Il decreto legislativo 121, del 07 luglio 2011: ultime novità in tema di diritto penale dell’ambiente.

Enida Bozheku 13/10/11
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1. Introduzione – 2. La direttiva 2008/99 – 3. La legge delega 96/2010 conferita al Governo in recepimento della direttiva comunitaria 2008/99/Ce – 4. Lo schema di D.lgs. (atto Governo 357 del 11.04.2011) – 5. Decreto Legislativo in recepimento della direttiva comunitaria 2008/99 – 6. La responsabilità delle persone giuridiche per reati ambientali.

 

1. Introduzione

In data 07 luglio 2011 (*), col decreto legislativo n. 121, il Consiglio dei Ministri ha recepito due direttive comunitarie riguardanti la tutela penale dell’ambiente (2008/99/CE) e l’inquinamento provocato da navi (2009/123/CE) 1.

Seppur, nell’insieme il decreto ha portato alcune modifiche in tema di tutela dell’ambiente, molte delle aspettative, nate con riferimento al contenuto della direttiva CE 2008/99, sono state disattese. Infatti, si posso indicare fin da subito alcuni profili di criticità: il legislatore ha scelto ad esempio di mantenere la struttura della tutela penale dell’ambiente imperniata sulla fattispecie dei reati contravvenzionali di pericolo astratto, circostanza questa poco conforme a quelle che erano le prescrizioni europee sul punto; e ancora non possono sottacersi gli evidenti problemi rilevabili in relazione al principio di offensività2.

Tra le novità introdotte dal d.lgs. 121/2011 spicca l’estensione della disciplina ex d.lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità penale degli enti anche ai reati ambientali, aggiungendo così all’elenco dei reati presupposti anche quelli in materia di diritto ambientale; nonché l’introduzione nel codice penale di due nuove figure di reati contravvenzionali, ossia l’art 727-bis c.p. sulla tutela delle specie animali e vegetali selvatiche protette e l’art. 733 – ter c.p. sul deterioramento di habitat3. 

 

2.La direttiva 2008/99

La direttiva 2008/99/Ce – oggetto di recepimento del d.lgs. 121/2011 – è il risultato di un lento e costante potenziamento delle politiche europee in materia di ambiente, finalizzata alla armonizzazione degli obblighi di tutela da parte degli stati membri la fine di favorire un miglior contrasto alla commissione di reati ambientali.

Essa rappresenta un importante traguardo per la legislazione penale europea, dal momento che costituisce il primo atto di tale provenienza che non si limita a prevedere degli obblighi generici per gli stati membri ad approntare adeguate discipline al fine di realizzare determinati obbiettivi rientranti nella propria politica, ma impone in espliciter obblighi di incriminazione in capo a tutti loro, assumendo quale parametro fondamentale di riferimento per il suo concepimento l’art. 174, comma 2 del Trattato CE (Titolo IV) secondo il quale “ la politica della Comunità in materia di ambiente mira ad un elevato livello di tutela”.4.

La direttiva, dunque, manifesta l’intenzione del legislatore comunitario di limitare l’intervento di armonizzazione della disciplina de qua ai soli reati “gravi”, ai fine di assicurare uno standard minimo di tutela comune a tutti gli stati membri 5, in un ottica funzionalistica del diritto comunitario 6 giustamente ponderata, in quanto una scelta in senso contrario, basata sull’incriminazione delle semplici inosservanze di prescrizioni di diritto comunitario, avrebbe comportato l’imposizione da parte sovranazionale di uno standard maximium di tutela, in evidente contrasto tanto con il principio di sussidiarietà della legislazione comunitaria (art.5 TCE), quanto con il principio di proposizione 7.

