I limiti dei poteri istruttori del Consulente Tecnico d’Ufficio

Redazione 05/05/20
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di Alessio Antonelli*

* Senior Associate dello Studio “Lipani Catricalà & Partners”

Sommario

1. Introduzione

2. Riferimenti normativi

3. Gli orientamenti formatisi sul contenuto dell’art. 194 c.p.c.

4. Le soluzione adottata dalla Cassazione con la sentenza n. 31886/2019

5. I principi di diritto enunciati nella sentenza n. 31886/2019

6. Il recente arresto della Corte di Cassazione n. 2671/2020

7. Conclusioni

1. Introduzione

È da sempre argomento dibattuto, in seno alla giurisprudenza di legittimità, quello dei limiti dei poteri istruttori del Consulente Tecnico d’Ufficio.

In particolare, nelle fattispecie via via succedutesi al vaglio della Suprema Corte, ci si è chiesti in quali casi risulti ammissibile una deroga ai limiti stabiliti ex lege e quali conseguenze processuali discendano in caso di travalicamento dei predetti poteri.

Due recenti arresti della Corte di Cassazione hanno tentato di chiarire tali aspetti.

2. Riferimenti normativi

Il Codice di Procedura Civile contiene le norme che individuano i poteri del Consulente Tecnico d’Ufficio e, più in generale, le modalità di conduzione delle operazioni peritali da parte dello stesso.

Secondo quanto previsto dall’art. 194, primo comma, c.p.c.[1], il Consulente Tecnico d’Ufficio può:

– svolgere le indagini commesse dal Giudice;

– chiedere chiarimenti alle parti;

– assumere informazioni da terzi.

Il successivo art. 198 c.p.c.[2] sancisce che, in via del tutto eccezionale, il Consulente Tecnico d’Ufficio, previo consenso di tutte le parti, possa esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa.

L’art. 62 c.p.c.[3] prevede che il Consulente Tecnico d’Ufficio compie le indagini che gli sono commissionate dal Giudice e fornisce a quest’ultimo i chiarimenti che gli vengono richiesti.

Vi sono, infine, le norme contenute nelle Disposizioni di Attuazione del Codice di Procedura Civile, precisamente gli articoli 90, 91 e 92.

Secondo quanto stabilito dall’art. 90 delle predette Disposizioni di Attuazione[4], il Consulente Tecnico d’Ufficio è autorizzato a svolgere le indagini senza che sia necessaria la presenza del Giudice alle stesse.

L’art. 91 delle Disposizioni di Attuazione riguarda, invece, più specificamente la figura dei Consulenti Tecnici di Parte, ovverosia gli esperti nominati dalle parti al fine di assistere alle operazioni peritali compiute dal Consulente Tecnico d’Ufficio.

L’art. 92[5], infine, attiene alle eventuali questioni inerenti ai poteri ed ai limiti dell’incarico conferito al Consulente Tecnico d’Ufficio, il quale ha l’obbligo di informare il Giudice al riguardo.

[1] Testo integrale art. 194 c.p.c.: “Il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini di cui all’articolo 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi. Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori, e possono presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze“.

[2] Testo integrale art. 198 c.p.c.: “Quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può darne incarico al consulente tecnico, affidandogli il compito di tentare la conciliazione delle parti. Il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi tuttavia senza il consenso di tutte le parti non può fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui all’articolo 195“.

[3] Testo integrale art. 62 c.p.c.: “Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e degli articoli 441 e 463“.

[4] Testo integrale art. 90 Disposizioni di Attuazione c.p.c.: “Il consulente tecnico che, a norma dell’articolo 194 del Codice, è autorizzato a compiere indagini senza che sia presente il giudice, deve dare comunicazione alle parti del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni, con dichiarazione inserita nel processo verbale d’udienza o con biglietto a mezzo del cancelliere. Il consulente non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte consentite dall’articolo 194 del Codice. In ogni caso deve essere comunicata alle parti avverse copia degli scritti defensionali“.

