Giudizio abbreviato: pena ridotta unitariamente o per ogni tipo di reato?

Cassazione: in giudizio abbreviato, riduzione pena distinta per delitti (⅓) e contravvenzioni (½) in caso di reato continuato.

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Nel giudizio abbreviato, la riduzione della pena in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni va applicata in misura unitaria o distinta per ciascuna specie di reato? Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Corte di Cassazione -SS. UU. pen.- sentenza n. 27059 dep. 23-07-2025

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Indice

1. Il fatto


La Corte di Appello de L’Aquila confermava una decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Chieti, all’esito di rito abbreviato, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 200 di multa per i reati di cui agli artt. 56, 624 e 707 cod. pen., applicata l’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., ritenuta equivalente alla recidiva reiterata specifica infraquinquennale, e considerata la continuazione criminosa tra gli stessi reati.
Ciò posto, avverso la sentenza emessa dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, cioè il vizio di violazione di legge e di carenza di motivazione in relazione agli artt. 442 cod. proc. pen. e 81 cod. pen.
In particolare, il ricorrente eccepiva la mancata risposta al motivo d’impugnazione avente ad oggetto le modalità di determinazione della pena e la riduzione per la diminuente del rito abbreviato nel reato continuato, sostenendosi al contempo che ol motivo d’appello, con cui la difesa chiedeva che si applicasse la riduzione dovuta per il rito in maniera disgiunta tra delitto e contravvenzione – di un terzo per il primo e della metà per la seconda -, non era stato in alcun modo specificamente trattato nella motivazione della sentenza impugnata, facendosene conseguire da ciò, secondo la prospettazione difensiva, il vizio di carenza di motivazione e la riproposizione delle medesime ragioni di violazione di legge, dedotte in appello, anche nel ricorso per cassazione.
La sanzione era stata infatti calcolata dal Tribunale aumentando la pena base per il delitto di tentato furto (stabilita in mesi quattro di reclusione ed Euro 200 di multa) nella misura di mesi due di reclusione ed Euro 100 di multa, a titolo di continuazione con la contravvenzione satellite di cui all’art. 707 cod. pen., e operando su tale computo (pari a mesi sei di reclusione ed Euro 300 di multa) la riduzione per il rito abbreviato stabilita ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nella misura complessiva di un terzo, secondo l’entità prevista per i delitti da tale disposizione processuale e considerata l’unitarietà del reato continuato.
Oltre a ciò, la difesa denunciava che la Corte territoriale, confermando la sentenza di condanna anche nel trattamento sanzionatorio, aveva in tal guisa avallato l’erronea determinazione della pena, resa in violazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., tenuto conto che il riconoscimento della continuazione non muta la natura autonoma dei reati in relazione alla misura della diminuente prevista per legge, sicché la sanzione avrebbe dovuto essere pari a mesi tre e giorni venti di reclusione, oltre ad Euro 183 di multa, rappresentando, altresì, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale riguardo al tema dedotto e sostiene la tesi maggioritaria secondo cui, ove si sia proceduto con giudizio abbreviato e si sia riconosciuta la continuazione tra delitti e contravvenzioni, la riduzione per il rito deve essere effettuata distintamente sulla pena base e sugli aumenti di pena: per le contravvenzioni nella misura della metà e per i delitti nella misura di un terzo. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: se, in tema di giudizio abbreviato, la riduzione debba essere operata nella misura unitaria o debba essere effettuata distintamente sugli aumenti di pena


La Sezione assegnataria del suddetto ricorso, vale a dire la Quinta Sezione, evidenziava l’esistenza di un primo e maggioritario orientamento, secondo cui la disposizione introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha modificato l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., impone di applicare sempre, alle contravvenzioni, la nuova diminuente prevista nella misura della metà, anche qualora queste ultime costituiscano reati satellite in continuazione criminosa con ipotesi delittuose, alle quali soltanto, invece, deve essere riservata la riduzione di un terzo, sia come ipotesi base del reato continuato che come delitti satellite eventualmente posti in continuazione con quello più grave.
