Frode in commercio: l’evoluzione giurisprudenziale

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Il reato di frode nell’esercizio dell’attività commerciale consiste essenzialmente nella consegna di una cosa mobile per un’altra, ovvero di una cosa mobile per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita.
Ciò che dichiariamo sull’etichetta del prodotto costituisce infatti la “carta d’identità” del prodotto stesso e l’eventuale difformità intenzionale dell’informazione fornita rispetto a caratteristiche rilevanti del bene può costare caro.
La ratio della norma incriminatrice sta infatti nell’intenzione di tutelare e garantire la correttezza e l’onestà delle transazioni commerciali, in una più ampia ottica di salvaguardia dell’economia pubblica, nonché dell’interesse patrimoniale privato.


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Indice

1. Frode in commercio (art. 515 c.p.): le due condotte punite

Il reato di frode in commercio punisce, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto “chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”.
Questo è quanto recita l’art. 515 del Codice penale, che punisce, dunque e in via sussidiaria (“qualora il fatto non costituisca un più grave delitto”, leggasi reato di truffa), due condotte diverse:
1. la consegna di una cosa mobile (ad esempio, un prodotto alimentare, com’è tipico di queste fattispecie di reato) in luogo di un’altra (si parla, tecnicamente, di consegna di aliud pro alio), ovvero,
2. la consegna di una cosa mobile che, con riferimento a talune caratteristiche, è diversa da quella dichiarata o pattuita (con l’acquirente o, come si vedrà, anche il “potenziale acquirente”). Quanto alle caratteristiche rilevanti, la norma fa espresso riferimento all’origine, alla provenienza, alla quantità e alla qualità del bene.
Si tratta, all’evidenza, di concetti molto ampi, i cui contenuti concreti vanno ricercati altrove, all’interno dell’ordinamento giuridico non solo nazionale.
Per avere un quadro unitario delle varie riforme che si sono susseguite nel diritto e nella procedura penale e, quindi, della complessiva normativa vigente, si consiglia il seguente volume.

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2. L’aliud pro alio e le caratteristiche rilevanti dichiarate o pattuite: i messaggi pubblicitari

Ora, infatti, se la prima condotta è comunque di immediata percezione e di più agile individuazione nella sua consumazione, la seconda desta più di un problema interpretativo.
Specie, se si tiene presente che nella nozione di “dichiarazione” di cui all’art. 515 c.p., la giurisprudenza ha ormai da tempo incluso anche i messaggi pubblicitari che abbiano preceduto la materiale offerta in vendita dei prodotti stessi, essendo tale pubblicità pure idonea a trarre in inganno l’acquirente (per un approfondimento, si cita Cassazione Penale, Sez. III, sentenza n. 27105/2008).
Questo l’arresto: il messaggio pubblicitario fraudolento, laddove non superato dalla chiara esplicitazione, al momento della vendita, delle diverse caratteristiche della merce venduta (circa l’origine, la qualità, ecc.), integra la successiva (fraudolenta) proposta di vendita.

3. Il tentativo

Addirittura, la semplice esposizione di immagini pubblicitarie, non corrispondenti al vero, del prodotto offerto, è idonea a configurare la condotta di reato, stante la natura diretta a incentivare la consumazione del prodotto medesimo.
Infatti, il tentativo del reato di cui all’art. 515 c.p., è configurato e si verifica quando l’alienante compie atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare all’acquirente una cosa per un’altra ovvero una cosa, per origine, qualità o quantità diversa da quella pattuita o dichiarata (Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 19/10/2017) 01/02/2018, n. 4735).
E, si badi bene, l’eventuale mancato controllo della merce da parte dell’acquirente non è affatto idoneo ad escludere la consumazione del delitto in questione , essendo irrilevanti sia l’atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, sia la possibilità per l’acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta (Corte Appello di Brescia Brescia, 25/11/2013); questo perché -come accennato – il bene giuridico tutelato va individuato nel leale esercizio di tale attività.
Ne consegue che la condotta tipica punita consiste nella consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto, indipendentemente dal fatto che l’agente abbia usato particolari accorgimenti per ingannare il compratore o dalla circostanza che quest’ultimo potesse facilmente, applicando normale attenzione e diligenza, rendersi conto della difformità tra merce richiesta e consegnata (Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 18/11/2016, n. 54207).
Ecco perché, ancora, l’elemento soggettivo è quello del dolo generico, presupponendo quindi la sola coscienza e la volontà di consegnare una cosa diversa per specie, origine, provenienza, qualità o quantità da quella pattuita, senza che sia richiesto altro fine o particolari modalità ingannatorie (Tribunale Ivrea, 04/03/2015, n. 26).

4. La responsabilità 231

L’articolo 515 c.p. è un reato procedibile d’ufficio, non essendo richiesta ai fini della perseguibilità la proposizione di una denuncia-querela e la pena prevista è quella della reclusione fino a due anni o della multa fino a 2.065,00 euro per i soggetti autori del fatto reato.
La medesima responsabilità penale, in egual misura salvo casi particolari, è riservata a tutte le eventuali persone fisiche che abbiano contribuito alla realizzazione del reato altrui.
In caso di delitto “solo” tentato, la pena stabilita per il reato consumato è ridotta da un terzo a due terzi.
Dal 2009 il reato di frode in commercio è inserito tra i reati da cui dipende la responsabilità amministrativa dell’ente (o degli enti) che abbiano materialmente e/o moralmente contribuito a perpetrare la frode.

Alessandro Severgnini

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