Venendo ai contenuti: la direttiva impone agli stati, l’obbligo di sanzionare con “sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive” una serie di condotte offensive per l’ambiente imputabili a persone fisiche o giuridiche capaci di provocare seri danni alla salute, distinguendo tra aggressioni derivanti da rifiuti, sostanze tossiche, radiazioni ecc., attribuendo particolare attenzione anche a specifici oggetti di tutela quali gli habitat naturali, gli animali selvatici ecc. L’articolo 3 impone, infatti, l’obbligo di incriminare le condotte – poste in essere intenzionalmente ovvero per grave negligenza – di “a) scarico, emissione o immissione di sostanze ionizzanti nell’aria nel suolo, o nelle acque; di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti; b) realizzate nell’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose che possono provocare lesioni gravi alle persone, o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo e delle acque; c) di uccisione, distruzione, possesso e prelievo di esemplari di specie animali o vegetali protette; d) le condotte che provocano “il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto; f) la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato o l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono ecc.” – ovvero, secondo il nostro ordinamento penale, 8 qualificando l’elemento soggettivo dei reati in termini di dolo o colpa grave 9. L’’art. 4 prevede, inoltre, la punibilità di istigazione e favoreggiamento nelle suddette attività, mentre l’articolo 5 afferma che le sanzioni debbano essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Di particolare rilievo è l’articolo 6, il quale prevede l’introduzione della “responsabilità delle persone giuridiche” anche per i reati ambientali nelle ipotesi in cui tali reati “siano stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte di un organo della stessa in virtù: a) del potere di rappresentanza della persona giuridica; b) del potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica; c) del potere di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica” 10.

Quanto alle sanzioni penali conseguenti alla commissione di tali reati, la Direttiva impone agli stati membri l’obbligo di applicare “misure effettive, proporzionate e dissuasive”, non indicando comunque l’entità delle stesse. 

 

3. La legge delega 96/2010 conferita al Governo in recepimento della direttiva comunitaria 2008/99/Ce

Il Parlamento Italiano, in data 04 giugno 2010, con la legge 96 (entrata in vigore, in data 10 luglio 2010), nota anche come “Legge comunitaria”, ha delegato il Governo (art 19) ad “adottare entro il termine di nove mesi dalla […] uno o più decreti legislativi al fine di recepire le disposizioni della direttiva 2008/99/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela dell’ambiente e della direttiva 2009/123/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che modifica la direttiva 2005/35/Ce relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni11.

Inoltre, si prevede che il legislatore delegato, nel recepire, appunto, le direttive, debba necessariamente realizzare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti 12. All’articolo 19 è dato, tra l’altro, leggere che il Governo, al fine di estendere la disciplina della “responsabilità delle persone giuridiche” anche ai reati ambientali, deve seguire i seguenti criteri:

“a) introdurre tra i reati di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, le fattispecie criminose indicate nelle direttive di cui al comma 1;

b) prevedere, nei confronti degli enti nell’interesse o a vantaggio dei quali è stato commesso uno dei reati di cui alla lettera a), adeguate e proporzionate sanzioni amministrative pecuniarie, di confisca, di pubblicazione della sentenza ed eventualmente anche interdittive, nell’osservanza dei principi di omogeneità ed equivalenza rispetto alle sanzioni già previste per fattispecie simili, e comunque nei limiti massimi previsti dagli articoli 12 e 13 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni”.

Particolare rilevanza assume poi l’articolo 2 della legge comunitaria, a mente del quale (comma 1, lettera c) “le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledono o espongono a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace”.

Da una attenta analisi del riferimento normativo sopra citato, emerge che l’art 19 della l. comunitaria estende “pericolosamente” l’ambito di applicazione degli illeciti ambientali, in relazione al loro ingresso nella disciplina del ex decreto 231/2001. Infatti lo schema di decreto estende questa forma di responsabilità a fattispecie di reato contravvenzionale, e pertanto prive dei requisiti di gravità e lesività richiesti dalla direttiva. Inoltre nodo problematico è anche l’estensione della disciplina ex 231/2001, a numerose fattispecie di reato di pericolo astratto, prescindendo, anche qui, dai principi comunitari 13.

 

4. Lo schema del D.lgs. 121/2011 (atto Governo 357 del 08.04.2011)

In attuazione della “legge comunitaria”, il Governo italiano ha predisposto uno schema di decreto legislativo, finalizzato al recepimento delle due direttive 2008/99/Ce e 2009/123/Ce, presentato alla Camera in data 11.04.2011 e discusso in data 06.07.2011.

