Il condominio ed il decoro architettonico.

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Nella disciplina del codice civile sul condominio negli edifici vi è una “clausola generale”, in tema di innovazioni vietate (art. 1120, comma 2, cod. civ.), in forza della quale sono illecite quelle trasformazioni o addizioni di natura edilizia che, sebbene “dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni”, siano tuttavia suscettibili di alterare “il decoro architettonico” del fabbricato.

Condòmino molesto è il condomino che lede il “decoro architettonico” con l’utilizzo indecoroso della sua proprietà esclusiva e/o di quella comune.

L’art. 1120 del codice civile prende in considerazione l’aspetto del decoro architettonico come una caratteristica essenziale dell’edificio condominiale, tanto da porlo allo stesso livello della sicurezza e della stabilità dell’edificio stesso nel vietare le innovazioni che possono alterarlo.

Il legislatore, però, non precisa la nozione di decoro architettonico dell’edificio, limitandosi ad invocare tale generale parametro di natura estetica come limite invalicabile alle opere eseguibili dai condomini sui beni comuni.

Si pone quindi, in talune situazioni, una sorta di conflitto tra estetica del fabbricato e facoltà, pur attribuita ai condomini dall’art. 1120 cod. civ., di innovare gli impianti e i servizi comuni, in modo che gli stessi possano corrispondere all’attuale stato della tecnica e quindi rimanere “al passo” con lo sviluppo culturale e scientifico del tempo.

Non si dubita, infatti, che anche l’art. 1122 cod. civ., laddove vieta le opere sull’unità immobiliare in proprietà esclusiva “che rechino danno alle parti comuni dell’edificio”, richiami implicitamente il limite generale del decoro architettonico, quale valore intangibile proprio dell’intero fabbricato.

È pacifico che anche il mero uso del bene comune, comprendente ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. l’eventuale apporto di talune “modificazioni necessarie”, incontra il limite costituito dal decoro architettonico. La prescrizione espressa, contenuta nell’art. 1102, che non deve essere alterata “la destinazione” della cosa comune, dovrebbe infatti senz’altro implicare anche l’intangibilità dell’estetica dell’edificio, come qualità peculiare che costituisce la risultante della conformazione di taluni beni condominiali.

Il decoro architettonico, quindi, non costituisce una qualità eventuale bensì un valore connaturale all’esistenza stessa di un edificio come tale. Ne consegue che il decoro architettonico è un bene non cedibile, né usucapibile (rectius la modifica non decorosa di una parte sotto il profilo del decoro non è usucapibile).

Si è poi, in particolare, argomentato che il termine decoro, pur consistendo necessariamente in una qualità positiva, è riscontrabile sia in un edificio privo di particolari pregi (in tale ipotesi il decoro è sinonimo di dignità, qualità non incompatibile, così come in una persona, con la modestia, e vale anche per le più buie periferie) che, a maggior ragione, in un edificio ricco di siffatti pregi o in un centro storico, o protetto da particolari norme urbanistiche..

Ad esempio in un edificio, a maggior ragione se presente in centri storici e paesi con caratterizzazione urbanistica, lederà il decoro architettonico la macchina condizionatore posta sul balcone, un serbatoio posto sul terrazzo, o vistosi stendipanni. Il decoro architettonico richiede nei casi specifici, di inserire le macchine condizionatrici ed i serbatoi in posti nascosti sia di proprietà esclusiva che condominiale, tale per cui l’impatto estetico sia ridotto al minimo, tale per cui sia il condomino che il quisque de populo difficilmente li noterà, non alterando quindi l’armonia del palazzo stesso.

Il decoro architettonico diviene parte integrante del fabbricato, come qualità propria di esso: come tale, quindi, contribuisce a determinare il valore economico di tutte le unità immobiliari comprese nell’edificio e dei beni in situazione di condominio. Il decoro architettonico rappresenta quindi un valore immateriale ma patrimonialmente rilevante, riguardante unitariamente l’intero fabbricato in sé considerato, a prescindere dal contesto urbano ed ambientale in cui è inserito.

L’art. 1120 cod. civ. invero tutela il diritto dei condomini a non vedere turbato lo stile o il decoro dell’edificio condominiale in cui è posta la rispettiva proprietà, tutelandosi indirettamente l’interesse pubblico di carattere urbanistico a vedere conservato il decoro degli edifici di una determinata zona.

In detta accezione, l’estetica del fabbricato è un bene che appartiene (è di proprietà) di tutti i condomini, un bene suscettibile di valutazione economica, come ha avuto modo di affermare la Suprema Corte di Cassazione con decisione n. 6640 del 31 luglio 1987, ivi precisando che l’aspetto esteriore dell’edificio concorre a determinare il valore sia della proprietà individuale sia il valore della quota di proprietà collettiva.

Il giudice poi in tema di decoro deve verificare come il singolo condomino gestisca la proprietà privata esclusiva e quella condominiale, bilanciandola con la scelta degli altri condomini di tutelare detto decoro architettonico.

Ancor più dovrà essere rigoroso il giudizio, – secondo la Suprema Corte di Cassazione – con risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali, nei confronti di chi, incurante della gestione corretta e non invasiva degli spazi comuni da parte di tutti i condomini, trasformi questi a proprio uso, verificandosi la presenza di piante, bacheche, comunicazione provvisorie con fogli votanti, chiodi per quadri, e tappeti (imposti unilateralmente), sino , ed è una triste giurisprudenza di merito ce ne da notizia, alla aperture di porte abusive e chiusure provvisorie di vani scala, inframmezzate da contenitori e o peggio scarpiere e quant’altro, citofoni sgangherati, fili volanti, e porta lettere con ruggine.

Il giudice altresì se si trova a decidere di situazioni del genere dovrebbe utilizzare gli strumenti “punitivi” a sua disposizione, sulla base del presupposto che la parte è stata costretta a adire il giudice, quando il condomino molesto avrebbe con un semplice segnalazione potuto adeguarsi alla richiesta delle parte (e qui gli strumenti processuali aiuteranno il giudicante: il condomino molesto non potrà dolersi della eccessiva condanna alle spese, a cui aggiungere anche eventualmente la pena privata: ex terzo comma dell’art. 96 c.p.c., secondo cui “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”).

Due considerazioni finali.

  1. Vietato affermare che con il tempo la proprietà esclusiva o comune non ha il decoro originario , quando lo stesso condomino molesto ne ha contribuito allo svilimento e/o pervicacemente resiste.

  2. Vi è un dovere, con il progresso della tecnica, di dover utilizzare tutti gli strumenti utili per la salvaguardia del decoro architettonico (ed attuare le nuove soluzioni se tecnicamente possibili).

Il legislatore lungimirante ha lasciato la massima discrezionalità al giudice, alla sua sensibilità che richiede che la proprietà comune, ma anche quella esclusiva non danneggi il decoro del condominio, e così a seguire, delle città e della Italia stessa.

Il tutto come costantemente confermato dalla Cassazione: il pregiudizio economico è una conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata in quanto di per meritevole di salvaguardia – e meritevole di risarcimento.

Il giudice attento proprio in questi casi condannerà, e nel bilanciamento degli interessi tutelerà e risarcirà chi con più attenzione ha salvaguardato il decoro stesso. Più alto sarà il risarcimento sul fronte del danno non patrimoniale, quanto più il condomino leso è ossequioso del decoro stesso; risarcimento a latere del danno patrimoniale che si valuta sul pregiudizio tale da comportare un deprezzamento dell’intero fabbricato e delle unità immobiliari in esso comprese.

De Giorgi Maurizio

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