Il codice dei contratti e le normative delle regioni a statuto speciale, dopo le sentenze della Corte: l’abrogazione tacita operata dall’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 163/2006

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1.        La sentenza 303/2003
 
La Corte Costituzionale, con sentenza 1° ottobre 2003, n. 303, aveva stabilito che «la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella elencazione dell’art. 117 Cost., diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti».
La citata pronuncia della Corte Costituzionale aveva spiazzato ex post quelle legislazioni regionali che, in virtù della riforma del titolo V della Costituzione, si erano fondate sul (poi appunto riscontrato inesistente) presupposto che i lavori pubblici potessero costituire (per competenza residuale esclusiva) materia costituzionalmente attribuita alla legislazione regionale stessa.
Ora, siccome «la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella elencazione dell’art. 117 Cost. (…) non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni», il nuovo titolo V della Costituzione non può non prevalere sugli statuti delle regioni a statuto speciale che – al tempo in cui furono approvati, sia pure con legge costituzionale – non potevano non fare riferimento alla competenza regionale in materia di lavori pubblici, secondo l’allora vigente contenuto della Costituzione medesima.
Va notato anche che il problema che si pone può riguardare comunque solo il settore dei lavori pubblici, e non anche quelli di servizi e forniture.
 
 
2.        La sentenza 401/2007 (le disposizioni del codice impugnate dalle regioni e dalla provincia di Trento)
 
Il problema decisivo è quello di capire se l’art. 4, comma 3, del codice dei contratti, sia direttamente applicabile alle regioni a statuto speciale ovvero se in capo a queste ultime crei soltanto un obbligo di adeguamento.
La sentenza 401/2007 risolve il problema facendo differenza fra tutte le regioni, da una parte, e le province autonome dall’altra.
«L’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006 contiene, infatti, una clausola di salvaguardia secondo la quale «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione». A tale fine, pertanto, opera il meccanismo prefigurato dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo il quale l’emanazione di nuove norme statali non determina una diretta abrogazione di leggi provinciali preesistenti, ma solo un obbligo di adeguamento entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto legislativo statale nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito. Il mancato adempimento di siffatto obbligo può essere fatto valere dal Governo con ricorso contro le leggi provinciali non adeguate (vedi, tra le altre, la sentenza numero 302 del 2003)».
Per le province autonome, tale principio vale già in ordine alle materie di competenza esclusiva dello Stato. In sostanza, l’art. 4, comma 3, del codice dei contratti, non abroga tacitamente le normative provinciali.
Nel discorso della Corte tale principio non è esteso anche alle regioni a statuto speciale. In sostanza, per queste ultime l’art. 4, comma 5, del codice, crea un obbligo di adeguamento solo per le materie di competenza ripartita, in quanto quelle di competenza esclusiva dello Stato (art. 4, comma 3) sono subito direttamente applicabili, con conseguente tacita abrogazione delle normative regionali.
«Il legislatore statale ha, pertanto, espressamente previsto una clausola [art. 4, comma 5: n.d.a.] che, per il suo contenuto puntuale in ordine al relativo ambito applicativo (vedi le sentenze numeri 384, 287 e 263 del 2005), è idonea ad escludere (…) il vizio di costituzionalità della disposizione. Del resto, il medesimo art. 4, comma 3, fa espressamente riferimento alle sole «regioni» e non anche alle Province autonome».
Quest’ultima affermazione è significativa e decisiva per le regioni a statuto speciale:l’art. 4, comma 3, del codice comporta la diretta applicabilità – delle norme del codice che riguardano la competenza esclusiva dello Stato – alle sole regioni e non anche alle province autonome.
In sostanza, la Corte riscontra che non c’è differenza fra regioni, ma solo fra queste – tutte – e le province autonome.
«La norma impugnata [art. 5, comma 1: n.d.a.], infatti, prevede che il regolamento statale detti la disciplina esecutiva e attuativa del Codice in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, «limitatamente agli aspetti di cui all’art. 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra amministrazione». Quest’ultimo riferimento deve essere inteso, all’esito di una interpretazione conforme a Costituzione, nel senso che lo stesso ricomprende lo Stato e le Regioni e non anche le Province autonome di Trento e Bolzano».
            «Deve essere, invece, dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 2 dell’art. 5, nella parte in cui fa riferimento, in maniera contraddittoria rispetto alla clausola di salvaguardia contenuta nel comma 3 dell’art. 4, anche alle Province autonome, rendendo applicabile alle stesse, nei settori indicati dal comma 3, le disposizioni regolamentari».
            L’art. 1 della bozza di regolamento attuativo del codice rispecchia integralmente questa impostazione logico-giuridica ([1]).
            In definitiva, non è tanto il codice dei contratti ex se che potrebbe tacitamente abrogare le leggi costituzionali che hanno approvato gli statuti speciali, ma è il disposto del nuovo titolo V della Costituzione che non consente l’ulteriore efficacia normativa – in parte qua – delle leggi costituzionali medesime. La conseguenza è che il nuovo titolo V, in combinato disposto con l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 163/2006, abroga tacitamente le leggi (anche) delle regioni a statuto speciale nella parte in cui ivi sia stabilita «una disciplina diversa».
            La conseguenza di cui sopra era stata invece considerata già pacifica dalla giurisprudenza amministrativa per le leggi delle regioni a statuto ordinario ([2]).
 
