Il centro degli interessi principali del debitore: dai regolamenti europei al nuovo Codice della crisi d’impresa

Redazione 19/09/19
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di Gianni Ghinelli

Sommario

1. Introduzione: perché il c.o.m.i.?

2. Centro degli interessi principali e dipendenza; procedura principale e procedure secondarie

3. La nozione di c.o.m.i. ex art. 3, reg. CE 1346/2000

4. La presunzione di coincidenza tra c.o.m.i. e sede statutaria: i casi Eurofood ed Interedil

5. Il c.o.m.i. nel reg. UE n. 848/2015: quali istanze emerse dalla prassi applicativa sono state accolte dal legislatore europeo e quali problemi rimangono invece ancora irrisolti?

6. Il c.o.m.i. nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

1. Introduzione: perché il c.o.m.i.?

Le libertà fondamentali riconosciute dai Trattati hanno reso l’Unione europea uno spazio economico e giuridico unitario, privo di limiti di movimento per persone, merci e capitali: ogni cittadino Ue può vivere, studiare e lavorare in ogni altro Stato membro e le imprese possono liberamente investire ed operare oltre i propri confini nazionali. In questo contesto normativo ed economico, le occasioni di insolvenza transfrontaliera sono frequenti: basta, infatti, che il debitore presenti un qualsiasi collegamento con un altro ordinamento europeo, che automaticamente si pongono tre questioni: dove viene aperta la procedura d’insolvenza? Quale legge la regola? Qual è il regime della decisione di apertura?[1]

Il legislatore europeo ha dato risposta a questi interrogativi col reg. CE 1346/2000, poi abrogato dal regolamento di rifusione UE n. 848/2015, ed ha individuato nel centro degli interessi principali (centre of main interests – c.o.m.i) il criterio per l’attribuzione della competenza internazionale ad aprire una procedura di insolvenza transfrontaliera. L’istituto qui in commento ha dunque una triplice funzione: là dove si colloca il centro degli interessi principali si incardina la competenza internazionale ad aprire la procedura d’insolvenza, ad essa si applica la legge dello Stato di apertura ed, infine, la decisione di apertura viene automaticamente riconosciuta in tutti gli Stati membri, determinando la litispendenza internazionale e quindi l’impossibilità di aprire altrove un’altra procedura nei confronti del medesimo debitore[2].

Le conseguenze di fatto e di diritto sono rilevanti sia per il debitore, sia per i creditori. Si pensi ai costi che comporta una procedura d’insolvenza in un altro Stato membro ed, ancora, alle conseguenze sulla concreta possibilità di realizzare il credito determinate dal diverso regime dei privilegi eventualmente previsto dalla normativa estera.

In considerazione di questi elementi, ben si comprende come ci sia, da un lato, il rischio di una concorrenza tra i giudici nazionali volta ad ancorare il c.o.m.i. al proprio ordinamento[3] e, dall’altro, l’esigenza di una disciplina che dia certezza agli operatori economici.

Nelle pagine che seguono viene analizzato l’istituto del centro degli interessi principali nella disciplina regolamentare europea, la sua evoluzione interpretativa e normativa per poi, infine, considerare in che termini il nostro nuovo Codice della crisi d’impresa lo abbia recepito.

[1] Il problema, peraltro, ha portata internazionale ben oltre i confini europei, tant’è che la United Nations Commission on International Trade Law ha elaborato una legge modello, la cd. UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency. L’auspicio è quello di avvicinare, con uno strumento non vincolante, le legislazioni degli ordinamenti nazionali in tema di insolvenza transfrontaliera.

[2] Per una ricostruzione dell’istituto, Cfr. LUPOI, Commentario breve alla legge fallimentare , a cura di Maffei Alberti, Padova, 2012, p. 2092 ss.; inoltre, cfr. DE CESARI-MONTELLA, Il nuovo diritto europeo della crisi d’impresa, Torino, 2017. Ancora, del funzionamento del regolamento dà immagine nitida Cass. civ. Sez. Un., Ord., 17 novembre 2017, n. 27280.

[3] La CGE nella sentenza Eurofood ha riconosciuto che: “i giudici non hanno esitato ad assestarsi su posizioni reciprocamente incompatibili, anche all’interno del sistema di cooperazione entracomunitario, quando è in gioco la distribuzione degli immensi patrimoni di imprese multinazionali”: cfr. Corte di giustizia, 2 maggio 2006, C-341/04, Eurofood IFSC Ltd.

2. Centro degli interessi principali e dipendenza; procedura principale e procedure secondarie

La funzione principale del c.o.m.i. – lo abbiamo detto – è quella di fungere da criterio per incardinare l’apertura di una procedura d’insolvenza transfrontaliera. È ora necessaria una precisazione: là dove si individua il centro degli interessi principali del debitore, sussiste la competenza internazionale ad aprire una procedura che il regolamento chiama “principale”. Queste procedure, dette principali, si contrappongono alle procedure secondarie, o territoriali disciplinate dal secondo paragrafo dell’art. 3, reg. Sono secondarie le procedure aperte negli Stati membri nei quali vi è una mera dipendenza[4]. In sostanza, quindi, dov’è localizzato il c.o.m.i. si insatura la procedura principale; dove si trova una dipendenza, invece, si apre una procedura secondaria. Il rapporto tra le due è di subordinazione in favore della procedura principale, la quale ha carattere di universalità: se non è aperta una procedura secondaria, la procedura principale estende i suoi effetti a tutti i beni del debitore, ovunque si trovino; se invece si apre una procedura secondaria, i beni situati nel territorio dello Stato in cui è presente una dipendenza sono sottratti a quella principale. In definitiva, la procedura principale ha ad oggetto tutti i beni, ovunque collocati e fintantoché non sia aperta una procedura secondaria; quella secondaria, detta anche “territoriale”, comprende solo i beni presenti nello Stato ove si trova la dipendenza[5].

Venendo ora alla nozione di dipendenza, dalla quale dipende la possibilità di aprire una procedura secondaria, si deve anzitutto evidenziare che con questo termine il legislatore europeo fa riferimento ad un’entità meramente economica, priva di autonomia giuridica. Gli elementi caratterizzanti la dipendenza sono: l’effettivo svolgimento di attività di rilevanza economica, la presenza di risorse umane e beni, l’abitualità, la non transitorietà e – come ha precisato la Corte di giustizia nella sentenza Eurofood – l’assenza di personalità giuridica. In sostanza, la dipendenza, presuppone l’esistenza di un rapporto di direzione tra la sede della persona giuridica ed il centro operativo collocato all’estero.

Un’ulteriore peculiarità delle procedure secondarie è data dal fatto che queste hanno obbligatoriamente natura liquidatoria[6]. È in questi termini che si realizza la sintesi tra il modello universale e quello territoriale: il primo di detti modelli prevede una sola procedura concorsuale, nella quale ricade tutto il patrimonio e sul quale concorrono tutti i creditori; in base al secondo, invece, vengono aperte più procedure contemporaneamente, ciascuna delle quali ha ad oggetto i beni collocati nello Stato di riferimento[7].

In definitiva, il c.o.m.i. è il criterio per l’attribuzione della competenza territoriale ad aprire una procedura principale – negli atri Stati membri possono essere aperte solo procedure “secondarie” (o “territoriali”); le procedure principali coinvolgono tutti i creditori e tutti i beni, mentre quelle secondarie solo i beni presenti nel territorio ove è situata la dipendenza; ancora, le procedure secondarie sono subordinate rispetto a quelle principali: salvo i casi eccezionali tassativamente previsti, la procedura secondaria può infatti essere aperta solo successivamente a quella principale.

[4] La definizione di dipendenza viene fornita dal legislatore europeo stesso all’art. 2 lett. h): “‘Dipendenza’, qualsiasi luogo in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un’attività economica con mezzi umani e beni”. Sul significato concreto di questa nozione interviene la Corte di giustizia nella sentenza Interedil al punto 62, chiarendo che non è sufficiente la mera presenza di beni o conti correnti bancari, sono infatti necessari un “minimo di organizzazione” ed una “certa stabilità ai fini dell’esercizio dell’attività economica”.

[5] V. Corte giust, 21 gennaio 2010, M.G. Prubud, C-444/07, con nota di QUEIROLO, in Il Fall., 2010, p. 911.

[6] Art. 3 par. 3: “Se è aperta una procedura di insolvenza ai sensi del paragrafo 1, le procedure d’insolvenza aperte successivamente sono procedure secondarie. Tale procedura è obbligatoriamente una procedura di liquidazione.” La nozione di “procedura di liquidazione” è fornita dal legislatore all’art. 2 lett. c)

[7] Cfr. DE CESARI, Il rapporto tra procedura principale e procedure secondarie nel Regolamento n. 1346/2000: un aiuto dalla Cassazione, ma molti sono i problemi ancora aperti, in Il Fall., 2016, 7, p. 836.

3. La nozione di c.o.m.i. ex art. 3, reg. CE 1346/2000

Dopo aver analizzato la funzione dell’istituto, si proverà ora a fornire una definizione di c.o.m.i., facendo riferimento all’art. 3, par. 1, dell’abrogato reg. CE 1346/2000. Il primo periodo della disposizione stabilisce che la competenza internazionale è attribuita ai giudici dello Stato membro nel quale è situato il c.o.m.i.; il secondo, invece, introduce una presunzione di corrispondenza tra il c.o.m.i. e la sede statutaria. L’art. 3, par. 1, primo periodo, prevede una norma molto chiara: dove c’è il c.o.m.i. c’è competenza internazionale; tuttavia, non viene fornita una definizione di centro degli interessi principali del debitore, rendendo così necessario leggere l’articolo in combinato disposto con il Considerando n. 13, dove si definisce il c.o.m.i. come: “il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi”. Questa definizione è composta dai seguenti elementi, ognuno dei quali va separatamente considerato: il luogo della gestione di interessi; l’abitualità; la riconoscibilità ai terzi; la principalità (degli interessi). Per “gestione degli interessi” s’intende qualsiasi attività, svolta da qualsiasi creditore – non importa se persona fisica o persona giuridica. Ciò è dovuto alla necessità di applicare il regolamento ad un novero di debitori più ampio possibile. Circa il luogo di detta gestione, due sono le possibili interpretazioni: lo si può individuare nel luogo del centro decisionale e strategico dell’impresa (mind of management theory), oppure nel luogo della gestione quotidiana dell’impresa (business activity theory)[8]. Questi criteri sono tra loro in potenziale conflitto, poiché la dove si svolge il daily business non necessariamente si prendono anche le decisioni strategiche: in caso di discrasia tra luogo delle scelte gestionali e luogo dove queste vengono eseguite, è necessario scegliere quale dei due criteri debba prevalere. Sul punto si tornerà, prendendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia.

