Figlio maggiorenne di coniugi separati non del tutto autonomo economicamente. Modificazione degli accordi di separazione

MC redazione 08/10/11
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Massima

Qualora il figlio di coniugi separati, divenuto maggiorenne non del tutto autonomo economicamente, trasferitosi ad altra città per lavoro, abbia smesso di convivere con la madre,  il contributo di mantenimento va corrisposto dal padre  ad esso direttamente.

La cessata convivenza madre – figlio comporta de plano il venire meno dell’assegnazione della casa coniugale alla suddetta.

Vivendo il figlio principalmente altrove, si deve interrompere  la contribuzione a carico del genitore per l’utilizzo anche da parte del figlio delle case di vacanza della madre, al fine di conservargli l’ambiente familiare volto allo sviluppo e  crescita, in quanto grava sul padre altro impegno per le spese straordinarie di vacanza dello stesso.

E’ inconferente nel giudizio l’eccezione di inammissibilità del ricorso per asserita (non dimostrata) riconciliazione dei coniugi.

 

1. NOZIONE

Il Tribunale di Modena è stato adìto da un coniuge separato consensualmente per la modifica degli accordi di separazione, poiché l’assetto pregresso evolutosi andava stabilito diversamente. L’attore chiedeva che il contributo di mantenimento del figlio, di anni 31, non più convivente con la madre, sebbene non del tutto autonomo economicamente, fosse versato direttamente al medesimo; che, cessata la convivenza madre-figlio, venisse revocata l’assegnazione della casa coniugale alla genitrice; che anche l’impegno di partecipare alle spese di gestione di due case per le vacanze di proprietà della ex moglie venisse depennato dagli accordi, ad eccezione della somma omnicomprensiva di € 1541,00 l’anno.

   Costituitasi la controparte, domandava il rigetto dell’avversa domanda, eccependo che, negli anni 1987 – 1988, vi fu la riconciliazione tra loro coniugi, dal che sarebbe scaturita la inefficacia della separazione, nonché la inammissibilità della domanda.

   Ora, al variare delle circostanze della separazione/divorzio, la legge consta di mezzi processuali che permettono ai coniugi di adeguare le condizioni statuite alla nuova situazione determinatasi. I provvedimenti al riguardo sono regolati da norme diverse (art. 710 c.p.c. per la separazione; art. 9 l. 1 dicembre 1970 n. 898 per lo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio), pur annoverando in comune l’esistenza dei presupposti della domanda di parte, nonché la sentenza od omologazione degli accordi di separazione o la sentenza di divorzio.

   Come notato in dottrina, le disposizioni concernenti l’affidamento della prole, l’esercizio della potestà, la misura e le modalità del contributo di mantenimento, dell’assegno di separazione, l’assegnazione della casa familiare sono revisionabili in ogni tempo, trattandosi di pronunce c.d. determinative. Secondo costante giurisprudenza, esse conservano la loro efficacia sino al verificarsi di successivi mutamenti obiettivi dello stato di fatto accertato in precedenza. Tali statuizioni hanno efficacia rebus sic stantibus, finché il magistrato non ritenga che sussistano elementi giustificatori del loro adeguamento alla reale situazione. Gli artt. 155 c.c. e 710 c.p.c. non precisano di quale natura devono essere i fatti idonei a determinare la revisione, mentre gli artt. 156 c.c. e 9 l. div. contemplano la modificabilità solo quando sopravvengano giustificati motivi (1).

   E’ certo che la solidarietà economica tra i coniugi durante il matrimonio non viene meno con la separazione, sicché il coniuge separato senza addebito al quale non sia stato attribuito alcun assegno, qualora la sua situazione economica si fosse deteriorata o sia migliorata quella dell’altro coniuge, può chiedere la corresponsione di un assegno rapportato al tenore di vita che avrebbe avuto qualora la separazione non fosse intervenuta (2).

