I coniugi di fatto e la causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen.

Giulia Bitonti 28/02/17
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La causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen. e i coniugi di fatto. Una nuova lettura dell’istituto, alla luce del D. lgs. 19 gennaio 2017, n.6 attuativo della L. Cirinnà sulle unioni civili.

 

L’art. 384 cod. pen. prevede la non punibilità del soggetto che abbia posto in essere un numero tassativo di fattispecie di reato contro l’amministrazione della giustizia per il fine di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore.

Si tratta di una causa di non punibilità che trova la propria ratio giustificatrice, da un lato, nell’antico brocardo “nemo tenetur se detegere”, dall’altro, nel riconoscimento della rilevanza dei legami familiari atti a sottrarre alla punibilità talune condotte, altrimenti penalmente rilevanti.

A lungo si è discusso in ordine alla natura giuridica dell’istituto de quo, ravvisata talvolta in una causa di non punibilità soggettiva, talaltra nella scriminante dello stato di necessità, ovvero in una causa di esclusione della colpevolezza, stante l’inesigibilità di una differente condotta, con conseguenze di non poco momento, specie quanto al regime della estensibilità ai concorrenti nel medesimo reato.

La dottrina più attenta ha avuto modo di interpretare il riferimento contenuto nell’articolo in oggetto al “prossimo congiunto”, al fine di comprendere se la causa di non punibilità potesse risultare estensibile al convivente more uxorio.

Giova qui richiamare la considerazione che della famiglia di fatto nel tempo è stata sviluppata nell’ambito degli studi giuridici che hanno interessato il regime della famiglia. Ebbene, appare evidente che il testo costituzionale, fonte primaria del nostro ordinamento, riconosce i diritti della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio. Attraverso tale richiamo al vincolo matrimoniale di cui all’art. 29 Cost., non può tacersi come si attribuisca una peculiare rilevanza alla costituzione della famiglia mediante la formazione di questo vincolo, con ciò escludendo, almeno apparentemente, qualsiasi forma di equiparazione tra famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto.

Tale riconoscimento, però, non può essere guardato il modo troppo restrittivo, atteso che il fenomeno della convivenza non formalizzata nel vincolo matrimoniale ha assunto sempre maggiore importanza nel panorama prima sociale e poi normativo.

Ed allora il fondamento costituzionale utile a ravvisare una forma di tutela della c.d. famiglia di fatto non può ravvisarsi nell’art. 29, ma nell’art. 2, in quanto, senza dubbio, essa rileva quale formazione sociale all’interno della quale il soggetto sviluppa e coltiva la propria personalità.

Un ulteriore appiglio normativo atto a ravvisare una forma di tutela della convivenza more uxorio può individuarsi nell’art. 8 CEDU, che la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ha avuto modo di interpretare fino al punto di considerare il dettato normativo in esso contenuto come fonte di una tutela di qualsiasi rapporto familiare, senza alcuna restrizione di sorta.

Venendo al riferimento ai prossimi congiunti di cui all’art. 384 cod. pen., giova sottolineare come la norma sia stata inizialmente interpretata in senso restrittivo, attesa la eccezionalità della stessa, pertanto non idonea ad essere applicata estensivamente oltre i limiti strettamente imposti dal legislatore.

I giudici di Piazza Cavour hanno, difatti, reiteratamente ritenuto che la stabile convivenza more uxorio non possa giustificare l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen..

Ed invero, la definizione di prossimi congiunti ai fini della legge penale è contenuta all’art. 307, ultimo comma, cod. pen.,  e si riferisce letteralmente a “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. Nessun riferimento alle parti di una famiglia di fatto, pertanto, ad una interpretazione restrittiva e letterale della norma, rimarrebbe preclusa l’applicabilità del disposto di cui all’art. 384 cod. pen. ai componenti di tale nucleo familiare, seppur di fatto.

Tale impostazione è apparsa all’occhio più attento della dottrina in palese contrasto con i principi in materia enunciati dalla Corte Edu, ma anche con l’evoluzione sociale che ha sempre maggiormente visto la nascita di nuclei familiari non fondati sul vincolo matrimoniale, cui appariva ingiustificato non applicare la causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen..

