Fondo patrimoniale e fisco

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L’iscrizione ipotecaria è atto avente natura esecutiva in quanto attività prodromica all’esecuzione di cui condivide la natura e la disciplina, come si argomenta sulla base di alcuni precedenti della Corte di Cassazione (Sez. 3, n. 1652 del 29/01/2016; Sez. 5, n. 3600 del 24/02/2016; Sez. 6-5, Ord. n. 23876 del 23/11/2015), che ha affermato l’applicabilità dell’art. 170 cod. civ. anche all’iscrizione ipotecaria, ex art. 77 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e lo ha fatto richiamando il precedente di Sez. 3, n. 5385 del 05/03/2013, il quale a sua volta richiama Sez. 5, n. 7880 del 18/05/2012.

Entrambi i precedenti da ultimo citati, però, argomentano sulla base della premessa che l’ipoteca ex art. 77 D.P.R. cit. abbia natura di atto funzionale all’esecuzione forzata (premessa essenziale al ragionamento, posto che l’art. 170 cod. civ. si riferisce, espressamente, quale attività il cui compimento vieta sui beni del fondo e sui frutti di essi, alla «esecuzione»).

In particolare, evocano al riguardo il tradizionale criterio secondo cui nel concetto di atti di esecuzione rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione stricto sensu, ma tutti i possibili effetti dell’esecutività del titolo e, dunque, anche l’ipoteca iscritta sulla base dell’esecutività del titolo medesimo, con ciò, dunque, chiaramente postulando, sia pure alla stregua di tale lato criterio definitorio, la possibilità dì definire l’iscrizione de qua quale «atto di esecuzione».

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L’iscrizione ipotecaria

Tale premessa non può più, però, essere tenuta ferma alla luce della ricostruzione dell’istituto operata, come noto, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 19667 del 18/09/2014.

Come noto, infatti, tale pronuncia – richiamata e confermata in motivazione anche da Sez. U, ord. n. 15354 del 22/07/2015 – ha escluso che “l’iscrizione ipotecaria prevista dall’art. 77 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, possa essere considerata un atto dell’espropriazione forzata, dovendosi piuttosto essa essere considerata «un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”.

Tale affermazione di principio, dalla quale non si vede ragione per discostarsi, non può non riverberarsi nella materia qui trattata, nella quale, venuta meno la premessa ricostruttiva fondata come detto sulla qualificazione dell’iscrizione ipotecaria ex art. 77 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 come «atto dell’esecuzione», viene meno anche l’applicabilità dell’art. 170 cod. civ., non sembrando superabile il dato testuale sopra già evidenziato, tanto più ove si consideri che, ponendo la norma una eccezione alla regola della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 cod. civ., la stessa è da ritenersi soggetta a interpretazione tassativa (V. anche Cass.n.23875/2015; n. 10794/2016, in motiv.; Cass. n. 5577/2019).

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Alla luce della natura dell’iscrizione ipotecaria, si è dunque affermato che “l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973 è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c. c., sicché è legittima solo se l’obbligazione sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa. (Cass. n. 20998/2018; Cass. n. 1652 del 2016; Cass. n. 22761 del 09/11/2016; Cass. n. 3738/2015; Cass. 23876/2015; Cass., ordinanza n. 5017 depositata il 25 febbraio 2020).

In particolare, si è affermato che il creditore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al debitore, e conferiti nel fondo, se il debito sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito, per il quale procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata (v. Cass. n. 23876/2015; Cass. n. 1652/2016; Cass. n. 2998/2018).

Ne consegue che i beni costituenti fondo patrimoniale non possono essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligazione sia quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso oggettivo, ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari.

La Corte di Cassazione ha, altresì, più volte ribadito che il criterio identificativo dei crediti che possono essere realizzati esecutivamente sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia sicché non assume rilievo la natura latamente pubblicistica del credito di cui alle cartelle di pagamento (Cass. n.3738/2015, n.15886/2014; Cass. n. 31590/2018).

Spetta, pertanto, al giudice di merito di accertare – in fatto – se il debito in questione si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, (Cass. n.12998/2006) a prescindere dalla natura della stessa: sicchè anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari, nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia, ovvero per il potenziamento della capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cfr. Cass. n. 26126/2019; Cass. n. 9188/2016; Cass. n. 3738/2015; Cass. n. 23876/2015, peraltro in riferimento alla riscossione dell’esattore).