Con abitualità s’intende la ripetizione nel tempo dell’attività d’impresa nello in uno Stato membro.

Il terzo elemento costitutivo della definizione di c.o.m.i. è quello della riconoscibilità ai terzi: per terzi s’intendono tutti i soggetti che a vario titolo entrano in contatto con il debitore: è ai loro occhi che deve essere riconoscibile il luogo della gestione degli interessi. La riconoscibilità presuppone, in sostanza, che l’attività d’impresa si manifestata esteriormente e sia destinata al mercato[9].

Il quarto ed ultimo elemento è costituito dalla principalità degli interessi. Senza di esso, nel caso di un creditore che gestisca in diversi Stati diversi interessi, potrebbero esserci c.o.m.i. e cadrebbe, dunque, tutto il costrutto del regolamento, volto a favorire l’insaturazione di un’unica procedura d’insolvenza.

Peraltro, ed onde evitare equivoci, va ricordato che l’istituto in commento non si applica solo alle persone giuridiche, ma anche alle persone fisiche. Su questo punto, come poi si vedrà di seguito, è intervenuto il legislatore europeo col reg. UE n. 848/2015, introducendo una presunzione di corrispondenza tra il c.o.m.i. delle persone fisiche ed il luogo in cui si trova la sede principale dell’attività svolta.

[8] Utilizzando una metafora formulata dal Prof. Virgos, redattore del Report Virgos-Schmit, si possono contrapporre la mente pensante (head) dell’impresa ai suoi muscoli (muscles).

[9] La ratio del requisito della riconoscibilità è spiegata dal Report Virgos-Schmit , al paragrafo 75: “The rational of this rule in not difficult to explain. Insolvency is a forseeable risk, it is therefore important that International jurisdiction be based on a place known to the debtor’s potential creditors”. La Corte di giustizia, nella sentenza Eurofood, dà una ulteriore indicazione relativamente all’aggettivo “riconoscibile”: il giudizio non ha ad oggetto il punto di vista soggettivo del creditore circa il luogo della gestione degli interessi principali, ma in astratto la possibilità di conoscere dove questo si trovi. In definitiva, non è un giudizio in concreto sulla conoscenza, ma un giudizio, astratto, sulla conoscibilità. Ne segue che se il luogo della gestione era astrattamente conoscibile, il debitore non può provare che, in concreto, egli non lo conosceva. Questa presa di posizione da parte della Corte di giustizia, se da un lato garantisce meno i singoli creditori, dall’altro tutela il valore della certezza del diritto.

4. La presunzione di coincidenza tra c.o.m.i. e sede statutaria: i casi Eurofood ed Interedil

Il secondo periodo dell’art. 3, par. 1, reg. 1346/2000, stabilisce una presunzione di coincidenza tra la sede legale del debitore ed il centro degli interessi principali. I temi da affrontare sono due: il primo è quello della natura della presunzione, il secondo invece riguarda i fatti da provare per superarla. Sul versante della tipologia di presunzione introdotta, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel sostenere che si tratti di una presunzione semplice[10]. Appurato il tenore della presunzione, va affrontato il tema più controverso, ossia quello della prova contraria che deve essere fornita per superarla. In definitiva: quali elementi devono essere provati da chi voglia superare la presunzione di coincidenza tra centro degli interessi principali e sede? Sul punto, la Corte di giustizia è intervenuta con le sentenze Eurofood ed Interedil[11].

Il caso Eurofood si colloca nella nota vicenda del fallimento Parmalat S.p.a. Una delle società del gruppo era l’irlandese Eurofood IFSC Ltd, interamente controllata da Parmalat e con sede a Dublino. La strettissima connessione tra le due società, fa sì che la crisi di Parmalat S.p.a. contagi immediatamente anche Eurofood Ltd IFSC. Accade a questo punto che sia in Italia, che in Irlanda, vengono aperte due procedure di insolvenza nei confronti della società Eurofood[12]. La High Court irlandese, quale guidice di ultima istanza, propone una serie di questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia europea.

Per i giudici del Lussemburgo, questa sentenza è stata l’occasione per ricostruisce l’istituto del c.o.m.i. ed, inoltre, per definire i casi nei quali è possibile superare la presunzione di coincidenza tra centro degli interessi principali e sede statutaria. Viene anzitutto chiarito che il c.o.m.i. è un concetto autonomo e che va interpretato indipendentemente dalle normative nazionali, ossia esclusivamente in base al diritto europeo[13].

La Corte passa quindi alla questione dell’onere probatorio che dev’esser sostenuto per superare la presunzione di coincidenza tra sede statutaria e centro degli interessi principali: a tal fine, si dice nella sentenza, è necessario dare prova di elementi obiettivi e verificabili da terzi dai quali si evinca che il centro degli interessi principali è collocato altrove rispetto alla sede. Tale circostanza, secondo la Corte, si verifica solo in ipotesi di cd. “società fantasma”. Se, al contrario, la società controllata svolge una qualche attività sul territorio dello Stato in cui si trova la sede statutaria, non rileva il fatto che sua la gestione sia esercitata dalla controllante in un altro Stato membro e la presunzione continua ad operare. In sostanza, se una società non è qualificabile come “società fantasma”, ossia come società che non svolge alcuna attività, la presunzione non può essere superata[14]. La società Eurofood IFSC Ltd non presentava – ha affermato la Corte di giustizia – i caratteri della società fantasma, poiché aveva un’autonoma vita operativa. Di qui deriva l’impossibilità di superare la presunzione ex art. 3 par. 1 secondo periodo e, conseguentemente, la competenza internazionale della High Court irlandese. Questa decisone è stata molto criticata dalla dottrina, per la sua rigidità che ha portato nella prassi ad una difficoltà applicativa. La conseguenza paradossale è che questa sentenza, seppur storica, è rimasta parzialmente disapplicata[15]. I giudici di merito infatti, hanno consentito alle parti di superare la presunzione anche oltre al ristretto novero di casi in cui la società sia qualificabile come “fantasma”, dando luogo ad un filone giurisprudenziale denominato anglo-saxon approach.[16] La conseguenza ultima della sentenza Eurofood è ancora più paradossale: non solo è stata disattesa dai giudici di merito, ma, da alcuni autori, è stata ritenuta “colpevole” di agevolare il forum shopping, contraddicendo così la stessa funzione di fondo del regolamento[17]. Questa situazione non poteva durare a lungo, infatti nel 2011 la Corte di giustizia ritorna sul punto con la sentenza Interedil[18], confermata dalla successiva pronuncia Rastelli[19]. Prima di considerare il principio di diritto espresso, vanno anche qui brevemente ripercorsi i fatti. Interedil S.r.l. era una società di diritto italiano; nel luglio 2001 la sede viene trasferita a Londra e la società entra in un gruppo societario britannico al quale cede in affitto l’azienda ed alcuni immobili posseduti in Italia; dopodiché, Interedil si cancella anche dal registro delle imprese del Regno Unito. Nell’ottobre 2003, viene presentata un’istanza di fallimento al Tribunale di Bari, il quale dichiara il fallimento della società. La giurisdizione italiana viene confermata dalla Corte di cassazione, adita con regolamento di giurisdizione, con ordinanza del 20 maggio 2005. A questo punto, accade che il Tribunale, nutrendo forti dubbi circa la propria competenza internazionale alla luce della sopraggiunta sentenza Eurofood, solleva una questione pregiudiziale europea avanti alla Corte di giustizia. Il tema è ancora una volta quello di stabilire in quali casi la presunzione è superabile, ma in questa sentenza la Corte di giustizia afferma che la presunzione va letta alla luce della volontà del legislatore europeo di privilegiare, quale criterio per incardinare la competenza internazionale, il luogo dell’amministrazione principale della società. Il principio di diritto espresso nella sentenza Interedil porta ad un totale capovolgimento rispetto alla pronuncia Eurofood: la presunzione diventa superabile non solo in caso di “società fantasma”, ma anche quando l’amministrazione principale della società non si trovi presso la sede statutaria e tale fatto sia riconoscibile dai terzi in base a circostanze obiettive. Detti elementi oggettivi sono riconducibili alla presenza, in uno Stato membro diverso da quello della sede, di attivi sociali e di rapporti contrattuali relativi alla gestione della società. Tuttavia, il superamento della presunzione necessita di una loro valutazione globale, dalla quale sia possibile evidenziare che il centro effettivo di direzione e controllo sia situato in un altro Stato membro rispetto a quello della sede. Peraltro, oltre a chiarire i casi in cui è possibile superare la presunzione ex art. 3, par. 1, secondo periodo, la Corte interviene anche sul rapporto tra la presunzione ed il trasferimento della sede; il problema, già analizzato dalla sentenza Susanne Staubiz Schreiber[20], viene qui riaffrontato perché l’istanza di fallimento di Interedil era stata proposta in data successiva al trasferimento nel Regno Unito della sede sociale. Il problema affrontato dalla Corte è il seguente: se la sede è stata trasferita prima della istanza di fallimento e dell’apertura della procedura, dove si presume che sia collocato il c.o.m.i.? Presso la nuova sede o presso quella precedente? La Corte risponde all’interrogativo affermando che, in tal caso, la presunzione cade sul luogo della nuova sede. Anche questa decisione non è andata esente da rilievi critici. L’importanza attribuita alla riconoscibilità del luogo di gestione degli interessi è da alcuni ritenuta eccessiva, poiché ne risulterebbe sacrificato l’elemento dell’abitualità, anch’esso utilizzato dal Considerando n. 13. L’eccessiva rilevanza attribuita alla riconoscibilità determina il pericolo di agevolare il forum shopping, poiché il debitore potrebbe far apparire agli occhi dei terzi una situazione che non coincide con la realtà. Questo è ancor più vero in caso di trasferimento della sede: lo spostamento della sede potrebbe essere infatti solamente fittizio, ma ciò è irrilevante per la sentenza Interedil, la quale stabilisce che, se il trasferimento della sede è anteriore alla domanda di apertura della procedura, la presunzione opera con riferimento alla nuova sede. Una società debitrice in crisi, quindi, potrebbe scegliere il foro più conveniente in due passaggi: per prima cosa, trasferendo la sede statutaria nello Stato prescelto, poi creando l’apparenza (agli occhi dei terzi) di un effettivo trasferimento della amministrazione centrale della società. Così facendo, in base a quanto stabilito dalla sentenza Interedil, sarebbe assai difficile per un creditore provare quegli elementi obiettivi che consentono di superare la presunzione. Si renderebbe infatti necessario provare l’esistenza di una certa stabilità e continuità temporale nella gestione dei propri interessi presso la nuova sede.