Nel dettaglio, tale opzione, che richiama a sostegno alcune sentenze delle Sezioni Unite (tra le quali Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, e Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018), ritiene che una simile scelta sia più aderente alla volontà legislativa di introdurre una norma di favore, dal carattere processuale, ma con effetti sostanziali, oltre che alla ratio del reato continuato, rilevandosi al contempo come sianoascrivibili a questo indirizzo le seguenti pronunce: Sez. 6, n. 17842 del 18/01/2024; Sez. 2, n. 33454 del 4/4/2023; Sez. 1, n. 39087 del 25/05/2019; Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019; Sez. 6, n. 4199 del 18/01/2022; Sez. 5, n. 42199 del 17/09/2021; Sez. 6, n. 28021 del 25/06/2021; Sez. 7, n. 16311 del 04/02/2021; Sez. 1, n. 1438 del 06/10/2020, dep. 2021, omissis, non mass.; Sez. 1, n. 33051 del 23/09/2020; Sez. F., n. 32176 del 25/08/2020, omissis (nonché, implicitamente, Sez. 5, n. 1168 del 29/11/2023).
Invece, un secondo orientamento, minoritario ma accolto nella fattispecie concreta nella fattispecie qui in esame – in maniera esplicita dal Tribunale e implicitamente dal giudice d’appello – ritiene che, nel caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, la riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. debba essere operata nella misura unitaria di un terzo per i delitti, essendo la pena del reato continuato parametrata necessariamente a quella del delitto posto sempre a base della continuazione (si richiama Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, secondo cui il giudizio di maggior gravità discendente direttamente dalle scelte del legislatore obbliga a considerare nel reato continuato, in caso di concorso tra delitto e contravvenzione, sempre più grave il primo rispetto alla seconda).
In particolare, l’opzione ermeneutica in questione valorizza anche l’ordine che il giudice deve seguire nelle operazioni di calcolo della pena, come indicato dalla pronuncia Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, che ha affermato il principio in base al quale la diminuzione per il rito abbreviato è operazione commisurativa che si colloca a valle delle altre, ivi compresa quella operata ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen., venendo segnalata in tal senso, tra le altre: Sez. 2, n. 40079 del 17/01/2023; Sez. 6, n. 48834 del 07/11/2022; Sez. 3, n. 41755 del 06/07/2021, nonché, tra le sentenze non massimate, Sez. 6, n. 51221 del 06/10/2023, e Sez. 2 n. 38440 del 13/09/2023.

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite


Le Sezioni unite – dopo avere delimitato la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale (nei seguenti termini: “Se, in tema di giudizio abbreviato, la riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1, comma 44, legge 23 giugno 2017, n. 103, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, debba essere operata nella misura unitaria di un terzo ovvero debba essere effettuata distintamente sugli aumenti di pena disposti per te contravvenzioni nella misura della metà e su quelli disposti per i delitti nella misura di un terzo”), delineati gli aspetti giuridici della diminuente prevista dal comma 2 dell’art. 442 del cod. proc. pen. per il giudizio abbreviato, con particolare riguardo alla sua natura, analizzati il reato continuato, la sua natura e disciplina ed esaminati (e approfonditi) i contrapposti orientamenti nomofilattici formatisi in subiecta materia – affermavano come fosse preferibile il primo, maggioritario orientamento, in quanto (reputato) più rispettoso dell’idea ispiratrice della natura “processuale ad effetti sostanziali” della diminuzione di pena prevista, in un’ottica premiale, per il rito abbreviato, nonché della visione “multifocale” del reato continuato, guidata necessariamente dal principio del favor rei nell’individuare la disciplina – ora unitaria ora pluralistica – da applicare nelle diverse ipotesi di interazione tra l’art. 81, secondo comma, cod. pen. ed altri istituti.
In particolare, siffatte Sezioni notavano innanzitutto che il carattere cogente, categorico, tassativo e inderogabile della riduzione per la diminuente del rito abbreviato, nella nuova misura stabilita dalla legge per i reati contravvenzionali, è stato esplicitamente e condivisibilmente già affermato da Sez. U n. 7578 del 17/12/2020, con cui si è evidenziata la natura di disposizione di favore della norma che prevede la diminuente nel rito abbreviato e si è stabilito il principio – di estrema suggestione ermeneutica – della necessaria applicazione della più favorevole riduzione della metà, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado sia inferiore al minimo edittale.
