processuali e temporali del rito, e non nei «modi» nei quali il giudizio direttissimo, se ammissibile, deve svolgersi)”. Si legga anche Cass. pen., sez. I, n. 22790 del 13 maggio 2009, secondo cui “è abnorme il provvedimento di restituzione al pubblico ministero degli atti del giudizio direttissimo di cui all’art. 14, comma quinto quinquies, d.lgs. n. 286 del 1998, adottato sul presupposto del mancato rispetto dei termini che il codice di rito prevede per l’instaurazione del giudizio direttissimo cosiddetto ordinario. E ancora, Cass. pen., sez. I, n. 9685 del 16 dicembre 2013, in cui si sostiene che “è abnorme il provvedimento di restituzione al pubblico ministero degli atti del giudizio direttissimo instaurato ai sensi dell’art. 13, comma 13-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, adottato sul presupposto del mancato rispetto dei termini che il codice di rito prevede per il giudizio direttissimo cosiddetto ordinario, atteso che la disposizione citata dispone, per i casi da essa contemplati, l’inderogabile obbligatorietà della celebrazione del processo nelle forme del rito direttissimo”.

[2] Cfr. Cass. pen., sez. II, n. 36656 del 24 settembre 2010, secondo cui “non è configurabile, neanche dopo le modificazioni introdotte all’art. 449, comma quarto, c.p.p. ad opera del d.l. 24 maggio 2008, n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125 (misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), un obbligo del PM di procedere con il rito direttissimo tutte le volte che sia convalidato l’arresto in flagranza e la scelta non pregiudichi gravemente le indagini. (Fattispecie nella quale il PM aveva chiesto il giudizio immediato in luogo del giudizio direttissimo e in cui la Corte ha chiarito che il sindacato del giudice non può estendersi al punto di individuare il rito che il PM dovrebbe richiedere”.

[3] Sul punto, Cass. pen., sez. VI, n. 7933 del 8 febbraio 2012, che ha ritenuto “abnorme il provvedimento con cui il giudice, investito della richiesta di giudizio direttissimo ex art. 558 c.p.p., dopo aver provveduto alla convalida, abbia disposto la restituzione degli atti al PM sul presupposto dell’incompletezza dell’attività investigativa, in quanto la carenza investigativa non rientra tra i presupposti del rito direttissimo e, ove sussistente, ben può essere colmata dal giudice all’esito dell’istruttoria dibattimentale”.

 

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