Il giudicato implicito sulla qualificazione giuridica della domanda e la legittimazione ad agire dei fratelli postumi per il risarcimento del danno causato da colpa medica al fratello nato invalido (Nota a Cass. civ. Sez. III, 12 aprile 2018 n. 9048)

Redazione 22/10/19
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di Martina Mazzei

Sommario

1. Il caso

2. I motivi di ricorso

2.1 I limiti alla formazione del giudicato implicito sulla qualificazione giuridica della domanda

2.2 Per i fratelli nati successivamente non è configurabile alcun danno

1. Il caso

Cassazione civile, Sez. III, 12 aprile 2018 n. 9048

I genitori di un bambino nato con un grave ritardo neuromotorio, causato dalla colpevole condotta dei sanitari – che non avevano eseguito prontamente il parto cesareo nonostante l’evidente quadro sintomatico di sofferenza fetale – agivano in giudizio, sia in proprio che quali rappresentanti ex lege dei loro figli, nei confronti dell’Università che gestiva il policlinico universitario per ottenere il risarcimento del danno patito da loro stessi, dal neonato e dai fratelli nati successivamente.

Il Tribunale accoglieva la domanda attorea mentre la Corte d’appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava, in misura più cospicua, il danno patrimoniale e non patrimoniale patito dal neonato e dai suoi genitori mentre escludeva il risarcimento nei confronti dei fratelli postumi in quanto, essendo nati dopo, non poteva dirsi sussistente un valido nesso causale tra l’errore dei sanitari e il danno da essi lamentato.

La sentenza d’appello veniva, quindi, impugnata dai fratelli postumi per mezzo dei loro genitori.

2. I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso i fratelli, ex art. 360 n. 3 c.p.c., censuravano la sentenza d’appello per la violazione degli artt. 1218, 1223, 1225, 2043, 2056, 2059, 2909 c.c., 324, 346 c.p.c. e 185 c.p.

In particolare i ricorrenti sostenevano che:

-il giudice d’appello aveva rigettato la domanda proposta dai fratelp>

-parlando di causap>

-il giudice di primo grado aveva quap>

-tale quap>

-e, dunque, il giudicato formatosi sulla quap>

Con il secondo motivo, invece, i ricorrenti denunciavano la sentenza d’appello in quanto affetta dal vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per la violazione degli artt. 1223, 2043, 2056, 2059, 2697, 2727 e 2729 c.c.; art. 115 c.p.c.; artt. 40 e 41 c.p., artt. 2, 3 e 29 Cost.

Deducevano, al riguardo, che – anche a prescindere dall’applicabilità dell’art. 1225 c.c. – la Corte d’appello avrebbe, comunque, violato le regole che disciplinano il rapporto di causalità materiale tra illecito e danno.

Assumevano, infatti, che, nel caso di specie, si sarebbe dovuto ritenere conforme a normalità che i fratelli di persona nata con gravi malformazioni soffrano per le condizioni del proprio familiare e, di conseguenza, si sarebbe dovuta affermare – invece che negare – l’esistenza di un valido nesso di causa tra l’errore dei sanitari e il danno non patrimoniale patito dai ricorrenti.

Anch’essi, infatti, hanno diritto a vivere in una famiglia serena e tale diritto era stato leso dall’errore commesso dai sanitari, i quali – provocando le lesioni al loro fratello prenato – fecero sì che essi, alla loro nascita, vennero a trovarsi in una “una drammatica situazione familiare”.

2.1 I limiti alla formazione del giudicato implicito sulla qualificazione giuridica della domanda

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti, in sostanza, lamentano la formazione del giudicato sulla qualificazione giuridica della loro domanda, c.d. giudicato implicito[1], per trarne la conseguenza che, definitivamente qualificata la loro azione come extracontrattuale, essi avrebbero diritto al risarcimento anche dei danni imprevedibili, dal momento che l’irrisarcibilità di questi ultimi è prevista dall’art. 1225 c.c. solo per le ipotesi di inadempimento contrattuale.

