Ex marito che telefona più volte al giorno per chiedere di vedere i figli

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L’effettuazione di molte telefonate durante la giornata possono integrare il reato di molestie.

Secondo alcune pronunce, anche in presenza di una decina di squilli può scattare la denuncia.

Ci si chiede che cosa accada se le chiamate continue vengono fatte al fine di esercitare un diritto come quello di vedere i figli.

L’unico modo per avere ragione è rivolgersi a un tribunale, perché coloro che decidono di farsi giustizia da sé portando allo sfinimento l’altra parte, paga le conseguenze dei suoi atti.

Ad esempio, se un creditore assilla il debitore per ottenere il pagamento che gli è dovuto può essere querelato per stalking.

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Sulla questione del padre che contatta diverse volte la sua ex moglie perché gli nega di incontrare i figli, è stata spesso interpellata la Suprema Corte di Cassazione, la quale, di recente, è ritornata sull’argomento spiegando, con la sentenza 31/03/2020 n. 10904/20, in quali circostanze si determini il reato.

Prima di vedere quale sia stata la decisione della Suprema Corte di Cassazione, scriviamo qualcosa sugli atti persecutori.

Gli atti persecutori

Gli atti persecutori non vengono individuati con un preciso comportamento ma con gli effetti che determinano sulla vittima.

Non ha importanza quello che si fa, se la vittima dimostra ansia o è  stata costretta a cambiare le sue abitudini, si è colpevoli.

La vittima è testimone, l’accusato non lo è, per questo, non si parte da una condizione di parità.

Una recente sentenza della Cassazione ricorda quando è stalking e come avviene l’accertamento della responsabilità.

AL fine di individuare un simile reato, si utilizza un vocabolo inglese, il nome corretto dell’illecito penale è “atti persecutori”.

Lo prevede il codice penale all’articolo 612 bis, rubricato “atti persecutori”, che recita:

È punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo:

da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura

ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva

ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La legge non descrive il comportamento del colpevole, come  accade negli altri tipi di reato, ma la reazione della vittima, attraverso la quale si può dedurre quando è stalking e quando non lo è.

A decidere la colpevolezza è la vittima.

Qualsiasi comportamento che si realizzi attraverso reiterati episodi di minacce o molestie e che possa determinare uno qualsiasi dei tre tipi di eventi appena elencati, è tale da potersi definire stalking.

Si possono fare ipotesi infinite, anche se le situazioni che determinano lo stalking sono sempre le stesse, vale a dire, pedinamenti, telefonate ossessive, messaggini sul cellulare o sulle chat, appostamenti sotto casa o all’uscita del lavoro, email e lettere lasciate nella cassetta della posta e simili.

Un soggetto può essere condannato per stalking anche in base alle uniche dichiarazioni della persona offesa, purché siano sottoposte a una rigorosa valutazione.

Secondo la Cassazione, l’alterazione delle abitudini di vita non consiste esclusivamente nel costringere la vittima a cambiare strada o a farsi accompagnare da qualcuno all’uscita del lavoro, ma anche a cancellare il suo account Facebook in presenza di continui messaggi inviati attraverso l’applicazione di messaggistica, Messenger, del social network.

In quali circostanze si è in presenza di stalking

Si dice che lo stalking sian un reato a forma libera, vale a dire, che il legislatore non ha indicato quale comportamento lo faccia, limitandosi a individuare gli effetti che l’azione del reo implica sulla vittima.

La descrizione dell’illecito viene fatta sulla base delle conseguenze che comporta, per questo non esiste un comportamento specifico da realizzare al fine di essere accusati di stalking, dipende dai riflessi che lo stesso ha sul soggetto passivo del reato.

L’articolo 612 bis del codice penale, rubricato “atti persecutori”, come scritto sopra, punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta qualcuno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, o da costringere lo stesso all’alterazione delle sue abitudini.

Si ha stalking quando si verificano determinate conseguenze, vale a dire, lo stato di ansia o paura, il timore per la propria incolumità o quella di un caro, il cambio delle abitudini, ad esempio, chi disattiva un account social o cambia strada per non vedere lo stalker.

Secondo un orientamento della Suprema Corte consolidato (sent. 22152/15 e n. 8431/2014), non compie reato il padre che temoesta di telefonate e mail l’ex, sia essa moglie o convivente, con il fine di vedere il figlio.

Le possibili accuse sono due.

La prima e più blanda, è rappresentata dalle molestie telefoniche, un reato che si realizza quando una persona, per petulanza o altri motivi, molesta o reca disturbo a qualcuno.

La seconda, più grave, è rappresentata dallo stalking.

In presenza di simili circostanze l’insistenza telefonica non basta, si deve verificare una delle tre condizioni indicate dalla norma penale.

Il reato di stalking non può scattare se si telefona più volte all’ex moglie senza turbarla, senza che ci sia una paura fondata o un cambiamento delle abitudini, con la verifica della presenza del reato di molestie telefoniche.

Secondo la Cassazione anche in presenza di simili circostanze, non ci sono i presupposti richiesti dal codice penale, non ci sono, i “biasimevoli motivi”, perché il genitore vuole esclusivamente esercitare il suo diritto di padre, sia prima sia dopo la decisione di un giudice che fissa le regole per le visite ai figli.

Se il papà si lascia trascinare dalle circostanze e oltre a fare squillare di continuo il telefono assume comportamenti pericolosi, come quello di pedinare l’ex partner, il rischio di sconfinare nello stalking è molto più reale.

Se si aggiungono intimidazioni e atti vandalici contro l’ex moglie e i suoi familiari, come nel caso di recente deciso dalla Cassazione, la condanna è scontata.

Come in ogni processo penale, il ruolo principale è rappresentato dalle dichiarazioni della vittima, il primo gradino di accusa nei confronti del papà.

Se il giudice ritiene attendibili le dichiarazioni della persona offesa, è possibile arrivare a una condanna.

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