 

2. NORME DI LEGGE

Sotto la rubrica “Disposizioni in favore dei figli maggiorenni”, recita l’art. 155 quinquies c.c. che il giudice, valutate le circostanze, può disporre a favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto …

    Implicitamente la norma dice che l’obbligo dei genitori di mantenere il figlio non cessa col raggiungimento della maggiore età, ma quando acquista l’autonomia economica. Gli interpreti hanno trattato della natura del contributo di mantenimento al figlio divenuto maggiorenne, se sia, cioè, obbligo di mantenimento od alimentare. L’orientamento più nutrito propende per la natura di mantenimento, che implica la soddisfazione di tutti i bisogni materiali, commisurati alla posizione sociale dell’obbligato, a prescindere dal bisogno del destinatario.

   Prevede la lettera della legge che, nel caso di figlio maggiorenne, il versamento dell’assegno sia fatto direttamente a favore di esso. La disposizione stessa ha determinato critiche tra gli interpreti, perché il genitore convivente, che affronta le spese per le voci essenziali del mantenimento, si vede costretto ad esigere somme di denaro dal figlio.

   Il caso che ci occupa non si coniuga con la questione, perché il figlio, discostatosi dalla madre, svolge a Milano attività economicamente inadeguate per un normale tenore di vita, mentre la madre si è trasferita in località diversa da quella di residenza dei coniugi in costanza di matrimonio. E il tribunale dispone la corresponsione del contributo di mantenimento senz’altro all’avente diritto.

   Ha proclamato altro giudice che la modalità di versamento diretto nei confronti della prole sia da preferirsi nella ipotesi di figlio maggiorenne convivente ma non stabilmente dimorante con un genitore (come nella classica ipotesi dell’universitario fuori sede) ovvero in ipotesi di figlio maggiorenne, in   quanto di età adulta auspicabilmente chiamato ad una corresponsabile gestione delle risorse finanziarie della famiglia (3).

   A norma dell’art. 155 quater c.c., apportato dalla l. 8 febbraio 2006 n. 54, in sede di separazione il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli … Il diritto di godimento della casa familiare viene meno qualora l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643.

   Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici (4).

   In comparazione verticale rileva che il codice del “42 nulla prevedeva in materia; con la novella del 1975 fu ricostruito l’art. 155, ove si dice di assegnare la casa coniugale di preferenza e ove sia possibile al coniuge affidatario dei figli.

   Sancisce l’art. 710 c.p.c. che le parti possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti  riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione …

   Questo articolo, dopo la novella operata con la l. n. 331 del 1988, costituisce il mezzo per la modifica dei provvedimenti che disciplinano lo stato di coniugi separati, conseguente alla sentenza od accordi consensuali omologati e concernenti l’assegno/contributo di mantenimento a favore di coniuge/figlio, l’affidamento della prole, l’assegnazione della casa familiare. Si pone in combinato disposto con l’art. 155 bis, comma 2, c.c. per il caso di richiesta di affidamento esclusivo della prole; con l’art. 155 quater, comma 1, c.c. con riguardo all’assegnazione/revoca della casa familiare. A seguito della introduzione dell’art. 709 ter c.p.c. (2006), anche le controversie afferenti all’esercizio della potestà genitoriale, alle modalità di affidamento sono sussumibili all’art. 710 in parola.

   Per l’art. 157 c. c., i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.

La riconciliazione tra i coniugi, ex art. 154 c.c., comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta.

   Con queste norme l’ordinamento ha voluto favorire la ricostituzione del nucleo familiare, dando ai coniugi la possibilità di far cessare, d’accordo tra di loro,  gli effetti della separazione. I due articoli regolano la riconciliazione in corso di causa (art. 154) e quella successiva alla sentenza di separazione (art. 157). Si sostiene che alla riconciliazione, art. 154, possano ricondursi anche effetti sostanziali, precludendosi la possibilità di far valere ad una nuova domanda di separazione i fatti precedenti la riconciliazione. Come rilevato in dottrina, l’abbandono della domanda di separazione a seguito della riconciliazione importa la considerazione che i fatti portati nel giudizio abbandonato non sono più ritenuti offensivi per la pacifica convivenza. Dopo la riconciliazione le intolleranze ed i pregiudizi sono venuti meno o grandemente “impalliditi” nel sentire dei coniugi (5).

