Il difficile bilanciamento tra la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettivita’ e gli altri diritti inviolabili, ai tempi dell’emergenza coronavirus. Soltanto il parlamento puo’ essere garante contro l’arbitrio del potere esecutivo

Silvia Covolo 03/04/20
Scarica PDF Stampa

Premessa: l’evoluzione del quadro normativo.

La situazione di emergenza generata dalla diffusione del coronavirus ha scardinato il già fragile equilibrio tra rapporti civili, rapporti economici e rapporti etico-sociali, costituzionalmente tutelati: come conciliare la libertà di circolazione, il diritto di riunione, il diritto di professare liberamente la propria fede, la libertà di iniziativa economica privata e la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività?

Ai sensi dell’art. 16 Cost., la libertà di movimento e di soggiorno del cittadino può essere soggetta a restrizioni per “motivi di sanità o di sicurezza”; secondo l’art. 17, il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi può essere limitato dall’autorità “soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”; il diritto di professare liberamente la propria fede, ex art. 19 della Costituzione, non può porsi in contrasto con il buon costume; infine, ai sensi dell’art. 41, c. 2, Cost, il libero esercizio di una attività economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Ebbene, si tratta di alcuni dei diritti e delle libertà fondamentali, costituzionalmente rilevanti, che sono stati compressi per evitare il rischio di contaminazione.

L’art. 32 della Costituzione, secondo cui “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” si è prepotentemente imposto quale ulteriore ed invalicabile limite cui vanno soggette tutte le altre situazioni soggettive meritevoli di protezione rafforzata, in questo momento di rischio di contaminazione senza precedenti nel nostro Paese.

Le restrizioni sono state imposte, principalmente, con provvedimenti dell’esecutivo, ovvero con Ordinanze Regionali, con efficacia limitata ai rispettivi territori.

Per far fronte all’eccezionalità del fenomeno, manifestatosi in tutta la sua gravità a partire dal 21 febbraio, con la registrazione del primo decesso a Vo’ Euganeo (PD), il Governo Conte ha fatto immediato ricorso alla decretazione d’urgenza, nonché a numerosi Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e a Decreti Ministeriali.

Il primo intervento normativo è rappresentato dal D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito dalla L. 5 marzo 2020, n. 13, che demanda alle autorità competenti l’adozione di misure di contenimento, anche ulteriori rispetto a quelle enucleate all’art. 1, nelle aree contraddistinte dalla presenza di almeno una persona positiva, di cui non sia sicura la fonte di trasmissione.

La repressione di eventuali trasgressioni è assicurata dal richiamo all’art. 650 c.p..

Con D.P.C.M. 8 marzo 2020 sono state adottate misure urgenti di contenimento del contagio, quali “ulteriori disposizioni attuative del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6”, per contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19  nelle zone allora più colpite del territorio nazionale (Regione Lombardia, Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia), a partire dal generale divieto di spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori indicati, nonché all’interno degli stessi, “salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute” (art. 1, lettera a)).

Tra le altre misure adottate, all’art. 1 figurano pure, tra le altre, la raccomandazione a rimanere presso il proprio domicilio e a limitare al massimo i contatti sociali per i soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5 gradi (lettera b); il divieto assoluto di mobilità per le persone sottoposte a quarantena o risultate positive al virus (lettera c); la sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni natura, salve alcune eccezioni ( lettera d)); la sospensione dei servizi educativi e per l’infanzia e delle attività scolastiche e formative in generale ( lettera h); la limitazione delle aperture dei luoghi di culto, condizionandole all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone (lettera i); la limitazione degli orari di apertura dei bar e dei servizi di ristorazione, dalle 6 alle 18 (lettera n).

Con D.P.C.M. 9 marzo 2020, le stesse misure sono state estese all’intero territorio nazionale, con ulteriori restrizioni riguardanti lo sport e le attività motorie.