Sembra d’obbligo, in merito ai limiti che lo stesso legislatore si è posto, dover evidenziare che: nella relazione illustrativa di accompagnamento del testo presentato al Governo, spiccava la “superficiale” sbrigatività con la quale si veniva a giustificare il fatto che non si era potuto “ripensare ex novo il sistema dei reati contro l’ambiente”: infatti la relazione liquidava questo punto, con la locuzione “potrà costituire oggetto di un successivo intervento normativo”.

Ma al di là degli non trascurabili aspetti formali che la nuova legislazione in materia ambientale presenta, venendo ai contenuti dello schema di decreto legislativo va segnalato come il Governo abbia ritenuto opportuno non introdurre nuove fattispecie penali in materia ambientale (con due eccezioni di cui si dirà in seguito), osservando in tal guisa come molte delle violazioni indicate dalla direttiva siano già previste e punite dall’ordinamento italiano a titolo di contravvenzioni, secondo lo schema dei reati di pericolo astratto 14.

A mero titolo esemplificativo nella relazione illustrativa, al fine di sottolineare la completezza del sistema penale italiano in tema di reati ambientali, il Governo riporta una serie di disposizioni contenute nel c.d. “Codice dell’ambiente”, quali gli art. 137, 256, 257 , 258, 259 e 260, sia quelle relative all’esercizio di attività pericolose all’art. 279 (ex art. 25 del d.P.R. 203/1988), nonché quelle relative alla c.d. “autorizzazione ambientale integrata” (che accorpa tutte le altre) all’articolo 29-quatordecies,

Alle norme appena indicate la relazione fa cenno, anche alle sanzioni previste dalla legge n. 150/1992 inerenti alla disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973 e successive modificazioni.

E ancora. Si fa cenno ad alcune norme previste dal codice penale, quali l’articolo 544 bis (uccisione di animali), 727 (abbandono di animali), 674 (getto pericoloso di cose,), 733 (danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale), 734, (distruzione o deturpamento di bellezze naturali), cui va aggiunto l’articolo 30 della legge n. 394/1991 (“Legge quadro sulle aree protette”).

Infine, in tema di tutela penale dell’ozono, avverso comportamenti atti a ridurne lo strato, il Governo osserva come la materia sia già disciplinata dall’articolo 3 della legge n. 549/1993.

A tali norme possiamo certamente aggiungere poi le disposizioni in tema di avvelenamento delle acque, danneggiamento idrico, disastro ambientale, omicidio e lesioni se realizzati nell’ambito delle fattispecie contravvenzionali previste qua e là dalle normative di settore.

La scelta del Governo è condivisibile dal momento che l’articolo 2 della “legge comunitaria” prevede quale cornice edittale in relazione a nuovi reati in materia ambientale la pena dell’arresto nel massimo di tre anni e l’ammenda fino a 150.000 euro. Il problema sta però a monte e segnatamente nella legge delega la quale non sembra garantire efficacemente le esigenze di “adeguatezza, proporzione e dissuasività” richieste dalla direttiva 2008/99/Ce. Nonostante quest’ultima non specifica espressamente la consistenza di tali criteri, che risultano in definitiva vaghi e dai contenuti alquanto labili.

Forse era onere del parlamento garantirli tenendo conto della rilevanza dei beni giuridici tutelati dalla disciplina dell’ambiente: in primis l’incolumità e la salute pubblica. Sotto questo profilo ben potrebbe dunque rilevarsi una violazione della disciplina comunitaria nell’ottica di una mancata effettiva tutela per mancato rispetto di adeguatezza e proporzionalità indicati dalla direttiva.

Della scarsa persuasività ed efficacia del sistema sanzionatorio stabilito dall’articolo 2 della legge 96/2010, ne da atto anche lo stesso Governo, il quale nella relazione illustrativa allo schema del decreto legislativo, proprio in virtù dei scarsi limiti edittali previsti dallo stesso articolo, precisa che “il recepimento della direttiva “non può essere assicurato attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente, mediante il loro inserimento sistematico all’interno del codice penale sostanziale e la previsione come delitti delle più gravi forme di aggressione”, riservando tale operazione ad un “successivo intervento normativo”.

