Il fatto
Nel caso esaminato dalla Corte di Appello di Catanzaro, i genitori di una bambina avevano agito nei confronti della ASL locale per ottenere il risarcimento dei danni subiti dagli stessi e dalla loro figlia per la morte della neonata avvenuta dopo circa un anno dalla nascita a causa di una malformazione congenita, che però non era stata diagnosticata dalla struttura sanitaria.
In particolare, sostenevano gli attori che durante il terzo mese di gravidanza la madre era stata ricoverata due volte presso la ASL locale a causa di minacce di aborto ed era sempre stata dimessa con la semplice prescrizione di riposare (senza che fossero stati effettuati esami diagnostici). Sei mesi dopo, la signora veniva ricoverata presso la struttura sanitaria perché era iniziato il travaglio e lo stesso giorno del ricovero partoriva la bambina, la quale veniva dimessa due giorni dopo in quanto – secondo la struttura sanitaria – la stessa godeva di buona salute.
Due settimane dopo la nascita la bambina veniva, però, sottoposta ad un ecocardiogramma dal quale si evinceva che la stessa era affetta da una malformazione cardiaca e, sfortunatamente, nonostante alcuni interventi chirurgici eseguiti sulla stessa, la bambina moriva dopo poco più di un anno dopo la sua nascita.
Su tali premesse di fatto, gli attori formulavano la loro richiesta risarcitoria sostenendo che la struttura sanitaria fosse responsabile per omessa diagnosi, in quanto, prima del parto, non aveva riscontrato la esistenza della patologia cardiaca congenita di cui era affetto la nascitura. Secondo gli attori, infatti, già dal secondo accesso della madre al pronto soccorso la struttura sanitaria avrebbe potuto individuare la malformazione con una semplice ecografia, che invece non era stata effettuata.
La ASL locale si era, quindi, difesa respingendo la richiesta risarcitoria in considerazione del fatto che la malformazione del feto non avrebbe potuto essere riscontrata durante la gravidanza e che, anche qualora la stessa fosse stata diagnosticata non si sarebbe potuto comunque evitare l’ evento infausto della morte della bambina.
Il giudice di primo grado respingeva la domanda risarcitoria formulata dagli attori per una serie di motivi:
- in primo luogo, perché, pur essendo incerto che l’ esame ecografico effettuato a tre mesi di gravidanza avrebbe riscontrato la malformazione, in ogni caso non poteva configurarsi alcun obbligo a carico della struttura sanitaria di effettuare tale esame finalizzato ad accertare la malformazione del feto poiché la gestante era stata ricoverata soltanto per minacce di aborto;
- in secondo luogo, perché la mancanza della lettera di dimissioni relativa ai due ricoveri effettuati durante la gravidanza non comportava un inadempimento della struttura sanitaria, neanche con riferimento al fatto che la gestante – a causa di tale mancanza – non aveva potuto consapevolmente decidere se eventualmente interrompere la gravidanza;
- infine, perché la omessa diagnosi non comportava comunque un inadempimento della struttura sanitaria in considerazione del fatto che, anche qualora fosse stata correttamente riscontrata la malformazione, non si sarebbe comunque potuto impedire la morte della piccola neonata; secondo il Tribunale, quindi, da ciò derivava la mancanza del nesso di causalità tra la condotta omissiva dei sanitari e l’ evento dannoso morte della neonata.
Non soddisfatti della decisione, gli attori impugnavano detta pronuncia, lamentando – per quanto di interesse in questa sede – due specifici vizi:
- in primo luogo, il Tribunale avrebbe errato perché non aveva considerato che l’ inadempimento della struttura sanitaria consistito nella omessa tempestiva diagnosi durante la gravidanza aveva impedito alla gestante di poter consapevolmente decidere se interrompere la gravidanza;
- in secondo luogo, il Tribunale avrebbe errato anche in punto di nesso causale tra la condotta omissiva dei sanitari e la morte della neonata, ritenendolo insussistente, poiché la tempestiva diagnosi della malformazione congenita avrebbe comunque aumentato le possibilità di sopravvivenza della neonata e avrebbe permesso ai genitori di optare per un’ interruzione di gravidanza che avrebbe impedito il verificarsi dei danni patrimoniali e non patrimoniali a loro carico.
