I rapporti patrimoniali tra conviventi: la convenzione patrimoniale ed il contratto di convivenza

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Premessa

L’11 maggio 2016 il ddl Cirinnà intitolato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, dopo mesi di discussioni e polemiche, ha ottenuto il sì definitivo alla Camera. La nuova legge introduce l’unione civile tra omosessuali quale specifica formazione sociale e disciplina la convivenza di fatto sia omosessuali che eterosessuali.

Per conviventi di fatto, dispone il comma 36 dell’art.1 della L. 76/2016, si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

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Il contratto di convivenza

La Legge n. 76/2016, nota anche come Legge Cirinnà, ha dato una svolta al diritto di famiglia attraverso l’ampliamento dell’autonomia privata dei conviventi (delle coppie cioè etero- e omosessuali): ad essi viene consentito di determinare liberamente gli aspetti non patrimoniali e personali della coppia; laddove, in relazione agli aspetti patrimoniali, la riforma appare, a detta di molti, alquanto deludente[1].

Le principali disposizioni sui rapporti patrimoniali sono contenute nei commi che vanno dal 50esimo al 64esimo dell’unico articolo di cui è composta tale legge: segnatamente il comma 50 dispone che “i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”.

Tale previsione attribuisce per la prima volta al rapporto tra i conviventi una natura programmatica[2] che consente di valicare l’antica convinzione secondo cui le prestazioni del convivente erano solo occasionali e dunque, per l’effetto, qualificabili come obbligazioni naturali.

Ancora, questa disposizione può trovare applicazione solo se la convivenza sia caratterizzata dai requisiti di cui al comma 36 della legge in esame con la conseguenza che, in mancanza di uno di questi, si produrrà la nullità del contratto: infatti “il contratto di convivenza non è […] elemento costitutivo della convivenza, ma non può sussistere se essa non vi sia[3].

La dottrina maggioritaria propende tuttavia per la validità di tale contratto sostenendo che “il contratto eventualmente posto in essere tra soggetti che non rientrano nella nozione di convivenza data dal legislatore, essendo sprovvisti dei requisiti previsti dal comma 36, esce dal tipo legale previsto dal legislatore ma non per questo deve ritenersi nullo, potendo essere valido secondo la disciplina generale del contratto[4].  Appare dunque possibile, secondo tale tesi, contrapporre al contratto tipico (quello cioè stipulato dai conviventi che rientrano nella definizione del comma 36 dell’art. 1 della L. 76/2016) un contratto atipico.

Il contratto di convivenza tipico è un negozio formale, legittimo, a contenuto patrimoniale[5] predeterminato, caratterizzato da cause di nullità e ipotesi di risoluzione del tutto peculiari e facoltativo[6].

Ad ogni modo, il ricorso a questo strumento non consente una disciplina completa, non coinvolge cioè i rapporti personali e successori delle parti, bensì solo gli aspetti patrimoniali[7]: si pensi ad esempio all’art. 458 c.c. che stabilisce che “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”.

La ratio di detta previsione si rinviene nel fatto che detti rapporti sono rimessi alla libertà delle parti e dunque non possono essere vincolati per effetto di una loro contrattualizzazione in quanto, in caso contrario, una loro eventuale violazione rileverebbe sul piano della responsabilità aquiliana[8], sicché un accordo avente ad oggetto profili non patrimoniali è privo di ogni valore vincolante per le parti[9]. Tale scelta, inoltre, è stata necessitata dalla tutela della libertà di autodeterminazione nell’esercizio dei diritti riconosciuti al convivente quale espressione di valori fondamentali della persona[10].

Novità in caso di cessazione della convivenza

La dottrina ha approfondito la questione sulla possibilità di inserire all’interno del contratto di convivenza alcuni aspetti che riguardassero il momento della cessazione della convivenza. A tal proposito, il comma 56 dell’art.1 della presente legge è da alcuni considerato come ostativo dato che, nell’affermare che “il contratto di convivenza non può essere sottoposto a condizione o a termine”, preclude alle parti la possibilità di inserire delle disposizioni che trovino attuazione nel caso in cui cessi il rapporto di convivenza. Altri invece, superano il limite posto dal comma 56 sostenendo che tali pattuizioni siano lecite in quanto non classificabili come condizioni ma come strumenti per disciplinare l’eventuale evoluzione del rapporto[11].

Ciò ha molto valore, considerando che si tratta di una vera e propria novità rispetto alle previgenti regole sulla convivenza more uxorio[12], considerando che si accresce in tal modo la tutela giuridica nei confronti dei conviventi tramite il riconoscimento, come ad esempio nell’obbligazione alimentare[13], di uno strumento che tuteli le aspettative patrimoniali del soggetto che versi in stato di bisogno economico in caso di rottura del rapporto[14].