Il Governo ritiene che le uniche fattispecie sanzionate dalla direttiva, ma assenti nell’ordinamento risultano essere l’uccisione, la distruzione, il prelievo o il possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette e il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto; a tal fine infatti ha previsto l’introduzione di due apposite norme 15.

 

5. Il decreto legislativo 121/2011 in recepimento della direttiva comunitaria 2008/99

Il Decreto legislativo 121, in recepimento della direttiva 2008/99, è stato approvato a seguito della definitiva discussione da parte del Governo, in data 07.07.2011.

Ciò che risalta agli occhi dell’interprete, è come alcune norme che erano state previste nello schema di decreto sono state “tagliate”. Gli aggiustamenti apportati al testo definitivo del decreto riguardano diverse fattispecie tra cui quelle più significative prescritte dall’art 279, salvandone, però, solo il comma 5, nonché sono venuti meno i reati presupposto contemplati nell’art 25 quattuordecies, in tema di autorizzazione integrale ambientale.

Dall’altro canto però il d.lgs 121/2011 introduce nel codice penale l’articolo 727-bis c.p. il quale prevede la contravvenzione di “uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”.

Segnatamente la norma afferma che “chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta, è punito con la reclusione da uno a sei anni o con l’ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l’azione riguardi una qualità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”.

In modo diverso da quanto previsto nello schema di decreto, il secondo periodo dell’art 727 bis, contiene una clausola di esiguità, la quale fa salvi “i casi in cui l’azione riguardi una qualità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”. Tale clausola sembra essere una clausola di esclusione del tipo, valevole cioè ad “escludere il tipo “originario” delimitandone l’ampiezza 16.

Inoltre, per quanto attiene il profilo sanzionatorio, sembra che lo standard di tutela penale imposta dalla direttiva 2008/99/Ce, recante criteri di sanzionabilità “adeguati, dissuasivi ed efficaci”, non sembra aver trovato giusto riscontro nel recepimento effettuato dal Governo, in quanto è proprio il dettato normativo che al suo interno prevede una contravvenzione oblazionabile (fino a 2.000) di ammenda.17.

Invece all’articolo 733-bis comma 2 c.p. Si precisa che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 727-bis c.p., per specie animali o vegetali protette si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43Ce e nell’allegato I della direttiva 2009/147Ce.”. Infatti tale articolo nasce anche da una necessita materiale del interpretazione della locuzione specie protetta, la quale non è stata in alcun modo intesa nel suo significato letterale.

Diversamente dallo schema, il decreto legislativo non riporta l’inciso”salvo che il fatto costituisca più grave reato”, con la conseguenza che, in virtù dell’articolo 15 c.p., la fattispecie in esame dovrebbe trovare applicazione anche a favore di altre che punendo più severamente gli stessi fatti apprestano un maggiore grado di tutela: in particolare in caso di uccisione di animali selvatici protetti dovrebbe trovare applicazione il nuovo 727-bis. c.p. e non già l’articolo 544-bis c.p. che, punisce con la reclusione da 4 mesi a 2 anni l’uccisione di qualsiasi animale.

Al comma 2 la norma punisce con l’ammenda fino a 4.000 euro “chiunque, fuori da casi consentiti, distrugge, preleva, o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta”.

Si tratta, invero, di una clausola di illiceità espressa, la quale rinvia alle norme e ai provvedimenti amministrativi per integrare la fattispecie 18 .

Il testo finale non riporta gli incisi “cattura o possiede”, presenti invece nello schema di decreto; cosi come l’inciso “possesso” e sostituito da quello di “detenere”.

Sotto il profilo sanzionatorio, poi, il decreto prevede solo la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 4.000 euro, mentre lo schema prevedeva la pena dell’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a 3.000 euro. Non compare più neanche l’ipotesi di prelievo e possedimento di una specie selvatica protetta; fattispecie che veniva punita nello schema con l’ammenda fino a 2.000 euro.