Ed invero la medesima ratio che giustifica la non punibilità del reo, che abbia posto in essere uno dei reati richiamati dalla norma a causa della necessità di salvare un prossimo congiunto, ben può essere ravvisata nell’ambito della famiglia c.d. di fatto, stabilmente convivente, stante il medesimo rapporto sentimentale che lega i membri di una famiglia fondata sul matrimonio.

Da ultimo la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che sia da estendere al convivente more uxorio la causa di non punibilità prevista dall’art. 384, primo comma, cod. pen. (si confronti Cass. Pen., sez. II, 21 aprile 2015, n. 34147).

In seguito all’entrata in vigore della c.d. Legge Cirinnà del 20 maggio 2016, n.76, che ha istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato le convivenze di fatto, ci si è chiesti se fosse opportuno equiparare dal punto di vista della nozione di “prossimo congiunto” i coniugi uniti dal vincolo matrimoniale e le parti dell’unione civile.

Ebbene il richiamato provvedimento non contiene una precipua componente penalistica, limitandosi ad enunciare all’art. 1 com. 38 che i conviventi di fatto godono dei medesimi diritti del coniuge che l’ordinamento penitenziario prevede. In più, all’art. 1 com. 20 della L. Cirinnà si precisa  “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti la parola “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

È chiaro che tale disposizione si presenta come atta ad avere effetti anche nell’ambito penalistico, ma sempre che si voglia assicurare l’effettività della tutela dei diritti e l’adempimento degli obblighi scaturenti dall’unione civile.

Venendo all’estensibilità della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., che si riferisce al “prossimo congiunto”, non si vede come possa configurarsi una estensione di tal fatta, atteso che non si ravvisa una tutela dei diritti, né un adempimento di doveri. Sempre che non si voglia considerare la consumazione di uno dei reati elencati all’art. 384 cod. pen. come un’occasione di tutela degli obblighi di assistenza morale della parte dell’unione civile, che dunque andrebbe esente da punibilità proprio per aver agito nell’intento di salvare il proprio compagno, adempiendo così ad un obbligo.

I dubbi relativi all’estensibilità o meno della causa di non punibilità alle parti di un’unione civile appaiono oggi superati dall’intervento del legislatore, intervenuto con un decreto attuativo della c.d. Legge Cirinnà, a chiarire i termini dell’annosa querelle.

Ebbene, nell’ambito del D. lgs. 19 gennaio 2017, n. 6, nello specifico all’art. 1, let. A, il legislatore ha modificato la definizione di “prossimo congiunto” agli effetti penali, di cui all’art. 307, com. 4, cod. pen., ritenendo opportuno inserirvi anche la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, con conseguenze di non poco momento quanto ai risvolti penalistici in termini di effetti in bonam e in malam partem.

Tra gli effetti in bonam partem di tale modifica senza dubbio viene in rilievo la causa di non punibilità relativa ad alcuni delitti contro l’amministrazione della giustizia commessi al fine di salvare un prossimo congiunto di cui all’art. 384 cod. pen., pacificamente oggi riferita anche alle parti dell’unione civile.

In più, nell’ambito del medesimo decreto attuativo, all’art. 1, let. B, si prevede l’introduzione nel corpo del codice penale del nuovo art. 574 ter, che parifica, agli effetti della legge penale, il termine “matrimonio” alla “unione civile” e il termine “coniuge” a quello di “parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso”, laddove il codice vi faccia riferimento come elemento costitutivo del reato ovvero come circostanza aggravante.

Si ritiene, pertanto, alla luce di quanto sinora esposto, che la causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen. sia pacificamente invocabile dalla parte di un’unione civile, mentre rimangono aperte le questioni sulla estensibilità della stessa al convivente di fatto, atteso che il legislatore non si è preoccupato di adeguare e coordinare l’ordinamento penale rispetto a tale formazione sociale. In una lettura restrittiva della stessa, pertanto, rimane esclusa l’estendibilità al convivente more uxorio , dando luogo ad un trattamento non certo ispirato al principio di uguaglianza, non solo rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, ma anche rispetto all’unione civile.

Giulia Bitonti

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