Tuttavia, prescindendo da una espressa pattuizione tra le parti, al comma 65 di tale legge il Legislatore provvede al convivente bisognoso nella parte in cui afferma che “In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile”.

Sono invece nulle le clausole relative al pagamento di una penale nel caso in cui dovesse cessare il rapporto di convivenza[15] perché ciò potrebbe indurre una delle parti a dover scegliere di proseguire il rapporto di malanimo per evitare di incorrere nella sanzione pecuniaria.

La nullità è prevista in ogni caso:

  1. In presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civileo di altro contratto di convivenza;
  2. Quando il contratto sia concluso da persone che non hanno conseguito la maggiore etào da persone vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile;
  3. Quando una delle parti siainterdetta giudizialmente;
  4. In caso di condanna per il delitto di cui all’art. 88 c.c.(omicidio consumato o tentato sul coniuge del partner).

Il contratto di convivenza, ex art. 1 comma 51 della L. n. 76 del 2016, deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico (analogamente alla normativa sulle convenzioni matrimoniali[16]).

Tuttavia, proprio con riferimento alla forma, sono sorte due questioni: la prima riguardante la previsione della scrittura privata autenticata ad opera dell’avvocato che di regola non è a ciò abilitato (e ciò contrasta con l’art. 2703 c.c. che prevede che il modello di scrittura privata sia autenticata o dal notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato); la seconda verte sul disposto che richiede al notaio e all’avvocato di attestare la conformità “alle norme imperative e all’ordine pubblico”.

Il legislatore ha voluto in questo modo investire il notaio o l’avvocato dell’obbligo di verificare l’esistenza del “fatto di convivenza” così come viene delineato dai commi 36 e 37[17] dell’art. 1 della L. n. 76 del 2016 che, in relazione al profilo della qualificazione delle parti per poter stipulare un contratto di convivenza, costituisce un requisito necessario di legittimazione (ex comma 50 art. 1) ma che rileva anche sulla validità del contratto in virtù del comma 57, lett. b) dell’art.1[18].

Il contenuto del contratto di convivenza

Per quanto concerne il contenuto del contratto, esso viene delineato al comma 53 il quale dispone che esso “reca   l’indicazione dell’indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto può contenere: a) l’indicazione della residenza; b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile”.

I tre requisiti di cui alle lettere a), b), c) costituiscono il confine all’autonomia privata dei conviventi[19] solo per quanto attiene al contenuto tipico del contratto.

Sono da ritenersi ammissibili le clausole che riguardano: le pattuizioni e gli accordi riguardanti i figli; che in caso di malattia o qualora venisse meno la capacità di intendere e volere, il partner ha la facoltà di assistenza e di visita; clausole con cui il convivente può designare l’altro, sempre nel caso di sopravvenuta incapacità di intendere e volere, come suo rappresentante con pieni poteri o limitati; ed infine clausole che prevedono la designazione del proprio partner quale amministratore di sostegno[20].

Risoluzione del contratto di convivenza

Il contratto di convivenza, come qualsiasi altro contratto, può essere risolto.

Il comma 59 dell’art.1 della L. n. 76/2016 indica i casi di risoluzione del contratto che sono:

a) accordo delle parti;

b) recesso unilaterale;

c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altro soggetto;

d) morte di uno dei contraenti.

La risoluzione del contratto deve inoltre seguire le stesse forme previste per la sua conclusione, al comma 60 si precisa infatti che: “La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza”.

Quindi se la risoluzione avviene grazie a una nuova manifestazione di volontà (accordo delle parti o recesso unilaterale) sarà necessario seguire le forme già viste per la stipula o modifica del contratto.

In questi casi, però il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui previsti dal comma 52 della legge sulle unioni civili, a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto.

Nel caso, poi, in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

Se il contratto si risolve per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altra persona, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente e al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.

Se, infine, il contratto si risolve per morte di una dei conviventi, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.

Si ricordi, come precedentemente accennato, che per il comma 65 dellart.1 della predetta legge, la cessazione della convivenza di fatto (che vi sia o meno un contratto di convivenza) determina a carico dell’ex convivente l’obbligo degli alimenti a favore dell’altro che si trovi in stato di bisogno[21].

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Note

[1] G. Oberto, Convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, in Famiglia e Diritto, 2016, 10, 943.

[2] Questo profilo programmatico era già stato evidenziato da F. Gigliotti, Del pagamento dellindebitoObbligazioni naturali, Milano, 2014 e, dopo l’entrata in vigore della L. n. 76 cit., ne coglie l’accresciuto rilievo G. Di Rosa, op. cit. 700.

