Il contratto d’opera intellettuale eseguito da soggetto non iscritto all’albo degli avvocati: conseguenze di natura sostanziale e processuale

Redazione 01/08/19
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di Massimiliano Bina*

* Avvocato

Sommario

1. La funzione sociale dell’avvocato e la necessità dell’iscrizione all’albo

2. Le conseguenze sostanziali del contratto di prestazione d’opera eseguito da un soggetto non iscritto all’albo degli avvocati

3. Segue: le conseguenze processuali

4. Segue: la procura rilasciata all’Avocat

5. Conclusioni

1. La funzione sociale dell’avvocato e la necessità dell’iscrizione all’albo

Con il presente scritto si vuole offrire uno scorcio sul tema della prestazione d’opera intellettuale svolta da chi non è iscritto all’albo, con particolare riferimento alla figura dell’avvocato. La questione rileva sia sotto il profilo sostanziale, con riguardo al rapporto giuridico tra il professionista e il cliente; sia sotto quello processuale, in relazione alla rappresentanza in giudizio.

La prestazione d’opera intellettuale, disciplinata dal libro V del codice civile, è inquadrata nella categoria del lavoro autonomo[1] e, in taluni casi[2], tale prestazione può essere resa solo da un soggetto iscritto ad un albo[3]. Tale necessità, tipica delle professioni storicamente liberali[4], evidenzia la p>[5], una funzione fondamentale nell’amministrazione della giustizia, poiché l’avvocato consente al cittadino di esercitare un diritto fondamentale di libertà, quale è il diritto di azione e di difesa, favorendo da un lato il contatto umano, che si instaura tra l’avvocato e le parti e, dall’altro lato, realizzando la giustizia nei rapporti della vita sociale[6]. La riforma della legge professionale del 2012 ha riaffermato i predetti principi, rafforzandoli[7], e il Consiglio Nazionale Forense, in vista dell’entrata in vigore nel 2014 del nuovo codice deontologico forense, ha valorizzato la tutela dell’interesse pubblico al corretto esercizio della professione[8]

Si comprende, pertanto, come per lo Stato sia necessario assicurare “l’idoneità professionale degli iscritti onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide“, così come stabilito dall’art. 1, comma 2, lett. a) della Legge Professionale n. 247 del 2012, imponendo l’obbligo di iscrizione all’albo, per chi intende prestare i servizi tipici dell’avvocato e sanzionando l’inosservanza dell’obbligo sul piano penale, potendosi configurare il reato di esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p.[9], e su quello civile, con la previsione della nullità del contratto d’opera intellettuale tra professionista e cliente, ai sensi dell’art. 2231 c.c.

[1] Cfr., per tutti, Assanti C., Le professioni intellettuali e il contratto d’opera, in Tratt. dir. priv., P. Rescigno, 15, Torino, 2001, 839 e ss.

[2] V. art.2, comma 5°, l. 247/2012: “Sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali“; comma 6°: ” Fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifi ci settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati“.

[3] La l. 247/2012 dispone, all’art. 2, comma 3°, che “l’iscrizione a un albo circondariale è condizione per l’esercizio della professione di avvocato“; all’art. 2, comma 7°, che “l’uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano o siano stati iscritti a un albo circondariale nonché agli avvocati dello Stato“. L’art. 17, co.1, invece, elenca i requisiti necessari per l’iscrizione all’albo: “a) essere cittadino italiano o di Stato appartenente all’Unione europea, salvo quanto previsto dal comma 2 per gli stranieri cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea; b) avere superato l’esame di abilitazione; c) avere il domicilio professionale nel circondario del tribunale ove ha sede il consiglio dell’ordine; d) godere del pieno esercizio dei diritti civili; e) non trovarsi in una delle condizioni di incompatibilità di cui all’articolo 18; f) non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive; g) non avere riportato condanne per i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e per quelli previsti dagli articoli 372, 373, 374, 374-bis, 377, 377-bis, 380 e 381 del codice penale; h) essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense“.

[4] Assanti C., Le professioni intellettuali e il contratto d’opera, cit., 844.

