Gli istituti penitenziari tra gli “stati generali dell’esecuzione penale” e le attività di giustizia riparativa: quale futuro?

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Durante il mese di maggio di due anni orsono, su istanza del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, è stata introdotta una nuova procedura di consultazione pubblica che ha preso il nome di “Stati generali dell’Esecuzione Penale”[1].

La procedura de qua è diretta a diventare il coacervo di correnti di pensiero avanzate da tutti coloro che, a vario titolo, hanno a che fare con la quaestio relativa al sistema di esecuzione della pena.

A titolo meramente esemplificativo, possono essere coinvolti nella materia in commento: avvocati; giudici; operatori penitenziari e sanitari, professori universitari etc.

Nella specie, gli Stati generali si sviluppano sulla scorta di un organigramma che include 18 tavoli tematici, ognuno dei quali – da un lato – vede come protagonista un esperto di quel determinato settore e, dall’altro, è indirizzato ad un particolare profilo dell’esecuzione della pena, così come è possibile che all’interno di essi siano proposte guidelines connotate da un modus agendi nuovo per intervenire sui conflitti.

Ancora più nel dettaglio, i 18 Tavoli sono i seguenti:

  1. Tavolo 1 – Spazio della pena: architettura e carcere;
  2. Tavolo 2 – Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicurezza;
  3. Tavolo 3 – Donne e carcere;
  4. Tavolo 4 – Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze;
  5. Tavolo 5 – Minorenni autori di reato;
  6. Tavolo 6 – Mondo degli affetti e territorializzazione della pena;
  7. Tavolo 7 – Stranieri ed esecuzione penale;
  8. Tavolo 8 – Lavoro e formazione;
  9. Tavolo 9 – Istruzione, cultura, sport;
  10. Tavolo 10 – Salute e disagio psichico;
  11. Tavolo 11 – Misure di sicurezza;
  12. Tavolo 12 – Misure e sanzioni di comunità;
  13. Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato[2];
  14. Tavolo 14 – Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali;
  15. Tavolo 15 – Operatori penitenziari e formazione;
  16. Tavolo 16 – Trattamento. Ostacoli normativi all’individualizzazione del trattamento rieducativo;
  17. Tavolo 17 – Processo di reinserimento e presa in carico territoriale;
  18. Tavolo 18 – Organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale.

Il 18 e 19 aprile del 2016 si è giunti alla conclusione dei lavori ed il documento finale redatto dal Comitato scientifico è stato consegnato nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Così come emerge dall’evento conclusivo, gli Stati generali hanno dimostrato di essere una sorprendente occasione di dialogo, raffronto e interazione fra soggetti aventi competenze e professionalità differenti fra loro.

Invero, proprio ciò ha costituito il punto forte della procedura in commento giacché ha consentito di comprendere in toto le problematiche discendenti dall’esecuzione della pena e, conseguentemente, di presentare idee volte alla loro risoluzione che risultassero essere conformi ai principi costituzionali ed alle direttrici provenienti dalle normative sovranazionali.

Sebbene i Tavoli siano molteplici, occorre focalizzare l’attenzione in particolar modo sul Tavolo n. 13[3], avente ad oggetto la giustizia riparativa, la mediazione e la salvaguardia delle vittime di crimini.

Al riguardo, in conformità alla Direttiva 2012/29/UE[4], le modalità ripartivo-conciliatorie di soluzione dei conflitti[5] possono tradursi in un notevole beneficio tanto per le vittime[6], che hanno diritto ad un trattamento personalizzato, professionale e decoroso[7], quanto per gli autori di crimina, che con la mediazione possono percepire il senso del reato commesso ed il valore della previsione normativa trasgredita e, pertanto, cominciare un iter di autoresponsabilizzazione.

Attraverso le attività espletate da parte degli Stati generali, la giustizia riparativa – inizialmente adottata in via sperimentale nel contesto del procedimento penale in cui erano coinvolti soggetti minorenni e dettata da una prospettiva normativa in primis per i reati di competenza del giudice di pace e, successivamente, per i reati posti in essere da maggiorenni, nell’alveo dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova ai sensi della Legge 28 aprile 2014, n. 67[8] – si è attualmente trasformata in autonoma linea di intervento pure rispetto alla novellazione dell’esecuzione della pena.

Sorge, quindi, l’interrogativo relativo ai vantaggi discendenti dai programmi di giustizia riparativa.

In proposito, deve osservarsi che, ogniqualvolta un reato stravolga la vita dei consociati e della comunità in cui questi ultimi conducono la loro esistenza, nasce la diffusa sensazione per la quale la mera punizione del reo non sia in grado di assicurare un adeguato grado di soddisfacimento per la persona offesa dal reato o per i parenti di quest’ultima.

In altri termini, si sottolinea come la punizione sia incapace di ridare alle vittime ciò che è stato loro sottratto dal colpevole.

In altri termini, la sola punizione non genera una prevenzione che possa qualificarsi come duratura.

Ne discende, pertanto, la necessità che alla pena si affianchino condotte riparatorie a prescindere dalla circostanza di essere al cospetto di reati dolosi o colposi, in quanto il dolore delle vittime è uguale tanto nell’eventualità in cui il reo abbia agito intenzionalmente che involontariamente.

Così come è palese dalla disamina della Direttiva sopra citata, i programmi di giustizia riparativa[9] possono costituire una risorsa dirimente, dal momento che agiscono sul dare impulso a forme di riparazione dell’offesa anticipate da un percorso guidato che permette di descrivere lo status interiore di sofferenza, ridare fiducia, intensificare la validità del patto democratico di cittadinanza.

Statisticamente può osservarsi che i programmi de quibus assicurano un livello di soddisfazione da parte delle vittime che si aggira sull’80% in luogo del 40% di appagamento discendente dal solo prendere parte ad un procedimento.

In materia, poi, si rileva che l’impiego della giustizia riparativa non genera altresì una riduzione del potenziale dissuasivo delle risposte al reato.

In particolare, si constata una riduzione sino all’84% della recidiva per coloro che hanno commesso crimini violenti che abbiano incominciato iter di giustizia riparativa, così come una diminuzione – sebbene più circoscritta – della recidiva per gli autori di reati contro il patrimonio.

Al contrario, non è ravvisabile alcuna riduzione della recidiva rispetto agli autori di reati senza vittima.

Unicamente per i reati violenti si impiega la mediazione penale dove l’incontro fra vittima e colpevole sovente determina un nuovo modo di pensare di quest’ultimo con contestuale svolta in favore della legalità nella sua vita.

La giustizia riparativa dovrebbe essere impiegata pure nell’esecuzione della pena, in quanto gli interessati possono discutere fra loro, qualora manifestino tale volontà, anche dopo anni da quando il crimen è stato commesso e tentare così di giungere ad una chiusura con il passato facendo emergere la verità delle azioni.

Diversamente dal risarcimento pecuniario, la giustizia riparativa propone spazi volti all’ascolto, dialogo ed al riconoscimento altrui.

Infine, la giustizia riparativa non coincide con il perdono né tantomeno ricomprende provvedimenti sanzionatori.

Il sopra indicato Tavolo 13[10] ha posto in evidenza l’esigenza che i programmi de quibus possano essere impiegati in ogni stato e grado del processo, nonché la necessità che questi si conformino a criteri fondamentali, come:

  1. la volontarietà di essi;
  2. la partecipazione attiva da parte degli interessati;
  3. la salvaguardia dell’interesse delle vittime;
  4. il riconoscimento di responsabilità da parte del colpevole;
  5. il fine della riparazione materiale o simbolica dell’offesa arrecata.

Ovviamente, affinché la giustizia riparativa[11] possa essere concretamente applicata, occorre – come posto in risalto in ambito europeo e dai Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters[12] adottati dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002 – che si istituiscano centri di mediazione su tutto il territorio nazionale ed un albo dei mediatori penali in modo da garantire modelli qualitativi consoni.

BIBLIOGRAFIA

 Bortolato M., Le misure alternative tra prassi applicative ed esigenze di riforma, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 1530 ss.

Fiorio C., Alternative alla detenzione e procedimenti di sorveglianza: prospettive de iure condendo, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 1518 ss.

Pugiotto A., Progettare lo spazio della pena: il fatto, il non fatto, il mal fatto, in Aa. Vv., Volti e maschere della pena, a cura di Corleone F. – Pugiotto A., Roma, 2013, p. 88 ss.

Risicato L., Le alternative alla detenzione: profili critici e prospettive di riforma, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 1517 ss.

Stati generali dell’esecuzione, Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato, in www.giustizia.it, p. 1 ss.

 

 

 

[1] In argomento, M. Bortolato, Le misure alternative tra prassi applicative ed esigenze di riforma, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 1530 ss.; C. Fiorio, Alternative alla detenzione e procedimenti di sorveglianza: prospettive de iure condendo, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 1518 ss.; A. Pugiotto, Progettare lo spazio della pena: il fatto, il non fatto, il mal fatto, in Aa. Vv., Volti e maschere della pena, a cura di F. Corleone – A. Pugiotto, Roma, 2013, p. 88 ss.; L. Risicato, Le alternative alla detenzione: profili critici e prospettive di riforma, in Giurisprudenza Italiana, 2016, p. 1517 ss.; Stati generali dell’esecuzione, Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato, in www.giustizia.it, p. 1 ss.

[2] In tema, Stati generali dell’esecuzione, Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato, cit., p. 3, ove si legge che fra gli obiettivi da perseguire è necessario: “Analizzare le esperienze di Restorative Justice dei principali Paesi europei ed extraeuropei che si sono dotati di programmi di giustizia riparativa e mediazione quanto a: mappatura dei reati mediabili (ambito edittale vs. tipologia di illecito); locus delle norme che consentono mediazione e riparazione; effetti di mediazione e riparazione sull’esercizio dell’azione penale, sul processo e sulla esecuzione della pena. Le esperienze comparative sono analizzate in coordinamento con il Tavolo 14. Proporre modelli e metodologie di giustizia riparativa orientati alla vittima (elisione o attenuazione delle conseguenze del reato; eventuale risarcimento del danno; restituzioni) e/o alla collettività (prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale), da inserire nei percorsi per il recupero dei condannati in esecuzione di pena intramuraria e in comunità e degli imputati ammessi alla prova ovvero quali condotte riparatorie ad efficacia estintiva del reato Coordinare il progetto di riforma di cui al disegno di legge n. 2798/2014 – che agli artt. 1 e 2 prevede l’introduzione agli artt. 162-ter e 649-bis condotte riparatorie come causa di estinzione del reato – con la disciplina della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. Dare forma e contenuto normativo alla “previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative” di cui all’art. 26, lett. d) del disegno di legge n. 2798/2014, coordinando la normativa con istituti già esistenti. Prevedere per gli operatori che si occuperanno di giustizia riparativa e in particolare per i mediatori penali moduli di formazione specifica e criteri di accreditamento e di accesso ad un Albo dedicato, stante l’autonomia teorico-pratica della mediazione penale da quella civile e commerciale. Promuovere, per magistrati e avvocati, percorsi di formazione alla giustizia riparativa e alla mediazione, con particolare attenzione al raccordo di queste ultime con il sistema penale-processuale. Promuovere la cultura della giustizia riparativa e della mediazione in ambito scolastico e universitario; sensibilizzare la collettività circa i benefici che si associano all’adozione di una giustizia aperta alla riparazione e alla riconciliazione anche in termini di prevenzione della criminalità”.

[3] Stati generali dell’esecuzione, Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato, cit., p. 1: “Il Tavolo è istituito per allineare le esperienze di Restorative Justice (RJ) sviluppate in Italia a quelle di altri Paesi europei ed extraeuropei, tenendo quale punto di orientamento i principi e le disposizioni contenuti nella Direttiva 2012/29/UE – secondo cui ai programmi di RJ si deve ricorrere soltanto nell’interesse della vittima, oltre che col suo consenso libero, informato e sempre revocabile. La letteratura in materia evidenzia che la responsabilità, ogni volta che si parla di giustizia riparativa, non ha più (sol)tanto a che fare con l’essere “responsabili di” qualcosa e “per qualcosa”, ma è intesa come un percorso attivo che conduce i soggetti in conflitto a essere “responsabili verso “ (a rispondere l’uno verso l’altro). Coerentemente, i programmi di RJ, in Europa e altrove, convergono nel chiedere all’autore di reato di attivarsi per promuovere concrete attività riparative nei confronti della vittima e della sua comunità di appartenenza, lungo un percorso che deve condurlo a rielaborare il conflitto e i motivi che lo hanno causato, nonché a riconoscere e a elaborare la propria responsabilità. Più dettagliatamente, nel tenere presenti anche le altre indicazioni sovranazionali in materia di mediazione reo-vittima, il tavolo si occuperà di: promuovere una comprensione adeguata dello spirito e della operatività concreta di giustizia riparativa e mediazione penale, in cui la vittima e il reo sono i due “fuochi” dell’ellisse “giustizia”; promuovere la previsione normativa espressa della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa e di mediazione sia nel diritto penale minorile che in quello per gli adulti in ogni stato e grado del procedimento; indicare la tipologia dei programmi di giustizia ripartiva che consentano, dopo una condanna definitiva, alla vittima di recuperare una posizione di centralità e al reo di accettare la responsabilità delle proprie azioni; favorire incontri con vittime aspecifiche. Per vittima aspecifica si intende un incontro di mediazione fra l’autore di un determinato reato, per esempio una rapina, e la vittima di una diversa rapina. In altre parole, la fattispecie di reato è la stessa ma diversi sono i soggetti coinvolti e il contesto in cui il fatto di reato si è consumato. Tale esperienza rappresenta un momento di assunzione di responsabilità verso una vittima in carne ed ossa ed è l’occasione per definire insieme a lei una forma di riparazione adatta al reato commesso; indicare come coordinare i programmi di giustizia riparativa e, in particolare, la mediazione penale con la normativa penale e processuale esistente; indicare linee giuda per la formazione dei mediatori penali; indicare percorsi formazione rivolti alla magistratura e all’avvocatura e le modalità di sensibilizzazione della collettività alla cultura della riparazione e della mediazione”.

[4] La Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 14 novembre 2012, L 315/57.

[5] Nel Considerando n. 46, Direttiva 2012/29/UE si legge che: “I servizi di giustizia riparativa, fra cui ad esempio la mediazione vittima-autore del reato, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi, possono essere di grande beneficio per le vittime, ma richiedono garanzie volte ad evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta, l’intimidazione e le ritorsioni. È opportuno quindi che questi servizi pongano al centro gli interessi e le esigenze della vittima, la riparazione del danno da essa subito e l’evitare ulteriori danni. Nell’affidare un caso ai servizi di giustizia riparativa e nello svolgere un processo di questo genere, è opportuno tenere conto di fattori come la natura e la gravità del reato, il livello del trauma causato, la violazione ripetuta dell’integrità fisica, sessuale o psicologica della vittima, gli squilibri di potere, l’età, la maturità o la capacità intellettiva della vittima, che potrebbero limitarne o ridurne la facoltà di prendere decisioni consapevoli o che potrebbero pregiudicare l’esito positivo del procedimento seguito. In linea di principio i processi di giustizia riparativa dovrebbero svolgersi in modo riservato, salvo che non sia concordato diversamente dalle parti o richiesto dal diritto nazionale per preminenti motivi di interesse pubblico. Situazioni quali minacce o qualsiasi altra forma di violenza perpetrate in questo contesto potranno essere ritenute meritevoli di essere segnalate nell’interesse generale”.