 
3.        La sentenza 431/2007 (l’impugnazione di due leggi regionali post codicem)
 
La pronuncia richiamata non affronta il nostro problema principale, ma si limita a ribadire che il codice dei contratti prevale direttamente sulle normative regionali (nella fattispecie, di Campania ed Abruzzo).
«Questa Corte, di recente, ha affermato che, nel settore degli appalti pubblici, la disciplina delle procedure di gara e in particolare la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei princípi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei princípi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sentenza n. 401 del 2007). Esse, in quanto volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono dunque riconducibili all’àmbito della tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, di esclusiva competenza del legislatore statale (sentenze n. 401 del 2007, n. 345 del 2004). L’esclusività di siffatta competenza si esprime nella ammissibilità della formulazione, da parte del legislatore statale, di una disciplina integrale e dettagliata delle richiamate procedure e nell’inderogabilità delle relative disposizioni, le quali legittimamente incidono, nei limiti della loro specificità e dei contenuti normativi che di esse sono propri, sulla totalità degli àmbiti materiali entro i quali si applicano (sentenza n. 430 del 2007), senza che ciò determini una compressione irragionevole e sproporzionata di alcuna sfera di competenza regionale. Il carattere trasversale della tutela della concorrenza (sentenze n. 401 del 2007, n. 272 del 2004), infatti, implica che essa, avendo ad oggetto la disciplina del mercato di riferimento delle attività economiche, può influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni (sentenza n. 430 del 2007)».