[5] L’art. 12, primo comma, R.D. 1578/1933 prevedeva che “gli avvocati debbono adempiere al loro ministero con dignità e con decoro, come si conviene all’altezza della funzione che sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della giustizia“.

[6] Gianniti P., I principi di deontologia forense, Padova, 1992, 5.

[7] Cfr. art.1, comma 2°, l. n. 247/2012: “L’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta: a) regolamenta l’organizzazione e l’esercizio della professione di avvocato e, nell’interesse pubblico, assicura la idoneità professionale degli iscritti onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide; b) garantisce l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti; c) tutela l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l’obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale“; art. 3, comma 2°, l.n. 247/2012: “La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i princìpi della corretta e leale concorrenza“. V., altresì, art. 2, comma 2°, l.n. 247/2012, per il quale “l’avvocato ha la funzione di garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti”.

[8] Cfr. la relazione illustrativa al nuovo codice deontologico nel 2014 disponibile su https://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/40227/Relazione+illustrativa+al+Nuovo+Codice+Deontologico+Forense/daff5665-a9df-4693-95f4-b0d1ff32120f.

[9] Cass. 22 novembre 2018, n. 52619, secondo cui sussiste il reato di esercizio abusivo della professione quando vengono compiuti atti senza il titolo di avvocato, anche se vengono posti in essere occasionalmente e gratuitamente, nel caso in cui tali atti siano di competenza esclusiva della professione forense.

2. Le conseguenze sostanziali del contratto di prestazione d’opera eseguito da un soggetto non iscritto all’albo degli avvocati

Il contratto di prestazione d’opera intellettuale è un negozio di scambio[10] in cui il professionista esegue la prestazione verso un corrispettivo pattuito con il cliente. Dal momento che nell’ambito della professione forense rileva il diritto costituzionalmente garantito di adire il giudice al fine di ottenere la tutela dei diritti, tale contratto subisce un’inflessione da parte dell’interesse pubblico a che la prestazione sia svolta con uno standard minimo di professionalità che, in astratto, viene garantito dal fatto che il professionista sia iscritto all’albo degli avvocati.

Al tal fine l’art. 2231 c.c. prevede al primo comma che il professionista, se ha eseguito una certa attività per la quale era condizione necessaria l’iscrizione all’albo, ed al momento dell’esecuzione della prestazione l’iscrizione difettava, non ha azione per esigere il compenso. Tale denegatio actionis, che secondo autorevole dottrina avrebbe la natura di una sanzione civile indiretta[11], colpisce solo le singole attività per cui l’iscrizione all’albo costituisca condizione necessaria per il loro legittimo esercizio. Con particolare riguardo alla figura dell’avvocato occorre allora delineare il perimetro di applicazione dell’art. 2231 c.c. e, quindi, individuare quali attività siano di sua competenza esclusiva e quali possano essere svolte anche da un professionista non iscritto all’albo.

Per giurisprudenza consolidata si è soliti distinguere tra attività giudiziale e stragiudiziale. Quest’ultima deve essere svolta in modo esclusivo dall’avvocato se connessa all’attività giurisdizionale, e se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato (cfr. art.3, comma 6°, l. n. 247/2012). In altre parole, l’attività che si svolge al di fuori dei Tribunali, come la consulenza legale, la redazione di pareri, l’assistenza per la redazione dei contratti e tutta l’attività negoziale per cui non sia doveroso l’intervento di un giudice può essere svolta anche da soggetti non iscritti all’albo. L’attività giudiziale, invece, è sempre riservata all’avvocato iscritto ed ha ad oggetto l’attività giurisdizionale complessivamente intesa, come la rappresentanza, l’assistenza o la difesa della parte in giudizio[12]. In realtà, occorre precisare che tale distinzione non è così netta, in quanto la giurisprudenza di legittimità, ancor prima della legge professionale del 2012, aveva rilevato che anche nell’ambito dell’attività stragiudiziale la consulenza legale propedeutica o strettamente connessa al giudizio rientrerebbe nell’attività di competenza esclusiva dell’avvocato[13].

