Il contratto incompleto e gli altri ordinamenti

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La nozione di oggetto del contratto non è menzionata nei progetti di codificazione europea

La nozione di oggetto del contratto non è menzionata nei progetti di codificazione europea.

Le ragioni di tale assenza sono molteplici, in primo luogo la nozione di oggetto del contratto crea in tutti gli ordinamenti nei quali è adottata, notevoli contrasti interpretativi. I compilatori ne sono a conoscenza tanto che la nozione di oggetto è definita “a mishmash of various issues.”

La nozione di oggetto non è presente negli ordinamenti giuridici di common law, dove non si utilizza né il concetto di oggetto né quello di contenuto, a favore di un’enumerazione dei vari contenuti del contratto. In particolare, nei sistema di common law inglese si richiama il concetto di contenuto per valutare problematiche quali la vincolatività della promessa e la serietà dell’intenzione delle parti nella conclusione del contratto.

Inoltre, il progetto di codificazione è fortemente influenzato dall’ordinamento e dalla dottrina tedesca dove il concetto dell’oggetto del contratto non è utilizzato a favore del concetto di contenuto.

L’oggetto del contratto, in definitiva, è considerato uno tra i «main concepts used in the different legal systems which obstruct the harmonisation of contract law», conseguentemente esso non è stato incluso nei progetti di codificazione europei.

Il Draft Common Frame of Reference è un progetto non formale per l’elaborazione di una proposta di progetto di codice civile, frutto del lavoro del Group on a european civil code e dell’Acquis group. Una ragione del mancato inserimento dell’oggetto del contratto in tale progetto, oltre a quelle già menzionate, è la specifica finalità di tale proposta: offrire agli interpreti una “toolbox”, ovvero una scatola degli strumenti, una sorta di “super codice” per la riorganizzazione dell’ “acquis communautaire”. L’opzione contraria all’inserimento del requisito dell’oggetto del contratto è facilmente comprensibile. I compilatori prediligono il concetto di contenuto che non è elevato a requisito di validità, inoltre, pongono come bari- centro del contratto la “prestazione” alla quale vengono riferite possibilità, liceità e determinatezza, determinabilità, allo scopo di evitare le sovrapposizioni di concetti tipiche di alcuni ordinamenti europei.

Anche nei principi Unidroit, una raccolta dei principi applicati dai collegi arbitrali in ambito europeo, elaborata al fine di poter essere applicata soprattutto nella regolamentazione di contratti internazionali tra “business man” e nella risoluzione di eventuali controversie, non si fa uso dell’espressione oggetto del contratto. L’art. 1.1 afferma che: “Le parti sono libere di concludere un contratto e di determinarne il contenuto”, l’espressione contenuto non viene definita nello specifico, ma può essere accumunata a quella di complesso delle pattuizioni.

Il contratto, delineato nei progetti di codificazione ed in particolare nel DCFR, viene definito “osso di seppia”, perché ridotto a puro accordo, privato di ogni altro elemento. Per tale motivo in molti ritengono che il contratto delineato dal DCFR sia molto diverso rispetto al contratto conosciuto dai giuristi italiani.

In realtà, tale affermazione deve essere guardata alla luce di un’importante considerazione; gli elementi del contratto elencati all’art. 1325 del codice civile italiano, ovvero accordo, causa, oggetto e forma, non sono elementi necessari per il perfezionamento del contratto, quanto per poter esprimere un giudizio sulla sua validità. Detto ciò viene molto ridimensionata la presunta distanza tra il modello di contratto del DCFR e quello previsto dal codice civile italiano.