La decisione della Corte di Appello
La Corte di Appello ha confermato la decisione di prime cure e rigettato l’ impugnazione promossa dagli attori, sia relativamente al primo aspetto denunciato dagli appellanti (cioè la lesione del diritto di autodeterminazione della gestante rispetto al parto e quindi il c.d. danno da nascita indesiderata), sia relativamente al secondo aspetto (cioè il danno da perdita di chance).
Rispetto al primo motivo di appello, il Collegio calabrese ha ricordato che grava sul genitore, che agisce in giudizio per far valere un danno da nascita indesiderata per omessa diagnosi, l’ onere di dimostrare che se la madre fosse stata tempestivamente informata della malformazione avrebbe deciso di interrompere la gravidanza. Inoltre, prosegue il Collegio, tale onere può essere assolto dal genitore anche attraverso delle presunzioni.
Ebbene, secondo la Corte di Appello di Catanzaro gli attori non solo non hanno provato tale aspetto, ma addirittura non hanno neanche allegato che la madre della neonata morta avrebbe interrotto la gravidanza se, al momento dei due accessi alla struttura sanitaria per le minacce di aborto che aveva avuto, avesse saputo della esistenza delle malformazioni cardiache al feto. Gli attori, infatti, si erano soltanto limitati a sostenere che i medici avevano violato i doveri informativi sugli stessi gravanti circa la malformazione fetale e che da tale violazione derivasse una responsabilità per nascita indesiderata, ma non avevano neanche sostenuto (oltre a non averlo comunque provato) che la gestante avrebbe interrotto la gravidanza se fosse stata informata in tal senso.
D’altra parte, sostiene il Collegio, gli elementi presuntivi ricavabili dagli elementi di prova assunti nella fase istruttoria di primo grado fanno propendere per la soluzione opposta: infatti, durante tutta la gravidanza la donna non aveva scelto di effettuare alcun esame specifico volto a valutare l’esistenza di malformazioni fetali, né si era consultata con il suo ginecologo per valutare tali possibili esami.
In ragione di ciò, la Corte di appello ha ritenuto che nel caso di specie non può sussistere il c.d. danno da nascita indesiderata.
Per quanto concerne il secondo motivo di appello qui esaminato, il Collegio ha confermato la mancanza del nesso di causalità fra la (eventuale) omessa diagnosi dei sanitari e l’evento dannoso consistito nella morte della neonata. Infatti, se anche si ipotizzasse una responsabilità dei sanitari per la mancata effettuazione della ecografia oppure per la mancanza della lettera di dimissioni con la indicazione degli approfondimenti diagnostici per individuare la malformazione, gli attori dovrebbero comunque dimostrare che se la corretta diagnosi fosse stata tempestivamente effettuata la neonata avrebbe avuto una ragionevole probabilità di sopravvivenza secondo il criterio del “più probabile che non”.
Secondo i giudici di appello, nel caso di specie, non è risultato invece provato che, con una corretta diagnosi compiuta precedentemente rispetto a quella concretamente effettuata, sarebbe stata più probabile che non la sopravvivenza della neonata. Ciò in considerazione del fatto che gli attori non hanno neanche allegato in che modo tale ritardo nella corretta diagnosi avrebbe evitato l’evento morte della neonata.
Infine, i giudici concludono evidenziando come, attraverso una diagnosi compiuta durante la gravidanza, sarebbe stato possibile per i genitori di affrontare il percorso terapeutico e quindi la morte della figlia con maggiore consapevolezza (diremmo, preparandosi all’evento), tuttavia, nel caso di specie, gli attori non hanno formulato una domanda in questo senso ed hanno invece chiesto soltanto il risarcimento dei danni derivanti dalla morte della figlia.
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