Delineato il perimetro di applicazione dell’art. 2231 c.c. con riferimento alla figura dell’avvocato, occorre analizzare il fondamento giuridico della c.d. denegatio actionis. La norma, infatti, prevede come conseguenza la non esigibilità del diritto al compenso, ma non fa alcun cenno al tipo di invalidità. Al riguardo, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che il contratto d’opera intellettuale eseguito da chi non sia iscritto all’albo sia affetto da nullità, ma le opinioni differiscono riguardo la fonte della nullità: si dice che il contratto è invalido per illiceità della causa[14] o dell’oggetto[15]; o per violazione della norma imperativa di cui all’art. 348 c.p.[16]; o, ancora, per difetto della capacità giuridica speciale derivante dalla mancata iscrizione all’albo[17].

Più di recente, la giurisprudenza di legittimità, partendo dal presupposto che l’art. 2231 c.c. non qualifica espressamente il tipo di vizio, ritiene che il contratto sia viziato da una nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418, comma 1°, c.c. data dal combinato disposto degli artt. 2231 e 2229 c.c.[18]. La nullità virtuale, infatti, rende invalidi quei contratti il cui contenuto è vietato dalla legge: nella disamina dell’art. 2231 c.c. ciò che sarebbe vietato non sarebbe tanto il contratto d’opera in sé ma solo quello che ha ad oggetto una prestazione eseguita da chi non è iscritto all’albo e, quindi, vietata dalla legge[19].

Dopo aver posto l’accento sul fatto che l’art. 2231 c.c. sanzioni con la nullità il contratto d’opera intellettuale eseguito da chi non è iscritto all’albo, occorre sottolineare come tale nullità sia rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 1421 c.c. A tal proposito, si ritiene doveroso segnalare l’estensione della rilevabilità officiosa della nullità del contratto d’opera professionale, non solo quando viene proposta una domanda di esatto adempimento, ma anche quando viene proposta una domanda di risarcimento per il danno causato dal professionista non iscritto all’albo[20].

Oltre alla c.d. denegatio actionis, occorre chiedersi quali siano i corollari del principio applicabili all’ipotesi di esecuzione della prestazione posta in essere da un soggetto non iscritto all’albo, quando l’iscrizione è condizione necessaria per la validità del contratto: (i) la possibilità per il cliente di agire in ripetizione, quando abbia già pagato la prestazione e (ii) la possibilità per il professionista di pretendere il rimborso delle spese sostenute per l’espletamento del mandato.

Sul primo aspetto, e cioè sulla possibilità per il cliente di agire in ripetizione dell’indebito una volta eseguito il pagamento, si sono fronteggiate due tesi: la prima nega tale possibilità, in quanto il pagamento spontaneo sarebbe un’obbligazione naturale di un dovere morale[21]. Questa impostazione è tuttavia criticata dall’orientamento maggioritario in dottrina e in giurisprudenza, secondo cui qualificare il pagamento del compenso da parte del cliente come un’obbligazione naturale si porrebbe in contrasto con l’interesse pubblico di disincentivare la conclusione di contratti il cui contenuto è vietato dalla legge[22].

Per quanto riguarda, invece, la possibilità per il professionista di esigere il rimborso delle spese sostenute con l’azione di arricchimento ingiustificato ai sensi dell’art. 2041 c.c., si rilevano due posizioni contrapposte. Per una tesi, sarebbe ben possibile ottenere in rimborso in virtù del principio generale del divieto di arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c. in favore del cliente[23]. Per la teoria prevalente, ribadita di recente da Cass.28 marzo 2019 n. 8683, non sarebbe possibile azionare l’art. 2041 c.c. Se infatti la ratio dell’art. 2231 c.c. è quella di privare di tutele il professionista che abbia agito senza averne i requisiti previsti dalla legge, non è possibile riconoscere, anche in omaggio al principio di auto responsabilità, una qualche forma di efficacia indiretta del contratto mediante il rimedio dell’ingiustificato arricchimento[24].

[10] Assanti C., Le professioni intellettuali e il contratto d’opera, cit., 849.

[11] Galgano F., alla ricerca delle sanzioni civili indirette, premesse generali, in contr. e impr., 1987, 536, in Albanese A., I contratti conclusi con professionisti non iscritti all’albo, in contr. e impr., 2006, 1, 226. Secondo Galgano sarebbe una sanzione civile in quanto “non è posta a tutela dell’interesse del cliente, ma a tutela di interessi generali, se si vuole di interessi corporativi, degli interessi della categoria professionale, che l’ordinamento giuridico mostra di avere fatto propri“.