Con D.P.C.M. 11 marzo 2020, sono state introdotte altre limitazioni, estese all’intero territorio nazionale, tra le quali figura la sospensione delle attività commerciali al dettaglio, ad eccezione della vendita di generi alimentari e dei beni di prima necessità specificamente individuati, sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, ivi compresi i centri commerciali, con accesso consentito soltanto alle sole attività predette; la chiusura dei mercati, salve le attività dirette alla vendita di generi alimentari; l’apertura, in via residuale, di edicole, tabaccai, farmacie e parafarmacie (art. 1, n. 1); la sospensione dei servizi di bar e di ristorazione (art. 1, n. 2); la sospensione dei servizi alla persona, come parrucchieri, barbieri, estetiste (art. 1, n. 3). Vengono inoltre dettate specifiche raccomandazioni riguardanti l’esercizio delle attività produttive e delle attività professionali ancora consentite, per assicurare l’osservanza di determinati protocolli di sicurezza negli ambienti di lavoro, ove non sia possibile il ricorso a forme di lavoro agile.

L’entrata in vigore di tali disposizioni, per il periodo 12 marzo – 25 marzo 2020, ha comportato la contestuale cessazione di efficacia dei D.P.C.M. in data 8 marzo 2020 e in data 9 marzo 2020, laddove incompatibili.

Nuove e più stringenti limitazioni sono state previste dal D.P.C.M. 22 marzo 2020, avente efficacia dal 23 marzo al 3 aprile 2020, da applicarsi cumulativamente al D.P.C.M. 11 marzo 2020 e all’Ordinanza del Ministero della Salute del 20 marzo 2020, i cui termini di efficacia, già fissati al 25 marzo 2020, sono prorogati al 3 aprile 2020.

L’ultimo Decreto del Premier Conte, oltre a fare divieto “a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un Comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”, consentendo il rientro al proprio domicilio soltanto per le ragioni predette (art. 1, lettera b)), sospende “tutte le attività produttive industriali e commerciali”, ad eccezione di quelle contenute nell’allegato 1 (art. 1, lettera a)). Vengono fatti salvi soltanto l’attività degli studi professionali (art. 1, lettera a)), le attività destinate a sospensione ma che possono essere organizzate in modalità a distanza o lavoro agile (art. 1, lettera c)), le attività volte ad assicurare la continuità delle filiere delle attività destinate a continuare, previa comunicazione al Prefetto della Provincia di ubicazione (art. 1, lettera d)), l’erogazione dei servizi di pubblicità utilità e di servizi essenziali normativamente previsti (art. 1, lettera e)), le attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, di tecnologia sanitaria e di dispositivi medico-chirurgici, nonché di prodotti agricoli e alimentari, oltre alle attività necessarie a fronteggiare l’emergenza (art. 1, lettera f)). Altre ed ulteriori attività consentite, previa comunicazione o autorizzazione prefettizia, sono previste dalle successive lettere g) ed h) dell’art. 1.

L’art. 4 ha permesso alle imprese, svolgenti attività soggette a sospensione, di completare le commesse e gli ordinativi in corso entro il 25 marzo 2020.

Con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico in data 25 marzo 2020, è stato modificato l’elenco dei codici delle attività consentite, già previsto dal DPCM in data 22 marzo 2020, concedendo alle imprese, la cui attività sarà necessariamente soggetta a sospensione, di completare le attività in essere, compresa la spedizione della merce in giacenza, entro il 28 marzo 2020.

Con l’art. 1 del D.L. 25 marzo 2020, n. 19 – che abroga, tra gli altri, il D.L. 23 febbraio, n. 6, convertito dalla L. 5 marzo 2020, n. 13, ad eccezione degli articoli 3, comma 6bis e 4 – è stato precisato che, a seconda dell’andamento epidemiologico del virus, possono essere adottate, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio (quindi per tutta la durata dello stato di emergenza, dichiarato con Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, per 6 mesi), una o più tra le misure comprese al successivo comma 2, tra cui la limitazione della circolazione delle persone (lettera a), il divieto di allontanamento e di ingresso nei territori comunali, provinciali o regionali (lettera c), la limitazione e o divieto delle riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico (lettera f), la sospensione delle cerimonie civili e religiose, nonché la limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto, nonché la completa chiusura degli stessi (lettera h), oltre a numerose altre restrizioni, come quelle riguardanti la sospensione o chiusura dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado (lettera p).

