Il comune nega legittimamente il permesso di edificare una cantina, ma dovrà ugualmente risarcire il vignaiolo.

Scarica PDF Stampa

L’ente prima concesse poi annullò il permesso di costruire una cantina per l’avviamento dell’attività vitivinicola: dovrà risarcire il danno ex art. 2043 cc, da minore redditività e da deprezzamento del terreno, ma non quello da mancato guadagno: la professione imprenditoriale è aleatoria ed i guadagni non sono certi, né dimostrabili. Si noti il contrasto giurisprudenziale sulla legittimità del diniego. Le sentenze emesse dal Tar Veneto sez. II nn.1073 e 1074 il 21 agosto 2013 affrontano queste tematiche e sono l’una il proseguimento logico dell’altra. Si noti la peculiarità: i danni sono dovuti anche se il ricorso contro il provvedimento della PA, ritenuto illegittimo, è stato respinto dalla seconda sentenza, mentre nella prima è stato accolto. È interessante notare come, malgrado il contrasto evidente, tanto più che le liti pur essendo sovrapponibili non sono state riunite, l’ente debba pagare un risarcimento esoso, pur se notevolmente ridotto rispetto alle iniziali richieste.

Il caso. Un’azienda agricola chiedeva ed otteneva il permesso di edificare una cantina per incrementare i propri affari producendo e vendendo vino. In seguito all’approvazione di un Piano di assetto idrico (Isonzo, Piave, Tagliamento, Brenta e Bacchiglione) il Presidente della Provincia revocava la concessione, ordinando la demolizione delle opere pressoché ultimate e minando la stabilità di quelle preesistenti, regolarmente edificate. Nulle le richieste di revisione, dato che anche il comune confermava il diniego. Il proprietario proponeva due diversi ricorsi: uno per il risarcimento dei danni e l’altro contro il provvedimento della Provincia di cui contestava la regolarità, il mancato nuovo vaglio ai sensi dell’art. 38 DPR 380/01 e profili d’incostituzionalità. Sul punto erano intervenute un’ordinanza del CDS (517/13) ed una sentenza dello stesso Tar (1347/12) che respingevano le lamentele confermando sia la corretta applicazione della legge che la regolarità dell’atto. Malgrado ciò il Tar, con la seconda antitetica decisione, ha ritenuto illecito, ex art. 2043 cc, il comportamento della PA e l’ha condannata a risarcire in via equitativa l’azienda per il deprezzamento del terreno ed il minor reddito, respingendo le richieste di refusione del mancato guadagno, ma non quello da perdita di chances, inteso come <<mancato guadagno>>, stante l’aleatorietà dell’attività imprenditoriale.

Cosa giudicata e processo amministrativo. Il Tar ed il CDS 2220/05 hanno confermato la regolarità del diniego (seconda pronuncia), poiché è un atto endoprocedimentale. Rilevavano, poi, che << il potere straordinario attribuito al Presidente della Provincia di annullamento per soli motivi di legittimità del permesso di costruire è compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico ed, in particolare, con il modello organizzativo fondato sulla separazione di competenze tra la struttura politica e la struttura gestionale e amministrativa>>. Quelli contestati erano vizi sostanziali riconducibili all’esercizio di questa facoltà, riconosciuta e legittimamente esercitata. Nessuna contestazione neppure al Comune, al contrario di quanto sancito dall’altra decisione in esame. Sul punto si è formato un giudicato ex art. 324 cpc, sì che le censure sono inammissibili.

Inopponibilità dell’art. 38 DPR 380/01. È applicabile solo in presenza di vizi formali dell’atto e di per sé presume l’esclusione di un nuovo titolo che sostituisca quello annullato. La giurisprudenza costante prevede che << in materia edilizia, la regola immanente all’art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) è rappresentata dall’operatività della sanzione reale che, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come della sua mancanza ab origine) non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa pecuniaria, ex art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) deve intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni assentite mediante titoli abilitativi edilizi annullati per vizi formali, e non anche sostanziali>> (Tar Veneto 1772/11). Ad ulteriore conferma: << è altresì, noto che la fiscalizzazione della sanzione edilizia costituisce una facoltà per l’Amministrazione comunale che, tuttavia, può essere esercitata, evitando la demolizione della costruzione abusiva quando l’annullamento del titolo edilizio sia avvenuto per ragioni soltanto formali, e non in presenza di vizi sostanziali (T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, 02-11-2010, n. 4522)>>. Ergo il motivo è infondato, ma è ancora più evidente il rilevato contrasto giurisprudenziale.