 

3. OGGETTO

La domanda per versare direttamente al figlio il contributo di mantenimento  viene accolta dal giudice, perché ritenuta fondata. Il destinatario è maggiorenne, ma non indipendente sotto l’aspetto economico e l’art. 155 quinquies c.c., introdotto dalla legge n. 54 del 2006, così prevede. La norma parla di “disporre … il pagamento di un assegno periodico” in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, da cui risulterebbe inconfigurabile la “prosecuzione” del contributo di mantenimento statuito durante la minore età. Il contributo per sostenere il figlio maggiorenne, normalmente autonomo, ma economicamente non autosufficiente, si coniuga con una regola congruente proprio con il versamento diretto.

   Come osservato in giurisprudenza, la sentenza e l’atto di separazione consensuale omologato sono modificabili in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, che abbiano alterato la situazione preesistente, mutando i presupposti riguardo ai quali il giudice o le parti avevano stabilito le condizioni della separazione. Ma non rientrano nella revisione in parola i vizi del consenso, né gli altri fatti preesistenti alla separazione, che avrebbero potuto dedursi in tale sede. Ciò perché non possono incidere sul giudicato rebus sic stantibus le circostanze preesistenti al titolo in ragione del principio per cui il giudicato copre il deducibile ed il dedotto (6)

   La procedura camerale di modifica dei provvedimenti a seguito di separazione dei coniugi concerne l’accertamento dei giustificati motivi, che autorizzano la variazione stessa. Si tratta di fatti nuovi sopravvenuti, che hanno modificato la situazione per la quale gli accordi furono stipulati. E si presume una valida separazione consensuale omologata, sicché i giustificati motivi non possono attenere a vizi dell’accordo di separazione (7).

   L’assegnazione della casa familiare in sede di separazione/divorzio volge a conservare il centro degli affetti ed interessi della vita familiare in favore della prole minorenne. Tale favor permane anche se il figlio maggiorenne si trovi, senza colpa, in situazione di non autosufficienza economica.

Il bene casa si identifica nell’abituale residenza, con esclusione di altri immobili usati saltuariamente, mentre l’assegnazione della casa familiare va revocata ove il figlio l’abbia lasciata per altra residenza. Secondo una pronunzia l’assegnazione in parola è un istituto che non trova più applicazione quando i figli si fossero “sradicati” dal luogo in cui si svolgeva l’esistenza della famiglia ed è venuto a mancare il presupposto di conservare l’habitat domestico (8). La giurisprudenza indica il prioritario interesse del minore all’habitat abituale, sicché il giudice dispone l’attribuzione esclusiva del godimento della casa familiare al genitore con cui il figlio minore dei coniugi separati/divorziati trascorrerà la maggior parte del proprio tempo (9).

   Nel contraddittorio tra gli ex coniugi si fa constare dalla moglie che vi fu, in anni andati 1987-1988, la riconciliazione tra di loro, da cui sarebbe scaturita la inefficacia della separazione personale dei coniugi e la conseguente inammissibilità della domanda. Dal punto di vista sostanziale, perché possa configurarsi la riconciliazione, costituisce dato importante che la vita coniugale riprenda in ogni aspetto, ricostituendosi gli affetti, la solidarietà morale e materiale, con la ripresa dei rapporti affettivi, la frequentazione  degli amici comuni, il riavvio di una certa organizzazione domestica.

   Questi risultati è difficile ritenersi conseguiti nella fattispecie, se un anno dopo l’asserita riconciliazione, nel 1989, i coniugi modificarono le condizioni di separazione con scrittura privata.

   Rilevato come la riconciliazione costituisce il più importante fra i mutamenti sopravvenuti alla separazione personale, che annulla questa con la eliminazione degli effetti. La legge non richiede particolari formalità, ma fa rilevare dichiarazioni scritte, meri comportamenti (10). I requisiti della riconciliazione indicati dalla giurisprudenza sono il perdono (sia pure tacito) delle responsabilità precedenti, il ripristino della convivenza coniugale con la comunione spirituale (riserva della posizione di esclusivo compagno di vita per il coniuge, adempimento dei doveri coniugali); la comunione materiale mediante comune organizzazione domestica e rapporti sessuali (11).