[1] «1. Il presente regolamento detta la disciplina esecutiva ed attuativa relativa alla materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni ed integrazioni, recante il «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce», che in prosieguo assume la denominazione di codice.
2. Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del codice, le amministrazioni e gli enti statali applicano le disposizioni del presente regolamento.
3. Ai sensi dell’articolo 5, commi 1 e 2, del codice, le regioni, e ogni altra amministrazione o soggetto equiparato, diversi dai soggetti di cui al comma 2, applicano, in quanto esecutive o attuative di disposizioni rientranti, ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del codice, in ambiti di legislazione statale esclusiva, le disposizioni del presente regolamento:
– della parte I (disposizioni comuni);
– della parte II (contratti pubblici relativi a lavori nei settori ordinari) ad esclusione del titolo I (organi del procedimento e programmazione), dell’articolo 120, commi 3 e 4, dell’articolo 121, comma 6;
– della parte III (contratti pubblici relativi ai servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria nei settori ordinari), ad esclusione dell’articolo 264, comma 1;
– della parte IV (contratti pubblici relativi a forniture e ad altri servizi nei settori ordinari), ad esclusione del titolo I (programmazione e organi del procedimento) e dell’articolo 294, commi 1 e 2;
– della parte V (contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori speciali) ad esclusione dell’articolo 355;
– della parte VI (disposizioni transitorie e abrogazioni).
4. Ai sensi dell’articolo 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, i soggetti di cui al comma 3, applicano, in quanto esecutive o attuative di disposizioni rientranti, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del codice, in ambiti di legislazione regionale concorrente, fino a quando le regioni non avranno adeguato la propria legislazione ai principi desumibili dal codice, le disposizioni del presente regolamento:
– della parte II, titolo I (organi del procedimento e programmazione);
– dell’articolo 120, commi 3 e 4;
– dell’articolo 121, comma 6;
– dell’articolo 264, comma 1;
– della parte IV, titolo I (programmazione e organi del procedimento);
– dell’articolo 294, commi 1 e 2;
– dell’articolo 355.
5. Le disposizioni di cui al comma 3 non si applicano alle province autonome di Trento e Bolzano».
[2] Sulla questione del travolgimento della legislazione regionale ad opera del codice dei contratti, cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, II, 26 gennaio 2007, n. 178: 
«Al riguardo, si osserva che: non è rilevante ai fini della decisione stabilire se i lavori oggetto del presente appalto siano o meno (ed eventualmente in che misura) finanziati dalla Regione Puglia, non essendo comunque applicabile l’art. 17-bis della L.R. n. 13/2001. Tale norma, infatti, deve essere ritenuta implicitamente abrogata per incompatibilità dal cd. Codice degli appalti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006); (…) il Codice degli appalti contiene disposizioni inderogabili da parte delle Regioni per quanto concerne le materie di cui all’art. 4, comma 3 (…). Tali disposizioni vanno considerate di esclusiva pertinenza statale in ragione di quanto disposto dall’art. 117, comma 2, let. e), Cost., trattandosi di prescrizioni inerenti la tutela della concorrenza; in effetti, le norme in materia di partecipazione alle gare ad evidenza pubblica e di selezione dei concorrenti pertengono alla tutela della concorrenza, essendo possibile introdurre ulteriori limitazioni al diritto di libera iniziativa economica solo in sede di singole gare e sempre che ciò sia giustificato dall’oggetto dell’appalto. A riprova di quanto appena detto, è sufficiente richiamare la recentissima sentenza della Corte Costituzionale 22.12.2006, n. 440 (con la quale è stata dichiarato incostituzionale l’art. 25 della l. r. Valle d’Aosta n. 19 del 2005 nella parte in cui stabilisce che, nell’affidamento di LL.PP. di interesse regionale mediante procedura ristretta, qualora, per gli appalti di valore pari o inferiore alla soglia di 1.200.000 euro, i candidati qualificati siano in numero superiore a quello previsto dal bando, fra i criteri ai quali l’amministrazione appaltante deve attenersi per operare la selezione di ingresso dei due terzi dei candidati alla licitazione, vi è quello della migliore idoneità di localizzazione), in cui la Consulta ha ribadito, anche se in relazione ad un profilo specifico (ossia, l’illegittimità della previsione di un criterio di selezione delle imprese basato sulla localizzazione delle stesse) diverso da quello oggetto del presente giudizio, che le Regioni non possono disciplinare in maniera contrastante con legislazione statale la fase di ammissione, selezione ed esclusione dei concorrenti nelle gare ad evidenza pubblica; (…) pertanto, poiché l’art. 17-bis della L.R. n. 13/2001 detta una disciplina del tutto opposta a quella statale, si deve ritenere la norma de qua implicitamente abrogata, in forza del principio in tema di successione di leggi nel tempo secondo cui la legge posteriore abroga quella previgente, anche implicitamente, combinato con il principio di competenza (che nel caso di specie opera in favore della legge statale)».
Corretta anche la tesi dell’Autorità (deliberazione 9 maggio 2007, n. 129):
«Sul merito della questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità, ed in particolare per quanto attiene alla richiesta di ulteriori requisiti in aggiunta al possesso dell’attestazione SOA (peraltro non previsto dal bando come requisito obbligatorio) ed a quanto rappresentato dalla S.A. in riferimento alla inapplicabilità del regolamento di qualificazione alle opere di interesse regionale, si fa presente quanto segue. Le disposizioni sulla qualificazione attengono, come già rilevato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 482/1995, nonché come si evince dalla recente pronuncia della Suprema Corte n. 65/2005, all’esclusiva competenza dello Stato, in quanto rientranti nella materia della regolamentazione della concorrenza. La stretta connessione con quest’ultima viene evidenziata dall’articolo 4, comma 3 del d. Lgs. n. 163/2006, che individua, nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione, la qualificazione materia in relazione alla quale le regioni non possono statuire una disciplina diversa da quella dettata dal medesimo decreto, in quanto essa afferisce al nucleo principale del contenuto del Codice dei contratti, nel quale la concorrenza assume rilevanza strategica e preponderante. La richiamata pronuncia della Corte Costituzionale n. 345/2004 ha chiarito che “le procedure ad evidenza pubblica hanno assunto un rilievo fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche. Viene in rilievo, a questo proposito, la disposizione di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della concorrenza. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 14 e 272 del 2004) ha posto in evidenza che si tratta di una competenza trasversale, che coinvolge più ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale (individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale. Peraltro la stessa giurisprudenza ha chiarito che l’intervento del legislatore statale è legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalità.” Sulla base di quanto sopra, ai sensi dell’articolo 253, comma 2, del d. Lgs. n. 163/2006per i lavori pubblici continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al d.P.R. 34/2000. Come rilevato dall’Autorità, da ultimo, nella deliberazione n. 108/2007, l’attestazione di qualificazione rilasciata a norma del d.P.R. 34/2000 costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento di lavori pubblici e le stazioni appaltanti non possono richiedere ai concorrenti la dimostrazione della qualificazione con modalità, procedure e contenuti diversi da quelli previsti dal medesimo decreto». Del resto, già con deliberazione 29 marzo 2007, n. 88, l’Autorità aveva già espresso il suo condivisibile convincimento: «Il Consiglio ritiene che: – la disciplina del subappalto, per i profili di connessione con le materie dell’ordine pubblico e della sicurezza, nonché della concorrenza, è di competenza legislativa esclusiva dello Stato; – la normativa regionale in materia di appalti pubblici emanata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 163/2006, è da considerarsi, per la successione delle leggi nel tempo, implicitamente abrogata».

Bellagamba Lino

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