Premesso ciò, si riteneva quindi come la cogenza della diminuente, applicata anche a dispetto dei limiti edittali se porta a risultati più favorevoli all’imputato, non possa che declinarsi anche rispetto alla questione della misura della sua applicazione al reato continuato “bicromo”, in cui convivano delitti e contravvenzioni.
Invero, per la Suprema Corte, la visione multifocale, che costituisce la necessaria lente funzionale, attraverso la quale leggere l’istituto del reato continuato, e percepire il suo carattere imprescindibilmente “di favore” per l’imputato, doveva essere ribadita: essa muove dalla tendenziale autonomia dei reati che compongono la continuazione criminosa, ispirata dalla necessità di giungere al risultato più favorevole, mentre l’unitarietà va applicata se espressamente prevista o se conduce, eventualmente, al medesimo risultato di maggiore convenienza sanzionatoria per l’imputato, deducendosi contestualmente che il carattere flessibile dell’istituto del reato continuato si configura come un indicatore della sua natura più profonda e riflette il suo doppio volto, unitario o pluralistico, in funzione del favor rei.
L’unitarietà del reato continuato, dunque, per gli Ermellini, non è il fine ma il mezzo; essa si flette e si modella secondo un unico formante: il principio del favor rei che equivale, in concreto, alla scelta della soluzione che consenta di giungere al risultato più favorevole.
Ciò posto, a questo punto della disamina, ad avviso del Supremo Consesso, con riferimento alla questione all’esame delle Sezioni unite nel caso di specie, a ben vedere, non si ravvisava nell’ordinamento un precetto o un principio che imponga di applicare la diminuente seguendo una logica unitaria, mentre il legislatore prevede la disgiunta e differente misura di essa per delitti e contravvenzioni, che è anche la scelta che garantisce il trattamento sanzionatorio meno afflittivo.
L’opzione minoritaria, non condivisibile, valorizza la parte di Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018, dedicata alla teorizzazione del principio di unicità del reato continuato sotto il profilo sanzionatorio, ma dimentica la complessità della ricostruzione della disciplina del reato continuato che, proprio ed anche sotto il profilo sanzionatorio, le Sezioni Unite hanno svolto in quella stessa sentenza (in cui, peraltro, si sottolinea l’autonomia delle fasi valutative antecedenti al calcolo unitario della pena ex art. 81 cpv. cod. pen., confermata anche dalla lettera del comma 2 dell’art. 533 del codice di rito e dalla procedura bifasica ivi prevista) visto che, in tale pronuncia, si riafferma, esplicitamente, che la perdita della autonomia sanzionatoria dei reati satellite nell’ambito del reato continuato non comporta affatto l’irrilevanza della valutazione della gravità di tali reati singolarmente considerati.
Ebbene, lungi dall’adesione ad una logica unitaria del reato continuato che opprime le istanze di autonomia dei reati satellite, le Sezioni Unite enfatizzano, anzi, la valorizzazione di questi ultimi in chiave sanzionatoria, per giungere ad una effettiva “legalità” della pena del reato continuato comunque composto fermo restando che, nello stesso solco di pensiero, si iscrive il principio sancito da Sez. U, n. 47127 del 24/6/2021, che offre un ulteriore tassello fondamentale alla scelta in favore dell’orientamento maggioritario.
In tale pronuncia, infatti, le Sezioni Unite fondano (in modo reputato nella pronuncia qui in commento “condivisibile”) l’obbligo di adeguata motivazione e l’importanza della giustificazione argomentativa per i singoli aumenti collegati ai reati satellite della continuazione criminosa proprio sulla necessità di consentire il controllo di proporzionalità e adeguatezza della misura di tali aumenti, che concorrono a definire il disvalore concreto della fattispecie e contribuiscono alla necessaria individualizzazione della pena, nel rispetto dei principi di eguaglianza e colpevolezza, secondo il dettato costituzionale (cfr., sul tema, Sez. U, n. 33040 del 28/07/2015, par. 5 del Considerato in diritto).