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La determinazione del terzo in altri ordinamenti

La determinazione di un soggetto terzo è previsto sia negli ordinamenti di common law che di civil law, con funzioni diverse e talvolta con limitazioni del suo impiego. Un’esplicita disciplina dell’arbitraggio si rinviene ai paragrafi 317 e seguenti del BGB dove si prevede che le parti possano scegliere i criteri secondo i quali il soggetto dovrà procedere alla determinazione che in ogni caso dovrà essere ragionevole pena la sua invalidità. Il code civil francese disciplina la remissione al terzo della determinazione del prezzo nella vendita, questa previsione viene utilizzata come base per l’ammissione dell’arbitraggio come istituto generale, esclusivamente per quanto riguarda la determinazione dei termini monetari. Tale istituto è stato definito “estimation” ed è impiegato nella “révision des loyers commerciaux”.

Nel sistema di Common law si conosce l’arbitraggio come strumento di integrazione della lacuna contrattuale e come mezzo di valutazione della prestazione, esso è utilizzato per adeguare i rapporti di durata alle mutate condizione del mercato.

La determinazione del terzo nel progetto di codificazione europea e nei principi Unidroit

La determinazione da parte del soggetto terzo viene contemplata sia nei Draft Common Frame of Reference che nei principi Unidroit. Il DCFR regola la determinazione da parte del terzo all’art II. – 9:106 rubricato “Determination by a third person”, che recita “Where a third person is to determine the price or any other contractual term and cannot or will not do so, a court may, unless this is inconsistent with the terms of the contract, appoint another person to determine it. If a price or other term determined by a third person is grossly unreasonable, a reasonable price or term is substituted.” Il DCFR prevede la possibilità di impugnare la determinazione del terzo esclusivamente nel caso in cui questa sia “grossly unreasonable”, ovvero fortemente in contrasto con il principio della ragionevolezza.

La determinazione da parte del terzo è indirettamente prevista anche dai Principi Unidroit il cui art. 2.1.14 recita: “Contratto con clausole intenzionalmente lasciate in bianco”: “Il fatto che le parti abbiano intenzionalmente lasciato la fissazione del contenuto di una determinata clausola a future negoziazioni o alla determinazione di un terzo non esclude la conclusione del contratto se le parti stesse avevano effettiva intenzione di concluderlo. L’esistenza del contratto non è compromessa dal fatto che successivamente le parti non raggiungano alcun accordo sulla clausola, o il terzo non determini il contenuto della clausola, a condizione che per definire quest’ultima esista un altro metodo ragionevole considerate tutte le circostanze, tenuto conto delle intenzioni delle parti.”

La determinazione unilaterale in altri ordinamenti e nel progetto di codificazione europea

La determinazione unilaterale dell’oggetto del contratto è esplicitamente prevista dai paragrafi 315 e 316 del BGB. In origine tale previsione doveva essere utilizzata per permettere la formazione di un accordo nonostante l’indeterminatezza della prestazione, in realtà tali norme sono state usate per scopi tra loro molto diversi, quindi, non solo nel caso di determinazione successiva affidata ad una delle parti ma anche nell’ambito di applicazioni di clausole di adeguamento del prezzo, contratti di scambio di lunga durata e rapporti di somministrazione.

Anche l’UCC prevede che, una volta lasciato “open” il contratto, la determinazione del contenuto contrattuale possa essere effettuata da una delle parti, inoltre, una delle parti può procedere al controllo dei fattori di determinazione del prezzo, oppure, determinarlo nel rispetto del principio di buona fede.

Il codigo civil spagnolo esclude la possibilità che si proceda a determinazione unilaterale di elementi contrattuali cosa che è invece prevista dal codice civile olandese che la disciplina in una sezione modificata nel 1992.

Il DCFR disciplina all’art. II. – 9:105 la “Unilateral determination by a party”: “Where the price or any other contractual term is to be determined by one party and that party’s determination is grossly unreasonable then, notwithstanding any provision in the contract to the contrary, a reasonable price or other term is substituted.” Si prevede la possibilità di una determinazione unilaterale degli elementi contrattuali avendo come limite unicamente il rispetto del principio di ragionevolezza che se non rispettato comporta la sostituzione dell’elemento determinato.

