Etica e legittimità

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Vi è una difficoltà nel mantenere una interna coesione delle relazioni interpersonali senza che questo porti o a un eccesso di vincoli ciechi e quindi all’implosione o all’opposto ad una esplosione anarchica, essendo le norme afflitte da una tendenza tettonica alla differenziazione, alla distorsione adattiva individuale, alla evaporazione per invalidità, alla loro progressiva contraddizione in rapporti ciclici (Bodei), vi è quindi la necessità di creare teorie per leggere la realtà unificandola nella sua interpretazione questo tuttavia è una produzione di potere fondata su uno schema che può diventare un “pregiudizio” nel senso di un eccesso di rigidità, ma la rigidità di per se stessa non è negativa nel momento in cui permette la sostenibilità nel tempo di un sistema, sono le fondamenta del sistema che ne determinano la qualità e quindi la sua bontà.

Noi tutti siamo parte di una “storia” di cui non possiamo negarne le radici, possiamo tuttavia rielaborarla incessantemente e in questo modificare i nostri “pregiudizi” (Gadamer) senza che vi sia una assolutizzazione dell’interpretazione che si risolva nella pretesa di una ricostruzione esaustiva, Lyotard osserva linguisticamente l’impossibilità di regole universali ne deduce quindi l’opportunità non tanto di creare un consenso quanto di comporre pragmaticamente il dissidio senza soverchie illusioni, il consenso è sempre qualcosa di provvisorio, mobile, per cui il “mito” su cui molte volte si fonda risulta una illusione necessaria al consolidamento del potere, esso è tuttavia qualcosa che mobilita le energie umane che non possono ridursi alla sola realizzazione del necessario o dell’utile razionale, il problema sorge nel momento cristallizzante dell’istituzionalizzazione del mito nel quale il “mito” viene chiuso in se stesso staccato dalla coscienza individuale al fine della mitizzazione del potere.

Lo spossessamento del mito e la conseguente sua liquefazione nelle coscienze crea una tenace e spesso inconsapevole resistenza ad assumere obblighi morali di lungo respiro, viene meno l’etica della coerenza e della responsabilità sostituita dalla tendenza a modificare le proprie decisioni a seguito del venire meno del vincolo dell’obbligo morale (Nozick), vi è pertanto la tendenza a minimizzare il rischio del futuro o negandolo come aspettative o riducendolo all’orizzonte minimo necessario senza coinvolgere l’esistenza delle generazioni attuali (Jones) a seguito dell’estrema sfiducia relazionale venuta a formarsi in una società liquida fortemente competitiva senza tuttavia l’esistenza di regole condivise, si crea una competizione nella redistribuzione del potere e quindi delle risorse nonché del prestigio sociale che si risolve non solo in una scalata ma anche in un abbattimento verso il basso dei propri consimili in una mancanza assoluta di rispetto dell’altro (Bauman).

In questa conflittualità perenne si crea il rischio del venire meno della possibilità di fare scendere in campo gli individui migliori per un eccesso di rischio, a seguito di una difficoltà crescente nel rapporto rischio/responsabilità nel quale è premiante solo il rischio imprenditoriale dell’investire su se stessi al fine dell’utile personale, immediato ed evidente, perdendosi nella nebbia dei rapporti sociali l’utile collettivo, in questo il diritto perde la sua valenza didattica collettiva per essere esclusivamente strumentalizzato in termini di utilità privata, la perdita di credibilità del sistema si risolve in una perdita di valori che porta quale reazione a possibili eccessi, lo stesso concetto di proporzionalità viene a modificare i propri parametri di riferimento diluendosi nella difesa delle singole posizioni, tanto che il rapporto nell’ambito lavorativo tra capacità tecniche e relazionali viene a sbilanciarsi esclusivamente sulle capacità relazionali, in cui le capacità tecniche diventano in molti casi un qualcosa di sovrapposto ma non di per sé fondamentale.

L’etica pubblica viene a sostituire la morale privata nel momento in cui si rivela la sua insufficienza nel gestire i rapporti pubblici, il rischio è tuttavia un’ossessione del fare che venga a cancellare l’essere (Pigou) in cui l’utilitarismo della regola (Harrod) assume la forma o di uno stretto immediato individualismo o di una pretesa di pianificazione filtrata da un sistema normativo, soltanto il recupero di quelli che Arrow definisce come “valori” permette di definire i rapporti pubblici tra più persone senza la necessità di rapporti diretti, vi è tuttavia una difficoltà nell’individuare tali valori anche se affondano le loro radici nel concetto di libertà in quanto vi è un diverso declinare dello stesso concetto determinato da necessità e convinzioni, dalle potenzialità e i rischi del flusso tecnologico (Viano).