Chiarito ciò, tornando alla questione sottoposta al Collegio ed applicando le linee interpretative sin qui sintetizzate, le Sezioni unite giungevano ad affermare che, alla valutazione autonoma del disvalore di ciascuno dei reati avvinti dalla continuazione, corrisponde e fa eco la differente misura della riduzione premiale prevista dal legislatore, più significativa per le contravvenzioni piuttosto che per i delitti, coerentemente al giudizio astratto di gravità degli uni e delle altre.
In altri termini, se si vuol rispettare pienamente l’autonomia logica delle singole componenti del reato continuato – ma, prima ancora, la scelta valoriale operata dal legislatore con la differenziazione della risposta sanzionatoria per delitti e contravvenzioni, anche sotto il profilo della riduzione automatica premiale abbinata all’opzione del rito abbreviato – la valutazione legislativa di maggior incidenza della diminuente prevista per i reati contravvenzionali dalla disposizione del secondo comma dell’art. 442 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 103 del 2017, non può essere cancellata da un’applicazione della disciplina del reato continuato che travolga i principi generali di scissione della continuazione quando questa determini effetti sfavorevoli per l’imputato, tenuto conto altresì del fatto che tali principi costituiscono, come si è spiegato, patrimonio oramai consolidato della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità.
La Corte costituzionale, del resto, con la sentenza n. 115 del 1987, cit., ha fornito una chiara lettura “orientata” al favor rei della disciplina del reato continuato, che predica la sua scissione, parziale o totale, ogni qualvolta l’unificazione si risolva a danno dell’imputato.
Le affermazioni del giudice delle leggi, rilevavano le Sezioni unite nella pronuncia qui in commento, sono inequivoche: dopo la riforma del 1974, il problema dell’unità o della pluralità di reati o, meglio, dell’unità reale o fittizia dei reati, non conserva più importanza, atteso che nella realtà esistono più reati ontologicamente distinti che vengono unificati ai fini sanzionatori.
Il fatto che, talvolta, i vari reati, uniti dalla continuazione, possano essere dalla legge considerati separabili dipende quindi, per la Corte, proprio dalla natura stessa della continuazione che trova la sua giustificazione nella indulgentiae causa.
Secondo la Corte costituzionale, ogniqualvolta l’unificazione produca effetti sfavorevoli a danno dell’imputato, è lecito operare la scissione parziale o totale dato che l’istituto della continuazione è “sempre più orientato ad ovviare in ogni modo alle eccessività sanzionatone derivanti dal concorso materiale di reati, specie nei confronti di un codice noto per il sostenuto rigore delle pene”.
Anche le sentenze Corte cost. nn. 324 del 2008 e 361 del 1994, d’altronde, restituiscono un’idea di continuazione criminosa intesa come istituto ispirato necessariamente al principio del favor rei.
In particolare, la pronuncia n. 324 del 2008 ha rilevato che la precedente formulazione dell’art. 158 cod. pen. – secondo cui la prescrizione andava calcolata considerando il dies a quo dalla data di cessazione del reato continuato – non costituiva espressione di una regola generale di unitarietà del reato continuato, ma, all’opposto, andava ritenuta una norma speciale, mentre, al contrario, la disciplina di carattere generale è quella che considera autonomamente ciascun reato legato dal vincolo della continuazione.
Tale affermazione rimane, per le Sezioni unite, valida tuttora, ancorché la disciplina dell’art. 158 cod. pen. sia stata, in proposito, nuovamente modificata – ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. d), I. 9 gennaio 2019, n. 3 – e attualmente preveda, così come un tempo (prima della modifica intervenuta con legge 5 dicembre 2005, n. 251), che il termine della prescrizione decorre per il reato continuato dal giorno in cui è cessata la continuazione poiché si conferma in tal guisa che, affinché operi il criterio di considerazione unitaria del reato continuato in senso sfavorevole all’imputato, è necessaria un’espressa previsione legislativa.
A quanto fin qui esposto, dunque, se ne faceva conseguire che, se lo scopo ultimo dell’istituto del reato continuato è la mitigazione del trattamento sanzionatorio da applicarsi in concreto all’imputato (o al condannato), tale mitigazione deve esprimersi anche attraverso l’ordine di misura della riduzione per il rito premiale, diversificata per delitti e contravvenzioni.