Secondo la Corte questa conclusione si scontra con la circostanza che l’appello proposto dall’Università, col quale si contestava l’esistenza e la risarcibilità del danno patito da fratelli postumi della vittima primaria, aveva impedito la formazione di qualsiasi giudicato tanto sull’esistenza del danno quanto sulla sua derivazione causale dall’illecito e sulla sua risarcibilità.

Infatti, la Terza Sezione, nella sentenza in epigrafe, ricorda che “è vero che il giudicato possa formarsi anche sulla qualificazione giuridica della domanda adottata dal primo giudice[2] ma è pur vero che questa regola ha un limite: nessun giudicato può formarsi sulla qualificazione giuridica data dal primo giudice alla domanda, quando l’appellante, pur non contestando formalmente quella qualificazione, col suo gravame sottoponga comunque al giudice d’appello una questione tale che, per essere accolta, presuppone una qualificazione giuridica della domanda diversa da quella adottata dal primo giudice“.

Questo principio, applicato alla materia del risarcimento del danno, comporta che quando la pronuncia sull’esistenza e sulla risarcibilità del danno civile dipenda dalla qualificazione della domanda, l’appello con cui si deduca l’inesistenza del danno rimette necessariamente in discussione anche la suddetta qualificazione, ed impedisce la formazione del giudicato.

Nel caso in esame, pertanto, una volta accolta dal Tribunale la domanda di risarcimento del danno proposta dai genitori del neonato ed, una volta proposta impugnazione avverso il capo di sentenza che ha ritenuto esistente quel danno, il giudice d’appello, per ciò solo, venne investito del potere di riqualificare ex officio la domanda di risarcimento.

Questi principi sono da anni pacifici nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, a partire dalla nota sentenza n. 2734 del 25 giugno 1977 (in seguito sempre conforme), si stabilì che “quando la qualificazione giuridica dei fatti costituisce esclusivamente una premessa logica della decisione di merito e non una questione formante oggetto di una specifica ed autonoma controversia, l’oggetto della pronuncia del giudice è costituito esclusivamente dall’attribuzione (…) del bene della vita conteso, onde il giudicato si forma sull’accoglimento o sul rigetto della domanda e soltanto in via indiretta e mediata sulle premesse meramente logiche della decisione; con la conseguenza che, se viene impugnata la pronunzia sul merito, il giudice dell’impugnazione non è in alcun modo vincolato ai criteri seguiti dal primo giudice per procedere alla qualificazione giuridica dei fatti”.

[1] Sull’argomento Cfr. MANDRIOLI-CARRATTA, D iritto processuale civile, Nozioni introduttive e disposizioni generali, vol I, Torino, 2015, p. 112 nota 43; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1992, pag. 298; MENCHINI, II giudicato civile, Torino, 1988, pag 255 ss; A.A. ROMANO, Contributo alla teoria del giudicato implicito sui presupposti processuali, in Giur. It. 2001, pag 1292; POLI, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, spec. 153 ss; RASCIO, L’oggetto dell’appello civile, Napoli, 1996, pag 110 ss.

[2] Cfr. Cass. civ. sez. II 17 aprile 2019 n. 10745; Cass. civ. sez. II 1° agosto 2013 n. 18427; Cass. civ. sez. III 7 novembre 2005 n. 21490.

2.2 Per i fratelli nati successivamente non è configurabile alcun danno

La Suprema Corte, inoltre, è stata chiamata a pronunciarsi anche sul risarcimento del danno non patrimoniale spettante ai fratelli nati in epoca successiva al fratello nato invalido a causa di colpa medica, identificata nella condotta dei sanitari che ritardavano a eseguire un parto cesareo ed erravano nella somministrazione farmacologica, sì da determinare ipossia celebrale intra partum, causa di un grave ritardo neuromotorio del neonato.