[5] Testo integrale art. 92 Disposizioni di Attuazione c.p.c.: “Se, durante le indagini che il consulente tecnico compie da sé solo, sorgono questioni sui suoi poteri o sui limiti dell’incarico conferitogli, il consulente deve informarne il giudice, salvo che la parte interessata vi provveda con ricorso. Il ricorso della parte non sospende le indagini del consulente. Il giudice, sentite le parti, dà i provvedimenti opportuni“.

3. Gli orientamenti formatisi sul contenuto dell’art. 194 c.p.c.

Relativamente ai poteri istruttori del Consulente Tecnico d’Ufficio, la giurisprudenza di legittimità è divisa in tre orientamenti interpretativi in ordine alla portata del citato art. 194 c.p.c.

L’orientamento più risalente “conferisce” al Consulente Tecnico d’Ufficio il potere di compiere qualsiasi indagine utile ai fini dello svolgimento del proprio incarico.

Egli, pertanto, può assumere informazioni, esaminare documenti non prodotti in corso di causa, anche in assenza di espressa autorizzazione giudiziale (ex multis, Cassazione Civile, 7 novembre 1987, n. 8256[6]; Cassazione Civile, 30 maggio 1983, n. 3734).

Conseguentemente, il Consulente Tecnico d’Ufficio ha titolo per acquisire elementi purché riguardino l’oggetto dell’accertamento (ex multis, Cassazione Civile, 24 febbraio 1984, n. 1325[7]; Cassazione Civile n. 5388/1977).

In conclusione, secondo tale orientamento il Consulente Tecnico d’Ufficio può assumere documentazione anche quando i termini concessi alle parti siano ormai decorsi.

Il secondo orientamento circoscrive i limiti d’azione del Consulente Tecnico d’Ufficio a seconda della tipologia di consulenza:

– nella consulenza c.d. “deducente”, il Consulente Tecnico d’Ufficio deve valutare i fatti già accertati dal Giudice o quelli pacifici tra le parti e, quindi, non si pone un problema di limiti.

Infatti, tale consulenza ha ad oggetto circostanze già dimostrate dalle parti;

– nella consulenza c.d. “percipiente”, il Consulente Tecnico d’Ufficio deve accertare delle situazioni di fatto non dimostrate in giudizio e che sono accertabili solo tramite cognizioni tecniche.

Secondo l’orientamento in esame, il Consulente Tecnico d’Ufficio non incontra alcun limite nell’accertamento dei fatti, compresi quelli costitutivi della pretesa (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 4 novembre 1996, n. 9522[8]).

Il terzo e ultimo orientamento – adottato con qualche precisazione dalla Corte – ritiene che il Consulente Tecnico d’Ufficio non possa:

– indagare su questioni non prospettate dalle parti, perché si violerebbe un duplice principio, quello che assegna alle stesse l’onere di allegazione e quello che impedisce al Giudice di valutare questioni non portate alla sua attenzione dai contraddittori (Cassazione Civile, Sezione Terza, 19 gennaio 2006, n. 1020[9]);

– accertare fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, perché violerebbe il principio dell’onere della prova incombente sui litiganti (Cassazione Civile, Sezione Terza, 19 gennaio 2006, n. 1020).

In entrambe i casi si violerebbe il principio della parità delle parti, perché, tramite la consulenza, una di queste potrebbe “ripescare” documenti non prodotti a tempo debito per dimostrare il proprio diritto o eccezione.

Per contro, il Consulente Tecnico d’Ufficio può:

– valutare scientificamente o tecnicamente i fatti già provati,

– acquisire gli elementi necessari (come misurazioni, stime, analisi) al riscontro di veridicità dei fatti documentati dalle parti.

Inoltre, al Consulente Tecnico d’Ufficio non è mai consentito di introdurre nel processo fatti nuovi o ricercare la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, per come dedotti dalle parti.

Solo in due circostanze il Consulente Tecnico d’Ufficio può svolgere indagini esplorative:

– «quando si tratti di “fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza”, con esclusione quindi dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni» (Cassazione Civile [ord.], Sezione Prima, 15 giugno 2018, n. 15774);

– “quando l’indagine officiosa del C.T.U. sia necessaria per riscontrare la veridicità dei fatti allegati dalle parti e l’attendibilità dei mezzi di prova da esse offerti” (ex multis, Cassazione Civile, Sezione Seconda, 14 novembre 2017, n. 26893; Cassazione Civile, Sezione Terza, 23 giugno 2015, n. 12921).

Infine, è escluso che il Consulente Tecnico d’Ufficio possa acquisire documentazione mai prodotta in corso di causa, in quanto una prova documentale può essere utilizzata solo allorché il Giudice ne abbia chiesto l’esibizione ex art. 210 c.p.c. (ex multis, Cassazione Civile n. 2770/1973; Cassazione Civile, Sezione Prima, 2 dicembre 2010, n. 24549; Cassazione Civile, Sezione Seconda, 26 ottobre 1995, n. 11133).

Da quanto premesso, discende che:

– l’accertamento dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni è ad appannaggio del Giudice e non del Consulente;

– le valutazioni conclusive del Consulente sono valide a condizione che anche il Giudice, valutato il materiale probatorio impiegato dal suo ausiliario, le condivida (Cassazione Civile, Sezione Terza, 10 maggio 2001, n. 6502).

[6] Secondo la Cassazione: “La consulenza tecnica non è soltanto strumento di valutazione tecnica, ma anche di accertamento e di ricostruzione dei fatti storici prospettati dalle parti, senza peraltro costituire un mezzo sostitutivo dall’onus probandi gravante su di esse, pertanto, mentre è consentito all’ausiliare, nei limiti del principio dispositivo, di assumere di sua iniziativa informazioni ed esaminare documenti non prodotti in causa, anche senza l’espressa autorizzazione del giudice, spetta però a quest’ultimo, quale peritus peritorum, di valutare, con prudente apprezzamento, se l’iniziativa sia stata utilmente condotta“.

[7] Osserva la Suprema Corte: “Il giudice del merito è libero di avvalersi della consulenza tecnica di ufficio in ogni sua parte e può trarre elementi di giudizio anche da notizie assunte dal consulente presso terzi, quand’anche tale attività non sia stata autorizzata e sempre che la stessa concerna l’oggetto dell’accertamento“.

[8] Secondo la Cassazione: “Il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); nel primo caso la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente; in questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento“.

[9] Osserva la Suprema Corte: “La consulenza tecnica non costituisce in linea di massima mezzo di prova bensì strumento di valutazione della prova acquisita, ma può assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche; d’altro canto, il consulente d’ufficio, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice può, ai sensi dell’art. 194, 1º comma, c.p.c., assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti accessori costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, ma non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, e, se sconfina dai limiti intrinseci al mandato conferitogli tali accertamenti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, pertanto, privi di qualsiasi valore probatorio, anche indiziario“.

4. Le soluzione adottata dalla Cassazione con la sentenza n. 31886/2019

Con la sentenza resa in data 6 dicembre 2019 n. 31886 gli Ermellini, nell’individuare l’orientamento – tra quelli sopra esaminati – più coerente con il sistema (ovverosia, il terzo), chiariscono quali siano i poteri istruttori del Consulente Tecnico d’Ufficio, in quali casi risulti ammissibile una deroga ai limiti stabiliti ex lege e quali conseguenze processuali discendano in caso di travalicamento dei poteri da parte del medesimo Consulente.

Brevemente, nell’ambito della vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte la figlia di una paziente deceduta conveniva in giudizio la struttura sanitaria presso cui la madre aveva subito due interventi chirurgici.

L’attrice sosteneva che la vittima non fosse stata adeguatamente informata e che i sanitari non avessero eseguito correttamente il proprio lavoro.

Nel giudizio di primo grado la domanda attorea veniva rigettata e, in sede di gravame, veniva rinnovata la Consulenza Tecnica d’Ufficio.

Il Consulente Tecnico d’Ufficio acquisiva le cartelle cliniche presso l’ospedale e l’appellante contestava la documentazione così acquisita; nondimeno, secondo il Giudice la consulenza era valida, in quanto il Consulente era stato a ciò autorizzato e tale facoltà rientrava nell’art. 194 c.p.c.

Al di là della questione attinente alla responsabilità medica e al consenso informato, la problematica su cui si sofferma la Corte di Cassazione attiene ai poteri che può esplicare il consulente durante la propria attività.

La Suprema Corte ritiene preferibile adottare, come già anticipato, il terzo orientamento tra quelli sopra analizzati per molteplici ragioni, di seguito evidenziate.

Innanzitutto, detto orientamento è l’unico coerente con i principi di:

– parità delle parti di fronte al Giudice;

– ragionevole durata del processo (art. 111 della Costituzione).

Inoltre, lo stesso risulta preferibile sotto il profilo dell’interpretazione sistematica.

Le espressioni contenute nell’art. 194 c.p.c. (“indagini commesse dal giudice“, “chiarimenti richiesti alle parti“, “informazioni assunte da terzi“) non devono interpretarsi letteralmente, in quanto troppo ampie.

Pertanto, tale disposizione deve essere oggetto di un’esegesi sistematica e resa compatibile con (i) i principi che regolano i poteri delle parti, (ii) il principio dispositivo e (iii) le norme sull’istruttoria e sull’assunzione dei mezzi di prova.

L’art. 194 c.p.c. incontra, dunque, due limiti insuperabili:

1) il divieto di indagare su questioni non addotte dalle parti negli scritti difensivi nel rispetto delle preclusioni processuali (diversamente il consulente amplierebbe il thema decidendum);
2) il divieto di compiere atti istruttori

– preclusi alle parti (come acquisire documenti una volta decorsi i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.);

– riservati al Giudice (come ordinare esibizioni o interrogare testimoni).

Infine, depone a favore del terzo orientamento anche l’interpretazione teleologica. Infatti, consentire al Consulente di acquisire documenti dalle parti o dai terzi si tradurrebbe in un’interpretatioabrogans dell’art. 183, sesto comma, c.p.c.

Nell’esaminare la questione sottopostale, la Suprema Corte si trova a dover affrontare le seguenti questioni di diritto:

a) quali siano i poteri istruttori del Consulente Tecnico d’Ufficio e quali i loro limiti;

b) se e quando sia ammissibile una deroga ai predetti limiti, per volontà della legge, per ordine del Giudice o per consenso delle parti;

c) quali siano le conseguenze processuali della violazione di tali poteri.

a) I poteri istruttori del Consulente Tecnico d’Ufficio: la corretta interpretazione dell’art. 194 c.p.c.

In virtù dell’articolato percorso argomentativo seguito dai Giudici di legittimità, si ritiene che la corretta interpretazione della norma relativa all’attività del Consulente sia la seguente:

– “le indagini che il giudice può “commettere” a c.t.u. sono soltanto quelle aventi ad oggetto la valutazione (nel caso di consulenza deducente) o l’accertamento (nel caso di consulenza percipiente) dei fatti materiali dedotti dalle parti, e non altri; l’affidamento per contro al c.t.u. di quesiti concernenti fatti mai dedotti dalle parti o, peggio, di valutazioni giuridiche, sarebbe quesito nullo dal punto di vista processuale e, nel secondo caso, fonte sin anche di responsabilità disciplinare per il magistrato“(Cassazione Civile, Sezioni Unite, 31 marzo 2015, n. 6495);

– “i ‘chiarimenti’ che il consulente può richiedere alle parti sono soltanto quelli idonei ad illuminare passi oscuri od ambigui dei rispettivi atti, e non possono comportare l’introduzione nel giudizio di nuovi temi di indagine“;

– “le informazioni’ che il consulente può domandare a terzi non possono trasformarsi in prove testimoniali, né avere ad oggetto documenti che era onere delle parti depositare“.

Le informazioni devono riguardare (i) fatti secondari e tecnici, non costitutivi e/o (ii) il riscontro della veridicità dei documenti prodotti.

In tal senso depone anche la lettura sistematica delle norme.

L’art. 87 delle Disposizioni di Attuazione del Codice di Procedura Civile, difatti, non ammette la possibilità di depositare documentazione durante le indagini peritali.

Inoltre, quando la legge ha inteso attribuire al Consulente Tecnico d’Ufficio il potere di prendere in esame documenti non prodotti in giudizio, lo ha fatto espressamente, come con l’art. 198 c.p.c.

È proprio dalla suddetta norma, di carattere eccezionale, che si ricava l’impossibilità del consulente di acquisire documenti non previamente prodotti.

b) Le deroghe ai limiti del Consulente Tecnico d’Ufficio.

Individuati come sopra i poteri del Consulente, occorre ora chiarire se e quando egli possa derogarvi.

Come ricordato, il Consulente Tecnico d’Ufficio non può indagare su fatti non dedotti dalle parti, né acquisire documenti non ritualmente prodotti.

Ci si chiede, a questo punto, se tale divieto sia o meno derogabile.

In caso di “deficit assertivi” da parte dei contraddittori, il principio per cui il consulente non possa supplirvi è inderogabile.

Spetta all’attore ed al convenuto l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa.

Invece, nell’ipotesi di “deficit probatori” delle parti, il principio per cui il Consulente non possa supplirvi è derogabile in due casi:

– quando per la parte sia impossibile provare il fatto costitutivo della pretesa se non attraverso cognizioni tecniche; in tale circostanza, è consentito al Consulente indagare su fatti che sarebbe stato teoricamente onere della parte interessata dimostrare (consulenza c.d. “percipiente”, ex multis Cassazione Civile [ord.], Sezione Terza, 8 febbraio 2019, n. 3717[10]; Cassazione Civile [ord.], Sezione Prima, 15 giugno 2018, n. 15774; Cassazione Civile, Sezione Prima, 10 settembre 2013, n. 20695; Cassazione Civile, Sezioni Unite, 4 novembre 1996, n. 9522);

– quando le indagini del consulente abbiano ad oggetto fatti accessori o secondari, di rilievo squisitamente tecnico, “il cui accertamento è necessario per una esauriente risposta al quesito o per dare riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti” (Cassazione Civile [ord.], Sezione Prima, 15 giugno 2018, n. 15774).

I limiti imposti al Consulente Tecnico d’Ufficio dal principio dispositivo e dalle preclusioni istruttorie non sono derogabili né per ordine del Giudice, né per volontà delle parti.

c) Le conseguenze processuali della violazione dei poteri del C.T.U.

Nel caso in cui il Consulente Tecnico d’Ufficio travalichi i limiti dettati dal sistema, la conseguenza processuale è la nullità.

Prima dell’introduzione delle preclusioni assertive e istruttorie nel processo civile (avvenuta con la Legge 26 novembre 1990, n. 353) si riteneva che la nullità – dipendente dall’aver acquisito documenti mai prodotti – fosse sanata, qualora l’eccezione non venisse sollevata nella prima difesa successiva al compimento dell’atto nullo.

Nel tempo, quindi, si era consolidato l’orientamento per cui tutte le nullità della Consulenza Tecnica d’Ufficio fossero relative e andassero eccepite nella prima difesa utile.

Ebbene, tale impostazione deve oramai ritenersi superata.

Le norme sulle preclusioni, difatti, mirano ad attuare interessi generali, pertanto, sia che a violarle siano le parti che il consulente, la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio (Cassazione Civile [ord.], Sezione Terza, 26 giugno 2018, n. 16800; Cassazione Civile, Sezione Terza, 18 marzo 2008, n. 7270).

Ne consegue, quindi, che le nullità in cui può incorrere il Consulente Tecnico d’Ufficio possono essere:

nullità relative, sanabili se non eccepite nella prima difesa utile, come ad esempio:

– l’omissione di avvisi alle parti;

– l’omesso invio della bozza di consulenza ai difensori delle parti;

  • l’ammissione alle operazioni peritali di un difensore privo di mandato o di un Consulente di parte privo di nomina;

    nullità assolute, commesse in violazione del principio dispositivo, non sanabili con l’acquiescenza e rilevabili d’ufficio, come ad esempio:

    – lo svolgimento di indagini su fatti mai prospettati dalle parti;

    – acquisizione dalle parti o da terzi documenti che, pur essendo erano nella disponibilità dei litiganti, non sono stati tempestivamente prodotti.

    [10] Secondo la Cassazione: “La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito; questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche“.

  • 5. I principi di diritto enunciati nella sentenza n. 31886/2019

    In virtù del ragionamento sin qui esposto, gli Ermellini enunciano i seguenti principi di diritto:

    – il Consulente Tecnico d’Ufficio non può indagare d’ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti;

    – il Consulente Tecnico d’Ufficio non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, né acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova.

    A tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali;

    – il Consulente Tecnico d’Ufficio può acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti;

    – i principi che precedono non sono derogabili per ordine del Giudice, né per acquiescenza delle parti;

    – la nullità della consulenza, derivante dall’avere il Consulente Tecnico d’Ufficio violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall’acquiescenza delle parti ed è rilevabile d’ufficio.

    Nella fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte, il Consulente Tecnico d’Ufficio aveva acquisito documenti non prodotti dalle parti (la cartella clinica).

    Il Giudice non poteva autorizzarlo a ciò poiché, così facendo, avrebbe violato il principio dispositivo e le disposizioni sulle preclusioni assertive e istruttorie.

    Il Giudice del gravame, pertanto, avrebbe dovuto valutare se la documentazione riguardasse fatti costitutivi o secondari.

    Per tale motivo, la sentenza viene cassata con rinvio e il Giudice di merito dovrà decidere applicando i principi sopra esposti.

    6. Il recente arresto della Corte di Cassazione n. 2671/2020

    Nel proseguire la propria indagine sui poteri istruttori conferiti al Consulente Tecnico d’Ufficio, la Suprema Corte è di recente ulteriormente intervenuta sull’argomento con la sentenza n. 2671 della Seconda Sezione Civile, pubblicata lo scorso 5 febbraio 2020.

    Gli Ermellini, chiamati a pronunciarsi in ordine alla possibilità per il Consulente Tecnico d’Ufficio di esaminare documenti non prodotti in giudizio, hanno ammesso tale eventualità purché tali documenti siano “integri ed affidabilissimi“.

    Si è discusso, in particolare, se sia procedibile la disamina e l’utilizzo, da parte del Consulente Tecnico d’Ufficio di documenti mai ritualmente e tempestivamente prodotti in giudizio dalle parti.

    Il paradigma sarebbe il seguente: rientra nel potere del Consulente Tecnico d’Ufficio attingere aliunde a notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali quando ciò sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli (ex multis, Cassazione Civile, Sezione Terza, 6 novembre 2001, n. 13686; Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 17 febbraio 2004, n. 3105; Cassazione Civile, Sez. II, 8 giugno 2007, n. 13428; Cassazione Civile, Sezione Prima, 28 gennaio 2010, n. 1901; Cassazione Civile, 7 novembre 1989, n. 4644), sempre che non si tratti di fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti poiché, in tal caso, l’attività svolta dal Consulente finirebbe per supplire impropriamente al carente espletamento, ad opera delle stesse, dell’onere probatorio, in violazione dell’art. 2697 c.c. (ex multis, Cassazione Civile, Sezione Seconda, 14 novembre 2017, n. 26893; Cassazione Civile, Sezione Terza, 23 giugno 2015, n. 12921).

    Ciò premesso, la Corte ammette una eccezione e consente che il Consulente Tecnico d’Ufficio esamini documenti mai prodotti in giudizio, “purché integri ed affidabilissimi” (nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, il Consulente Tecnico d’Ufficio ha esaminato 843 alamari contenuti in una scatola integra e pertanto ritenuta affidabilissima alla presenza dei due Consulenti Tecnici di Parte).

    7. Conclusioni

    Come risulta evidente dalla semplice lettura di quanto sin qui esposto ed argomentato, quello dei poteri spettanti al Consulente Tecnico d’Ufficio è argomento assai dibattuto e sul quale, nonostante le disposizioni contenute nel Codice di Procedura Civile, ancora non sembra esservi unità di vedute.

    Si auspica, pertanto, anche a tutela delle parti processuali che vedono demandarsi le indagini al Consulente Tecnico d’Ufficio, che la Corte di Cassazione e, di conseguenza, anche i Giudici di merito adottino un orientamento chiaro ed unitario.

    Redazione

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