I documenti prodotti in Mediazione rilevano nel giudizio?

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Incipit – Cos’è la mediazione civile e commerciale – l’articolo 10 del Decreto Legislativo 28/2010: inutilizzabilità e segretezza professionale – L’articolo 13 del Decreto Legislativo 28/2010: le spese processuali. – Vicenda – Conclusioni.

 

Incipit.

La domanda “I documenti prodotti in Mediazione rilevano nel giudizio?” trova risposta nel dettato normativo di cui all’articolo 10 del decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28 e da una recente pronuncia del Tribunale di Venezia del 22 ottobre 2020.

Cos’è la mediazione civile e commerciale.

La mediazione civile e commerciale è uno strumento di risoluzione del conflitto introdotto dal decreto legislativo del 4 marzo 2010 n.28. In presenza di un conflitto le parti possono farsi assistere da un professionista terzo ed imparziale per la risoluzione dello stesso. La mediazione può essere facoltativa, delegata o obbligatoria. La prima si ha quando le parti volontariamente iniziano una mediazione con lo scopo di dirimere una controversia. La seconda, invece, disciplinata dall’articolo 5, comma 2[i], del decreto in analisi si ha quando il Giudice, dopo aver valutato la fase processale, il comportamento delle parti e la natura della causa dispone il procedimento di mediazione rendendolo condizione di procedibilità.

La terza La mediazione obbligatoria è disciplinata dal comma 1-bis del Decreto legislativo 28/201 e riporta un elenco tassativo di materie cosiddette “obbligatorie” per le quali è previsto per legge il tentativo di mediazione prima di adire ad un giudice, pena l’improcedibilità della causa. Le materie menzionate sono:

  • diritti reali (proprietà, usufrutto, usucapione, compravendite, ecc.);
  • divisione e successioni ereditarie;
  • patti di famiglia;
  • locazione e comodato;
  • affitto di aziende;
  • risarcimento danni da responsabilità medica e sanitaria;
  • diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari.

L’articolo 10 del Decreto Legislativo 28/2010: inutilizzabilità e segretezza professionale.

L’articolo 10 del Decreto in esame, al comma 1, sancisce il principio per cui: “ Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.”. Da tale articolo si evince il segreto professionale a cui è tenuto il mediatore in riferimento alle informazioni e ai documenti ricevuti e assunti durante gli incontri di mediazione. In particolare, vige il divieto di produrre in un giudizio avviato documenti o dichiarazioni assunte in una mediazione nella quale non è stato trovato un accordo. Tali elementi probatori non possono neanche formare oggetto di testimonianza. Si precisa, inoltre, come al mediatore siano estese le norme di cui agli articoli 1[ii]03 e 200[iii] del codice di procedura penale, in quanto applicabili, in tema di regolamentazione della riservatezza. Tale dovere di riservatezza da parte del mediatore discende direttamente dall’articolo 9 del decreto in analisi. L’articolo da ultimo citato prevede che chiunque presti la propria opera sia a servizio dell’organismo di mediazione sia all’interno di un procedimento di mediazione è tenuto al vincolo di riservatezza in merito alle dichiarazioni ricevute e alle informazioni acquisite. La segretezza delle dichiarazioni dei mediandi è sancita anche dall’articolo 7 comma 1 lett. a della dir CE 2008/52 il quale stabilisce come “Poiché la mediazione deve avere luogo in modo da rispettare la riservatezza, gli Stati membri garantiscono che, a meno che le parti non decidano diversamente, né i mediatori né i soggetti coinvolti nell’amministrazione del procedimento di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso, tranne nei casi in cui:

  1. ciò sia necessario per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato, in particolare sia necessario per assicurare la protezione degli interessi superiori dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona”.

 

Tali norme tutelano le parti che decidono di intraprendere un percorso di mediazione facendo sì che si possano sentire libere di affrontare il percorso di risoluzione del conflitto autonomi nell’esplicare i propri bisogni svincolandoli dal timore di possibili conseguenze nell’esprimere o addurre motivazioni circa le proprie azioni. Gli articoli 9 e 10 del Decreto in oggetto svolgono un ruolo fondamentale dal momento in cui le parti, appunto, decidono di entrare in mediazione, ossia decidono di volersi impegnare a trovare un accordo utile

 

L’articolo 13 del Decreto Legislativo 28/2010: le spese processuali.