Da segnalare infine, è come in entrambi i commi previsti nella versione definitiva, risulta inserito l’inciso “salvo i casi in cui l’azione riguardi una qualità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”, il quale non era presente invece nel testo originario, ma che, tuttavia, era presente nella fattispecie europea e segnatamente nell’articolo 3, par. 1, lett. f) della direttiva 2008/99/Ce che esclude la configurabilità del reato in relazione ad azioni non in grado di influenzare lo stato di conservazione della specie ovvero che riguardano una quantità trascurabile di esemplari; a nostro avviso l’inciso sembrerebbe sia teso a conferire rilievo alle condotte che possono essere effettivamente offensive per la specie, senza che venga in rilievo la tutela del singolo animale o vegetale appartenente alla specie protetta.

Inoltre l’articolo 733-bis, comma 1 c.p. (“danneggiamento di habitat”), punisce “con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro”,”chiunque distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione”. Scompare dal testo finale l’inciso “deteriora in modo significativo”, il che induce a ritenere che ai fini della disciplina rileva qualsiasi turbamento di un ecosistema, prescindendo dal suo effettivo grado di incidenza all’interno di un sito protetto.

Il comma 3 precisa che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 733-bis del codice penale, per ‘habitat all’interno di un sito protetto’ si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE”.

Il concetto di habitat dunque può essere rinvenuto, da un lato, con riferimento alla direttive richiamate dal legislatore, dall’altro, in virtù dell’inciso “qualsiasi habitat naturale”, dallo stesso giudice, il quale sembrerebbe sia richiamato a stabilire – sua sponte – in concreto l’esistenza o meno di un luogo quale “habitat” anche se non espressamente catalogato come tal dalla direttiva.

La condotta tipica consiste nel distruggere, ovvero nel deteriorare un determinato habitat. Mentre il concetto di distruggere non pone particolari problemi, si pone però la questione più difficile della decifrazione della condotta di deterioramento, soprattutto al fine di stabilire una soglia di punibilità rilevante ai fini della configurazione del reato. L’interpretazione diventa ancora più ardua dal momento che, differentemente dallo schema, il decreto definitivo non riporta più l’inciso “in modo significativo”, il che lascia presagire che la norma debba trovare applicazione in tutte le ipotesi di depauperamento dell’habitat, scollegata da qualsiasi valutazione in merito all’effettiva incidenza del deterioramento sullo stesso.

La norma può concorre con l’articolo 734 c.p. (deturpamento e distruzione di bellezze naturali), dal momento che l’articolo 733-bis c.p. tutela l’habitat quale luogo di dimora di specie animali o vegetali, mentre l’articolo 734 c.p. tutela le bellezze naturali, tra cui anche gli habitat, nella loro prospettiva estetica.

 

6. La responsabilità delle persone giuridiche per reati ambientali.

Il profilo più interessante e, invero, il più problematico del decreto legislativo in esame riguarda la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, estesa anche ai reati ambientali attraverso l’introduzione dell’articolo 25-decies (rubricato “Reati ambientali”); quest’ultimo al comma 1 prevede in relazione al reato di cui all’articolo 727-bis c.p. l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; mentre per la violazione dell’articolo 733-bis c.p. la sanzione da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

Il testo definitivo, contrariamente allo schema, come sopra richiamato, non contiene più, l’applicazione della disciplina ex 231/2001 ai reati previsti dall’articolo 29-quattuordecies del d.lgs 03 aprile 2006, n. 152 (in relazione ai quali era prevista la pena pecuniaria fino a duecentocinquanta quote), in tema di esercizio delle attività di cui all’Allegato VIII dello stesso decreto nei casi di assenza o di sospensione dell’autorizzazione ambientale integrata (AIA), ovvero nelle ipotesi di mancata osservanza delle prescrizioni ivi contenuti, nonché di esercizio delle attività di cui all’allegato VIII dopo l’ordine di chiusura dell’impianto.