[6] Ex art. 22 della Direttiva 2012/29/UE: “Gli Stati membri provvedono affinché le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali, per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento penale, come previsto a norma degli articoli 23 e 24, essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. La valutazione individuale tiene conto, in particolare, degli elementi seguenti: a) le caratteristiche personali della vittima; b) il tipo o la natura del reato; e c) le circostanze del reato. Nell’ambito della valutazione individuale è rivolta particolare attenzione alle vittime che hanno subito un notevole danno a motivo della gravità del reato, alle vittime di reati motivati da pregiudizio o discriminazione che potrebbero essere correlati in particolare alle loro caratteristiche personali, alle vittime che si trovano particolarmente esposte per la loro relazione e dipendenza nei confronti dell’autore del reato. In tal senso, sono oggetto di debita considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull’odio e le vittime con disabilità. Ai fini della presente direttiva si presume che i minori vittime di reato abbiano specifiche esigenze di protezione essendo particolarmente esposti al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. Per determinare se e in quale misura debbano avvalersi delle misure speciali di cui agli articoli 23 e 24, i minori vittime di reato sono oggetto di una valutazione individuale come previsto nel paragrafo 1 del presente articolo. La portata della valutazione individuale può essere adattata secondo la gravità del reato e il grado di danno apparente subito dalla vittima. La valutazione individuale è effettuata con la stretta partecipazione della vittima e tiene conto dei suoi desideri, compresa la sua eventuale volontà di non avvalersi delle misure speciali secondo il disposto degli articoli 23 e 24. Qualora gli elementi alla base della valutazione individuale siano mutati in modo sostanziale, gli Stati membri provvedono affinché questa sia aggiornata durante l’intero corso del procedimento penale”.

[7] Nel Considerando n. 56 della Direttiva 2012/29/UE si legge che: “Le valutazioni individuali dovrebbero tenere conto delle caratteristiche personali della vittima, quali età, genere, identità o espressione di genere, appartenenza etnica, razza, religione, orientamento sessuale, stato di salute, disabilità, status in materia di soggiorno, difficoltà di comunicazione, relazione con la persona indagata o dipendenza da essa e precedente esperienza di reati. Dovrebbero altresì tenere conto del tipo o della natura e delle circostanze dei reati, ad esempio se si tratti di reati basati sull’odio, generati da danni o commessi con la discriminazione quale movente, violenza sessuale, violenza in una relazione stretta, se l’autore del reato godesse di una posizione di autorità, se la residenza della vittima sia in una zona ad elevata criminalità o controllata da gruppi criminali o se il paese d’origine della vittima non sia lo Stato membro in cui è stato commesso il reato”.

[8] La Legge 28 aprile 2014, n. 67, recante “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 maggio 2014, n. 100.

[9] Fra i principali sono da includere la mediazione penale, il conferencing e i conference groups.