L’articolo 2 prevede che l’adozione delle misure di contenimento venga disposta con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute, sentiti gli altri Ministri competenti per materia, nonché il Presidenti delle Regioni interessate (laddove riguardanti esclusivamente il territorio di una  Regione o di specifiche Regioni) o il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, se riguardanti l’intero territorio nazionale.

Le misure riguardanti il territorio regionale potranno essere adottate sempre con provvedimento del Governo, su proposta dei Presidenti delle Regioni o del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, a seconda dell’estensione territoriale.

Soltanto in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento ovvero di attenuazione del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, l’art. 3, comma 1, conferisce alle Regioni la potestà di introdurre ovvero di sospendere l’applicazione delle misure di cui all’art. 1, con efficacia per un periodo di sette giorni, non reiterabile, e soggetto comunque a conferma con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, cui indirizzare la proposta entro 24 ore dall’emanazione dei provvedimenti.

L’art. 3, comma 2, attribuisce ai Sindaci il potere di introdurre o di sospendere, con efficacia per un periodo di sette giorni, l’applicazione delle misure di cui all’art. 1, comma 2 nei rispettivi Comuni, dando entro le 24 ore successive comunicazione dell’Ordinanza alla Regione, che può confermare l’efficacia per 30 giorni, rinnovabili con i limiti di cui sopra.

Infine, l’articolo 4 innova il sistema sanzionatorio, escludendo il riferimento all’art. 650, c.p. e prevedendo una differenziazione tra gli illeciti.

Invero, la violazione delle misure di contenimento è punita con sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie (come la chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni), mentre la violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte a quarantena continua a costituire reato, ai sensi dell’art. 260 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, come modificato dallo stesso Decreto-Legge.

L’art. 4, comma 8, risolve una questione di diritto intertemporale, stabilendo che le norme che sostituiscono le sanzioni penali con quelle amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, prevedendo, tuttavia, l’applicazione delle sanzioni amministrative nella misura minima, ridotta della metà.

L’ultimo DPCM in data 1.04.2020 ha stabilito che le misure di cui ai precedenti Decreti dell’8, 9, 11, 22 marzo, nonché di quelle previste con Ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo 2020 e dall’Ordinanza del 28 marzo 2020 del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ancora efficaci al 3 aprile 2020, sono prorogate dal 4 al 13 aprile 2020.

In tema di competizioni sportive e di sedute di allenamento, l’art. 1, comma 2, modificando quanto previsto dal DPCM in data 8 marzo 2020, sospende ogni tipo attività, in luogo pubblico o privato.

Volume consigliato

Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e Ordinanze Regionali: la necessità di una base legale, attesa la riserva di legge in tema di compressione delle libertà fondamentali.

Il D.L. 25 marzo 2020, n. 19 mantiene il potere di intervento delle Regioni a tutela della salute pubblica, legittimando l’adozione di misure restrittive mediante un doppio canale: quello della preventiva consultazione dell’esecutivo, attraverso la formulazione di proposte destinate ad essere recepite con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero quello dell’emanazione di ordinanze Regionali, destinate ad essere assorbite da decreti del Governo, in caso di necessità ed urgenza in relazione al rischio sanitario.

Sulla scorta dell’art. 2, D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito dalla Legge 5 marzo 2020, n. 13, secondo cui le autorità competenti “possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche al di fuori dei casi di cui all’articolo 1, comma 1”, le Regioni sono già intervenute con delle proprie misure di contenimento, riferibili ai rispettivi territori.

La prima iniziativa in questo senso è stata quella del Governatore della Campania Vincenzo De Luca, che con Ordinanza n. 15 del 13 marzo 2020 ha stabilito “l’obbligo di rimanere nelle proprie abitazioni”, salvo che per spostamenti individuali e temporanei, giungendo a vietare l’attività sportiva, ludica o ricreativa all’aperto, per far fronte al rischio di contagio, già allora gravissimo sull’intero territorio regionale.

Nel pronunciarsi sull’istanza di cautelare di sospensione dell’efficacia della suddetta Ordinanza, il TAR Campania, con decreto n. 416/2020 del 18.03.2020, ha innanzitutto riconosciuto il potere di adozione di azioni limitative da parte della Regione, stante il richiamo a plurime disposizioni legislative che lo prevedono, escludendo peraltro ogni forma di “possibile contrasto di dette misure con quelle predisposte per l’intero territorio nazionale”.

