La Corte di Cassazione, con sentenza n. 31197 del 31 luglio 2024, ha fornito chiarimenti in merito al gratuito patrocinio e ai redditi dei conviventi dell’istante.
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Indice
1. I fatti
Il Presidente del Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Avverso tale ordinanza è stato proposto ricorso per Cassazione dall’interessato che ha articolato un unico motivo con il quale lamentava violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 76, commi 1, 2 e 3 e 79, d.P.R. n. 115 del 2002, inosservanza della norma processuale stabilita a pena di nullità di cui all’art. 125 cod. proc. pen. in relazione all’art. 111, comma 6, Cost. e vizio di motivazione per contraddittorietà e travisamento della prova in punto di ritenuta insussistenza delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Nello specifico, il ricorrente sostiene che la decisione del Presidente del Tribunale di Milano, a termini della quale le dichiarazioni rese da familiari conviventi non potevano essere considerate ai fini di specifico interesse perché relative all’anno 2021 e non, come prescritto, all’anno 2022, contrasterebbe con le indicate previsioni del testo normativo di riferimento e sarebbe, inoltre, caratterizzata da motivazione contraddittoria e inficiata da travisamento delle prove.
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Formulario Annotato del Processo Penale
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2. Gratuito patrocinio e redditi dei conviventi: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso fondato e meritevole di accoglimento, osserva che l’evocato art. 76 d.P.R. n. 115 del 2002, nel disciplinare le condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato prevede testualmente, ai commi 1 e 2, che “può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296, 22.
Salvo quanto previsto dall’art. 92, se l’interessato convive con il coniuge o con latri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante“.
Il seguente art. 79 (“Contenuto dell’istanza”), prevede, invece, che “l’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene:
a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;
b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;
c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’art. 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76;
d) l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’ano precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce dell’analisi normativa effettuata, la Corte di Cassazione ha osservato che “non sono richieste, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di cui trattasi, autocertificazioni relative ai redditi prodotti, sottoscritte dai componenti della famiglia dell’istante, con esso conviventi, esigendosi esclusivamente un dichiarazione sostitutiva di certificazione del predetto, redatta a norma dell’art. 46, comma 1, lett. o), d.P.R. n. 445 del 2000, che attesti la ricorrenza delle prescritte condizioni reddituali, con puntuale indicazione del reddito complessivo valutabile“.
Un consolidato principio di diritto ha chiarito, inoltre, che “l’autocertificazione che la legge in materia di ammissione al gratuito patrocinio richiede all’interessato di produrre, può riguardare anche le situazioni reddituali o economiche di terzi, come esplicitamente previsto dall’art. 5, comma 1, lett. b), della legge n. 217 del 1990“.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata, nel fondare sulla mancata allegazione di un’autocertificazione della madre dell’istante il disposto rigetto dell’opposizione avverso il provvedimento del primo giudice dichiarativo dell’inammissibilità della richiesta di parte ha fatto erronea applicazione dell’evocata disposizione di cui all’art. 79 d.P.R. n. 115 del 2002.
Per questi motivi, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con conseguente rinvio per nuovo esame al Presidente del Tribunale di Milano.
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