Il diritto alla salute e la sicurezza delle cure

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Prima di affrontare ed entrare nel cuore del tema della responsabilità degli operatori sanitari, mi aggrada fare una brevissima premessa sul Servizio sanitario nazionale (SSN) quale sistema di strutture e servizi che hanno lo scopo di garantire a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza, l’accesso universale all’erogazione equa delle prestazioni sanitarie, in attuazione dell’art.32 della Costituzione, che recita:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana“.

La responsabilità in ambito sanitario

E’ un tipo di responsabilità peculiare in cui può incorrere chi, nell’esercizio della sua attività, medica, chirurgica, o in generale sanitaria, mette in atto condotte, commissive o omissive dalle quali può derivare un danno al paziente o assistito. Emerge sin da subito l’esigenza di trovare un equilibrio tra gli eventuali danni subiti dall’assistito nei casi di malpractice medico-sanitaria e gli strumenti di riparazione che il sistema giuridico offre. La materia è stata oggetto principalmente di due provvedimenti normativi: il cosiddetto decreto Balduzzi ( D.L. 13/09/2018 n. 158 conv. in L. 189/2012) e la Legge 8/3/2017 n. 24 contenente disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, che ha inciso sul medesimo decreto Balduzzi.

 

Risk Management

Dall’incipit della legge Gelli-Bianco ( La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività)  si comprende che l’attenzione è spostata sulla prospettiva di una gestione del rischio clinico che possa consentire di evitare il più possibile, con l’adozione degli oppositi modelli di Risk management, il ricorso alla giustizia, se non in ultima analisi.

Per clinical risk management si intende la gestione del rischio clinico in sanità, ovvero l’insieme di varie azioni messe in atto per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie garantendole dal rischio di errore. Esso è un fattore determinante del governo clinico, insieme alla formazione continua, agli audit clinici, alle linee guida, alla ricerca e sviluppo, alla valutazione del personale. Per rischio clinico si intende la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, che subisca un danno imputabile, anche se indirettamente, alle cure prestate, che causa un peggioramento delle condizioni di salute.

La responsabilità della struttura sanitaria per somministrazione di cure inadeguate o non sicure era, e rimane dopo la legge Gelli Bianco, di tipo contrattuale. Si ritiene, infatti, che il paziente ricoverato in ospedale stipuli con l’ente che lo accoglie un vero e proprio accordo negoziale (un “contratto di spedalità”, per chiamarlo col suo vetusto appellativo). Questo comporta, per il paziente, una serie di vantaggi: primo fra tutti, il fatto che non sia lui a dover provare la colpa della struttura, ma sia quest’ultima a dover provare di aver operato bene. Il diritto del paziente, inoltre, si prescrive dopo 10 anni dal fatto, invece dei soliti 5 anni previsti in materia di responsabilità extracontrattuale.

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La condizione di procedibilità

Una importante innovazione di rilievo della legge Gelli-Bianco è stata la consacrazione di uno specifico iter procedimentale: si è stabilito che prima di procedere con il giudizio bisogna chiedere al Giudice di nominare un collegio di medici (un medico-legale ed uno o più specialisti nella disciplina in discussione) per l’esperimento di una consulenza tecnica preventiva, anche ai fini della composizione della lite. La norma di riferimento è l’art. 696 bis del codice di procedura civile.

Si tratta, tecnicamente, di una “condizione di procedibilità” dell’azione risarcitoria, che ha anche la

meritoria peculiarità di non contemplare la condanna alle spese in caso di “soccombenza“, perciò il

paziente, quand’anche avesse torto, non correrà il rischio di dover rifondere le spese alla struttura sanitaria. In alternativa, alla luce della specifica vicenda clinica (o della strategia processuale scelta dall’avvocato esperto in malasanità), si può soddisfare la condizione di procedibilità anche promuovendo un procedimento di mediazione. Quindi, l’art. 8 della legge Gelli Bianco prevede l’espletamento preliminare ed obbligatorio di un ATP (art. 696 bis c.p.c.) davanti al Giudice competente ai fini conciliativi in alternativa alla mediazione (D.lgs. 28/2010). Quando il giudice rileva che il procedimento (art. 696 bis c.p.c.) non è stato espletato assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione dinanzi a sé dell’istanza di consulenza tecnica in via preventiva. L’art. 8 stabilisce che il successivo ed eventuale ricorso ex art. 702 bis c.p.c. si deposita «presso il giudice che ha trattato il procedimento» di accertamento preventivo. Ciò garantisce unitarietà alla vicenda processuale.

Il consulente tecnico, prima di depositare la sua relazione, deve tentare, ove possibile,
di conciliare le parti.

Se le parti si conciliano, si forma il processo verbale della conciliazione ed il Giudice attribuisce
ad esso con decreto efficacia di titolo esecutivo al fine dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma
specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può
chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.

 

La Mediazione (D.lgs. 28/2010)

Corre l’obbligo però accendere i riflettori sulla mediazione quale procedura stragiudiziale molto rapida (che deve concludersi entro 3 mesi dall’avvio della stessa) il cui scopo è quello di consentire alle parti di risolvere una controversia attraverso l’opera di un mediatore (ossia una figura professionale qualificata e imparziale) che, una volta verificata la disponibilità dei soggetti coinvolti nel procedimento ad una conciliazione, potrebbe formulare loro una proposta per il componimento della lite. L’accertamento medico legale nell’opera del mediatore nelle controversie in tema di responsabilità sanitaria ha il compito di aiutare le parti a cooperare, a valorizzare gli interessi delle stesse allargando lo spettro delle soluzioni prospettabili senza rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti partecipano con l’assistenza dell’avvocato. Oltre al primo incontro, vi possono essere più incontri in base alle esigenze delle parti e della controversia. Le dichiarazioni e le informazioni raccolte nell’ambito del procedimento di mediazione non sono invero utilizzabili, salvo espresso diverso accordo, nell’eventuale giudizio ordinario relativo in tutto o in parte alla medesima controversia, né sono suscettibili di formare oggetto di testimonianza o di giuramento decisorio in qualunque giudizio. Il mediatore deve formare processo verbale con l’indicazione non solo della proposta, ma anche dei motivi del mancato accordo, indicando specificamente la posizione delle parti sulla sua proposta, precisando quindi chi l’abbia accettata o rifiutata in tutto, chi l’abbia accettata o rifiutata solo in parte (indicando in quali parte), chi abbia formulato una controproposta, ecc. Nonostante dal testo definitivo del comma 4 dell’art. 11 sia stata tolta, l’indicazione delle ragioni del mancato accordo è assolutamente necessaria per consentire al giudice del successivo processo civile di potere bene e correttamente applicare le previsioni dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010 in merito al regime delle spese di lite.

Una serie di ulteriori disposizioni della legge Gelli-Bianco introducono istituti che si collocano tra

l’irrilevanza assoluta e la marginalità relativa con la speranza sempre accesa che non si capiti mai in una  malpractice medico-sanitaria.

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Alessandro Zampino

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