Lo stesso giudice amministrativo ha pure sancito un altro principio importantissimo, a tutela del bene primario della salute collettiva: “nella valutazione dei contrapposti interessi, nell’attuale situazione emergenziale a fronte di limitata compressione della situazione azionata, va accordata prevalenza alle misure approntate a tutela della salute pubblica”.

Sulla sorta di queste motivazioni, pure il Governatore del Veneto Luca Zaia ha sottoscritto l’Ordinanza Presidenziale n. 33 del 20.03.2020, che introduce limitazioni ulteriori rispetto a quelle stabilite con i DPCM fino a quel momento vigenti, con validità fino al 3 aprile p.v..

Da ultimo, il D.L. 25 marzo 2020, n. 19 è giunto a definire il coordinamento tra provvedimenti nazionali e locali, cercando un compromesso tra la necessità di rendere uniformi le misure restrittive, incidenti su posizioni individuali costituzionalmente tutelate, e l’autonomia riconosciuta dal Titolo V della stessa Costituzione a Regioni e Comuni.

Considerata l’abrogazione del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, e nello specifico dell’art. 2 – costituente, come già precisato, il fondamento normativo del potere regionale di intraprendere diverse e più ampie azioni di contenimento nei territori di competenza – il più recente Decreto Legge ha di fatto assoggettato a vincoli le iniziative regionali, stabilendo la necessità di un preventivo confronto dei Presidenti di Regione con il Governo, destinato a sfociare nell’emanazione di un DPCM, ovvero la necessità di una sorta di “conferma” successiva di provvedimenti regionali adottati in caso di specifiche situazioni di aggravamento del rischio, destinati a perdere efficacia allo spirare del settimo giorno, laddove non “recepiti” dall’esecutivo.

La limitazione del potere regionale in subiecta materia appare del tutto coerente con la riserva di legge in tema di compressione delle libertà fondamentali, atteso il ruolo garantista che il solo Parlamento può assicurare, anche attraverso la conversione dei Decreti-Legge emanati, in via di urgenza, dall’esecutivo.

Desta qualche punto interrogativo il mantenimento dell’efficacia dei provvedimenti restrittivi già in essere, adottati sulla base del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito dalla Legge n. 13/2020, costituente la base legale per tutti i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre che delle Ordinanze Regionali attualmente in essere.

In particolare, l’art. 3, c. 3, D.L. 25 marzo 2020, n. 19, stabilisce che continuano ad applicarsi, nei termini originariamente previsti, le misure già introdotte con i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 8 marzo 2020, 9 marzo 2020, 11 marzo 2020 e 22 marzo, come vigenti alla data di entrata in vigore del più recente atto avente forza di legge del Governo.

Le altre misure ancora vigenti continuano ad applicarsi nel termine di ulteriori dieci giorni, decorso il quale verranno sottoposte a verifica di persistente adeguatezza e proporzionalità, ai fini della loro conferma con Decreto del Presidente del Consiglio ovvero per conferma delle Ordinanze dei Comuni.

Ebbene, i DPCM in data 8 marzo 2020 e in data 9 marzo 2020 avevano già cessato di produrre effetti, ove incompatibili con le disposizioni del DPCM in data 11 marzo 2020.

Presumibilmente, il D.L. n. 19/2020 non ha inteso riconoscere loro un prolungamento di efficacia, ma soltanto richiamare le disposizioni fatte salve dall’entrata in vigore dei provvedimenti successivi.

Considerato, tuttavia, che correrà attendere ancora molto tempo prima che il Parlamento possa intervenire sul più recente Decreto-Legge dell’esecutivo, ed attesa l’abrogazione immediata della norma che sinora aveva legittimato il potere di intervento non solo Regionale, ma pure del Presidente del Consiglio dei Ministri (ovvero l’art. 2 del D.L. n. 6/2020, già convertito dalla Legge n. 13/2020), pare che le libertà fondamentali si trovino momentaneamente in balia delle arbitrio del Governo, e, attraverso il vaglio di quest’ultimo, delle Regioni.