La norma rubricata “spese processuali”, al primo comma, stabilisce come il contenuto della proposta sorta in mediazione corrisponda a quanto verrà statuito in giudizio: “il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del Codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4”. Di converso il secondo comma del medesimo articolo disciplina l’eventualità per cui la proposta emersa in ambito della mediazione non corrisponda a quanto statuito in giudizio. In tal caso “il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente”.

 

Vicenda.

Il caso oggetto della presente analisi riguarda la materia della successione ereditaria. Due fratelli cercano di dirimere un conflitto insorto a causa della morte della madre. Al via di un procedimento ex art. 702 c.p.c. R.L. chiedeva la condanna del fratello R.F. al pagamento di una somma di denaro che si intendeva prelevata dal conto corrente della mamma S.R. indebitamente trattenuta dalla resistente “chiedendo l’emissione anticipata di ordinanza di ingiunzione per la minor somma di 35.000, 00, riconosciuta dal convenuto in sede di mediazione”. Ai fini del presente elaborato ci si focalizza esclusivamente sulla circostanza per cui i documenti prodotti in sede di mediazione non possano essere riprodotti in sede di giudizio. Infatti, a seguito del mutamento di rito in corso di causa, il convenuto chiedeva di far riferimento alle spese prodotte nella fase stragiudiziale e quanto prodotto in fase di mediazione. Inoltre, si sottolinea come durante l’incontro di mediazione l’attuale convenuto: “ebbe ad offrire al fratello, a definizione della controversia, 35.000, 00 già in sede di mediazione nell’ambito del procedimento per sequestro conservativo avviato dall’ attore”. In questo giudizio R.XXX F.XXX ha offerto, costituendosi in giudizio, la somma di 28.749, 03, poi aumentata ad 40.000, 00 all’ udienza del 21.2.19. Offerta, quest’ ultima, ribadita all’ udienza dell’11.6.19 ed in sede di precisazione delle conclusioni.”

Conclusioni.

In conclusione, a fronte di quanto appena esposto si deve ritenere, così come si evince nella pronuncia in esame che ex articolo 10 del Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 le prove di spese proposte in sede di mediazione nella quale non si è trovato un accordo non possono essere prodotte in un giudizio successivo avente il medesimo oggetto (anche parzialmente). Inoltre il Giudice verificando come: “il rifiuto sempre opposto dall’ attore alle proposte di definizione formulate dal fratello sin dalla fase di mediazione antecedente l’ instaurazione del giudizio, che, all’ esito della lite, si sono rivelate sostanzialmente congrue, le spese del procedimento possono essere compensate nella misura di 2/3 con conseguente condanna dell’ attore alla rifusione della residua quota in favore del convenuto.
Non si ritengono sussistenti i presupposti per l’ applicazione dell’ art. 96 c.p.c., come richiesto dal convenuto, non ravvisandosi, nella condotta dell’ attore, consapevolezza della manifesta infondatezza delle proprie pretese o mancanza di ordinaria diligenza nell’ acquisizione di tale consapevolezza”.

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Note

[i] “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.”

[ii] “1. Le ispezioni [244 c.p.p.] e le perquisizioni [247 c.p.p.] negli uffici dei difensori sono consentite solo:

  1. a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati [60, 61p.p.], limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito;
  2. b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.
  3. Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici [225 c.p.p.] non si può procedere a sequestro [253 c.p.p.] di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato).
  4. Nell’accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità [177186 c.p.p.] avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.

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  1. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.
  2. Non è consentita l’intercettazionerelativa a conversazioni o comunicazioni [266c.p.p.] dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.
  3. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza [254c.p.p.] tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
  4. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati [191c.p.p.]. Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta”

 

[iii] 1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria [331, 334]:

  1. a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;
  2. b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai(1);
  3. c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
  4. d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale[2562, 271]).
  5. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.

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  1. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni [1957]

 

Dott.ssa Naccarella Stefania

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