Obbligo di preavviso. Sulla scorta di varie ragioni e di una recente esegesi dell’art. 21 octies L.241/90 nella fattispecie non è dovuto alcun preavviso per l’annullamento del permesso. Infatti essa <<ritiene che non possa essere annullato il provvedimento demolitorio adottato in presenza di opere di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo, per il quale sia mancata la comunicazione di avvio del relativo procedimento, atteso che il contenuto dispositivo del medesimo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, anche laddove fosse stata data ai ricorrenti detta comunicazione>> (CDS 915/13 e Tar Veneto 475/13).

Quali criteri per la refusione della perdita di chances di guadagno? Ciò nonostante il diniego del comune è stato considerato illecito e, perciò, risarcibile ex art. 2043 cc (danno extracontrattuale). La recente CDS 2164/13, invero, ha affermato che <<deve ammettersi il risarcimento dell’interesse pretensivo all’ottenimento di permesso di costruire la cui lesione sia stata cagionata dal duplice diniego illegittimamente opposto dall’amministrazione comunale e dal conseguente ritardo nel provvedere in senso favorevole, nell’ipotesi in cui sia intervenuta in pendenza di giudizio una disciplina paesaggistica dalla quale scaturisca l’impossibilità di realizzare detto intervento edilizio>>. Non tutte le voci, però, sono liquidabili e sono fisati paletti circa la loro quantificazione. <<Al riguardo, vanno richiamati i più recenti orientamenti del Consiglio di Stato (contenuti nella decisione sopra citata) in relazione ai quali l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance, in seguito all’emanazione di un provvedimento illegittimo, interviene:- o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori;- o attraverso un’ articolazione di argomentazioni logiche che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducano a concludere per la sua sussistenza; – ovvero ancora attraverso un processo deduttivo condotto secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, del c.d. “più probabile che non”, e cioè alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali>> (CDS 2974/12).

No al danno da mancato guadagno. L’attività imprenditoriale è aleatoria ed incerta, perciò non è possibile affermare né provare la possibilità dei guadagni così come prospettati dalla ricorrente. Infatti non è riscontrabile nessun sopra indicato parametro, né è possibile sopperire alla carenza istruttoria con la valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cc (CDS 23/13).

Sì al danno da deprezzamento del terreno ed alla minore redditività. È, invece, applicabile agli altri danni richiesti, pur se è stata operata una drastica riduzione dei loro importi. Infatti << l’orientamento prevalente (Cons. Stato Sez. IV Sent., 24-12-2008, n. 6538) sancisce … “il danno subito in seguito ad illegittimo diniego di concessione edilizia può essere determinato in via equitativa sulla scorta della differenza del valore che l’area di proprietà degli appellanti aveva al momento del progetto di diniego ed al momento della delibera di approvazione del nuovo piano regolatore generale. L’ammontare del risarcimento così stabilito dovrà essere aumentato della rivalutazione monetaria degli interessi legali da calcolarsi fino alla data di notifica della domanda giudiziale”>>.

Quale quantificazione del danno da deprezzamento se sono inapplicabili i criteri elaborati dal CDS? Secondo il CDS è il << risultato delle differenza tra il valore dell’area inedificabile e il valore dell’area con il fabbricato di cui si tratta>>, ma tali valori non risultano noti nella fattispecie. << La stessa stima non solo non risulta provata, ma a differenza della Giurisprudenza sopra citata assume a riferimento il valore che l’area avrebbe avuto qualora fosse stato realizzato il fabbricato richiesto e , quindi, un parametro parzialmente differente da quello individuato dalla pronuncia del Consiglio di Stato sopra citata>>. È stato, dunque, equitativamente riconosciuto un indennizzo, relativo ad entrambe le voci, pari al 5% della somma inizialmente richiesta.

Refuse le spese di progettazione. Il Tar ha riconosciuto la refusione di queste parcelle. Su tutte queste voci sono dovuti gli interessi e gli altri oneri di legge dalla notifica della domanda giudiziale al dì del saldo effettivo.

 

Qui i testi delle sentenze:

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Venezia/Sezione%202/2006/200601623/Provvedimenti/201301073_01.XML

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Venezia/Sezione%202/2010/201000404/Provvedimenti/201301074_01.XML

Dott.ssa Milizia Giulia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento