Il divieto legale della prova tra principio di legittimità e la lesione del diritto al giusto processo tributario

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La questione che si intende proporre in questa breve disamina è relativa principalmente a due norme esistenti nel nostro ordinamento tributario (l’art. 32 comma 4 del DPR 600/73 e l’art. 52 comma 5 del DPR 633/72) riguardanti le eventuali mancate esibizioni documentali alla Amministrazione finanziaria e, soprattutto, le loro conseguenze sia sul piano giurisdizionale che su quello amministrativo.
Deve preliminarmente ricordarsi che, il principio che si andrà ad enunciare, da qui a poco, esiste fin dall’origine della riforma tributaria degli anni settanta ed è un principio "univoco" operante cioè, sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva. E’, dunque, quel principio che (legalmente) vieta l’utilizzo, tanto in sede amministrativa che contenziosa, della documentazione contabile (e non) che, scientemente o per cause di forza maggiore, il contribuente non esibisce o decide di non esibire, agli organi del Fisco dietro loro specifica richiesta. Il divieto di prova, perché di ciò si tratta, riguarda libri, registri, scritture, documenti, atti e, come da novella[1] del 1999, dati e notizie che non potranno essere utilizzati, in nessun modo, né, ad esempio, in fase di autotutela, né men che meno innanzi al giudice (tributario) qualora questi non vengano esibiti indipendentemente dalle motivazioni che conducono a tale omissione.
Alcune considerazioni devono essere fatte, però, sulla portata delle disposizioni in commento con riferimento al "nuovo" articolo 111 della Costituzione e con specifico riguardo alla parità delle parti nel processo. Dato per acclarato che il principio del giusto processo trova applicazione al processo tributario, deve ragionarsi, in primis su un concetto generale chiedendosi se mai una limitazione legale della "prova" possa provocare lesione ad un diritto costituzionalmente garantito, in secundis, poi, deve valutarsi il caso di specie.
Sia detto fin da subito che in questa sede non si considerano argomenti di cui la giurisprudenza costituzionale si è di fatto già ampiamente occupata; il punto non è, dunque, ritornare a ridiscutere della legittimità o meno delle due norme citate con riferimento, ad esempio, al principio del diritto alla difesa o di quello relativo alla capacità contributiva di cui già sappiamo quale ne sia l’orientamento giurisprudenziale.[2]
La questione che si intende porre è quella relativa ad un eventuale contrasto tra le disposizioni citate ed il "nuovo" articolo 111 della Costituzione nella parte in cui viene prevista la parità processuale delle parti e dunque ci si intende chiedere se una disposizione di legge che vieti l’utilizzo processuale di una prova, nel caso documentale, non sia lesiva di questo aspetto costituzionale.
La questione è dunque, in un certo senso, vecchia e nuova allo stesso tempo; la Corte Costituzionale è intervenuta, infatti, con una interessante sentenza[3] all’interno della quale sono state respinte, fra l’altro, le eccezioni di incostituzionalità sollevate nei confronti dell’art. 7 del D. Lgvo 546/92 con riferimento all’art. 111 della Carta. Le motivazioni addotte appaiono condivisibili nella misura in cui i Giudici hanno ritenuto non leso il principio della parità delle parti nel processo tributario per una semplice considerazione: il divieto previsto dall’art. 7 richiamato si rivolge a tutte le parti e dunque, non realizzerebbe nessun tipo di "scompenso" processuale.
Il caso che si esamina, invece, oltre a non essere mai stato preso (ancora) in considerazione dalla giurisprudenza, riguarda due norme che, al contrario, sono dirette solo ed esclusivamente al contribuente e non anche ad altre "future" parti processuali. Le perplessità, oltre ad essere piuttosto forti in ordine alla violazione di un principio previsto, seppur recentemente, come costituzionalmente garantito, riguardano anche le norme di carattere "processuale" attesa, come detto in premessa, che le norme in esame risalgono agli inizi degli anni settanta quando non solo il principio del giusto processo era sconosciuto ma anche quando lo svolgimento dell’intero processo tributario era regolato in maniera profondamente diversa.
Questo per dire che la seconda perplessità che si vuole sottolineare riguarda la applicabilità di una regola processuale prevista al di fuori sia del D.Lgvo 546/92, sia al di fuori delle disposizioni del Codice di procedura civile alle quali le regole del processo tributario di oggi, si rinviano.  
Dunque, qual’ è, allora, la reale "portata" del divieto in esame? E quali le eventuali implicazioni di carattere, non solo costituzionale, ma anche processuale? Il giudice tributario potrebbe lui stesso ammettere e quindi considerare l’esibizione documentale della documentazione non prodotta in sede, ad esempio, di accertamento sintetico?
A parere di chi scrive, appaiono abbastanza evidenti alcune considerazioni:
·        che appartenga al legislatore ordinario prevedere "limitazioni" nella ammissione di certe prove è, oltre che legittimo, anche sufficientemente ricorrente (si pensi solo alle lmitazioni nel processo civile);
·        che le due norme in esame appaiono assolutamente in contrasto con il principio del giusto processo nella parte in cui è prescritta la parità delle parti che è palesemente violata nella misura in cui la direzione del divieto è univoca;
·        che il divieto di cui si discute si trova all’interno di un contesto "improprio" nella misura in cui, l’uno, è previsto dal decreto istitutivo dell’Iva e l’altro, nel decreto inerente l’accertamento delle imposte dei redditi.
Si tenga presente inoltre, per ampliare il campo del dibattito, che il contribuente ha inoltre legittimamente la facoltà di rifiutare espressamente l’esibizione di questo o quel documento quando tale condotta sia supportata da una richiesta ritenuta illegittima della Amministrazione finanziaria ad esempio perché immotivata o comunque contraria all’art. 12 dello Statuto. Allora, quid iuris?
Peraltro, con riferimento all’art. 32 comma 4 del DPR 600/73, il legislatore del 1999 ha provveduto ad un "allargamento" del divieto estendendolo anche a "dati" e "notizie".
Questo offre l’opportunità di altre riflessioni avanzate da autorevole dottrina[4]  secondo la quale il divieto estendendosi, diversamente da quanto accadeva in precedenza, anche ai dati ed alle notizie pregiudicherebbe in maniera marcata il diritto alla difesa, posta la genericità della indicazione.
In effetti, a ben vedere, la richiamata disposizione normativa risulta essere, dopo la novella, esageratamente generica perché il concetto dati e notizie offre l’opportunità all’Amministrazione finanziaria di rivolgere al contribuente richieste di esibizione di qualunque tipo anche sotto forma di "semplici" dichiarazioni di parte, che, se non rese, potrebbero in ogni caso influenzare sin da subito le premesse "amministrative" di un potenziale e futuro contraddittorio innanzi al giudice. E ciò con evidente nocumento alla strategia difensiva del contribuente che potrebbe, ad esempio, essere reticente in prima istanza suo malgrado, ma che in sede giurisdizionale potrebbe, come logico che sia, addurre tutte le spiegazioni del caso nella sede contenziosa naturale quale è quella davanti alla Commissione tributaria.
Dunque mi sembra abbastanza evidente come, al di là dei profili di incostituzionalità non ancora formalmente ed effettivamente denunciati, il divieto di cui si discute risulta essere anacronistico e, se vogliamo, anche disattendibile nei limiti che si sono accennati ma comunque meritevole di una revisione che, laddove non preveda una abrogazione totale dello stesso, contempli il divieto solo per la parte "amministrativa" del contenzioso lasciando fuori la parte "giurisdizionale" e quindi, rimettendo, come normale che sia, la prudente valutazione del giudice non solo relativamente alla ammissibilità del mezzo di prova ma anche alla sua "efficacia processuale". Anche perché, nell’ambito della valutazione dei mezzi di prova, il giudice ha il potere/dovere di valutare la condotta processuale delle parti e dunque è nel dibattimento, e solo in quella fase, che il contribuente avrà la piena possibilità di esibire ciò che non ha esibito in precedenza ovvero di continuare a non esibire nulla magari, però, fornendo le logiche argomentazioni della propria strategia.
 
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[1] Art. 25 L. nr. 28/1999
[2] C. Cost. Ord. nr.181/07; Sent. nr. 225/05; Ord. nr. 33/02
[3] C. Cost. Sent. nr. 18/2000
[4] Lupi Raffaello, "Mancate esibizioni documentali e salvaguardia del diritto di difesa" in Corriere Tributario nr. 13/99

Ferraria Alessandro

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