La soluzione dei Principi Unidroit

La determinazione ad opera di un successivo accordo tra le parti è prevista anche dai Principi Unidroit che disciplinano all’art. 2.14 il “Contratto con clausole intenzionalmente lasciate in bianco”: “Il fatto che le parti abbiano intenzionalmente lasciato la fissazione del contenuto di una determinata clausola a future negoziazioni (..) non esclude la conclusione del contratto se le parti stesse avevano effettiva intenzione di concluderlo” nel caso in cui non intervenga l’accordo l’esistenza del contratto non è posta in discussione, a condizione che per definire la clausola mancante “esista un altro metodo ragionevole considerate tutte le circostanze, tenuto conto delle intenzioni delle parti”. Nell’articolo si afferma che quando l’intenzione delle parti di concludere il contratto, nonostante le clausole lasciate in bianco, non è espressamente indicata nel contratto, questa può dedursi da una serie di circostanze, tra le quali il carattere non essenziale della clausola in questione, il grado di precisazione dell’accordo raggiunto e il fatto che all’accordo sia già stata data parziale esecuzione.

Inoltre, si afferma che quando la clausola lasciata in bianco è essenziale per il tipo di transazione, l’intenzione delle parti di mantenere in vita il contratto deve risultare con chiarezza, in proposito si considererà, se la clausola riguardi questioni che per loro natura possono essere determinate soltanto in seguito e se l’accordo sia già stato parzialmente eseguito. Tale articolo è accompagnato da un esempio: A, una linea di navigazione, stipula un accordo dettagliato con B, gestore di un terminale per i trasporti, per l’utilizzo del terminale di B per i propri container. L’accordo fissa il volume minimo di container da scaricare e caricare annualmente e i relativi diritti da pagare, mentre i diritti per eventuali container aggiuntivi sono da determinare se e quando il volume minimo sarà stato raggiunto. Due mesi più tardi, A viene a conoscenza del fatto che un concorrente di B sarebbe disposto ad offrirgli migliori condizioni e di conseguenza rifiuta di adempiere, contestando che l’accordo con B sia mai divenuto vincolante, non essendo stati stabiliti i diritti da corrispondere nel caso di superamento del volume minimo. In realtà A è responsabile per inadempimento contrattuale, infatti, il carattere dettagliato dell’accordo così come il fatto che sia A che B abbiano iniziato subito ad eseguire il contratto, indica chiaramente la loro intenzione di concludere un accordo vincolante.

In tale esempio, quindi, il contratto deve esser considerato valido e vincolante dal momento che esistono molteplici elementi che indicano la volontà delle parti in tal senso.

La disciplina della sopravvenuta impossibilità e dell’eccessiva onerosità in altri ordinamenti

L’ordinamento francese prevede la possibilità per il contraente di non eseguire la prestazione se essa è divenuta impossibile per evento irresistibile, imprevedibile, esterno al debitore e il cui verificarsi non è dipeso da colpa. Per quanto riguarda l’eccessiva onerosità la giurisprudenza ha elaborato la teoria dell’ “imprevision” che dà rilievo alle sopravvenienze che comportano uno sconvolgimento dell’economia del contratto ma che è poco applicata dai tribunali ordinari.

L’ordinamento tedesco prevede la possibilità di liberarsi dall’obbligazione nel caso di impossibilità sopravvenuta, fisica o giuridica, della prestazione. Il contraente è liberato se i sacrifici che sono imposti dall’obbligazione non rientrano nell’oggetto dell’obbligazione. Nell’ordinamento inglese in passato si sosteneva la c.d. “sanctity of contract”, si riteneva che il contratto dovesse essere, in ogni caso, adempiuto. Attualmente, si ritiene più corretto guardare al fatto che alcune delle situazioni che sono state prese in considerazione al momento della conclusione del contratto siano radicalmente diverse al momento dell’esecuzione del contratto.

