Il congedo parentale -Scheda di diritto

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Il congedo parentale è un periodo di astensione dal lavoro di un genitore.
La legge disciplina i tempi e le modalità di astensione, che per alcuni periodi può essere retribuita. La sua funzione è quella di consentire la presenza del genitore accanto al bambino con la finalità di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del minorenne.
Nel diritto del lavoro italiano il congedo parentale è erede dei previgenti istituti dell’astensione obbligatoria e dell’astensione facoltativa.


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Indice

1. La situazione nel mondo


L’Unione Europea ha introdotto agli inizi degli anni ’90 una direttiva sul congedo di maternità, un periodo di almeno 14 settimane pensato per proteggere la mamma e il neonato sia prima sia dopo il parto.
Successivamente ha introdotto una direttiva sul congedo parentale, che comprendeva anche il congedo di paternità.
Il congedo di paternità è molto più breve del congedo di maternità, e serve per dare ai padri la possibilità di accogliere il neonato e di sostenere la madre.
Il congedo parentale è un diritto individuale grazie al quale ogni genitore può prendere un minimo di quattro mesi (anche non continuativi) da dedicare alle attenzioni dei figli sino al compimento di una determinata età.
La Direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, proposta dalla Commissione europea nel 2017, stabilisce altri standard per la durata e la retribuzione del congedo di paternità e del congedo parentale.
Si suggerisce agli stati membri, tra le altre cose, di adottare un minimo di 10 giorni di congedo di paternità obbligatorio. 


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2. La situazione in Italia


Il principio venne sancito dall’articolo 37 della Costituzione della Repubblica Italiana e prevede  “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, sancendo in modo parallelo che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
La prima normativa organica in materia è stata la Legge 30 dicembre 1971, n. 1204 che prevedeva disposizioni esclusivamente per il congedo di maternità.
La legge sanciva il divieto di licenziamento delle lavoratrici dall’inizio del periodo di gestazione sino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché sino al compimento di un anno di età del bambino.
La lavoratrice licenziata nel suddetto periodo, presentata entro novanta giorni idonea certificazione dalla quale risultasse l’esistenza delle condizioni che lo vietavano, aveva diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro.
La Legge n.903/1977 estese con l’articolo 6 l’astensione obbligatoria dal lavoro della quale all’articolo 4, lett. c), della L. n. 1204/1971 (e il trattamento economico relativo), anche alle lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, dichiarando che si possono avvalere dei congedi, sei il bambino non abbia superato al momento dell’adozione o dell’affidamento i sei anni di età
La norma è stata successivamente modificata con la Legge 8 marzo 2000, n. 53, che ha introdotto per la prima volta la fruizione del congedo parentale maschile.
La materia è stata raccolta nel Decreto Legislativo n. 151/2001.
Il congedo di paternità ha una durata di 10 giorni dei quali usufruire entro i 5 mesi dalla nascita del figlio.
In relazione alla maternità, la materia è disciplinata dal Decreto Legislativo n. 151/2001, e anche dai CCNL di comparto che possono prevedere apposite disposizione in materia.
Il congedo di maternità consiste in un periodo di 5 mesi di astensione obbligatoria dal lavoro, dei quali 2 da usufruire prima della data prevista per il parto e 3 successivamente allo stesso.
Questo termine può essere posticipato di un mese in seguito al rilascio di due attestati, uno del medico curante aderente al Servizio Sanitario Nazionale e l’altro del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, che dichiarino che non c’è nessun rischio per la salute del feto e della madre.
In questo caso chiaramente, il mese non goduto prima del parto potrà essere goduto dopo lo stesso.
A parte questo periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, è concessa alla lavoratrice di assentarsi dal lavoro, trascorso detto periodo, per altri sei mesi, entro il primo anno di vita del bambino, durante il quale le deve essere conservato il posto di lavoro (art. 7, co. 1 ), al quale si aggiungono i periodi di malattia del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico (art. 7, co. 2).
Il titolo II della stessa legge espone anche il trattamento economico, per il quale si stabilisce, all’articolo 15, comma 1, che le lavoratrici hanno diritto “ad un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge”, e “ad un’indennità giornaliera del 30% della retribuzione per tutto il periodo di assenza facoltativa dal lavoro prevista dal comma 1 dell’articolo. 7” della legge in questione.
Si specificava all’articolo 6 che “i periodo di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge devono essere computati nell’anzianità di servizio agli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie”.
L’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 151/2001, che afferma il divieto di adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto
b) dove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto
c) durante i tre mesi dopo il parto
È anche vietato fare lavorare le donne in stato di gravidanza durante gli altri giorni non goduti prima del parto, a causa di parto prematuro, fruiti in prolungamento del congedo di maternità dopo il parto.
In relazione ai lavoratori del settore pubblico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha stabilito, con Circolare Protocollo n.8629/ 2013 che l’applicabilità dell’articolo 4 comma 24 lett. a) e b) della legge n.92/ 2012 , è subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione sancendo l’applicabilità delle disposizioni delle quali al Decreto Legislativo 151/2001 e dei CCNL di categoria. 

3. I riscontri statistici


Attualmente nell’Unione Europea i paesi membri garantiscono il diritto al congedo di paternità, con una durata media di 11 giorni.
Spiccano la Spagna con 90 giorni al 100% dello stipendio, la Slovenia con 30 giorni al 90%, la Romania con 15 al 100% (purché il padre segua un corso sulla cura dei figli) e la Bulgaria con 15 giorni al 90%.
Gli stati dei Balcani extra Unione Europea sono lontani dagli standard.
Il congedo di paternità è quasi ovunque inferiore ai 7 giorni, e in alcuni casi non è neanche retribuito.
In Italia i giorni di congedo per i neo papà sono aumentati a 10 dal 2021.
Da uno studio di Eurofound in 23 su 28 paesi dell’Unione Europea emerge che il 10% dei padri decide di prendere il permesso per assentarsi dal lavoro in occasione della nascita del proprio bambino, con uno spettro che va dallo 0,02% della Grecia al 44% della Svezia.
Per evitare che il congedo parentale venga utilizzato quasi esclusivamente della madri alcuni paesi prevedono che una parte sia non condivisa o non trasferibile.
In Svezia ai genitori spettano 480 giorni di congedo, dei quali almeno 60 riservati al padre e almeno 60 alla madre.
In Slovenia, il padre e la madre hanno a disposizione 130 giorni di permesso ognuno, pagati al 90%, ed esclusivamente una parte è trasferibile.

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