   Il tribunale osserva che la riconciliazione dei coniugi rileva nel nostro ordinamento quando gli stessi volessero far cessare d’accordo gli effetti della separazione (art. 157 c.c.) ed art. 63, comma 1, lett. g) del d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, se la separazione trascritta; inoltre, per l’accoglimento della domanda di divorzio, art. 3, comma 4, l. n. 898 del 1970, rappresentando condizione ostativa da eccepirsi dalla parte convenuta. Segnalo una fattispecie singolare di riconciliazione preceduta e seguita da nuova separazione, ove si applicò l’art. 157, comma 2, c.c., per cui furono “rimesse” le più gravi condotte pregresse del coniuge infedele e non osservante dei doveri di lealtà e solidarietà verso la famiglia (12).

 

4. TUTELA GIURISDIZIONALE

L’art. 710 c.p.c. sancisce, senza limitazione temporale, la  possibilità di revisione delle condizioni portate nella sentenza che dispone la separazione giudiziale o nel verbale di omologazione degli accordi presi consensualmente dai coniugi.    

   Competente alla revisione il tribunale in composizione collegiale, circa la competenza per territorio l’articolo stesso nulla dice. La giurisprudenza ritiene applicabile l’art. 18 c.p.c. (luogo di residenza/domicilio del convenuto) o l’art. 20 c.p.c. (luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione). Ancora, si riconosce la competenza del tribunale ordinario quando la modifica dei provvedimenti riguardi figli legittimi. La cognizione pertiene al tribunale per i minorenni nel caso di figli di genitori separati, segnatamente nelle cause concernenti provvedimenti ablativo/limitativo della potestà genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.).

   Nel peculiare fenomeno di revisione degli accordi vengono emanate le sentenze determinative o dispositive, con cui il giudice, dotato dalla legge di un potere discrezionale, fissa il contenuto di un elemento del rapporto giuridico secondo un criterio di equità (art. 113 c.p.c.). In questo caso qualora il rapporto giuridico avesse natura continuativa e si prolunghi nel tempo, le condizioni oggettive o soggettive rilevanti per la decisione sono mutevoli.

   Come osservato in dottrina, il giudice può essere chiamato a decidere nuovamente se modificate le circostanze che avevano determinato la precedente pronuncia (cfr. art. 440 c.c. in tema di alimenti). Non vi è in ciò nulla che contrasti con la cosa giudicata, la quale rimane ferma finché permangono eguali le circostanze influenti per la decisione e non impedisce una nuova determinazione del rapporto, se quelle si sono modificate. In questi casi, differenti dal solito, non è la cosa giudicata, ma il suo oggetto, dato da un rapporto giuridico, variabile nel tempo secondo le circostanze, che si presenta perciò nuovo e diverso se queste sono cambiate (13).

   Il processo di separazione – diversamente da quello ordinario, in cui la sentenza passata in giudicato fa stato tra le parti ed è intangibile – consta della possibilità del riesame da parte del tribunale ad istanza di parte, avendo le statuizioni stesse valore rebus sic stantibus. Questa duttilità procedurale volge alla tutela del primario interesse del figlio o del coniuge più debole, sicché, cambiati i presupposti, si possono modificare i provvedimenti.