La Corte, con la sentenza in commento, premette che è irrilevante – nel giudizio de quo – stabilire se il pregiudizio del quale i ricorrenti chiedono il ristoro debba essere disciplinato dalle regole sulla causalità materiale (dettate dagli artt. 40 e 41 c.p.) ovvero da quelle sulla causalità giuridica (art. 1225 c.c.), perchè tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, le suddette regole impediscono di ravvisare un valido nesso di causa tra la condotta del sanitario che ha provocato lesioni ad un neonato e il disagio dei fratelli postumi.

In primo luogo, infatti, tra quella condotta e quel danno lamentato non v’è alcun nesso di causalità materiale.

Il concepimento e la nascita d’un essere umano, infatti, sono conseguenze di atti umani coscienti e volontari e, qualsiasi atto umano cosciente e volontario, in quanto libero nel fine e non necessitato, interrompe qualsiasi nesso di causa.

Ne consegue che la scelta dei genitori dei ricorrenti di generare dei figli non può dirsi “conseguenza” dell’errore commesso dai sanitari. E se quella scelta non fu conseguenza dell’errore medico, nemmeno potrà esserlo il disagio e gli altri pregiudizi lamentati dai fratelli venuti al mondo per effetto di quella scelta.

In secondo luogo tra la condotta dei sanitari e il danno lamentato dagli odierni ricorrenti non può sussistere nemmeno un rapporto di causalità c.d. giuridica.

Le Sezioni Unite della Corte[3], infatti, chiamate a comporre i contrasti circa l’interpretazione dell’art. 1223 c.c., e sul modo di intendere il concetto di “danni immediati e diretti”, hanno stabilito che:

1.i danni “mediati e indiretti”, che l’art. 1223 c.c. esclude dal novero della risarcibip>

2.danni “da rimbalzo” sono quelp>

Nel caso in esame nessuno dei requisiti indicati sub (b) sussiste.

Non il primo perchè la nascita degli odierni ricorrenti non può dirsi una “conseguenza indefettibile” dell’errore commesso dai medici; neppure il secondo, perchè manca l’immediatezza in quanto al momento del fatto illecito nessuno dei ricorrenti ancora esisteva ed, infine, neppure il terzo, perchè al momento della commissione dell’illecito non esisteva ancora alcun “legame significativo” tra la vittima primaria ed i suoi fratelli, suscettibile di essere attinto dall’illecito[4].

Le doglianze dei ricorrenti, secondo la Corte, non sono, inoltre, accogliibili anche sul piano della logica formale.

Ammettere, infatti, che il fratello postumo d’un bimbo nato invalido per colpa medica possa domandare a quest’ultimo il risarcimento del danno consistito nel nascere in una famiglia non serena[5], produrrebbe i seguenti effetti paradossali:

-in teoria, anche la madre potrebbe essere ritenuta responsabile del suddetto danno, per aver messo al mondo un secondo figp>

-non solo nel caso di errore medico, ma dinanzi a qualsiasi fatto illecito lesivo dell’integrità psicofisica, tutti i parenti postumi della vittima primaria potrebbero domandare un risarcimento al responsabile;

-non solo nel caso di danno non patrimoniale, ma anche per il danno patrimoniale, i nati postumi potrebbero domandare il risarcimento all’autore dell’illecito.

L’evidente insostenibilità di tali approdi ha portato la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, in virtù della regola della reductio ad absurdum, ad affermare l’erroneità del presupposto su cui si fondano le doglianze attoree e cioè che persone non solo non nate, ma neanche concepite al momento della commissione del fatto illecito, possano domandare al responsabile di questo un risarcimento.

Tali argomenti, in conclusione, non si pongono in contrasto con il precedente[6] della Corte di Cassazione con il quale era stata ammessa la risarcibilità del danno patito dai fratelli di persona nata invalida in conseguenza d’un errore dei sanitari in quanto in quel caso, il risarcimento venne chiesto dai fratelli prenati rispetto alla vittima primaria, e ciò, a maggior ragione, rende inapplicabili al giudizio de quo i principi affermati in detta sentenza.