Errata è dunque quella impostazione che ritiene l’inerenza diretta del debito fiscale con i bisogni della famiglia solo limitatamente alle imposte relative ai redditi prodotti dalle attività conferiti nel fondo (Cass. n. 23876/2015).

La circostanza, per esempio, che il contribuente percepisse altri redditi da lavoro che addizionati a quelli del coniuge erano “sufficienti” a soddisfare le esigenze della famiglia appare affermazione tautologica e disancorata dal preciso onere probatorio gravante su chi contesta la pignorabilità dei cespiti.

In primo luogo, l’adeguatezza di detti redditi non può essere valutata in astratto rispetto alle “comuni” esigenze di una famiglia, atteso che la qualità e quantità dei bisogni di una famiglia vanno valutate in relazione al tenore prescelto in concreto dai coniugi e all’indirizzo impresso alla vita familiare che potrebbero necessitare di redditi cospicui.

E’ onere del contribuente quanto meno allegare (e poi provare) che il maggior reddito conseguito all’evasione era stato destinato a scopi voluttuari estranei ai bisogni della famiglia: quali investimenti azionari ovvero acquisti di immobili non costituiti nel fondo patrimoniale (Cass. n.4593/2017).

Del resto, la difficoltà di provare la conoscenza dell’Erario della non inerenza dei crediti alle esigenze della famiglia non integra sul piano giuridico un elemento idoneo a invertire la regola di distribuzione dell’onere probatorio.

L’onere di provare l’estraneità dei crediti ai bisogni familiari spetta soltanto al contribuente (v. Cass. n. 20998/2018; Cass. n. 222761/2016; Cass. nn. 641 e 5385 del 2015; Cass. nn. 23876 3738 del 2015; Cass. n. 4011 del 2013).

La Corte di Cassazione ha pure precisato che tali oneri di allegazione e di prova si configurano anche quando si proponga contro l’esattore domanda di declaratoria della illegittimità di una ipoteca iscritta ai sensi del citato art. 77 del D.P.R. n. 602/73.

Una diversa soluzione legittimerebbe, in modo improprio, l’utilizzo del fondo patrimoniale (istituto che ha la finalità di apprestare misure di protezione per i bisogni economici della famiglia) a scopo elusivo: al riguardo, soccorrono i principi concernenti la solidarietà economica e la ratio degli artt. 23 e 53 della Costituzione, i quali, consentendo un corretto bilanciamento delle diverse esigenze, legittima l’iscrizione ipotecaria sul fondo patrimoniale anche per le somme dovute a titolo di sanzioni (Cass. n.20998/2018).

L’iscrizione ipotecaria non consente alcun vaglio giurisdizionale, fondandosi non su un credito da accertare, ma su un titolo esecutivo portante un credito ormai liquido ed esigibile, il che esclude una valutazione sulla legittimità della iscrizione anche per sanzioni accessorie al debito tributario.

I giudici di merito, in corretta applicazione dei suddetti principi di diritto, devono ritenere sempre decisiva la circostanza che il ricorrente non avesse né allegato né, tanto meno, provato, che i redditi aziendali fossero destinati ad esigenze speculative o voluttuarie (e che la creditrice fosse di ciò consapevole).

Vige il principio di diritto, costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, secondo il quale l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973, sicché l’agente della riscossione può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito, per il quale l’agente della riscossione procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata (Cass. 1552/2016; Cass. 20998/2018).

La Corte di Cassazione ha più volte stabilito che grava in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa (Cass. 20998/2018).

Si tratta di un giudizio di fatto non censurabile dalla Corte di Cassazione, posto che il principio di cui all’art. 2697 c.c. deve essere correttamente applicato e spetta al giudice di merito in via esclusiva (e salvo che si tratti di prova a valutazione legale) il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza (Cass. 16497/2019; Cass., ordinanza n. 5369 depositata il 27 febbraio 2020).

In merito alla affermazione che i debiti fiscali rientrerebbero “a pieno titolo” tra le spese necessarie alla famiglia, essa è in contrasto con quanto affermato dalla Corte di Cassazione in ordine al criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale.

Il predetto criterio va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, e la predetta finalità non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. 3738/2015).

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