   Come rilevato in dottrina, ex art. 156, comma 7, c.c., può farsi luogo alla revisione delle condizioni patrimoniali tra i coniugi alla presenza di giustificati motivi sopravvenuti. Sono questi eventi tali da incidere in modo sensibile sui presupposti di fatto o di diritto a fondamento della pronuncia di separazione od accordi della separazione consensuale. Per ragioni di eadem ratio, ciò vale anche per i provvedimenti relativi alla prole cioè misura e modalità del contributo di mantenimento, affidamento, regìme di visita. Va aggiunto che, malgrado non precisato espressamente, sono soggetti a revisione anche i provvedimenti relativi all’assegnazione della casa familiare (14)

   E proclama il giudicante che, interrotta la convivenza madre – figlio nella casa familiare, deriva de plano il venire meno dell’assegnazione dell’immobile alla genitrice a norma dell’art. 155 quater c.c. Ma, ciò posto, va detto che se fallisse la parziale autosufficienza del figlio non gli sarebbe possibile tornare nella casa di famiglia, perché un obbligo, quando venuto meno, non può più riaccendersi.    

   Al riguardo evidenzia una corte di merito che, con l’allontanamento dalla casa familiare, muta in maniera irreversibile la posizione giuridica della prole. Il figlio privo di mezzi di sussistenza, tornando nella città lasciata, non per questo mantiene il diritto alla casa (15).

   L’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 710 c.p.c., proposta dalla moglie per un’asserita, risalente riconciliazione intervenuta con il coniuge, viene confutata dal tribunale come apporto inconferente nel giudizio. Vero è che la legge non prescrive formalità di sorta, ma, come osservato in dottrina, la riconciliazione ha una pluralità di modi espressivi: una esplicita dichiarazione orale o scritta (scrittura privata od atto pubblico) tra i coniugi; se il processo è in corso, va inserita nel verbale di udienza; un comportamento non equivoco di entrambi i coniugi, incompatibile con lo stato di separazione (16).

 Nulla di ciò è stato addotto in causa, per cui la tesi della inammissibilità del ricorso è destituita di fondamento. Al ripristino dell’affectio coniugalis/ consortium vitae non basta la saltuaria ripresa dei rapporti affettivi (17), né la convivenza dei coniugi nella stessa casa (18), circostanze tutte non significative della riconciliazione.

 

Dott. Vittorio Santarsiere

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(1) F. Santosuosso, Il matrimonio, Utet, Torino, 2007, 496 s.
(2) Cass. 11 novembre 2003 n. 16912, in Dir. fam. pers., 2003, 915.
(3) Trib. Marsala 26 febbraio 2007 n. 9507, in Fam. pers. succ., 2007, 951.
(4) Per il divorzio la stessa materia è disciplinata dall’art. 6, comma 6, l. n. 898 del 1970.
(5) F. Finocchiaro, Del matrimonio, in Comm. cod. civ. Scialoja, Branca, Galgano, t. II, Zanichelli Foro italiano, Bologna Roma, 1993, 392.
(6) Cass. 17 giugno 2009 n. 14093, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 83 s.
(7) Cass. 8 maggio 2008 n. 11489, in Guida dir., 2008, 33, 65.
(8) Cass. 9 settembre 2002 n. 13065, in Fam. dir., 2002, 587.
(9) Cass. 18 febbraio 2008 n. 3931, in Guida dir., 2008, 12, 51.
(10) Santosuosso, in op. cit., 505.
(11) Cass. 13 maggio 1999 n. 4748, in Vita not., 1999, 798.
(12) Trib. Milano 15 novembre 2010, in questa Rivista, 2011.
(13) E. T. Liebman, Giudicato, I – Dir. proc. civ., in Enc. giur. Treccani, Roma, s.d., XVI, sub 3.9, 5 s.
(14) R. Rigoni, I procedimenti ex artt. 710 c.p.c. e 9, 1° co., l. n. 898/1970, in Separazione, divorzio annullamento diretto da Sicchiero, Zanichelli, Bologna, 2009, 903 s.
(15) App. Roma 8 giugno 2004, in Arch. civ., 2004, 1419.
(16) V. Carbone, La convivenza sperimentale di coniugi separati consensualmente non comporta riconciliazione, in Fam. dir., 2006, 1, 23.
(17) A. Arceri, Art. 154 c.c., in Codice della famiglia a cura di Sesta, t.I, Giuffrè, Milano, 2009, 674.
(18) Cass. 21 marzo 2000 n. 3323, in Arch. civ., 2000, 693.

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