La differente misura della diminuente rivela, infatti, una valutazione “a monte” del legislatore in merito al disvalore astratto del reato, per macrotipologie (delitti e contravvenzioni), sia pure nell’ottica – diversa da quella che sovrintende al procedimento commisurativo del giudice basato sui delta edittali – di una riduzione automatica, premiale ed in misura fissa del trattamento sanzionatorio, collegata alla scelta del rito da parte dell’imputato.
Orbene, dal momento che la diminuente è disposizione processuale dagli effetti sostanziali, in quanto incidente sul trattamento sanzionatorio in concreto inflitto, la Suprema Corte giungeva alla conclusione secondo la quale la metodologia del calcolo della pena del reato continuato da privilegiare è quella che adegua gli effetti del trattamento sanzionatorio alle indicazioni del legislatore, con le quali, a monte ed in astratto, si è operata una valutazione di ridotta risposta sanzionatoria nei riguardi di chi si renda autore di un reato contravvenzionale e scelga il rito abbreviato, potendosi, pertanto, affermare che, in caso di riconoscimento della continuazione tra delitti e contravvenzioni, l’applicazione di distinte diminuzioni di pena nell’ipotesi di giudizio abbreviato consente di conservare l’incidenza sulla pena complessiva del disvalore astratto di ciascuna tipologia di reato e, al contempo, di attribuire a tale disvalore valenza concreta nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
Tra l’altro, per le Sezioni unite, l’adesione ad una logica di scissione della continuazione, al fine di consentire il calcolo separato della riduzione premiale da operare per delitti e contravvenzioni, in coerenza con il dettato normativo di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., bene si armonizza con le indicazioni offerte da Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018, anche in relazione alle modalità del computo dell’aumento per la continuazione tra reati puniti con pene di genere e specie diversi.
I criteri guida ed il catalogo esemplificativo sono per le Sezioni unite, d’altronde, ben noti e possono essere agevolmente applicati nel caso oggetto della presente decisione, tenendo conto che il delitto è sempre più grave della contravvenzione, per le conseguenze più gravi che l’ordinamento riconnette alla sua commissione.
Pertanto, per la Corte, la pena base del reato continuato composto da delitti e contravvenzioni è sempre costituita da quella del delitto più grave.
In caso di giudizio abbreviato, la riduzione distinta per le contravvenzioni ed i delitti va dunque applicata dopo aver proceduto ad individuare la pena base e gli aumenti per ciascuno dei reati satellite in continuazione (delitti e contravvenzioni o solo contravvenzioni), secondo le indicazioni fornite da Sez. U, n. 40983 del 21/6/2018 fermo restando che, all’esito di tali operazioni, per giungere alla pena finale, si devono sommare i risultati così ottenuti.
Pertanto, nel caso in cui – come nella fattispecie in esame – il delitto base sia punito con pena congiunta e la contravvenzione satellite con la sola pena detentiva, si deve anzitutto determinare la pena base in concreto secondo le ordinarie regole, in modo tale che si procederà a individuare la pena del reato satellite a titolo di aumento per la continuazione; successivamente, tale aumento e la sanzione del delitto base saranno ridotti per il rito: il primo della metà e la seconda di un terzo; infine, all’esito di tale calcolo, le pene così ottenute dovranno essere sommate per dar luogo alla sanzione finale.
Per il Supremo Consesso, nel rapporto tra reato continuato e diminuente per il rito abbreviato, il reato satellite, in definitiva, abdica alla sua autonomia, ma lo fa all’esito del calcolo della pena e della riduzione premiale nella misura prevista dal legislatore, che la individua con carattere di inderogabilità sia nell’an che nel quantum (“la pena che il giudice determina è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto”).