Sarebbe stato sicuramente opportuno il mantenimento in vita della disposizione riconosciuta quale fondamento del potere di incisione dell’esecutivo e dei Governatori.

Nel frattempo, è stato pubblicato pure il DPCM in data 1 aprile 2020, che ha prorogato fino al 13 aprile 2020 l’efficacia delle misure di cui ai precedenti Decreti dell’8, 9, 11, 22 marzo, nonché di quelle previste con Ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo 2020 e dall’Ordinanza del 28 marzo 2020 del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ancora efficaci al 3 aprile 2020.

Le ordinanze contingibili e urgenti adottate dai Sindaci “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica di carattere esclusivamente locale”, per contro, continuano a trovare la loro copertura normativa nell’art. 50 del d.lgs. 267/2000, per cui sembra non potersi mettere in discussione la persistente efficacia delle misure adottate da alcuni primi cittadini in ambito comunale, laddove non siano in contrasto con le misure previste su scala nazionale.

Visita la nostra sezione sul tema del Coronavirus

La prevalenza del diritto alla salute pubblica rispetto ad altre libertà fondamentali: alcuni precedenti.

Non vi sono dubbi sulla preminenza che la Costituzione riconosce al diritto alla salute, tale da giustificare compressioni di altri interessi pubblici ugualmente meritevoli di tutela: basti pensare alla limitazione della circolazione veicolare in centro abitato.

La giurisprudenza amministrativa, sulla scia di precedenti della Corte Costituzionale (29 gennaio 2005, n. 66), è giunta a riconoscere che “a) l’art. 16 Cost. non preclude alla legge di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione; è pertanto costituzionalmente legittima una previsione come quella dell’art. 7 del Codice della Strada, in quanto l’art. 16 Cost. consente limitazioni giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela; conseguentemente non sono utilmente proponibili, contro atti amministrativi attuativi dell’art. 7, doglianze di violazione degli artt. 16 e 41 Cost., quando non sia vietato tout court l’accesso e la circolazione all’intero del territorio, ma solo a determinate, seppur vaste, zone dell’abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico; b) la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica è giustificata quando derivi dall’esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali, specie di rilievo mondiale o nazionale; la gravosità delle limitazioni si giustifica anche alla luce del valore primario ed assoluto che la Costituzione riconosce all’ambiente, al paesaggio, alla salute” (Consiglio di Stato, sez. V, 4.05.2017, n. 2031; conforme a Consiglio di Stato, sez. V, 6.05.2015, n. 2255; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3.03.2015, n. 3666).

Sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in tema di compromissione del diritto alla salute, per effetto dell’esercizio del potere autoritativo della Pubblica Amministrazione, non vi sono dubbi: la recente pronuncia del TAR Campania, Napoli, sez. V, 21.11.2019, n. 5465, ha chiarito che l’indagine sulla sussistenza in concreto del diritto alla salute, menomato dalla condotta di immissioni, compete al giudice amministrativo, in via esclusiva.

La necessità di bilanciamento del diritto alla salute e di altri interessi, come quello all’apertura delle sale slot, è stato affrontato invece dal giudice ordinario: “ai fini dell’accoglimento dell’inibitoria è necessaria la prova che la limitazione dell’orario di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito così come disposta con l’ordinanza sindacale sia effettivamente idonea ad incidere in senso positivo sul fenomeno della ludopatia, limitandolo o riducendone la diffusione” (Tribunale di Milano, sez. X, 29.11.2019).

In una situazione di emergenza epidemiologica quale quella attuale, le limitazioni alle altre libertà e ai diritti inviolabili sembrano tanto più giustificate ed accettabili, stante l’importanza preminente della salute pubblica, ex art. 32 della Carta Costituzionale.

Resta inteso, però, che le misure restrittive devono promanare da autorità aventi un potere di intervento riconosciuto da norme sottoposte al necessario vaglio del Parlamento, anche in sede di conversione di atti con forza di legge dell’esecutivo.

L’auspicio rimane quello che le Camere possano tornare al più presto ad esercitare le loro funzioni, riacquistando una completa operatività, anche a tutela delle posizioni soggettive costituzionalmente garantite.

Volume consigliato

 

 

 

Silvia Covolo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento