I contratti della crisi coniugale e la simulazione

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Gli istituti giuridici della simulazione e della separazione tra i coniugi, prima facie, sembrano inconciliabili in quanto relativi ad ambiti del diritto totalmente differenti, ma già nel Digesto risulta presente quest’annosa questione (D. 24.6.1: vir mulieri divortio facto quaedam idcirco dederat, ut ad se reverteretur: mulier reversa erat, deinde divortium fecerat. Labeo: Trebatius inter Terentiam et Maecenatem respondit si verum divortium fuisset, ratam esse donationem, si simulatum, contra). Nella compilazione giustinianea, le ipotesi prese in considerazione a tal proposito sono numerose e tutte caratterizzate dalla messa in scena di un divorzio fittizio, o al fine di eludere il divieto di donazioni tra coniugi stessi o per aggirare le regole in tema di restituzione della dote o per frodare i creditori.
            L’autonomia dei coniugi di accordarsi in sede di separazione si manifesta, quindi, ora come allora, attraverso una diversificata tipologia di accordi nei quali, normalmente entrambe le parti a tutto pensano fuorchè a mentire sulla loro situazione di crisi o anche solo su uno degli aspetti destinati a disciplinare la futura vita da separati.
            Al fine di poter commentare il diritto positivo vigente, è d’uopo focalizzare l’attenzione proprio sulle situazioni patologiche che possono venire in essere.
            Occorre, però, prima precisare come quello di simulazione sia un concetto ben diverso da quello di frode: già la dottrina antica fondava la distinzione assumendo come discrimen la condizione, rispettivamente, di assenza o di presenza del consenso delle parti sulla produzione degli effetti del contratto.
            Sul punto appaiono illuminanti le riflessioni del Betti il quale ritiene che “la simulazione può servire a coprire una illiceità ed esser adibita a scopo di frode: sia frode alla legge, sia frode a danno di altri privati, quali i creditori di chi compie il negozio, o altri che avrebbero eventualmente diritto verso di lui. Ma, a prescindere dal rilievo che vi può essere simulazione senza frode e, viceversa, frode senza simulazione, basterà qui osservare che si tratta di due qualifiche eterogenee, dipendenti da due profili diversi, sotto i quali il negozio può esser considerato. La frode, e in genere, la illiceità, esprime una qualifica dell’interesse che determina in concreto la conclusione del negozio, valutato in connessione con la causa tipica. La simulazione, per contro, esprime semplicemente una divergenza o una ripugnanza fra quell’interesse e la causa”.
            La simulazione, la cui disciplina è delineata dagli artt. 1414 c.c. e seguenti, è l’istituto mediante il quale due soggetti pongono in essere un contratto, o più in generale un negozio giuridico, con il precipuo accordo che il medesimo non produca alcun effetto tra le parti e concretizza un’ipotesi di divergenza tra dichiarazione e volontà negoziale.
            Detta divergenza può essere totale o parziale e, infatti, la simulazione si suddivide in simulazione assoluta e simulazione relativa.
            Nel primo caso, le parti stipulano un contratto con il tacito accordo che di esso non si debbano mai produrre gli effetti che risultano dall’estrinseco del negozio; nel secondo, vengono posti in essere un contratto di cui le parti non desiderano il verificarsi degli effetti ed un contratto, c.d. “dissimulato”, cui invece le parti decidono di dare esecuzione.
            Nell’ipotesi di simulazione assoluta, il contratto è considerato inefficace dall’ordinamento giuridico, ossia totalmente improduttivo di effetti. L’accordo dissimulato, invece, può divenire efficace per il diritto solamente qualora provvisto dei necessari requisiti di forma e di sostanza richiesti per quel tipo di negozio.
            La separazione personale dei coniugi è l’istituto, regolamentato dalle norme del codice civile (artt. 150 e seguenti), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali, che non scioglie il vincolo coniugale, né fa cessare lo status giuridico di coniuge. Essa incide esclusivamente su alcuni degli effetti propri del matrimonio (si scioglie la comunione legale dei beni, cessano gli obblighi di fedeltà e di coabitazione). Altri effetti, invece, permangono, ma sono limitati o disciplinati in modo specifico (dovere di contribuire nell’interesse della famiglia, dovere di mantenere il coniuge più debole e dovere di mantenere, educare ed istruire la prole).
            Nel caso di separazione consensuale tra i coniugi, ossia quando marito e moglie, concordemente, decidono di separarsi, secondo una parte della giurisprudenza, l’accordo da essi posto in essere anche se non pienamente inquadrabile nella categoria degli atti negoziali, può essere oggetto di l’applicazione delle norme sul contratto che riguardano la disciplina del negozio giuridico in generale o che esprimono princìpi basilari dell’ordinamento, come quelle in tema di vizi del consenso, di capacità delle parti e di simulazione.
            Secondo gli ermellini, tuttavia, la disciplina dettata dall’art. 1414 c.c. non può essere applicata sic et simpliciter all’istituto della separazione consensuale poiché tale procedimento è caratterizzato da evidenti peculiarità.
            Essi riconoscono come la separazione si sostanzi in due distinti momenti: la volontà delle parti e l’omologa giurisdizionale ed attribuiscono alla volontà dei coniugi la “causa della separazione consensuale, mentre l’omologazione agisce come mera condizione legale di efficacia”, e ne affermano la natura sostanzialmente negoziale, negando l’ammissibilità della simulazione sulla base della ritenuta “incompatibilità” logica tra l’iniziativa processuale diretta ad acquisire la condizione formale di coniugi separati e l’accordo di simulazione.
            Una parte della giurisprudenza, invece, ritiene apertis verbis che l’atto in cui si sostanzia la separazione consensuale abbia natura negoziale: in tale accordo, difatti, si dispiega pienamente l’autonomia dei coniugi e la loro valutazione in merito alla gravità della crisi coniugale, di conseguenza viene escluso potere di indagine e valutazione del giudice sui motivi della decisione di separarsi.
            Nella pronuncia n.17607 del 20 novembre 2003, la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile l’eccezione di simulazione in relazione allo scioglimento del vincolo del matrimonio civile, originato da una separazione consensuale intervenuta tra i coniugi unicamente a fini fiscali.
            Secondo la giurisprudenza, la separazione trova difatti la propria ed unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del Tribunale e la successiva omologazione, condizione sospensiva della produzione degli effetti delle pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo, è unicamente diretta ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo di separazione.
            L’accordo di separazione, pertanto, viene qualificato come atto essenzialmente negoziale di espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente.
            Nella fattispecie, la volontà di conseguire lo status di coniugi separati non è simulata, ma effettiva: l’iniziativa processuale, con le conseguenti implicazioni giuridiche che essa comporta, si risolve in un’iniziativa che supera ed annienta il precedente accordo simulatorio, ponendosi in contrasto con esso.
            La Corte rileva quindi che è "logicamente insostenibile che i coniugi possano disvolere con detto accordo la condizione di separati ed al tempo stesso volere l’emissione di un provvedimento giudiziale destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a detta condizione: l’antinomia tra tali determinazioni non può trovare altra composizione che nel considerare l’iniziativa processuale come atto incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazione".
            Pertanto, non si tratta della simulazione della separazione in quanto tale, bensì esclusivamente della simulazione di un accordo inserito nel più ampio contesto delle condizioni concordate ex art. 158 c.c. ed oggetto di omologa da parte del Tribunale. I due profili della simulazione della separazione e della simulazione nella separazione, dal punto di vista teorico investono entrambi la configurabilità della simulazione in relazione ad atti per il perfezionamento dei quali è previsto un intervento dell’autorità giudiziaria.
            La Cassazione, quindi, conferma l’ammissibilità nei confronti dell’accordo di separazione consensuale dei classici rimedi negoziali, da esperirsi attraverso un’azione ordinaria e non con il procedimento camerale ex art. 710 c.p.c..
            Tramite quest’ultima procedura può farsi valere unicamente la “sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti in base ai quali il giudice o le parti avevano stabilito le condizioni della separazione”.
            Secondo i giudici di legittimità, la simulazione ed vizi del consenso sono astrattamente configurabili in caso di accordo di separazione consensuale omologato ed essi possono essere fatti valere soltanto tramite un giudizio ordinario.
            Il problema della configurabilità di una simulazione nella separazione consensuale è però strettamente legato a quello della natura del negozio che si pone alla base del rimedio ex artt. 158 c.c. e 711 c.p.c..