[3] Cass. Sez. un. 1° luglio 2002 n. 9556 con nota di ORTOLANI A., Il danno morale riflesso in caso di lesioni: una pronuncia delle Sezioni Unite, in Giur. It., 2003, 7.

[4] Cfr. Cass., Sez. Un., 1° luglio 2002, n. 9556, Foro it., 2002, I, 3060, con nota di A. PALMIERI e, in dottrina, R. RICCÒ, in Responsabilità Civile, trattato diretto da P. CENDON, Torino, 2017, I, 311; M. FRANZONI, Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile diretto da M. FRANZONI, Milano, 2010, 16 ss.; G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1996, 553 ss

[5] Tale inerisce il dibattito sul «diritto a non nascere se non sano», su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite: Cass., sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25767, Foro it., 2016, I, 494, con nota di C. BONA, Sul diritto a non nascere e sulla sua lesione.
Prima dell’intervento del 2015 si erano, infatti, formati due orientamenti contrapposti.
Per la posizione sfavorevole al riconoscimento del danno da lesione del diritto a non nascere se non sani cfr. Cass. civ. sez. III. 29.7.2004, n. 14488 con nota di BITETTO A.L., Il diritto a «nascere sani», in Foro it. anno 2004, parte I, col. 3329; Cass. civ. sez. III. 14.7.2006, n. 16123, con nota di LISERRE A., Ancora in tema di mancata interruzione della gravidanza e danno da procreazione, in Corr. Giur. 2006, p. 1693; Cass. civ. sez. III. 11.5.2009, n. 10741 con nota di LISERRE A., In tema di responsabilità del medico per il danno del nascituro, in Dir. fam. 2009, 1159 ss.; di BITETTO A.L., Fecondazione assistita, malformazioni fetali e ristoro del «bebé prejudice», in Foro it. anno 2010, parte I, col. 155; Cass. SS.UU. civ. 22.12.2015, n. 25767 con nota di BONA C., Sul diritto a non nascere e sulla sua lesione, in Foro it. anno 2016, parte I, col. 506.
Per la posizione favorevole al riconoscimento del danno da lesione del diritto a non nascere se non sano come danno da limitazione della possibilità di esplicare la propria personalità a causa delle malformazioni cfr. Cass. civ. sez. III. 2.10.2012, n. 16754 con nota di OLIVA A.L. in Foro it. anno 2013, parte I, col. 204.
In dottrina, in generale, sul tema v. DI CIOMMO F., Giurisprudenza-normativa e “diritto a non nascere se non sano”. La Corte di cassazione in vena di revirement?; in Danno e resp. 2010, 144; GUARNIERI A., Nascita di figlio malato, errore diagnostico del medico e regola di responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 2002, II, 849; FRANZONI M., Errore medico, diritto di non nascere, diritto di nascere sano, RCi, 2005, 486 ss; BATÀ A., La tutela del concepito e il diritto a nascere sano, in Giur. it 1994, 550; PALMERINI E., Nascite indesiderate e responsabilità civile: il ripensamento della Cassazione, in Nuova Giur. Civ., 2013, I, 198 ss.; PIRAINO F., I confini della responsabilità civile e la controversia sulle malformazioni genetiche del nascituro: il rifiuto del c.d. danno da vita indesiderata, in Nuova Giur. Civ., 2016, 3, 450; FOGLIA M., Diritto a non nascere (se non sano), in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ. appendice di aggiornamento, Torino, 2018; GALGANO F., Danno da procreazione e danno al feto, ovvero quando la montagna partorisce un topolino, in Contr. e impr., 2009, 537 ss.

[6] Cass. civ. sez. III 2 ottobre 2012 n. 16754.

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