[12] Cfr. Cass. 20 luglio 1999, n. 8286″ è da considerarsi prestazione giudiziale anche l’attività svolta dal difensore per la conclusione di una transazione che ponga termine alla lite (come, appunto, nella specie), ancorché la transazione stessa abbia luogo non sotto forma di conciliazione davanti al giudice, ma mediante negozio extra processuale: trattasi, infatti, di attività strettamente dipendente dal. mandato, complementare allo svolgimento di attività propriamente processuale (cfr. sentenze nn. 7275/91, 9381/91)“; Cass. 8 agosto 1997, n. 7359 “la prestazione di opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e comunque di diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo (cfr. Cass. 5906/87; Cass. 1929/76; Cass. 3971/75 etc.). Al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale, sia che si svolga mediante il compito di atti difensivi o di semplici pareri, sia pure che comporti contatti con l’altra parte e tentativi di componimento stragiudiziale, non può considerarsi riservata agli iscritti all’albo degli avocati e procuratori legali e conseguentemente, non rientra nella previsione dell’art. 2231 c.c., dando diritto a compenso in favore di colui che la esercita“.

[13] Cass. 13 aprile 2001, n. 5566 secondo cui “ai fini dell’applicazione delle disposizioni della legge professionale forense 13 giugno 1942 n. 1794, sono da considerarsi prestazioni giudiziali non soltanto quelle che consistono nel compimento di veri e propri atti processuali, ma anche quelle attività che si svolgano al di fuori del processo, purché strettamente dipendenti da un mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio, cosicché possano ritenersi come preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o ad esse complementari. Rientra pertanto fra le prestazioni giudiziali l’attività svolta dal difensore di una parte in giudizio, per la conclusione di una transazione che ponga termine alla lite, ancorché la transazione stessa abbia luogo non sotto forma di conciliazione davanti al giudice, ma mediante negozio extraprocessuale, quale che sia la sua rilevanza economica (si vedano, tra le tante, le sentenze di questa Corte, Sez. II, 3 luglio 1991 n. 7275, e 18 marzo 1999 n. 2471)“.

[14] Carnelutti F., Nullità del contratto di patrocinio per difetto di titolo professionale, in Riv. dir. proc., 1953, 513, in Rabitti M., Cause di nullità del contratto, Dei contratti in generale, Commentario al codice civile diretto da Gabrielli, vol. III, Utet, 2012, 566.

[15] Melfi R., Sulle nullità del contratto d’opera per difetto di titolo professionale, in Riv. dir. lav., 1952, 259, in Rabitti M., Cause di nullità del contratto, cit., 566.

[16] Lega C., Le libere professioni intellettuali nella legge e nella giurisprudenza, Milano, 1974, 555, in Rabitti M., Cause di nullità del contratto, cit., 566.

[17] Rabitti M., Cause di nullità del contratto, cit., 566 e 567.

[18] Cass., 28 marzo 2019, n. 8683, secondo cui “l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, con la conseguenza che il professionista non iscritto all’albo o che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione“.

[19] Il divieto di legge nella stipulazione di tali contratti si desume anche dal fatto che al professionista d’opera intellettuale che abbia eseguito la prestazione in assenza di iscrizione all’albo non è possibile applicare in via analogica l’art. 2126 c.c., che riconosce una retribuzione per la prestazione di fatto al lavoratore subordinato. In tal senso, sia consentito il richiamo ad Albanese A., I contratti conclusi con professionisti non iscritti all’albo, cit.