[3] G. Alpa, La legge sulle unioni civili e le convivenze. Qualche interrogativo di ordine esegetico, in Nuova giur. Civ. comm., 2016, II, 1768. Nello stesso senso G. Amadio, La crisi della convivenza, in Nuova giur. Civ. comm., 2016, II, 1768, il quale rileva che «l’esistenza della convivenza di fatto costituisce una sorta di presupposto della legittimazione a contrarre».

[4] C. M. Bianca, La norma giuridica – i soggetti, Milano, 2002, 145 ss., 161 e 202.

 

[5] Questo carattere del contratto di convivenza non è pacifico: prima dell’emanazione della L. n. 76 cit. S. Delle Monache, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale, in Riv. Dir. Civ., 2015, 944 ss., ha espresso l’opinione che i c.d. “contratti di convivenza potrebbero essere riguardati come accordi che disciplinano nei suoi aspetti economici un rapporto che, nel suo nucleo, non è però un rapporto un rapporto patrimoniale”, 949.

[6] L. Nonne, La risoluzione del contratto tipico di convivenza: una lettura sistematica, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2018, 39 ss.

[7] G. Rizzi, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, in Digiec, uniRC.

[8] In tal senso S. Delle Monache, Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (alle soglie della regolamentazione normativa delle unioni di fatto), in Riv. Dir. Civ., 2015, 949 ss.; nonché U. Perfetti, Autonomia privata, cit., 1757.

[9] Su tale profilo v. S. Amadio, Teoria del negozio, cit., 37 ss., il quale, nella analisi critica della configurabilità di negozi familiari a contenuto non patrimoniale, rileva le mancanze in termini di libertà, valore impegnativo ed efficacia costitutiva che questi hanno rispetto agli atti di autonomia privata in generale.

[10] D. Achille, Il contenuto dei contratti di convivenza tra tipico e atipico, in Nuova giur. Civ., 2017, 11, 1570.

 

[11] G. Rizzi, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, in Notariato, 2017, 11 ss.

[12] Nel senso della esclusione di qualunque diritto al mantenimento discendente dalla mera convivenza di fatto, v. Cass. 30 ottobre 1996 n. 9505, in Giust. Civ., 1997, I, 394. Nello specifico, si segnala Trib. Napoli 8 luglio 1999, in Rivista, 2000, 5, 501 ss., secondo cui “non sussiste, allo stato attuale della legislazione, alcun diritto al mantenimento o agli alimenti nei confronti del convivente more uxorio, concretizzando la convivenza una situazione di fatto, caratterizzata dalla precarietà e revocabilità unilaterale, cui non si ricollegano diritti e doveri, se non di carattere morale”.

[13] U. Perfetti, Autonomia privata e famiglia di fatto, in Unioni civili e convivenze di fatto. Legge 20 maggio 2016, n. 76, 2016, 1761.

[14] C. Coppola, La famiglia non fondata sul matrimonio, in Tratt. Dir. Di famiglia, dir. da G. Bonilini, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 2016, 663 ss.

 

[15] D. Achille, Il contenuto dei contratti di convivenza tra tipico e atipico, in “Bianca, C.M. (org.)”, 2016, 13.

[16] Cfr. sul punto C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1., La famiglia, Milano, 2014, 76.

[17] Sulla questione, R. Amagliani, I contratti di convivenza nella L. 20 maggio 2016 (c.d. Legge Cirinnà), sostiene che” Sotto questo punto di vista le risultanze anagrafiche appaiono lo strumento privilegiato che consentirà al notaio ed all’avvocato di appurare la sussistenza del requisito della stabile convivenza tra i partner, parti del contratto di convivenza”; in Contratti, 2018, 3, 317.

[18] R. Amagliani, I contratti di convivenza nella L. 20 maggio 2016 (c.d. Legge Cirinnà), continua affermando che “ In questo ambito, mentre per il notaio si potrebbe ipotizzare una forma di responsabilità che si aggiunge a quella nascente dall’art. 28 della legge professionale, per l’avvocato si tratterebbe di ricondurre la specie all’inadempimento degli obblighi nascenti dal rapporto con il cliente, regolato dalle norme generali, ma anche da quelle nascenti dalla legislazione speciale e dal codice deontologico; in Contratti, 2018, 3, 317.

 

[19] F. Tassinari, Il contratto di convivenza nella l. 20.5.2016, n. 76. cit, 1742.

[20] G. Rizzi, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, in Notariato, 2017, 11 ss.

[21] Tassinari F., Il contratto di convivenza nella l. 20.5.2016, n. 76, cit., p. 1745.

 

Giorgia Zambuto

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