Gli interessi di mora non possono integrare una fattispecie usuraria se il tasso è legalmente stabilito

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Di particolare interesse è l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del Tribunale di Milano, dott. Claudio Antonio Tranquillo, depositata in data 2 febbraio 2016, che si è occupata del carattere usurario degli interessi di mora relativi al contratto di leasing intercorso tra la società ricorrente e una banca.

Con il provvedimento in esame, il Giudice spiega le ragioni per cui non è possibile ritenere che gli interessi di mora integrino una fattispecie usuraria, sintetizzandole in sette argomenti:

  1. In primis il Tribunale rileva che “il tasso di mora ai sensi dell’art. 1284 c.c., in difetto di accordi inter partes, è pari a quello previsto dalla normativa speciale sui ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali”.  In particolare osserva che, ex art. 2 lett. e) del D. Lgs. n. 231 del 2002, per le transazioni concluse dall’1.1.2013, il tasso degli interessi di mora è pari a un tasso di riferimento maggiorato di otto punti percentuali, mentre in precedenza l’incremento previsto era di sette punti percentuali, e assumeva come tasso base un tasso di riferimento della Bce meglio descritto nella previgente lettera della disposizione.
  2. Ci sono stati casi in cui il tasso soglia è risultato inferiore al tasso di mora e, secondo il Tribunale di Milano, un tasso legalmente stabilito non può essere anche usurario e per evitare l’impasse bisogna rivedere la premessa e ipotizzare che gli interessi moratori non siano usurari.
  3. Il T.E.G.M., sulla cui base viene calcolato il tasso soglia, non fa riferimento agli interessi moratori ma solo a quelli corrispettivi.
  4. L’art. 1, comma 1, del D.L. n. 394 del 2000, convertito nella L. n. 24 del 2001, sancisce che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p.  e dell’art. 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. In virtù del fatto che è sancita una definizione ai fini applicativi di una norma, che fa riferimento al concetto di interessi corrispettivi, ossia l’art. 644 c.p., da ciò consegue  che non è possibile ampliare l’ambito del significato proprio della stessa. Essendo il D.L. n. 394 del 2000 emanato al fine di risolvere il problema della  c.d. “usura sopravvenuta”, il richiamo “a qualunque titolo” siano stati convenuti gli interessi non elide il riferimento al concetto di interessi corrispettivi.
  5. Gli interessi corrispettivi e quelli moratori hanno una funzione diversa tra loro e hanno in comune la modalità di calcolo. Gli interessi moratori hanno però una funzione, che è quella risarcitoria, diversa rispetto a quella degli interessi corrispettivi.
  6. Anche se il debitore è tenuto a pagare gli interessi moratori usurari ciò non significa lasciarlo in balia del creditore, poiché  esiste la tutela prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f) del codice del consumo, nonché la possibilità di riduzione ad equità ex art. 1834 c.c. negli altri casi.
  7. L’art. 1815 c.c. fa riferimento agli interessi corrispettivi e il suo secondo comma deve essere letto in relazione al primo, che contempla una norma relativa alla struttura del contratto. Tutto ciò comporta secondo il Tribunale, una conclusione paradossale a carico dei sostenitori della tesi del carattere usurario anche degli interessi di mora, poiché in caso di interessi corrispettivi moratori nulla è dovuto  in costanza fisiologica di rapporto, ma certo in caso di inadempimento non c’è ragione di derogare all’ordinaria  responsabilità ex art. 1218 c.c., e di conseguenza alla produzione di interessi ex artt. 1282 e 1224 c.c.. Al contrario se ad entrare nel tasso soglia fossero gli interessi corrispettivi, e usurari quelli moratori, la tesi in contestazione comporterebbe che nulla è dovuto anche in caso di ritardato pagamento.

Tutte queste problematiche non sono state esaminate dalla Suprema Corte nella sentenza n. 350 del 2013, che ha ripreso ad applicare il concetto di interesse usurario anche ai tassi di mora, seguendo il ragionamento della Corte Costituzionale nella sentenza n. 29 del 2002. Ebbene, il Tribunale di Milano ritiene che quello contenuto nella pronuncia della Corte Costituzionale è un inciso integrante un mero obiter dictum, peraltro alquanto superficiale  e il giudice di legittimità, cui rinvia la stessa Corte Costituzionale, si è pronunciato con le sentenze nn. 5324/2003, 5286/2000 e 1126/1999. Secondo il Giudice “in nessun caso la questione ha costituito la ratio decidendi della sentenza”.

In base ai suddetti rilievi, il Tribunale di Milano ha ritenuto infondata la pretesa di parte ricorrente ed ha rigettato la relativa domanda.

Sentenza collegata

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Avv. De Luca Maria Teresa

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