[10] Cfr. la citata sentenza Eurofood IFSC Ltd, il cui punto 34 stabilisce che: “Ne consegue che, per determinare il centro degli interessi principali di una società debitrice, la presunzione semplice prevista dal legislatore comunitario a favore della sede statutaria di tale società può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria”; ancora, cfr. MONTELLA, Normativa sostanziale europea e processuale italiana nella determinazione del C.O.M.I., in Il fall., 2014, 1, p. 91. Confermano il carattere iuris tantum della presunzione ex art 3, par. 1, reg: Cass., Sez. un., 16 maggio 2014, n. 10823 e Cass., Sez. un., 20 marzo 2015, n. 5688 con nota di GRIFFINI., Centro degli intressi principali – trasferimento della sede e giurisdizione italiana alla vigilia del Reg. UE n. 848/2015, in Giuri t., 2015, 10, 2114.

[11] Per un’approfondita analisi della sentenza Eurofood, cfr. LUPOI, Conflitti di giurisdizione e di decisioni nel regolamento sulle procedure d’insolvenza:il caso Eurofood e non solo, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.4, 2005, p. 1393

[12] Nel gennaio 2004, Bank of America per evitare che Parmalat sposti in Italia il c.o.m.i. della controllata, chiede l’apertura di una procedura di liquidazione coatta (“Compulsory winding up by the Court”) alla High Court irlandese e, nella stessa data, viene nominato un liquidatore provvisorio. In data 10 febbraio 2004, di fronte al Tribunale di Parma, viene depositata l’istanza di fallimento di Eurofood; il 24 febbraio, con sentenza, il Tribunale dichiara insolvente la società irlandese. Il 23 marzo la High Court dichiara l’insolvenza di Eurofood e ordina la liquidazione della società. Con questa pronuncia la High Court afferma la propria giurisdizione, sostenendo che il c.o.m.i. si trovasse in Irlanda, non essendoci prova di una diversa localizzazione. Inoltre, statuisce la priorità temporale della procedura irlandese, dovendo farsi retroagire l’inizio della stessa alla data del deposito della richiesta (10 febbraio 2004). La sentenza della High Court viene impugnata dall’amministratore straordinario di Parmalat avanti alla Supreme Court; quest’ultima, adisce in via pregiudiziale la Corte di giustizia europea

[13] DE CESARI, Procedura principale e procedure territoriali. Nuovi spunti interpretativi forniti dalla Corte di Giustizia, in Il Fall., 2012. 5, p.547.

[14] Sulla nozione di società fantasma Cfr. KINDLER, L’amministrazione centrale come criterio di collegamento del diritto internazionale privato delle società, in Riv. Dir. int. priv. e proc., cit., p. 897; sul tema della società fantasma in ambito europeo v. SANTA MARIA, in Diritto commerciale europeo, 2008, pp.104-105. Sul menzionato passaggio della sentenza Eurofood, cfr. MONTELLA, Normativa sostanziale europea e processuale italiana nella determinazione del C.O.M.I., in Il Fall., 2014, 1, p. 92.

[15] Per una critica circa la rigidità della sentenza Eurofood v. MONTELLA, Il fallimento del c.o.m.i.?, in Il Fall., 2010, 1, p. 59.

[16] MONTELLA, La Corte di Giustizia ed il C.O.M.I.: eppur (forse) si muove, in ilfallimentarista.it. L’autore cita alcuni casi di sostanziale disapplicazione della sentenza Eurofood, tra questi uno dei più noti è sicuramente il caso Eurotunnel, con riferimento al quale egli afferma che: “emblematico è il caso Eurotunnel, nel quale il Tribunale di commercio di Parigi ha assoggettato a procedura francese diciassette società del gruppo Eurotunnel, tra le quali dieci disseminate in altri Paesi dell’Unione, in sostanza motivando che queste, di fatto, erano gestite, appunto, da Parigi. Ed è curioso ricordare che i giudici francesi nella loro decisione si sono espressamente richiamati a Eurofood (pronunciata quindici giorni prima), ma applicando poi in concreto una massima opposta”. Ancora, cfr. MONTELLA, Normativa sostanziale e processuale italiana nella determinazione del c.o.m.i., in Il Fall., 2014, 1, p. 92. Per un caso di applicazione da parte della giurisprudenza di merito della sentenza Eurofood si veda PETRONIO, Centro di interessi del debitore: applicazione della disciplina comunitaria, in Dir. e pratica del fall., 2008, 1, p. 39. La sentenza in commento, emessa dal Tribunale di Monza, è la prima dopo la pronuncia Eurofood ed applica il principio di diritto da essa espresso; nel caso concreto, infatti, il Trib. di Monza ritiene che la controllante (di diritto olandese) non fosse che una “società fantasma” e che il suo c.o.m.i. si trovasse presso la sede della società (italiana) controllata, della quale la società “madre” era socio unico. L’autore, inoltre, ricorda che il tribunale di Monza ha considerato una serie di elementi prima di qualificare la società olandese come “società fantasma”: mancanza di dipendenti e di sede operativa in Olanda, svolgimento in Italia delle riunioni del consiglio di amministrazione, rapporti dei revisori indirizzati alla controllata italiana, l’esercizio dell’attività tipica presso la società italiana, anziché presso la controllante olandese); gli stessi parametri applicati dal Tribunale di Parma nella sentenza del 4 febbraio 2004, riguardante sempre una società di diritto olandese, la Pa. Fin. Corp. BV, ritenuta anch’essa “solo formalmente domiciliata in olanda”.