Il frammentarsi della morale privata in termini di moralità di gruppo impedisce il semplice trasferimento di questa, né può farsi ricorso alla costruzione di una semplice etica pubblica normativa, non vi è una tecnica a cui rifarsi ma questa si origina nell’incontro-scontro tra leadership ed esigenze, inizialmente la credibilità della leadership si fonda sull’etica esistente e le esigenze del gruppo, solo successivamente interviene l’innovazione con l’introduzione di una variazione dell’esistente da normare progressivamente secondo un processo emergente (Processo di acquisizione di influenzaHollander), l’etica pubblica diventa così uno specchio del reale e come tale acquisisce anche una valenza estetica nella quale si ricompone il conflitto tra cultura e politica, dove l’estetica diventa espressione sensoriale dell’etica pubblica dominante, in quanto la conflittualità è solo un momento di passaggio necessitando all’Arte la politica quale amministrazione per esprimersi (Adorno).

In Platone la ragione si affida in massima parte alla “persuasione” e non vi è alcuna distinzione rigida (Aristotele) tra morale privata e pubblica, tra etica e politica, la politica diventa quindi un’estensione della morale privata in cui tutte le virtù vengono ad interagire tra loro, questo tuttavia non esclude la possibilità della menzogna quale strumento utile al bene pubblico, si pone quindi il problema della verità in termini etici.

L’unione di verità parziali nel formare verità più estese, non assicurano di per sé che la complessità della verità non diventi qualcosa di caotico, difficilmente analizzabile, pieno di lati oscuri in cui nascondere e confondere, dobbiamo infatti valutare il rapporto etica-verità anche in termini di potere, quale capacità di imporre un fine nei processi estremamente complessi e turbolenti dei sistemi umani (Deacon), vi è pertanto una valutazione delle informazioni che si trasforma in vincoli secondo processi ciclici verso un fine (teleodinamici).

Se il nascondere la verità degli eventi può essere giustificabile in ambiti specifici per il bene pubblico, l’accumularsi delle volute distorsioni informative crea l’insostenibilità di una etica pubblica condivisa nel lungo periodo ed il probabile collassamento del sistema, si crea la necessità della parresia ancor più nel momento in cui il conformarsi per utilità o ignoranza al consolidarsi del sistema fondato sulle distorsioni informative crea un crescente rischio a colui che riafferma una interpretazione alternativa degli eventi, viene ad esservi la necessità della “parresia”, ossia del coraggio di fronte al pericolo in cui vi è nel porsi a repentaglio una specifica relazione con se stessi (Foucoult), la corruzione è nel dire quello che è ben accetto alla moltitudine, nel non avere il coraggio di opporsi alla demagogia (Isocrate).

Vi è una profonda differenza fra essere tutori della legge e il “parresiastes”, il quale non controlla direttamente l’attuazione della legge ma tende a far emergere le contraddizioni che la verità impone (Platone), ma è proprio questa capacità che crea l’etica pubblica, la possibilità di evitare promesse irrealizzabili e interpretazioni insostenibili salvando il valore della convivenza democratica ed evidenziando per tale via l’eventuale iniquità di sistemi giuridici ed economici altrimenti nascosti da promesse demagogiche, che condurranno alla crisi il sistema democratico per la conseguente disillusione e sfiducia in un parallelismo tra declino etico e politico-economico (Zingales), la discussione pubblica svolge, infatti, un ruolo fondamentale nella selezione e trasmissione delle informazioni come ci ricordano sia Anderson che Sen, né si può ridurre l’etica democratica a un mero sostituto non violento della guerra civile se si vuole che funzioni (Habermas).

Il potere per essere legittimato necessita di un certo grado di consenso, di riconoscimento, per poterlo esercitare effettivamente (Searle), si pone quindi la problematicità di una pluralità di forme del rapporto consenso-legittimità che si estende dalle forme consuetudinarie alla e-democracy (Rosanvallon), il rischio in democrazia è quello che Dahrendorf definisce come una cancellazione del confine “tra sovranità del popolo e reclutamento del popolo” (102-R. Dahrendorf, Libertà attiva. Sei lezioni su un mondo sostenibile, Laterza, 2003).

Come ci ricorda Dahl le élite politiche, economiche e burocratiche operano comunque fra loro delle transazioni senza tuttavia avere in democrazia l’autonomia totale dei despoti questo permette al diritto di operare senza esserne esclusivo strumento, tuttavia la democrazia ha necessità di una coesione culturale sui principi base pur nel pluralismo sub culturale accettato in cui si deve formare l’etica politica necessaria alla legittimazione democratica del potere, riemerge nel crescente cambiamento di scala operato dalla globalizzazione la necessità nell’informazione di una maggiore competenza e comprensione che permetta ai cittadini di superare la pressione determinata dalla crescente complessità del contesto (Dahl).

La legittimazione del potere si trasferisce prevalentemente sull’aspetto economico dell’efficienza finanziaria supportata dalla rete globale, l’etica diventa una etica dell’efficienza ma la rete favorisce anche la trasmissione di idee e informazioni che, tuttavia, nel suo magma caotico si rende disponibile all’emergere di una autorganizzazione fondata su nuovi e talvolta imprevisti attrattori, l’etica deve quindi permettere la legittimazione del dissenso quale momento costitutivo politico al fine di superare la sterilizzazione del conflitto operata in quelle che Rancière definisce le “democrazie del consenso”, nelle quali viene favorito un rapporto ambiguo tra verità e doppia morale (Putman).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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