Le clausole di rinegoziazione

La rinegoziazione è l’effetto che si ottiene a seguito dell’inserimento di clausole di rinegoziazione all’interno del contratto. Tali clausole vengono inserite per evitare l’applicazione della disciplina delle sopravvenienze contrattuali. Oltre alle clausole di rinegoziazione esistono altre clausola che prevedono adeguamenti automatici del contenuto contrattuale e vanno sotto il nome di clausole di “adaptation”.

Le clausole di rinegoziazione permettono ai contraenti di reagire alle sopravvenienze contrattuali, senza dover applicare rimedi risolutivi, e dando vita ad un contratto originariamente completo e successivamente incompleto. Le clausole di “adaptation” modificano automaticamente il contenuto contrattuale ma, qualora tale modifica non sia sufficiente ad adattare il contratto al nuovo stato del mondo, sarà necessario fare ricorso alla disciplina risolutiva.

Un esempio di “clausola di adaptation”, nella quale l’adeguamento delle prestazioni alle mutate circostanze avviene in modo automatico, senza bisogno di ulteriori trattative e di un rinnovato scambio di consensi, è la clausola di indicizzazione, che può essere utilizzata esclusivamente per l’adattamento di prestazioni monetarie.

Le “hardship clauses” sono clausole di rinegoziazione; esse comportano la revisione del contratto a seguito di un importante squilibrio contrattuale sopravvenuto alla conclusione del contratto che ha reso pregiudizievole l’esecuzione delle obbligazioni per una delle parti. La caratteristica più importante dell’evento preso in considerazione non è il fatto che questo sia imprevedibile, quanto piuttosto che questo “sconvolga” il rapporto contrattuale.

Tale requisito può essere determinato tramite criteri oggettivi, soggettivi o misti, facendo riferimento a “des conséquences inéquitables” oppure al fatto che “the consequences and effect of which are fundamentally different from what was contemplated by the parties at the time of entering into this agreement” oppure ad entrambi questi criteri. Le conseguenze previste sono la sospensione del contratto e la revisione di questo, che non deve necessariamente avere esito positivo, dal momento che la revisione è un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

Le clausole di “force majeure” reagiscono al verificarsi di taluni avvenimenti, esterni al contratto, incidenti sulla possibilità di adempiere gli obblighi assunti e prevedono che il contratto vada incontro alla risoluzione o alla sospensione come previsto nei Principi Unidroit per impossibilità del suo adempimento, le clausole di force majeure non sono clausole di revisione a tutti gli effetti, né clausole di adaptation, dal momento che esse comportano la venuta meno del rapporto contrattuale.

Le clausole di rinegoziazione sono frequentemente presenti nei contratti internazionali tra commercianti, dove, l’interesse a mantenere in vita il rapporto è molto alto così come la probabilità che si verifichino eventi tali da sconvolgere l’equilibrio contrattuale.

Le clausole di rinegoziazione prevedono l’apertura di ulteriori negoziazioni al verificarsi di eventi determinati o indeterminati, oppure dopo che sia trascorso un certo periodo di tempo.

Un profilo particolarmente problematico attiene alla scelta se, determinare in modo specifico oppure no, gli eventi che permettono la riapertura del contratto. Infatti, se da un lato definire puntualmente gli eventi, evita che le parti possano trovare scappatoie alla rinegoziazione, dall’altra è impossibile che le parti possano stabilire in modo preciso quali saranno gli eventi che si verificheranno.

Le soluzioni dei principi Unidroit e della Fidic

L’articolo 6.2.2 dei principi Unidroit prevede una deroga al principio generale della forza obbligatoria del contratto in relazione ad eventi che alterano in modo sostanziale l’equilibrio contrattuale o per l’accrescimento dei costi della prestazione di una delle parti ovvero per la diminuzione del valore della controprestazione.