[17] Cfr. WINKLER, Le procedure concorsuali relative ad imprese multinazionali: la Corte di giustizia si pronuncia sul caso Eurofood, in Int’l Lis, 2007, 1, p. 15.

[18] Corte giust., 20 ottobre 2011, Interedil C-396/09.

[19] Corte giust., 15 dicembre 2011, Rastelli, C-191/10

[20] Corte giust., 17 gennaio 2006, Susanne Staubitz-Schreiber, C-1/04. Il caso riguardava una debitrice persona fisica tedesca che, dopo aver presentato domanda di fallimento in Germania, aveva trasferito la propria residenza ed attività in Spagna. La Corte ha affermato la competenza del giudice del luogo ove si trova il contro degli interessi principali del debitore al momento della proposizione della domanda, quando il debitore trasferisca il c.o.m.i. successivamente alla domanda, ma anteriormente alla decisione di apertura della procedura.

5. Il c.o.m.i. nel reg. UE n. 848/2015: quali istanze emerse dalla prassi applicativa sono state accolte dal legislatore europeo e quali problemi rimangono invece ancora irrisolti?

Si è inizialmente evidenziata la funzione del c.o.m.i., mettendone in luce la struttura; in particolare, è emerso che il c.o.m.i. è il criterio scelto dal legislatore europeo per attribuire la competenza internazionale ad aprire una procedura d’insolvenza principale; che negli Stati membri diversi da quello ove è localizzato e nei quali si trova una dipendenza, possono essere aperte solamente procedure secondarie; che l’art. 3, reg. CE 1346/2000, non definisce cosa s’intenda per c.o.m.i. e che una definizione è ricavabile dal Considerando n. 13, in base al quale si tratta del luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e riconoscibile da terzi la gestione dei suoi interessi. Dalla mancanza di una esplicita definizione dell’istituto, sono derivate interpretazioni contrastanti ed i giudici nazionali si sono divisi accogliendo a volte la mind of management theory ed, in altre occasioni, la daily business theory. Si è poi visto che l’art. 3 par. 1, secondo periodo, introduce una presunzione semplice di coincidenza tra c.o.m.i. e sede statutaria – punto sul quale è intervenuta la Corte di giustizia con le sentenze Eurofood ed Interedil. I principali problemi posti dalla disposizione dell’art 3., reg. CE n. 1346/2000 che la prassi applicativa ha fatto emergere, sono i seguenti: l’assenza di una definizione pregnante del c.o.m.i.; la mancanza di una disciplina circa il momento storico rilevante per la sua localizzazione; l’incertezza circa il superamento della presunzione di coincidenza tra c.o.m.i. e sede statutaria; la mancanza di una disciplina presuntiva applicabile agli imprenditori persone fisiche[21] ed, infine, l’assenza di disciplina per il gruppo di imprese[22].

Vanno a questo punto prese in considerazione le novità introdotte dal legislatore europeo col reg. UE n. 848/2015, per poi infine verificare quali dei nodi problematici appena menzionati siano stati sciolti e quali problemi, invece, permangono.