Al comma 2 si prevede la responsabilità dell’ente (sanzionata con la pena pecuniaria) per una serie di reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Segnatamente in relazione ai reati di cui all’articolo 137 (in materia di acque), viene prevista la responsabilità dell’ente solo con riferimento alle violazione dei commi 3, 5 primo periodo e 13, per i quali è prevista la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, nonché in relazione ai commi 2, 5 secondo periodo e 11 è prevista la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.

Rimangono fuori, però, una serie di violazioni – peraltro previste dallo schema originario – quali quelle previste dai commi 1, 7 prima ipotesi, 8, 9, 12, e 14; ipotesi che nello schema di d.lgs. venivano punite con la sanzione pecuniaria prevista che andava da centocinquanta a duecentocinquanta quote. In particolare va precisato che il legislatore operando tale scelta di “correzione parziale” dello schema, espugnava dal catalogo dei reati presupposto gli illeciti penali di natura più formale 19

Infine di spiccata rilevanza è anche l’estensione alla disciplina ex d.lgs 231/01 al settore dei rifiuti. Va però precisato che i reati presupposto in materia di rifiuti sono stati gli unici a non subire modifiche, rispetto allo schema originario. Infatti, si è voluto mantenere, fermo il principio della responsabilità degli enti in materia di rifiuti, con eccezione, però, dell’ipotesi di abbandono di rifiuti.

In particolare per i reati di cui all’articolo 256:

1)  per la violazione dei commi 1 lettera a) e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote,
2) per la violazione dei commi 1 lettera b), 3, primo periodo e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;

d) per i reati di cui all’articolo 257:

1)  per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

e) per la violazione dell’articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
f) per la violazione dell’articolo 259, primo comma, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
g) per il delitto di cui all’articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2; 
h) per la violazione dell’articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;
i) per la violazione dell’articolo 279, ad eccezione dell’ultima ipotesi del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

Al comma 3 si prevede che in relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applichino all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a)  per la violazione dell’articolo 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per la violazione dell’articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per i reati del codice penale richiamati dall’articolo 3-bis, comma 1, rispettivamente:

1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;
2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;
3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.

Al comma 4 si prevede che in relazione alla commissione dei reati previsti dall’articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
Al comma 5 si prevede che in relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applichino all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per il reato di cui all’articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per il reato di cui all’articolo 8, comma 2,  la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.

Il comma 6 prevede che le sanzioni previste dal comma 2, lettera c) sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dall’articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Il comma 7 stabilisce che nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettera b), n. 3), lettera c), n. 3) e lettera g) e al comma 5, lettera c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2 del Decreto Legislativo 8 giugno 2001 n.231 per una durata non superiore a sei mesi.

Il comma 8 stabilisce che se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all’articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202 si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3 del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

Infine sembrerebbe che il legislatore, abbia di proposito operato una scelta orientata sul penalmente importante, per quanto attiene i reati presupposto fondanti la disciplina della responsabilità dell’ente, conformandosi pertanto anche ad una parte della dottrina, orientata sulla necessità di espellere dall’ambito penalistico di alcune tipologie di violazioni dotate di minore capacità offensiva.

 

7. Profili di criticità

Da ultimo, vano evidenziati alcuni dei nodi più rilevanti delle nuove modifiche, apportate dall’entrata in vigore del d.lgs 121/2011.

In particolare, a proposito dell’armonizzazione della legislazione europea in materia di tutela dell’ambiente in chiave penalistica, le direttive hanno imposto agli Stati degli standard minimali di tutela, derogabili dagli stessi, rispettivamente nell’ambito di una tutela eterogenea del bene ambiente.