Ebbene, alla luce delle considerazioni sin qui svolte (oltre a quelle altre addotte nella decisione qui in commento a cui si rimanda alla lettura del testo qui in analisi), per gli Ermellini, perde vigore anche l’obiezione dell’orientamento minoritario, secondo cui il calcolo unitario di un terzo per la misura della diminuente si atteggerebbe come l’unico rispettoso del principio dettato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 45583 del 25/10/2007 che colloca in coda ad ogni altra operazione di calcolo sanzionatorio, e dunque anche alla determinazione della pena per il reato continuato, la riduzione dovuta per il rito abbreviato giacchè l’orientamento minoritario non tiene conto di tre considerazioni dotate di significativo rilievo: a) la soluzione di Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007 era imposta dalla necessità di scongiurare il paradosso di vanificare lo stesso effetto premiale dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. nel caso peculiare in esame e con l’obiettivo di evitare la sterilizzazione del criterio derogatorio di cui all’art. 73, secondo comma, cod. pen. (l’applicazione sostitutiva dell’ergastolo, quale criterio moderatore del cumulo materiale) in guisa tale che in siffatta ottica, ed ispirate dalla finalità di ottenere l’effetto più aderente alla disciplina “di favore” doppiamente prevista dal legislatore nel reato continuato e nel rito abbreviato, le Sezioni Unite hanno stabilito che la riduzione deve applicarsi dopo che la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene stabilite dagli artt. 71 ss. cod. pen., fra le quali vi è anche la disposizione limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta; b) all’epoca della decisione delle Sezioni Unite n. 45583 del 25/10/2007, l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. non distingueva tra diverse entità di riduzioni premiali per delitti e contravvenzioni, poiché tale previsione è stata introdotta solo nel 2017 dal legislatore: con tale scelta le Sezioni Unite, in quella sentenza, non hanno potuto certo confrontarsi e, dunque, da essa non può desumersi alcun ostacolo a ragionare diversamente con riguardo alla questione controversa analizzata nella fattispecie in esame fermo restando che, sotto codesto secondo profilo, sempre per le Sezioni unite, è la ratio più profonda di Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007 ad armonizzarsi con la tesi che ritiene applicabile la diminuente in maniera tale da ottenere l’effetto più favorevole per l’imputato e, al contempo, più coerente con la previsione di legge; c) anche l’opzione che promuove il calcolo distinto della diminuente per delitti e contravvenzioni prevede un momento sanzionatorio “unificante” della continuazione, costituito dall’operazione di addizione finale delle pene del delitto base e della contravvenzione satellite, distintamente ridotte per il rito.
Di conseguenza, per le Sezioni unite, tale procedimento di determinazione sanzionatoria, più che smentire l’assunto secondo cui la diminuente debba essere applicata per ultima, anche dopo la continuazione, ne costituisce una precisazione in un’ipotesi che, oggi, è imposta dalla nuova formulazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., facendosene discendere da ciò che il principio di Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007 rimane, dunque, valido e si adatta al reato continuato “bicromo”, composto, cioè, da delitti e contravvenzioni, in relazione al quale le diminuenti per i singoli elementi che lo costituiscono devono rispettare il criterio legale cogente e distinto dettato dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.: la metà della pena in concreto determinata, per le contravvenzioni, ed un terzo della pena in concreto determinata, per i delitti.
Ulteriori ragioni, d’altronde, sempre per gli Ermellini, in questo caso, di ordine sistematico, impongono di scegliere, tra le diverse opzioni disponibili, quella qui accolta.
In particolare, una prima considerazione veniva fatta ricondurre una valutazione di coerenza logica generale: se i due istituti – quello della continuazione e quello della diminuente per il rito – sono entrambi di favore per l’imputato, la loro interrelazione non può produrre come effetto quello di sterilizzare la disposizione normativa più favorevole prevista per le contravvenzioni (vale a dire la riduzione della metà della sanzione determinata) visto che a ritenere, altrimenti, ragioni legate a dinamiche procedimentali varie e casuali (ad esempio, scelte soggettive dell’imputato o la decisione di procedere con processi separati o riuniti da parte dell’autorità giudiziaria), per la Corte, influenzerebbero la concreta applicabilità della diversa misura della diminuente prevista dal legislatore nel rito abbreviato relativo al reato continuato e condurrebbero a conseguenze di parziale abrogazione di una norma processuale ad effetti sostanziali favorevoli all’imputato (la nuova disposizione sulla diminuente per le contravvenzioni, infatti, non si applicherebbe mai in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni).