[10] Stati generali dell’esecuzione, Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato, cit., p. 2: “Il Tavolo dovrà tenere conto della presenza nel nostro ordinamento: a) di condotte riparative e risarcitorie riconducibili alla logica della giustizia riparativa, sia della persona singola che dell’ente (cfr., ad esempio, l’art. 168 bis c.p., l’art. 35 d.lsg. 274/2000, l’art. 17 d.lgs. 231/2001); b) di condotte antagonistiche dell’offesa con componenti riparative e risarcitorie; c) di forme di riparazione orientate non già alla vittima bensì alla collettività (riconducibili a una nozione ampia di giustizia riparativa) nei seguenti istituti: il lavoro sostitutivo di cui alla legge 689/81; il lavoro di pubblica utilità previsto ex art 54 d.lgs. 274/2000 per alcune violazioni del codice della strada; il lavoro di pubblica utilità previsto per i tossicodipendenti ex art. 73 comma 5-bis d.p.r. 309/90; i progetti di pubblica utilità per i soggetti ammessi al lavoro esterno ex art. 21, comma 4-ter, l. 354/75; d) di forme di mediazione reo-vittima e di riparazione orientate alla vittima e alla comunità e alla responsabilizzazione dell’autore di reato ex art. 9 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, come promosse dal pubblico ministero in sede di indagini preliminari; e) di forme di mediazione reo-vittima e di riparazione orientate alla vittima e alla comunità e alla responsabilizzazione dell’autore di reato quali prescrizioni impartite dall’Autorità giudiziaria minorile (Giudice per le indagini o Tribunale per i minorenni), su proposta dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia (U.S.S.M.) o del Pubblico Ministero, nel progetto di messa alla prova ex art. 28 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448; f) dell’adoperarsi a favore della vittima” da parte dell’affidato in prova al servizio sociale ex art. 47, n. 7 ord. penit. Il Tavolo dovrà tenere conto che una dimensione riparativa è presente: nella previsione di cui all’art. 133, comma 2, n. 3, c.p., nella parte in cui il giudice è chiamato a tener conto, in sede di commisurazione della pena, della condotta contemporanea o susseguente al reato; nella previsione di cui all’art. 62, n. 6 c. p., (attenuante della riparazione del danno che prevede altresì l’adoperarsi, del reo, spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato prima del giudizio). Il Tavolo dovrà verificare come rileggere alla luce della Direttiva 2012/29/UE e orientare alla giustizia riparativa: la previsione dell’art. 118 del d.p.r. 230/2000, che assegna agli Uffici di esecuzione penale esterna il compito di favorire “una sollecitazione ad una valutazione critica adeguata da parte della persona degli atteggiamenti che sono stati alla base della condotta penalmente sanzionata, nella prospettiva di un reinserimento sociale compiuto e duraturo”; la previsione dell’art. 176 c.p., che subordina la concessione della liberazione condizionale della pena al ravvedimento del reo; la previsione dell’art. 179 c.p., che impedisce la concessione della riabilitazione quando il condannato non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato; le disposizioni di cui alla legge anticorruzione 69/2015. Il Tavolo dovrà altresì: coordinare la disciplina delle condotte riparatrici, previste agli artt. 1 e 2 del ddl n. 2798/2014 come causa di estinzione del reato, con l’istituto della sospensione condizionale della pena; individuare quali programmi di giustizia riparativa possano costituire “momenti qualificanti del [il] percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative” in base alla delega conferita al Governo ex art. 26 lett. d) ddl 2798/2014”.

[11] Per M. Bortolato, Le misure alternative tra prassi applicative ed esigenze di riforma, cit., p. 1530: “Tutto ciò detto, la conclusione finale non può peraltro che essere sempre la stessa: la prospettiva futura deve essere la totale revisione del sistema sanzionatorio nell’ambito delle proposte di riforma del codice penale posto che nella sostanza le misure alternative sono ormai parte integrante dell’attuale sistema sanzionatorio penale. La riforma del nostro sistema penitenziario è impensabile infatti al di fuori di una più vasta prospettiva riformatrice che, in primo luogo, riguardi il catalogo dei reati e quello delle pene, perché , se c’è un difetto originario nell’ordinamento del 1975 – pur sempre la legge su cui si continua ad incidere con le ipotesi di riforma – esso è proprio la frattura fra codice penale e fase esecutiva (il legislatore del 1975 non aveva come obiettivo una modifica del sistema sanzionatorio quanto piuttosto la riforma del regime detentivo e il suo adeguamento alla finalità rieducativa della pena). Si tratta peraltro di mettere in campo azioni congiunte senza le quali il sistema sanzionatorio del nostro Paese resterà simile ad un colosso che poggia su una sola gamba (il regime detentivo): per quanto si possa rinforzarla non riuscirà mai a reggere il peso di tutto il corpo e sarà sempre in una condizione di equilibrio precario sul punto di crollare ad ogni sollecitazione critica, com’è avvenuto in questi ultimi anni (che hanno prodotto, come ben si sa, una severa condanna dell’Italia in sede europea)”.

[12] In particolare, nei principi 21 – 23 si statuisce che: “21. There should be regular consultation between criminal justice authorities and administrators of restorative justice programmes to develop a common understanding of restorative processes and outcomes, to increase the extent to which restorative programmes are used and to explore ways in which restorative approaches might be incorporated into criminal justice practices. 22. Member States should promote research on and evaluation of restorative justice programmes to assess the extent to which they result in restorative outcomes, serve as an alternative to the criminal justice process and provide positive outcomes for all parties. 23. Restorative justice processes may need to undergo change in concrete form over time. Member States should therefore encourage regular, rigorous evaluation and modification of such programmes in the light of the above definitions”.

Dott. Francesco Chiechi

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