Volendo delimitare i confini del discorso, una riflessione in chiave critica è dovuta alla responsabilità degli enti. Tale presupposto nasce dall’attività di recepimento della normativa che il nostro legislatore ha attuato, inserendo dunque nella lista dei reati presupposto, dei reati di pericolo astratto, e non di danno o di pericolo concreto. Inoltre, in merito all’astrattività dei reati presupposto rimasti, dopo l’ultima modifica apportata allo schema del decreto, sono comunque connotati da un profilo di pericolo astratto, anche se, rispetto a quelli antecedentemente previsti, questi, comunque presentano un grado di offensività relativamente più elevato. Un ulteriore punto importante delle nuove modifiche apportate al decreto 231/01, riguarda la cautela con la quale il legislatore si è mosso in merito all’applicazione delle sanzioni. Infatti, si è voluto evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive previste dal d.lgs, 231/01, limitando pertanto tale scelta a una tipologia circoscritta di reati presupposto, – misura non superiore ai sei mesi rispettivamente all’art. 137, commi 2 e 5 secondo periodo, art. 11e art. 260 del D.lgs 152/2006, e agli artt. 8, commi 1 e 2, e 9, comma 2 della L. 202/2007. E’ invece configurata quale applicazione de plano, le sanzioni pecuniarie. La più rilevante è quella riservata all’art. 260, comma 1 del D.lgs 152/2006 (organizzazione per il traffico dei rifiuti), la cui sanzione va da un minimo di quattrocento ad un massimo di ottocento quote, corrispondenti, una volta determinato il valore, in una sanzione pecuniaria massima ad euro 1.239,200.

La disciplina, inoltre, è rivolta agli enti con una forza impositiva rilevante, basti pensare alle pene pecuniarie cui l’ente è sottoposto, in confronto al minor rigore per le persone fisiche, destinatarie degli illeciti penali contavvenzionali soggetti a prescrizione breve e pene non particolarmente afflittive.

Infine le aziende sono obbligate ad adattarsi alla nuova disciplina, munendosi all’uopo con dei modelli organizzativi volti a scongiurare la commissione di un qualche illecito penale, appunto per evitare prevedibili e notevoli costi di gestione del rischio penale.

Un ultima riflessione va alla geografia strutturale del codice penale, ed alla nuova collocazione di tali modifiche. Nello specifico non si capisce come mai il legislatore non abbia colto l’occasione di compiere una ristrutturazione integrale della normativa penale complementare; infatti, ogni qualvolta il sistema interno dell’ordinamento lo necessiti, questi sembra che si dilegui, paralizzando ed inondando sempre di più un già carico sistema penale (20).

Ciò che probabilmente al nostro legislatore sfugge è che l’adeguamento del diritto interno agli obblighi di matrice europea deve essere finalizzato e funzionale al miglioramento del nostro sistema di tutela penale dell’ambiente attraverso ad esso maggiore effettività, in termini di sicuro potenziamento degli effetti di deterrenza e di prevenzione generale e speciale 21. Per fare ciò, però, il mero recepimento delle direttive di Bruxelles non è sufficiente, ma occorre anche meditare in chiave sistematica – tenendo presente quello che è il quadro complessivo del nostro sistema positivo – sulle ricadute che la legislazione europea possa avere al suo interno, poiché solo cosi si può raggiungere una vera armonizzazione.

 

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1 Dr.ssa Enida Bozheku, Avvocato del Foro di Tirana (Albania). Avvocato Praticante Abilitata del Foro di Roma, Dottoranda di Ricerca in Diritto e Procedura Penale presso L’Università “La Sapienza” di Roma.

()Direttiva 2008/99/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008 sulla tutela penale dell’ambiente, in G.U L. 328/28.

2 F. LISENA, La tutela dell’ambiente nuove fattispecie incriminatrici e nuove responsabilità per gli enti sotto l’influsso del diritto europeo, in www.neldirtto.it, settembre 2011.

3 C. RUGA RIVA, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale dellambiente: nuovi reati, nuova responsabilità degli enti da reato ambientale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, agosto 2011.

4 F. LISENA, La tutela dell’ambiente nuove fattispecie incriminatrici e nuove responsabilità per gli enti sotto l’influsso del diritto europeo, in www.neldirtto.it, settembre 2011.

5 Direttiva 2008/99/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008 sulla tutela penale dell’ambiente, in G.U L. 328/28. Considerando dal 5 al 10. Sull’incidenza delle direttive europee nel nostro sistema si veda: G.M. VAGLIASINDI, La direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, in Dir. comm. intern., 2010, 458 ss.; C. PAONESSA, Gli obblighi di tutela penale, Pisa, 2009, 232 s.; C. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2011, 66 ss.