Inoltre, sempre secondo le Sezioni unite, la soluzione proposta dai fautori dell’orientamento minoritario confligge con la natura e la funzione dell’istituto della continuazione per come sin qui delineata, che punta alla massima espansione del principio del favor rei.
Orbene, le Sezioni unite, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, dopo avere enunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso di delitti e contravvenzioni posti in continuazione e oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione per il rito ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, va operata, sulla pena inflitta per i delitti, nella misura di un terzo e, sulla pena applicata per le contravvenzioni, nella misura della metà”, stimavano necessario esaminare un tema connesso e conseguenziale, vale a dire se la pena erroneamente determinata in violazione dell’esatta lettura della disposizione ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., oggi affermata dalle Sezioni Unite, configuri un’ipotesi di pena illegale o di pena (solo) illegittima, trattandosi di una questione che rientra direttamente nell’esame del quesito sottoposto alle Sezioni Unite, i cui effetti, ossia quelli che derivano dalla scelta tra l’una e l’altra opzione condizionano la possibilità di rilevare anche d’ufficio, da parte della Corte di Cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, la violazione di legge non dedotta e la possibilità di incidere sul giudicato relativo al trattamento sanzionatorio, secondo le indicazioni della giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite.
Ciò posto, per la Corte, l’analisi delle sentenze espressive dell’orientamento maggioritario, confermato in tale occasione, dimostra come il rischio di possibili equivoci sul tema esista concretamente e vada superato ai fini di un compiuto esercizio della funzione nomofilattica da parte del Collegio dal momento che, tra le pronunce ascritte all’opzione secondo cui la diminuente per il rito abbreviato, nel caso di reato continuato tra delitto e contravvenzione, va calcolata in modo distinto, alcune hanno evocato esplicitamente la categoria della pena illegale in caso di sanzione erroneamente determinata con riduzione unitaria di un terzo calibrata sul delitto (cfr. Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, e Sez. 1, n. 1438 del 6/10/2020; tra quelle massimate, Sez. 1, n. 39087 del 25/05/2019).
Il tema dell’illegalità o meno della pena, invero, per la Corte, determinata attraverso un’applicazione della diminuente non corrispondente alla misura indicata dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dalla novella del 2017, è stato già affrontato dalle Sezioni Unite.
In particolare, Sez. U, n. 47182 del 31/3/2022, sono giunti a condivisibili approdi, suscettibili di applicazione anche nell’ipotesi oggi all’esame del Collegio, ancorché resi in generale, in relazione alla mancata applicazione della riduzione normativamente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. in caso di contravvenzione.
Per di più, codeste Sezioni, nella citata pronuncia, hanno affermato che, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di pena illegittima e non già di pena illegale, con conseguente preclusione alla deduzione, mediante ricorso in cassazione, della questione non precedentemente prospettata con i motivi d’appello.
La motivazione della sentenza n. 47182 del 31/3/2022, del resto, ravvisavano sempre le Sezioni unite nella pronuncia qui in commento, ha posto a sostegno della propria conclusione una completa ricognizione del tema della pena illegale, basata sulla giurisprudenza anzitutto di siffatte Sezioni, seguendone l’evoluzione che ne ha via via affinato la casistica, ed ha ricostruito gli approdi ermeneutici relativi al rapporto tra inammissibilità del ricorso, giudicato sostanziale ed illegalità della pena, che devono essere qui richiamati e ribaditi, determinando in tal modo una linea interpretativa, confermata pure in questa decisione, la quale fissa il perimetro della nozione di pena illegale, compendiandolo nell’affermazione secondo cui la pena può dirsi illegale ab origine quando, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi – qualitativamente (genere e specie) o quantitativamente (minimo e massimo edittali) – al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal legislatore, oppure quando è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole (cfr., oltre alla citata sentenza Sez. U n. 47182 del 31/3/2022: Sez. U, n. 877 del 14/7/2022; Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022; Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015; Sez. U, n. 33040 del 28/07/2015; Sez. U, n. 37107 del 26/2/2015; Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014; Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013; vedi anche, Sez. U, n. 5352 del 28/9/2023).
Ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere configura, invece, per la Corte, un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo ad una pena illegittima, perché determinata sulla base della errata applicazione della legge o perché non giustificata secondo il modello argomentativo normativamente previsto.
Solo la pena che non sia prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento, sovverte le valutazioni valoriali riservate al legislatore e travolge il caposaldo della prevedibilità della sanzione, presupposto essenziale di una responsabilità penale che voglia farsi rispettosa del principio di colpevolezza e corrispondere all’art. 7 CEDU, secondo la lettura che di esso propone la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU, 22 gennaio 2013, Camilleri c. Malta; Corte EDU, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna; Corte EDU, GC, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro).
Se dunque questo è il perimetro di configurabilità della pena illegale, per le Sezioni unite, non risulta tale la pena che sia frutto di una determinazione erronea della diminuente ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen., sempre che detta pena rimanga all’interno dei limiti edittali previsti per la fattispecie di reato.
Invero, l’erronea determinazione della diminuente – che non attiene al procedimento commisurativo della pena fondato sui limiti edittali – non genera conseguenze di illegalità tout court, ma solo se eccede i limiti qualitativi e quantitativi previsti dall’editto sanzionatorio, secondo le indicazioni già fornite dalle Sezioni Unite in passato.
Le conclusioni cui giunge la sentenza Sez. U, n. 47182 del 31/3/2022 conservano per la Corte valore anche nel caso in cui, applicando la diminuente per il rito abbreviato all’ambito del reato continuato, il giudice abbia calcolato, per una o più contravvenzioni “satellite”, la riduzione nella misura di un terzo anziché della metà, sul presupposto dell’unitarietà del fenomeno della continuazione quoad poenam posto che, anche in questa ipotesi, per le medesime ragioni sistematiche, non ci si trova dinanzi ad una pena illegale, ma solo illegittima, se sono esatti genere, specie e quantità della sanzione e la sua misura quantitativa è ricompresa nei limiti edittali stabiliti dalla disposizione incriminatrice.
Le Sezioni unite, di conseguenza, anche alla luce di tale passaggio argomentativo, formulavano l’ulteriore principio di diritto: “In tema di giudizio abbreviato, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, l’erronea determinazione unitaria, nella misura di un terzo, della diminuente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., piuttosto che in maniera distinta con riduzione della metà perle contravvenzioni, integra un’ipotesi di pena illegittima e non di pena illegale, sempre che la sanzione inflitta rientri nei limiti edittali”.

4. Conclusioni: la riduzione per delitti e contravvenzioni posti in continuazione e oggetto di giudizio abbreviato


Con la decisione qui un esame, le Sezioni unite affrontano (ma come vedremo da qui a breve, non solo) la seguente questione: se, in tema di giudizio abbreviato, la riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1, comma 44, legge 23 giugno 2017, n. 103 (ai sensi del quale: “In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto”), in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, debba essere operata nella misura unitaria di un terzo ovvero debba essere effettuata distintamente sugli aumenti di pena disposti per te contravvenzioni nella misura della metà e su quelli disposti per i delitti nella misura di un terzo.
Come appena visto, nella pronuncia qui in commento, le Sezioni unite chiariscono che siffatta riduzione va operata sulla pena inflitta per i delitti, nella misura di un terzo e, sulla pena applicata per le contravvenzioni, nella misura della metà.
Oltre a ciò, codeste Sezioni, pur non essendo oggetto di espressa richiesta di intervento da parte della Sezione semplice rimettente, enunciano un altro principio di diritto, ossia, come visto prima, che, in in tema di giudizio abbreviato, in caso di continuazione tra delitti e contravvenzioni, l’erronea determinazione unitaria, nella misura di un terzo, della diminuente prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., piuttosto che in maniera distinta con riduzione della metà perle contravvenzioni, integra un’ipotesi di pena illegittima e non di pena illegale, sempre che la sanzione inflitta rientri nei limiti edittali.
Le Sezioni unite, quindi, nel provvedimento qui in esame, precisano anche che tipo di pena si viene a configurare laddove ricorra codesta errata determinazione.
Queste sono dunque le novità che connotano la sentenza qui in commento.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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