L’art. 3 del regolamento di rifusione si suddivide in quattro paragrafi: il primo è dedicato al c.o.m.i.; gli altri, invece, riguardano il rapporto tra procedure principali e quelle secondarie – tema che non verrà qui approfondito. Il primo paragrafo si apre ribadendo che sono competenti ad aprire una procedura d’insolvenza i giudici dello Stato nel quale si trova il centro degli interessi principali del debitore. La novità è data dal secondo periodo, che definisce il centro degli interessi principali del debitore come il luogo ove egli esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile da terzi. In sostanza non si fa altro che inserire nel nuovo art. 3 la disposizione precedentemente contenuta nel tredicesimo Considerando. Il legislatore europeo, quindi, non si sbilancia e continua a lasciare alla giurisprudenza il compito di stabilire se vada privilegiato il luogo in cui è svolta l’attività di quotidiana “gestione materiale” dell’impresa (daily business activity theory – sentenza Eurofood), oppure quello dell’amministrazione principale e di direzione (mind of management theory – sentenza Interedil). La nuova norma, poi, ribadisce la regola presuntiva già commentata, ma con una precisazione: la presunzione opera solo qualora la sede non sia stata trasferita in un altro Stato membro nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura d’insolvenza. Tramite l’introduzione di un cd. “periodo sospetto” è stata fornita una soluzione alla questione del trasferimento fraudolente della sede legale. Il punto, come già anticipato, è particolarmente rilevante nel contesto dell’ordinamento europeo, ove devono essere bilanciati due opposte esigenze: da un lato, deve essere garantito il diritto alla libertà di stabilimento, caposaldo del mercato unico europeo; dall’altro, però, il legislatore si premura di prevenire il forum and law shopping ed i fenomeni distorsivi del mercato che questo comporta. Un’altra importante novità del primo paragrafo concerne il c.o.m.i. delle persone fisiche, distinguendo tra le persone fisiche esercenti un’attività imprenditoriale o professionale, e le “altre persone fisiche”. Per entrambe le categorie si introduce una presunzione, analogamente a quanto avviene per le persone giuridiche e le società. Per la prima categoria di personae fisiche, ossia quelle che esercitano attività d’impresa o una libera professione, si presume che il loro centro degli interessi principali si collochi presso il luogo della sede principale dell’attività d’impresa. Anche qui viene introdotto un “periodo sospetto” di tre mesi antecedenti all’apertura della procedura, durante i quali la presunzione non opera. Per quelle persone fisiche che, invece, non esercitano né attività imprenditoriale, né una “professione indipendente”, si presume che il centro degli interessi principali coincida con la residenza abituale. Anche in questo caso è prevista un’eccezione alla regola presuntiva: la presunzione opera solo se la residenza abituale non è stata spostata nei sei mesi antecedenti la domanda di apertura. Il legislatore evidentemente ritiene di dover tutelare i creditori con un più lungo periodo “sospetto”, stante la maggiore facilità nel trasferire la residenza abituale rispetto alla sede di un’impresa.

Venendo ora a valutare quali nodi interpretativi siano stati sciolti, si noti anzitutto che quello della definizione del centro degli interessi principali è un problema risolto solo in apparenza. Rimane quindi compito della giurisprudenza definire, in concreto, cosa s’intenda per c.o.m.i., scegliendo tra la teoria del daily business activity e quella del head of management.

Il secondo nodo problematico, è quello del trasferimento della sede in un altro Stato membro. Come già s’è detto, il legislatore europeo ha introdotto un cd. “periodo sospetto” di tre mesi precedenti la domanda di apertura delle procedure concorsuali, durante i quali la presunzione di coincidenza tra c.o.m.i. e sede statutaria non opera. Il medesimo periodo è previsto per le persone fisiche che esercitano un’attività d’impresa; per il debitore non imprenditore, tale periodo è aumentato a sei mesi. Cambia inoltre il parametro di riferimento per l’operare della presunzione: nel primo caso, la presunzione ha ad oggetto la sede principale; nel secondo, la residenza abituale. In definitiva questo problema ha trovato una soluzione efficace nel nuovo testo regolamentare, capace di trovare un equilibrato compromesso tra la libertà di stabilimento ed il tentativo di contrastare il forum and law shopping.

È poi da registrare la mancanza di disciplina dei casi nei quali le presunzioni introdotte possono essere superate: tale carenza, come già avviene per la vigente normativa, si accompagna all’assenza di una definizione concreta di c.o.m.i. Com’è emerso, la definizione del centro degli interessi principale ed il tema del superamento della presunzione costituiscono temi in stretta connessione. Per quanto concerne il c.o.m.i. delle persone fisiche, infine, una soluzione è stata data: certo anche per esse manca una definizione in concreto, ma si prevede per la prima volta una regola presuntiva, al pari di quanto già avviene per società e persone giuridiche ed, ancora, si prevede un periodo sospetto.

[21] Il Regolamento del 2000 parla infatti di debitore, senza escludere il debitore persona fisica; il Considerando n. 9, peraltro, è esplicito nell’includere anche le persone fisiche nell’ambito d’applicazione della disciplina del c.o.m.i. Il testo del reg. CE 1346/2000, tuttavia, non pone alcuna regola presuntiva con riferimento alle persone fisiche.

[22] Il tema non viene trattato qui. Sul punto, cfr. LATELLA, Ue E Disciplina Dell’insolvenza (II Parte) – La crisi dei gruppi di società nella riforma dell’insolvenza transfrontaliera: Profili Generali, in Giur. It., 2018, 2, p. 480; DOMINELLI.I-QUEIROLO, Obblighi di cooperazione e comunicazione tra autorità e parti del procedimento fallimentare nel nuovo regolamento europeo sull’insolvenza transfrontaliera n. 2015/848: aspettative e possibili realtà applicative, in Diritto del Commercio Internazionale, 3, 2018, p. 719. Ancora, cfr. DE CESARI-MONTELLA, Il nuovo diritto europeo della crisi d’impresa, cit. Ci si permette, infine, di segnalare il proprio contributo su questa rivista, cfr. GHINELLI, L’insolvenza transfrontaliera del “gruppo” nel reg. UE n. 848/2015: i nuovi obblighi di cooperazione e informazione e la facoltà di coordinamento, L’Aulacivile.it, 31 gennaio 2019.