[20] Prima SS.UU. n.26242/2014, il rilievo d’ufficio della nullità previsto dall’art. 1421 c.c. veniva limitato dal principio della domanda ex art. 99 c.p.c. e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. In particolare, per la giurisprudenza maggioritaria, il giudice poteva rilevare la nullità d’ufficio solo in presenza di una domanda di esatto adempimento, che presupponeva logicamente la “non nullità” del contratto oggetto di causa. Nel 2014 le Sezioni unite hanno esteso la rilevabilità officiosa a tutte impugnative negoziali, compresa la domanda di risoluzione, di annullamento o di rescissione, sul rilievo che in tutti tali casi la pronuncia del giudice presuppone la “non nullità” del contratto. La giurisprudenza successiva ha poi esteso la rilevabilità d’ufficio della nullità anche nei processi in cui l’attore ha proposto una domanda di risarcimento del danno cagionato dal professionista non iscritto all’albo, su cui v. Cass. 26 giugno 2015, n. 13307. Per un’analisi più approfondita del tema si veda Pellegrini T., Contratto in genere – «responsabilità del professionista non iscritto all’albo: l’onda lunga delle sezioni unite sulla rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto», in Nuova Giur. Civ., 2016, 11, 1463.

[21] Assanti C., Le professioni intellettuali e il contratto d’opera, cit., 850; Pret. Torino, 16 marzo 1996, in Gius., 1996, 1544, citato nella nota 27) di Albanese A., I contratti conclusi con professionisti non iscritti all’albo, cit.

[22] Bargelli E., Prestazioni professionali effettuate indebitamente, in Nuova Giur.Civ.Comm. 2007, parte seconda, 461.

[23] Albanese A. I contratti conclusi con professionisti non iscritti all’albo, cit. L’autore analizza la possibilità di applicare l’art. 2041 c.c. richiamando la giurisprudenza sull’agente di commercio (Cass., sez. lav., 13 novembre 1991, n. 12093, in Mass. Giust. Civ. 1991, fasc. 11.

[24] Albanese A., I contratti conclusi con professionisti non iscritti all’albo, cit.; Bargelli E., Prestazioni professionali effettuate indebitamente, cit., 461.

3. Segue: le conseguenze processuali

I profili processuali del contratto di prestazione d’opera intellettuale in assenza di iscrizione all’albo degli avvocati rilevano quando il professionista deve svolere l’attività di rappresentanza, assistenza o difesa della parte in giudizio. L’avvocato può esercitare lo ius postulandi quando è iscritto all’albo e quando sia munito di un’apposita procura alle liti ex art. 83 c.p.c.[25], in forza della quale il difensore ha il potere di compiere atti di natura processuale in nome e per conto della parte che assiste in giudizio[26].

Nell’eventualità in cui manchi uno di questi requisiti si verifica un difetto di rappresentanza processuale che, a seconda dei casi, può essere sanabile o meno. Se l’avvocato è regolarmente iscritto all’albo, ma agisce senza che la procura gli sia stata rilasciata o con una procura rilasciata da un cliente diverso da quello che andrebbe rappresentato, la procura si considera inesistente e gli effetti dell’attività compiuta non si producono nella sfera giuridica della parte assistita[27]. L’avvocato, pertanto, sta in giudizio personalmente ed è condannato a pagare le spese legali[28]. Se invece agisce in giudizio con una procura validamente conferita, ma che non risulta agli atti oppure con una procura che non è stata depositata in giudizio anche se è stata rilasciata nei termini, la giurisprudenza di legittimità applica l’art. 182, comma 2°, come riformato dalla L. 69/2009, consentendo al difensore di sanare con efficacia ex tunc il difetto mediante l’allegazione della procura entro un termine perentorio[29].

Se invece l’avvocato non è iscritto all’albo, ma allo stesso è stata conferita la procura alle liti, si verifica un difetto di rappresentanza non sanabile ai sensi dell’art. 182, comma 2°, c.p.c. A differenza delle ipotesi viste in precedenza, ove l’avvocato è regolarmente iscritto all’albo in questa ipotesi manca il presupposto originario per la validità del negozio e, di conseguenza, per la valida costituzione del rapporto processuale. In questi casi, si ritiene che l’art. 182 c.p.c. non possa trovare applicazione poiché la rappresentanza processuale è affetta da una nullità assoluta ed insanabile, con la conseguenza che tutti gli atti compiuti in giudizio sono nulli[30].