            Considerando, il carattere contrattuale/negoziale delle intese in oggetto, risulta applicabile tutta la normativa relativa agli accordi negoziali, a cominciare dal principio costituito dall’art. 1322 c.c., al negozio giuridico di separazione personale nonchè alle intese di carattere patrimoniale concluse in sede.
            Del resto, come già visto, l’applicabilità della normativa summenzionata alla materia degli accordi tra coniugi in occasione di separazione risulta essere un dato accettato da buona parte della dottrina e della giurisprudenza.
            Per quanto attiene, più specificamente, le intese costituenti il contenuto dell’accordo di separazione consensuale, quindi, non sembra esservi dubbio sulla natura non solo negoziale di questi atti, bensì addirittura sul relativo carattere contrattuale, quando gli stessi abbiano ad oggetto prestazioni di tipo patrimoniale.
            Si rileva come anche in questo caso l’art. 1322 c.c. abbia ricevuto concreta applicazione in un’innumerevole serie di casi che hanno portato, in nome del principio dell’autonomia privata, ad una vera e propria dilatazione dell’usuale contenuto dell’accordo di separazione.    Per la Corte di Cassazione, “i rapporti patrimoniali tra i coniugi separati hanno rilevanza solo per le parti, non essendovi coinvolto alcun pubblico interesse, per cui essi sono pienamente disponibili e rientrano nella loro autonomia privata” (Cass. 6426/1987).
            Stabilita la natura negoziale degli accordi di separazione consensuale, occorre focalizzare l’attenzione in merito all’applicabilità dei “classici” rimedi negoziali agli accordi e, nello specifico, alla possibilità di impugnarli per simulazione.
            In materia di simulazione e di vizi del consenso, sono numerose le pronunce di merito che ritengono d’ostacolo all’applicazione della disciplina contrattuale la presenza, al momento dello scambio dei consensi, del presidente del Tribunale, accentuandone l’importanza, ma bisogna comunque riconoscere che la giurisprudenza di legittimità sia stata in grado di offrire impreviste concessioni alla negozialità degli accordi effettuati dai coniugi.
            Per quanto concerne i possibili effetti nei riguardi dei terzi dell’eventuale accertamento giudiziale della simulazione, occorre richiamare i principi generali per ciò che attiene alla simulazione, di cui agli artt. 1415 s. e 2652, n. 4, c.c..
            Fermo restando che, tanto l’accertamento giudiziale della simulazione della separazione consensuale, così come dei relativi accordi patrimoniali, sfuggono alla annotazione a margine dell’atto di matrimonio, non rimane che riconoscere alla trascrizione sui pubblici registri immobiliari e mobiliari delle relative domande giudiziali il precipuo scopo di disciplinare i confitti con i terzi aventi causa in relazione a diritti relativi a beni immobili o mobili registrati acquistati in base ad atti soggetti alla trascrizione.
            Si sottolinea, quindi, l’emergere della funzione della trascrizione sui registri immobiliari “integrativa” rispetto all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio secondo gli artt. 162 e 2647 c.c..
            A tal proposito, occorre considerare la posizione dei terzi eventualmente interessati a dimostrare il carattere comune dei beni acquistati dopo il verificarsi dello scioglimento apparente, come, ad esempio, i creditori della comunione, i quali sono legittimati a far prevalere la realtà sull’apparenza, dimostrando il carattere meramente fittizio dell’apparente causa di scioglimento del regime patrimoniale legale.
            In tale ipotesi, sarebbe applicabile solo la simulazione, in quanto l’azione diretta ad ottenere l’annullamento per un vizio del consenso è rimessa dal legislatore codicistico alla titolarità esclusiva della sola parte il cui consenso sia stato dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo.
            Da ultimo, si ricordano le pronunce nn. 2270/93 e 657/94 della Corte di Cassazione attraverso le quali la stessa ha esplicitamente individuato nella separazione consensuale “uno dei momenti di più significativa emersione della negozialità nel diritto di famiglia”.
 
 
Avv. Matteo Santini (Foro di Roma)
Avv. Maddalena Martino (Foro di Roma)

Santini Matteo – Martino Maddalena

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