Tali eventi devono verificarsi o, comunque, diventare noti alla parte svantaggiata dopo la conclusione del contratto, devono essere tali che non potevano essere presi ragionevolmente in considerazione dalla parte svantaggiata al momento della conclusione del contratto, devono essere estranei alla sua sfera di controllo ed, inoltre, il rischio del loro verificarsi non deve essere stato assunto dalla parte sulla quale il rischio è caduto.

Interessante è l’esperienza della Fidic (Fédération International des Ingenieurs-Conseil) che, per i contratti aventi ad oggetto la realizzazione di opere civili, opere di “engineering” e di realizzazione di progetti “chiavi in mano”, caratterizzati dal realizzarsi di un gran numero di sopravvenienze, ha previsto espressamente l’adozione di clausole di rinegoziazione del contenuto contrattuale indicandone, sia pure in modo generico ed approssimativo, il testo ed il contenuto.

Il contratto Fidic contiene un’elencazione preliminare di “special risk” suscettibili di verificazione nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale, e la previsione di un obbligo per le parti, nel caso in cui gli eventi presi in considerazione si realizzino, di fare tutto quanto possibile per ricostruire l’equilibrio originario del contratto adeguandolo ovviamente alla nuova realtà.

Qualora le parti non trovino un accordo, a seguito dell’apertura della fase di rinegoziazione, è possibile che intervenga un terzo.

Il Consiglio della Camera di Commercio Internazionale ha istituito un Comitato permanente per la regolarizzazione delle relazioni contrattuali, con il compito di nominare, su richiesta delle parti, una persona cui affidare la revisione del contratto, eliminando così ogni rischio di stallo a seguito del verificarsi di sopravvenienze che alterino la relazione contrattuale.

Facendo leva sul fatto che le parti non riescono a trovare una soluzione, il soggetto terzo è stato tradizionalmente considerato arbitro, a tale proposito è stato correttamente affermato che le parti sono “en désaccord certes, mais sans être en litige, procéduralement parlant.” Non è possibile affermare, con estrema sicurezza, che il terzo nell’esercizio delle proprie funzione svolga il ruolo di arbitro, in quanto, si prospetta, nei casi di rinegoziazione, una fattispecie di incompletezza successiva del contratto, ed essendo necessario procedere ad un completamento, sembra più corretto inquadrare il ruolo del terzo nella figura dell’arbi- tratore.

La disciplina della formazione del contratto nel DCFR

E’ regola recepita sia dalla prassi internazionale che dai principi che ad essa si ispirano, quella per cui la decisione dei contraenti di affidare alla loro successiva negoziazione il completamento dei “gap”, oltre che quella di rimessione alla determinazione del terzo, non impedisce la conclusione del contratto.

A favore dell´affermazione della natura di fattispecie conclusa del contratto incompleto milita, infatti, il combinato disposto degli articoli II-4:101 e II-4:103 del Draft Common Frame of Reference. L´articolo II-4:101 dei Draft Common Frame of Reference rubricato “Requirements for the conclusion of a contract” recita: “A contract is concluded, without any further re- quirement, if the parties: (a) intend to enter into a binding legal relationship or bring about some other legal effect; and (b) reach a sufficient agreement.” L’articolo 4:103 prevede, al suo primo comma, che “Agreement is sufficient if: (a) the terms of the contract have been sufficiently defined by the parties for the contract to be given effect; or (b) the terms of the contract, or the rights and obligations of the parties under it, can be otherwise sufficiently determined for the contract to be given effect.”

Si prevede che un contratto sia concluso, senza alcun altro requisito, se le parti hanno intenzione di dar vita ad una relazione legalmente vincolante e se hanno raggiunto un accordo sufficiente. In particolare, si ha accordo sufficiente nel caso in cui le parti abbiano sufficientemente definito i termini del contratto oppure questi possano essere, in altro modo, sufficientemente determinati.

Si afferma che il contratto è concluso nel momento in cui sussista la volontà delle parti di vincolarsi ad un accordo che è stato sufficientemente determinato o che possa esserlo altrimenti.

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