6. Il c.o.m.i. nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Il regolamento di rifusione UE n. 848/2015, lo si è detto, accoglie solo alcune delle istanze emerse dalla prassi applicativa. In particolare, rimane compito dell’interprete quello di definire il significato concreto della nozione di centro degli interessi principali. A seguito della sentenza Interedil, sembra tuttavia che la linea interpretativa da prediligere sia quella di identificare il centro degli interessi principali con il luogo in cui si attua la direzione ed il controllo dell’impresa: tra i muscoli e la testa dell’impresa – per riprendere una metafora ricorrente in dottrina – sembra che sia da prediligere quest’ultima. Prevale, quindi, la teoria del head of management. Le difficoltà interpretative a cui si è appena accennato – e che hanno impegnato la Corte di giustizia nelle sentenze Eurofood ed Interedil – presentano, oggi, una valenza anche sul piano del diritto interno. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, introdotto dal d.lgs. del 12 gennaio 2019, n. 14[23], ha infatti recepito l’istituto del c.o.m.i. esattamente così come formulato dal reg. UE n. 848/2015[24]. Al centro degli interessi principali, il legislatore della riforma attribuisce una duplice funzione: anzitutto quella di delimitare la giurisdizione italiana; in secondo luogo, l’individuazione della competenza territoriale.

Limitandoci alla disciplina della giurisdizione, va anzitutto evidenziato come la definizione dell’istituto contenuta dal CCI, che ricalca quella europea, non aiuti di certo a dare maggiore chiarezza al significato concreto che il c.o.m.i. assume nel nostro ordinamento. Tuttavia, data l’immediata cogenza dei regolamenti, pare che la via interpretativa da prediligere sia quella di ritenere il centro degli interessi principali un istituto non estraneo e non nuovo alla disciplina interna dell’insolvenza, con la conseguenza che la sua interpretazione debba necessariamente seguire le linee tracciate dalla Corte di giustizia. Infatti, se un istituto già vive in un ordinamento giuridico, il fatto che un’altra fonte normativa lo preveda, impone, a rigor di logica, di non mutarne l’interpretazione. Scegliendo questo approccio, l’interprete interno non dovrebbe sforzarsi a trovare per il c.o.m.i., così come previsto dagli artt. 2, 26 e 27 CCI, un significato proprio del solo diritto italiano; peraltro, si eviterebbe così anche il rischio di un’inammissibile contrasto tra la disciplina nazionale e quella europea.

Sotto un secondo profilo, e con specifico riguardo all’art. 26 CCI regolante la giurisdizione, pare necessario sottolineare due questioni che potrebbero, quando il codice entrerà in vigore, creare attrito tra la disciplina interna e l’attuale assetto europeo.

L’art. 26 CCI stabilisce che, anche nell’ipotesi in cui il debitore abbia all’estero il proprio centro degli interessi principali, è sufficiente la presenza in Italia di una dipendenza per attribuire la giurisdizione al giudice italiano. L’ipotesi a cui fa riferimento la disposizione in commento è evidentemente quella dell’insolvenza transfrontaliera. È però necessario specificare a quale frontiera ci si riferisce: si deve cioè distinguere l’ipotesi di centro degli interessi principali collocato in altro Paese Ue, dal diverso caso in cui questo si trovi fuori dall’Unione. In quest’ultima eventualità pare che non si pongano problemi di contrasto col regolamento: in presenza di una dipendenza in Italia e del centro degli interessi principali fuori dall’Ue, la giurisdizione è sempre (anche) del giudice italiano. Sebbene nel nostro territorio si trovi solo una dipendenza, potrà essere aperta in Italia una procedura comprensiva di tutti i beni del debitore, ammesso che le eventuali convenzioni con il Paese extraeuropeo di riferimento non lo impediscono.

Tutt’altro scenario è quello in cui il centro degli interessi del debitore, avente in Italia una dipendenza, si trovi in un altro Stato membro. Nel silenzio del legislatore, la norma potrebbe essere suscettibile di una duplice interpretazione: in una prima prospettiva, basata su una lettura letterale, si potrebbe ritenere sufficiente la presenza di una dipendenza in Italia per aprire una procedura principale; una seconda e diversa prospettiva, invece, imporrebbe in tal caso di interpretare la norma in senso logico-sistematico, per cui la giurisdizione italiana sarebbe limitata all’apertura di una sola procedura secondaria. In questo senso si pongono il terzo ed il quarto comma dell’art. 26, i quali fanno salva la disciplina dell’Unione europea ed, ancora, impongono al giudice di stabilire se la procedura è principale, secondaria o territoriale.

Pare quindi doversi concludere che, quantomeno in riferimento alle ipotesi di collegamento del debitore con un altro Stato Ue, nulla sia cambiato in punto di giurisdizione rispetto al precedente assetto normativo. Se il centro degli interessi principali è situato in Italia, il giudice italiano avrà giurisdizione – competenza internazionale, nel linguaggio del regolamento – per aprire una procedura principale; se, invece, nel nostro territorio vi è una mera dipendenza, di fronte al giudice italiano si potrà solo chiedere l’apertura di una procedura secondaria. Sarà interessante, nei prossimi mesi, monitorare lo sviluppo del dibattito in letteratura e verificare come, nelle prime pronunce, la giurisprudenza applicherà il c.o.m.i. disciplinato dal CCI.

Gianni Ghinelli

[23] Il citato decreto legislativo ha dato attuazione alla l. 19 ottobre 2017, n. 155, con la quale il Parlamento ha conferito una “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”.

[24] L’art. 2, comma 2, lett. m), definisce il c.o.m.i. come il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi, in modo abituale e riconoscibile da terzi.

Redazione

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