Tale principio è stato ribadito dalla sentenza della Cass. 29 febbraio 2016, n. 3917 per l’ipotesi del praticante avvocato che aveva sottoscritto un atto d’appello senza essere abilitato[31]. Nel caso in esame era stata anche sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 182, comma 2°, c.p.c. in relazione all’art. 24 della Costituzione, nella parte in cui non consentirebbe la sanatoria anche in caso di difetto originario di rappresentanza. I giudici della Suprema Corte, tuttavia, hanno ritenuto irrilevante la questione perché in tal caso il difetto trae origine dalla norma imperativa che vieta di rappresentare in giudizio una parte senza essere iscritto all’albo.

Lo stesso è stato ribadito anche per l’ipotesi in cui il ricorso per cassazione viene sottoscritto dall’avvocato non cassazionista. Anche in tal caso l’iscrizione all’albo dei cassazionisti ha natura costitutiva per l’esercizio dello ius postulandi in Cassazione, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo[32].

In tutti questi casi, il giudice che ha accertato l’inesistenza dello ius postulandi non ha previsto anche la condanna alle spese legali del professionista ai sensi dell’art. 94 c.p.c. La ragione potrebbe essere ravvisata nel fatto che l’art. 94 c.p.c. riguarda solo coloro che hanno la rappresentanza legale o volontaria nel processo come parti sostanziali[33] e non anche all’avvocato che avendo la rappresentanza tecnica agisce come parte in senso formale. Nell’ipotesi in cui l’avvocato agisca in giudizio senza alcuna procura, o con una procura rilasciata da un cliente diverso da quello che andrebbe rappresentato, difetterebbe la rappresentanza sostanziale e l’avvocato starebbe in giudizio personalmente, aspetto che giustifica la condanna al pagamento delle spese legali. Nell’ipotesi in cui invece l’avvocato agisca in giudizio senza essere iscritto all’albo, verrebbe meno lo ius postulandi e non già la rappresentanza sostanziale.

[25] Nicita S., Il difetto di procura nel sistema processuale civile attuale, in www.eclegal.it, edizione del 30 maggio 2017, 1.

[26] Nappi P., sub art. 83, in Commentario codice di procedura civile, dir. da C.Consolo, ed.VI, tomo II, Milano 2018.

[27] Nicita S.. Il difetto di procura nel sistema processuale civile attuale, cit., 1 e 2.

[28] Cass. 16 maggio 2018 n. 11930; Nicita S., Il difetto di procura nel sistema processuale civile attuale, cit., 1.

[29] Cass., SS.UU., 22 dicembre 2011, n. 28337; Nicita S., Il difetto di procura nel sistema processuale civile attuale, cit., 2.

[30] Nicita S., Il difetto di procura nel sistema processuale civile attuale, cit., 4.

[31] La sentenza applica la disciplina del tirocinio forense di cui all’art. 8 del R.D. n. 1587/1933 vigente al momento della proposizione dell’appello da parte del praticante, secondo il quale al primo comma si stabilisce “I laureati in giurisprudenza che siano praticanti procuratori sono ammessi ad esercitare, per un periodo di tempo non superiore a quattro anni dalla laurea, il patrocinio davanti alle preture del distretto della corte d’appello e sezioni distaccate, nel quale sono iscritti per la pratica, comprese quelle dei comuni sedi di tribunale o capoluoghi di provincia“.

[32] Cass., 31 ottobre 2012 n. 42491 secondo cui l’iscrizione all’albo speciale dei cassazionisti dopo la presentazione del ricorso non può sanare retroattivamente il difetto dello ius postulandi.

[33] Satta, Punzi, Diritto processuale civile, XIII ed., Padova, 2000, 124; Nappi P., op.cit., 906 ss.; Corte cost., 30 novembre 2011, n. 405.

4. Segue: la procura rilasciata all’Avocat

Questione più controversa riguarda il caso degli avocat che esercitano in Italia. Questi ultimi rientrano nella categoria degli avvocati stabiliti[34], professionisti che ottengono il titolo di avvocato in un paese dell’Unione Europea – nel caso di specie la Romania – con il quale possono esercitare il diritto di stabilimento in forza del D. Lgs. n. 96 del 2001 che ha dato attuazione della Direttiva 98/5/CE.