6J.L DE LA QUESTA ARZAMENDI, Protection Against Envirnmental Crimes, in V. Milittelo (a cura di), European Cooperation in Penal Matters, Issues and Perspectives, Padova, 2008, p. 222.

7 V. MILITIELLO, I diritti fondamentali come oggetto di tutela penale: l’apporto della Carta europea, in Diritto Penale del XXI, 2003, p.61 e ss.

8 L.PISTORELLI, Relazione al Massimario presso la Corte di Casszione, Roma in data 08. agosto 2011, in www.dirittopenalecontemporaneo.it

9 A. SCARCELLA, Relazione al Massimario presso la Corte di Casszione, Roma agosto 2011, in, www.dirittopenalecontemporaneo.it.

Attualmente il nostro ordinamento prevede solo alcuni reati ambientali qualificabili come delitti e non come contravvenzioni e segnatamente gli artt. 260 del d.lgs N° 152/2006, 260 bis, comma 6, 7, 8 d.lgs. N° 152/2006, 209, comma 5 d.lgs. N° 152/2006, 258, comma 4 d.lgs N°152/2006.

10 Gli stati membri debbono altresì prevedere – affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili – quando la carenza di sorveglianza o controllo di uno dei soggetti indicati possa rendere possibile la commissione di un reato tra quelli previsti dagli articoli 3 e 4 “a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità”.

11 L.PISTORELLI, Relazione al Massimario presso la Corte di Casszione, Roma agosto 2011, www.dirittopenalecontemporaneo.it

In merito alla celerità con la quale il Governo Italiano si adattava alla direttiva, è d’obbligo precisare, che tale adeguamento avveniva oltre i limiti stabiliti da Bruxelles. Infatti il termine ultimo entro il quale l’Italia si sarebbe dovuta adeguare alle direttive era quello del 26.12.2010, per la direttiva 2008/99/CE e novembre 2010 per la direttiva 2009/123/CE; così però non è stato e Bruxelles è dovuto intervenire e richiamare l’Italia con ben due lettere di messa in mora.

12 Atto del Governo n°357, trasmessa al senato, in data 08.04.2011.

13 Altresì è prevista l’estensione della responsabilità dell’ente ex decreto 231/01, anche per violazioni meramente formali o di impatto trascurabile.

14 G.AMIDEI, Relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione, in recepimento della direttiva 2008/99/Ce, Ministero dell’Ambiente, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

15 A.L.VERGINE, Rossi di vergogna …. Anzi paonazzi leggendo la legge 2009, in Ambiente e Sviluppo, 2011, p.131.

16 C. RUGA RIVA, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale dellambiente: nuovi reati, nuova responsabilità degli enti da reato ambientale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, agosto 2011.

17 Trattandosi di contavvenzioni, il tentativo non è configurabile. Dunque non è punibile chi compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a porre in essere una delle condotte tipiche, se l’azione non si compie o l’evento non si produce. M. ROMANO, Teoria del reato punibilità, soglie edpresse di offensività (clausola di esclusione del tipo), Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, tomo II, Milano, 2006, p.1723. Trattandosi di contavvenzioni, il tentativo non è configurabile. Dunque non è punibile chi compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a porre in essere una delle condotte tipiche, se l’azione non si compie o l’evento non si produce

18 A. SCARCELLA, Relazione al Massimario presso la Corte di Casszione, Roma agosto 2011, www.dirittopenalecontemporaneo.it

19 G.DE FRANCESCO, Diritto Penale, I fondamenti, Torino 2008, p.12.

20 A. M. STILE, Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali (a cura di), Napoli, 1989;

21 L.SIRACUSA, L’attuazione della direttiva europea sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale, Convegno tenutosi, in data 04.02.2010 sulla “Riforma del diritto penale dell’ambiente in prospettiva europea”. A.I.D.P. Gruppo Italiano, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

Enida Bozheku

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