La normativa italiana prevede che tali professionisti siano iscritti in un doppio albo: quello del paese di origine e quello italiano. In tale contesto era dibattuta da anni la questione relativa alla legittimità della loro iscrizione nell’albo speciale degli avvocati quando il titolo professionale fosse rilasciato da UNBER – “Struttura Bota“. In particolare, nel 2013 il Consiglio Nazionale Forense ha precisato con una nota che l’unica istituzione indicata dalla Romania come competente a rilasciare il titolo di avvocato è la Uniunea Nationala a Barrourilor di Romania (U.N.B.R.) e non già la UNBER – “Struttura Bota“. Da qui, il CNF ha comunicato a tutti i Consigli dell’Ordine degli avvocati circondariali di respingere le domande di iscrizione di Avocat, con titolo rilasciato UNBER – “Struttura Bota“, nella Sezione speciale Avvocati stabiliti; e di provvedere alla cancellazione delle iscrizioni già effettuate[35].

L’occasione per la giurisprudenza di affrontare la questione si è posta in seguito all’impugnazione di un provvedimento generalizzato ai sensi dell’art. 17 della Legge Professionale n. 247 del 2012 emesso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Caltagirone attraverso il quale ha provveduto alla cancellazione d’ufficio di tutti gli Avocat.

La Cassazione a Sezioni Unite con sentenza del 7 febbraio 2019 n. 3706 ha confermato la legittimità del provvedimento di cancellazione degli avocat: la Direttiva 98/5/CE stabilisce di non ostacolare l’esercizio della professione forense in uno Stato membro diverso da quello in cui è stato acquisito il titolo di abilitazione, ma non anche quello di disciplinare l’accesso alla professione in tale Stato, trattandosi di una scelta riservata agli organi legislativi di quest’ultimo.

La cancellazione d’ufficio, che operando a causa dell’assenza di uno dei requisiti necessari per l’iscrizione all’albo, quale il conseguimento del titolo di avvocato da un ente accreditato nel paese straniero, dovrebbe travolgere tutti gli atti processuali già compiuti dagli avocat, ha efficacia ex nunc. Riconoscere efficacia retroattiva a tale provvedimento, infatti, causerebbe una grave lesione alla sfera giuridica delle parti difese in giudizio dagli avocat. Per tutelare il diritto di difesa delle parti e l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione forense è necessario che il provvedimento di cancellazione produca effetti ex nunc, mantenendo validi ed efficaci tutte le attività processuali compiute dagli avocat prima del provvedimento di cancellazione dall’albo.

[34] Per un’analisi più approfondita sul tema degli avvocati stabiliti si veda Aventaggiato V., Avvocato stabilito ed obbligo d’intesa con l’omologo italiano, in La Nuova Procedura Civile diretta da Luigi Viola.

[35] Nota n. 20 – C – 2013 del CNF in www.consiglionazionaleforense.it

5. Conclusioni

L’importanza del ruolo sociale dell’avvocato determina la previsione di alcune prerogative che hanno lo scopo di dare piena attuazione al diritto di difesa e di adire il giudice per la tutela dei diritti. Con riguardo al contratto avente ad oggetto una prestazione per cui l’iscrizione all’albo degli Avvocati è posta come condizione necessaria, l’ordinamento sanziona tale negozio con una nullità assoluta e insanabile, non ammettendo alcuna azione contrattuale o quasi-contrattuale. L’ordinamento, infatti, non può consentire alcuna proliferazione di contratti che eludono la normativa: l’idoneità professionale, assicurata dall’iscrizione all’albo, è volta a tutelare l’esercizio del diritto fondamentale di difesa e non ammette deroghe.

Con riferimento al profilo processuale, la mancata iscrizione all’albo da parte dell’avvocato non consente l’esercizio dello ius postulandi, con la conseguenza che tutti gli atti giuridici eventualmente compiuti sono invalidi e inefficaci ex tunc e comportano una chiusura in rito del processo. Nel caso in cui tuttavia lo ius postulandi sia stato esercitato in forza di regolare iscrizione ma sia venuto meno a causa della cancellazione anche d’ufficio dall’albo, gli atti giuridici compiuti prima della cancellazione rimangono validi ed efficaci, anche se questa è avvenuta per l’accertamento della mancanza di un requisito originario per l’iscrizione all’albo, non potendo il diritto di difesa delle parti costituite in giudizio subire limitazioni di sorta.

Redazione

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